martedì 28 ottobre 2008

Ma per cosa protestano?

Alzi la mano chi ha letto cosa c'è scritto nel cosiddetto "Decreto Gelmini".
Alzi la mano chi ha capito, guardando le televisioni e leggendo i giornali, perchè gli studenti universitari (pare anche quelli di destra) protestano ad oltranza da giorni e giorni.

La verità è che in Italia esiste una confusione mediatica ridicola, imbarazzante. I principali responsabili sono proprio coloro che dovrebbero invece contribuire alla chiarificazione dei concetti, alla spiegazione delle problematiche, all'esemplificazione dei nodi più ostici, ovvero i mezzi di informazione di massa. Che non solo non fanno il loro dovere (nel senso che non informano), ma aumentano anche a dismisura il caos che regna sovrano nell'opinione pubblica, che guarda le proteste simil-sessantottine con aria sbalordita.

E' stato fatto credere che gli studenti e i professori universitari stiano protestando contro il reinserimento del maestro unico alle elementari. E' stato fatto credere che i bambini delle elementari siano in subbuglio perchè toglieranno loro molto probabilmente due o tre bidelli a cui erano affezionati. Tutti parlano di "Decreto Gelmini" dicendo che distruggerà le università, senza sapere che nel cosiddetto "Decreto Gelmini" non c'è traccia di interventi sulle università. Senza sapere che le università (e la ricerca con loro) sono già state distrutte. Precisamente da un altro decreto legge (DL 112), sfortunatamente già convertito in legge due mesi fa, il 21 Agosto 2008 quando gli Italiani erano a crogiolarsi le chiappe al sole.

Di cosa stiamo parlando allora?

Cerchiamo di fare un po' di chiarezza.
Il 25 giugno 2008, quando la gente (in particolare gli studenti e i professori) sta già pensano alle vacanze, viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 112 riguardante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria". Essendo un decreto legge con forza di legge, ha vigore dal momento esatto in cui viene inserito sulla Gazzetta Ufficiale, in attesa che la due camere lo convertano definitivamente in legge. La trafila avviene nei mesi di luglio e agosto quando l'opinione pubblica è assopita dal sol leone. Il 21 agosto la conferma ufficiale: il DDl 112 diviene ufficialmente legge.

Nessuno se ne accorge, se non alcuni rettori di università del sud, che tentano di abbozzare una qualche perplessità: urla nel deserto. L'anno accademico riprende ad ottobre. Gli studenti tornano a popolare gli atenei e scoprono che c'è qualcosa che non va: il sistema universitario potrebbe subire stravolgimenti devastanti nel silenzio generale. Sì, perchè cosa c'è scritto nel DDL 122 ormai divenuto legge e dunque non più modificabile?

C'è scritto che "le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato" (Art. 16 comma 1); che "le fondazioni universitarie subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell'Università" (comma 2); che "Le fondazioni universitarie hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile" (comma 8).

Questo significa che:

1) enti privati (vedi grandi case farmaceutiche) potrebbero diventare padroni di intere università.
2) si assisterà alla nascita di grandi poli universitari privati dislocati più o meno nel nord Italia verso cui confluiranno tutti i finanziamenti con la morte conseguente di tutte quelle realtà locali molto più modeste e con meno risorse (vedi università del sud Italia)
3) nasceranno centri di eccellenza sul modello americano a cui potenzialmente solo "figli di papà" potranno accedere (un corso di laurea negli States costa annualmente sui 40-50 mila euro)
4) il diritto allo studio potrebbe diventare una bella barzelletta
5) l'università sarà necessariamente trattata come un'azienda in cui ci sarà un personale da assumere e licenziare secondo logiche di mero profitto
6) la ricerca non sarà più finalizzata al "sapere" in e per , ma assoggettata a logiche commerciali
7) alcuni indirizzi universitari potrebbero essere soffocati semplicemente perchè meno fruibili sul mercato.

C'è scritto che "per il 2009 il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascuna amministrazione, il 10% delle unità cessate nell'anno precedente" (Art.66 comma 3); che "per gli anni 2009-2010 il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascun anno, il 20 per cento delle unità cessate nell'anno precedente" (comma 5); che "nel 2012 il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere il 50 per cento delle unità cessate nell'anno precedente" (comma 9); che "i fondi per la ricerca sono ridotti di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190 milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013" (comma 13).

Ora, se la matematica non è un opinione, questo significherà un lento decesso della ricerca di base. L'anno prossimo, per ogni dieci posti lasciati liberi solo uno verrà assegnato, nei due anni successivi solo due, nel 2012 solo 5. E nel frattempo, come se non bastasse, ci sarà un taglio complessivo di un miliardo e mezzo di euro alla ricerca. Ripeto: un miliardo e mezzo di euro. Ma secondo voi chi spingerà i giovani ricercatori italiani precari a rimanere in Italia e continuare a percepire uno stipendio ridicolo senza avere possibilità di ottenere una stabilizzazione e senza avere i mezzi a disposizione per fare ricerca? Forse una sorta di pulsione al martirio?

Questo per tutti coloro che, parandosi dietro il "Decreto Gelmini" che tocca solo la scuola di base, negano che sia in atto un'opera di distruzione indiscriminata del sistema universitario italiano. Questo per tutti coloro che pensano che gli studenti in rivolta siano dei comunisti facinorosi che hanno solo voglia di perdere qualche giorno di lezione e impedire a quei pochi saggi studenti di destra che vogliono studiare seriamente di poterlo fare.

La verità è che la protesta si è svegliata tardi, quando ormai non si può più fare niente. Nel frattempo, a creare confusione, si ergono pure le voci inferocite delle maestre elementari che perderanno il posto di lavoro, delle professoresse delle medie che non vogliono mettere i voti in cifre e dei bambini che non vogliono andare a scuola con il grembiulino. E la Gelmini a fare da parafulmine.

Intanto l'università brucia.
E Nerone-Tremonti la guarda dal Pincio, ridacchiando.
Tutti soldi risparmiati che potrà riutilizzare per salvare qualche banca in fallimento.

lunedì 27 ottobre 2008

La fine dell'università

Siamo nelle mani di governanti a cui non frega nulla del nostro futuro. Questa volta però Berlusconi e soci i conti non li hanno fatti bene. La riforma universitaria Gelmini - Tremonti probabilmente si farà, ma per la prima volta da mesi si vede una presa di coscienza netta, forte.
Finalmente si vede una parte di società che si ribella, che si indigna che combatte.Berlusconi con i suoi ministri è accecato da un delirio di onnipotenza, il fatto di aver dalla sua lìappoggio della maggior parte del paese lo ha convinto che qualsiasi porcata verrebbe accettata a prescindere con toni entusiastici dal popolo bue.
Del resto lo abbiamo abituato bene, se consideriamo che nè la vicenda Alitalia, nè il Lodo Alfano hanno minimamente scalfito i consensi verso il governo. In confronto far digerire alla gente la riforma universitaria pareva una passeggiata. Si sono sbagliati di grosso, non hanno capito che prendere per il culo ragazzi di 20 - 35 anni che stanno cercando di costruirsi un futuro non è così semplice. Sono giorni che nelle tv imperversano politici del centro destra ad illuminarci sulla bontà della riforma e della necessità di effettuare tagli.
Chi frequenta le università sa benissimo che gli sprechi ci sono, che vengono fatte gestioni di tipo clientelari e che le raccomandazioni sono all'ordine del giorno. Da questo punto di vista una riforma universitaria sarebbe auspicabile. Peccato che invece Tremonti stia utilizzando l'università come una vacca da mungere. Parliamoci chiaro, a loro della didattica, della qualità dell'insegnamento non interessa niente, l'obiettivo dichiarato è quello di ricavare qualche miliardo di euro per far quadrare i conti di bilancio del liberalprotezionista, a se conda di come tira il vento, Tremonti.
Bisogna mettere in chiaro bene le cose. Se c'è stato in passato un proliferare esasperato di corsi di laurea più o meno bizzarri è sacrosanto che lo Stato metta un freno e cerchi di risparmiare. La logica consiglierebbe di interevenire in questa direzione per rimpinguare le casse dello Stato.
In realtà questa non è altro che la causa per sbaraccare completametne gli atenei. I tagli infatti non verranno effettuati sugli sprechi ma saranno indiscriminati e vedranno colpite tutte le università. Il rettore del Politecnico di Milano ha già annunciato che una riduzione dei finanziamenti, che si preannuncia nell'ordine dei 30 milioni di euro l'anno, lo costringerà da qui a tre anni a portare i libri i ntribunale.
Un taglio dei finanziamenti così radicale da un giorno con l'altro determinerà il collasso delle università e della ricerca negli atenei. Deleterio sarà anche il blocco del turn over al 20% ed il tentativo di privatizzazione, sulle orme americane, delle università che secondo il progetto Tremonti in futuro potranno essere finanziate solo dalle fondazioni.
In tutto questo contesto c'è un premier che parla di mancanza di rispetto per la democrazia da parte degli studenti che occupano le università e minaccia l'intervento della polizia, salvo poi rimangiarsi tutto. C'è chi in nome di un buonismo esasperato, rivendica il diritto di chi ha voglia di studiare di poter frequentare le lezioni.
In democrazia un discorso simile sarebbe ineccepibile, vieneda chiedersi però se siamo realmente in democrazia e se non valga la pena sacrificare qualche giorno di lezione per salvaguardare il diritto a costruirsi un futuro nel proprio paese.
Ricordo quello che è successo due anni fa in Francia con gli studenti che per giorni e giorni occuparono la Sorbona e altre centinaia di università e invasero le città transalpine per protestare contro la legge sul contratto di primo impiego che facilitava i licenziamenti senza giusta causa.
Francamente se per una volta imitassimo i coetanei francesi senza sfociare nella violenza non nè sarei rattristato.

Marcello, Silvio e la mafia e' finito!!!


Con somma soddisfazione nuntio vobis che il progetto Marcello, Silvio e la mafia, come avrete notato, e' finalmente giunto a degna conclusione! :)
Lascero' sul blog tutti i capitoli scritti in questi ultimi mesi cosi' chiunque sara' libero di leggerseli come e quando vuole.
Per rendere la cosa un po' piu' carina, ho pero' riunito tutto il materiale in un unico file pdf, riscritto bene, in cui sono stati tolti tutti gli inevitabili errori di stampa (si spera) e sono stati aggiunti una prefazione, delle schede biografiche su Berlusconi, Dell'Utri e Mangano, un paio di capitoli conclusivi e un indice.
E' possibile scaricare il file pdf dal sito www.lulu.com cliccando qui (il costo e'di 2,50 €).
E' anche possibile, per chi volesse, ordinare il libro cartaceo con tanto di copertina (quella che vedete in figura).
Ci sono due possibilita.
Il libro formato-romanzo lo potete trovare su www.lulu.com cliccando qui.
Il libro formato-tascabile lo potete trovare su ilmiolibro.kataweb.it cliccando qui.
Il costo in entrambi i casi e' identico (10 €).

Grazie a tutti coloro che in questi mesi hanno avuto la pazienza di seguire passo passo la stesura di tutti i capitoli. Ora prometto che ritornero' a postare con piu' frequenza. Come una volta.

P.s. Sia chiaro che questa non e' una operazione commericiale. Il costo del libro e del download e' fissato dai relativi siti web e copre spese di stampa e tasse.

sabato 25 ottobre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 31)

Capitolo 31
La fine

Quando Silvio Berlusconi fa la sua comparsa al Palaterme di Montecatini l'11 Novembre del 2007, è un tripudio di bandiere, canti, cori, applausi. Sono tutti lì per lui al Convegno Nazionale dei Circoli del Buon Governo. Ci sono giovani vestiti eleganti, ci sono ragazze bellissime sparse un po' ovunque, ci sono signore di una certa età imbellettate e impellicciate per l'occasione, ci sono signorotti in doppiopetto. Ha appena terminato il proprio intervento Marcello Dell'Utri, fondatore e presidente dei Circoli. Sono trascorsi due anni e undici mesi esatti dalla data in cui il Tribunale di Palermo lo ha condannato in primo grado a nove anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Nessuno dei presenti sembra curarsene, anzi lo acclamano e lo osannano come un profeta.


Quando Berlusconi sale sul palco, cala il silenzio. Il braccio destro a stringere Dell'Utri in un abbraccio che non verrà meno per tutta la durata del discorso, l'allora capo dell'opposizione, carico più che mai, prende la parola, gli occhi fissi davanti a sé, il braccio sinistro puntato verso la platea. E racconta la sua verità sugli ultimi trent'anni di storia italiana.

Eccola:







Sette anni di udienze sgretolati in cinque minuti.

I giovani vestiti eleganti, le ragazze bellissime, le signore di una certa età imbellettate e impellicciate, i signorotti in doppiopetto applaudono in delirio. Tutti in piedi, per una grande, calorosa, fragorosa, sentita standing ovation finale.

venerdì 24 ottobre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 30)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 30

Le conclusioni del Tribunale

Dopo sette lunghi anni di indagini e udienze, in cui si sono susseguite le deposizioni di numerosi testimoni venuti in contatto con gli imputati Marcello Dell'Utri e Gaetano Cinà, di ufficiali giudiziari, di collaboratori di giustizia, dopo due consulenze finanziarie, redatte dal dott. Francesco Giuffrida e dal prof. Paolo Iovenitti, dopo vari sequestri di oggetti personali e documenti presso istituti di credito, dopo avere passato al setaccio un'enorme quantità di documenti “rappresentativi di fatti, persone, cose”, tra i quali fotografie e filmati televisivi, dopo aver vagliato innumerevoli intercettazioni telefoniche e ambientali nell'ambito di questo ed altri procedimenti penali, l'11 dicembre 2004, la II Sezione Penale del Tribunale di Palermo, composta dai giudici Leonardo Guarnotta (Presidente), Gabriella Di Marco e Giuseppe Sgadari (Giudici Estensori), formula le proprie considerazioni conclusive.

L’indagine dibattimentale ha avuto ad oggetto fatti, episodi ed avvenimenti dipanatisi nell’arco di quasi un trentennio e cioè dai primissimi anni ‘70 sino alla fine del 1998, quando il dibattimento era in corso da circa un anno, ed ha esplorato le condotte tenute dai due prevenuti in tale notevole lasso di tempo ed, in particolare, ha analizzato l’evolversi della carriera di Marcello Dell’Utri da giovane laureato in giurisprudenza a modesto ma ambizioso impiegato di un istituto di credito di un piccolo paese della provincia di Palermo, a collaboratore dell’amico Silvio Berlusconi (sirena al cui richiamo non aveva saputo resistere rinunciando ad un sicuro posto in banca ed allontanandosi definitivamente dalla natia Palermo), ad amministratore di una impresa in stato di decozione del gruppo facente capo a Filippo Alberto Rapisarda (con il quale ha intrattenuto, per sua stessa ammissione, un rapporto di amore-odio), a ideatore e creatore della fortunata concessionaria di pubblicità Publitalia, polmone finanziario della Fininvest, ad organizzatore del nascente movimento politico denominato Forza Italia, a deputato nazionale nel 1996, a parlamentare europeo nel 1999 ed, infine, a senatore della Repubblica nel 2001.

Ad avviso del Collegio, l’accurata e meticolosa indagine dibattimentale ha consentito di acquisire inoppugnabili elementi di riscontro alle condotte (anche se non a tutte, come già si è avuto modo di rilevare) contestate ai due imputati e dettagliatamente descritte nei capi di imputazione. In particolare, Tanino Cinà è stato rinviato a giudizio davanti questo Tribunale per rispondere dell’addebito di avere “fatto parte dell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra o per risultare, comunque, stabilmente inserito nella detta associazione”.

L’accusa ha trovato granitica conferma, come si è già avuto modo di evidenziare nelle parti della sentenza dedicate al vaglio delle condotte del Cinà, nelle inequivoche ed incontrovertibili risultanze dell’indagine dibattimentale dalle quali è emerso, attraverso l’acquisita prova delle sue condotte, che l’imputato, pur non risultando mai formalmente “iniziato”, è stato, di fatto, un membro della famiglia mafiosa di Malaspina, un gruppo di “uomini d’onore” avente “giurisdizione” sul territorio di quel quartiere palermitano, ed è stato, per lungo tempo, al servizio attivo di Cosa Nostra che lo ha “utilizzato” per il conseguimento dei suoi fini illeciti. Ed invero, sebbene la sua qualità di “uomo d’onore” posato (per asserite questioni familiari) non è rimasta provata anche alla luce delle attendibili dichiarazioni di Di Carlo Francesco e Galliano Antonino, l’imputato Cinà Gaetano ha intrattenuto stretti e continui rapporti con numerosi uomini di Cosa Nostra e non gli sono mai venute meno la fiducia e la grande considerazione di esponenti di spicco di quella associazione criminale, i quali erano ben consapevoli del suo antico rapporto di amicizia con Marcello Dell’Utri (sempre ammesso da entrambi gli imputati) che avrebbe loro consentito di “utilizzare” lo stesso Dell’Utri come indispensabile tramite per avvicinarsi ad un imprenditore milanese del calibro di Silvio Berlusconi.

E’ rimasta, dunque, inconfutabilmente raggiunta la prova non solo dell’inserimento di fatto del Cinà nella “famiglia” di Malaspina e, quindi, in Cosa Nostra, associazione per delinquere di tipo mafioso, ma anche la prova di condotte di partecipazione consistenti in importanti, continui e volontari apporti causali al mantenimento in vita di quel sodalizio, tra le quali basta ricordare la riscossione ed il versamento nelle casse di Cosa Nostra della somma di denaro erogata per diversi anni dalla Fininvest e l’iniziale partecipazione all’assunzione ad Arcore di Vittorio Mangano con l’avallo dei capimafia Bontate e Teresi.

A Marcello Dell’Utri è stato fatto carico del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, secondo la sostanziale differenza e distinzione sussistente, come si è evidenziata in altra parte della motivazione, tra la condotta del concorrente e quella del partecipe. Gli elementi probatori emersi dall’indagine dibattimentale espletata hanno consentito di fare luce: sulla posizione assunta da Marcello Dell’Utri nei confronti di esponenti di Cosa Nostra, sui contatti diretti e personali con alcuni di essi (Bontate, Teresi, oltre a Mangano e Cinà), sul ruolo ricoperto dallo stesso nell’attività di costante mediazione, con il coordinamento di Cinà Gaetano, tra quel sodalizio criminoso, il più pericoloso e sanguinario nel panorama delle organizzazioni criminali operanti al mondo, e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo Fininvest; sulla funzione di “garanzia” svolta nei confronti di Silvio Berlusconi, il quale temeva che i suoi familiari fossero oggetto di sequestri di persona, adoperandosi per l’assunzione di Vittorio Mangano presso la villa di Arcore dello stesso Berlusconi, quale “responsabile” (o “fattore” o “soprastante” che dir si voglia) e non come mero “stalliere”, pur conoscendo lo spessore delinquenziale dello stesso Mangano sin dai tempi di Palermo (ed, anzi, proprio per tale sua “qualità”), ottenendo l’avallo compiaciuto di Stefano Bontate e Teresi Girolamo, all’epoca due degli “uomini d’onore” più importanti di Cosa Nostra a Palermo; sugli ulteriori rapporti dell’imputato con Cosa Nostra, favoriti, in alcuni casi, dalla fattiva opera di intermediazione di Cinà Gaetano, protrattisi per circa un trentennio nel corso del quale Marcello Dell’Utri ha continuato l’amichevole relazione sia con il Cinà che con il Mangano, nel frattempo assurto alla guida dell’importante mandamento palermitano di Porta Nuova, palesando allo stesso una disponibilità non meramente fittizia, incontrandolo ripetutamente nel corso del tempo, consentendo, anche grazie a Cinà, che Cosa Nostra percepisse lauti guadagni a titolo estorsivo dall’azienda milanese facente capo a Silvio Berlusconi, intervenendo nei momenti di crisi tra l’organizzazione mafiosa ed il gruppo Fininvest (come nella vicenda relativa agli attentati ai magazzini della Standa di Catania e dintorni), chiedendo al Mangano ed ottenendo favori dallo stesso (come nella “vicenda Garraffa”) e promettendo appoggio in campo politico e giudiziario.

Queste condotte sono rimaste pienamente ed inconfutabilmente provate da fatti, episodi, testimonianze, intercettazioni telefoniche ed ambientali di conversazioni tra lo stesso Dell’Utri e Silvio Berlusconi, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà ed anche da dichiarazioni di collaboratori di giustizia; la pluralità dell’attività posta in essere, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa Nostra alla quale è stata, tra l’altro, offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Marcello Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che, lato sensu, politici.

Non c’è dubbio alcuno, alla luce delle considerazioni che precedono e di tutto quanto oggetto di analisi nei singoli capitoli ai quali si rinvia, che le condotte tenute dai prevenuti si sussumono nelle fattispecie previste e sanzionate dagli artt. 416 e 416 bis c.p. delle quali ricorrono tutti gli elementi costitutivi. Ma ricorrono, anche, le contestate aggravanti di cui ai commi 4° e 6° dell’art. 416 bis c.p. Ed invero, la sussistenza di tali aggravanti va ritenuta qualora il reato de quo sia contestato agli appartenenti ad una “famiglia” aderente a Cosa Nostra od al concorrente esterno, in quanto l’esperienza storica e giudiziaria consentono di ritenere il carattere armato di detta organizzazione criminale (Cass. 14.12.99, D’Ambrogio, CP 01,845) e la sua prerogativa di operare nel campo economico utilizzando ed investendo i profitti di delitti che tipicamente pone in essere in esecuzione del divisato programma criminoso (Cass. 28.1.00, Oliveti, CED 215908, CP 01, 844)”.


martedì 21 ottobre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 29)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 29
L'inquinamento delle prove (4)

Come abbiamo visto, il collaborante Antonio Cariolo aveva riferito che Chiofalo avrebbe utilizzato il permesso di uscita dal carcere in concomitanza con le vacanze natalizie del 1998 per incontrare un influente personaggio politico. Vengono allora immediatamente predisposte delle indagini che accertano che effettivamente il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha concesso a Chiofalo gli arresti domiciliari, per un periodo di dieci giorni, a partire dal 23 dicembre. Viene allora predisposto un servizio di osservazione e pedinamento per seguire Chiofalo durante i suoi spostamenti da Roma a Rimini dove abitava la sua famiglia. Viene anche messo sotto intercettazione il cellulare della convivente Pasqualina Fedele.

Il primo giorno di permesso premio, alle 23:40, Pino Chiofalo (C) compone il numero di un cellulare (335/214984) ed inizia a parlare con una persona (X) di cui non farà mai il nome, ma alla quale si rivolgerà sempre con il titolo di "dottore".

X: Pronto?
C: Buonasera, dottore carissimo ... dottore.
X: Pronto, chi parla ?
C: Sono Pino.

X: Ah, come sta?

C: Sì, sono arrivato in questo momento a casa.

X: Che bravo, finalmente, ben arrivato. Un abbraccio di accoglienza.

C: Grazie, grazie.
X: Ah, ah (risatina)

[...]
X: Adesso lei dove si trova ? Non è più in quel posto?
C: No, io sono in un posto più vicino a lei.

X: Più vicino. Ah, che bello!
C: Sì, e diciamo in Romagna?

X: Ah, sì, sì come no. E allora ci dobbiamo vedere, eh!
C: Sì, io a parte il piacere di vederla...io ho bisogno di vederla per altre ragioni.

X: Sì, sì.
C: Perchè purtroppo io ho preso parte a questa situazione...

X: Sì, sì e lo so...

C: E le voglio fare un discorso di una certa delicatezza che io ritengo...

X: ...che valga la pena, certo! Lei in questi giorni diciamo dal 28, 29, 30...c'è uno di questi giorni qui?

C: lei scelga un giorno che a lei gli sta bene, che a me mi sta bene qualsiasi giorno. Io ho bisogno che ci sia qualche intervento...

X: Certo
[...]
C: Sì , ma ritengo che ci sono cose molto positive comunque, sa?

X: Bene, bene.
C: Fra le cose negative ho trovato dei nuovi verbali molto...

X: ...interessanti

C: Ma più che interessanti, per esempio ... uno è assodato è fuori del contesto nostro diciamo...e poi c'è un avvocato che, un caro amico avvocato della zona di Napoli

[...]
C: Poi a quegli altri due gli ho fatto fare il telegramma, non so se lo ha ricevuto.
X: No, non me ne ha parlato.

C: Dottore, io ho bisogno di parlare con lei un attimino per un insieme di cose.
X: Benissimo

[...]
X: Lei ha sempre quel numero, no?
C: Sì, io ho sempre il 0368, no?

X: 0368, sì, sì . Perfetto.
[...]
X: Intanto le faccio un Buon Natale. Ma Buon Anno ce lo facciamo di persona.
C: Oh grazie. Senta, tanti omaggi e tanta affettuosità a lei e famiglia.
X: A tutti i suoi, grazie. Arrivederla.

C: Tante cose.


Solo più tardi si accerterà, con la nota n.700 della D.I.A., che il fantomatico mister X con cui Chiofalo sta parlando e con cui sta organizzando un incontro è Marcello Dell'Utri. Dalla conversazione si evince che i due si conoscono già da parecchio tempo e il loro rapporto è così consolidato che possono tranquillamente parlare in maniera criptica senza fare nomi e cognomi, ma intendendosi alla perfezione. Addirittura Dell'Utri era a conoscenza della vecchia località segreta in cui risiedeva la famiglia dell'ergastolano e, durante la telefonata, viene messo a conoscenza della nuova residenza. Dell'Utri è perfettamente al corrente della situazione, sa del telegramma che Chiofalo ha mandato ai fratelli Ratti e dimostra dunque di essere consapevole della strategia di inquinamento probatorio portata avanti.

Alle 9:30 del 30 dicembre 1998 Chiofalo telefona di nuovo a Dell'Utri. I due si accordano per trovarsi il giorno successivo, in mattinata. Dell'Utri partirà da Milano alle otto per arrivare a Rimini alle undici. Chiofalo gli spiega la strada: "Via Covegnana, sarebbe una zona è praticamente Rimini centro. C'è un semaforo e si scende per Rimini centro. Io sono cento metri sopra". Anzi no. Meglio optare per un centro commerciale, "un posto grossissimo tra Rimini e Cesena".

La mattina seguente, alle 9:38, Dell'Utri chiama Chiofalo. Non è ancora partito: ha avuto alcuni disguidi. Chiofalo lo rassicura, gli dice di prendersela con calma e lo invita anche a fermarsi a pranzare a casa sua. Dell'Utri accetta: "Ah sì, io sono a sua disposizione!". Alle 13:17 e alle 13:49 vengono intercettate altre due conversazioni con le quali Chiofalo e Dell’Utri prendono gli ultimi accordi in previsione dell’ormai imminente arrivo a Rimini.

L'opera di pedinamento predisposta dalla D.I.A. permette di seguire in tempo reale l'incontro. "Alle ore 13,55 l’autovettura Lancia K, guidata dall’autista Piccolo Gianfranco e con a bordo Marcello Dell’Utri, si fermava dietro un’altra Lancia K dal cui posto di guida scendeva il Chiofalo, il quale si avvicinava all’altro automezzo e salutava il Piccolo, nel frattempo anche egli sceso dalla sua autovettura. Quindi, i due automezzi si mettevano in marcia per raggiungere l’abitazione del Chiofalo, luogo riservato e protetto in cui Marcello Dell’Utri, fra l’altro, si sarebbe fermato a pranzare avendo accettato l’invito rivoltogli dal padrone di casa".

Cinque minuti dopo, alle ore 14:00, la svolta. Dell'Utri (D) chiama Chiofalo (C), che sta viaggiando sull'altra autovettura. Il tono della telefonata è concitato. Dell'Utri si è accorto di essere pedinato.

D: Ecco, non so se ha visto che siamo seguiti da una Rover che ci ha fatto delle foto, a me non me ne frega niente adesso stanno passando avanti in questo momento, sono quelli la!
C: Hanno fatto una foto insieme?
D: Sì, sì , quei due là. A lei le interessa?
C: No, adesso scompariamo comunque.
[...]
C: Io guardai, però non penso che era a fare delle foto però.
D: Sì, sì facevano delle foto. Hanno fatto delle foto dalla macchina alla mia macchina.
C: Ma il momento in cui ci siamo salutati?
D: Sì, no, no nel momento l'hanno fatta quando eravamo già in macchina, mentre io la seguivo, diciamo.
C: Questo non vuol dire niente.
D: Sì, sì , sì comunque poi adesso le spiego io...(risatina)
C: Sì, sì, sì anch'io, venga, venga dietro.

I due dunque non demordono e anche sapendo di essere pedinati decidono di arrivare alla dimora di Chiofalo. Scendono dalle auto e si appartano per una decina di minuti nel box dell'abitazione, mentre Piccolo, l'autista di Dell'Utri, rimane ad attenderli sul piazzale. Dopo poco Piccolo scende dalla macchina ed estrae dal portabagagli un cesto di frutta che consegna a Chiofalo. Poi prende in mano due sacchetti e si avvia con Chiofalo verso l'entrata della sua abitazione dove Dell'Utri li sta aspettando. Dopo essersi intrattenuto per pochi minuti ,Dell'Utri, intorno alle 15:00, torna di nuovo in auto e se ne va. Non passano nemmeno dieci minuti e Chiofalo chiama Dell'Utri sul cellulare. La linea cade poi riprende. Ecco la conversazione.

D: Pronto?
C: Senta dottore Dell'Utri?
D: Pino, mi dica?
C: Sì, io penso che secondo me abbiamo fatto un errore oggi.
D: Sì.
[...]
C: Sì, sarebbe il caso che lei farebbe chiedere dal suo avvocato l'autorizzazione al servizio centrale di protezione...secondo me, sa perchè dico, perchè lei lì oggi il suo avvocato non è venuto no?
D: Esatto.
C: Eh va beh però io insomma sta cosa in confidenza...se lei mi permette, io sa ho una posizione un poco...un attimino...quindi ho bisogno di trasparenza...
D: Certo, ha ragione.
C: Quindi lei sia gentile, la prossima volta che viene, se pensa di venire, informi anche il servizio perchè io queste cose non so se posso farle o meno.
D: Certo ha ragione, ha ragione.
C: Anche perchè io sono disponibilissimo a dire la verità, l'ho detta anche a qualche altro magistrato, per carità...capisco che lei ha bisogno di difendersi però sa io ho bisogno pure di rispettare le regole.
D: Infatti, mi dispiace se ho creato qualche problema.
P: No, no io penso di no, per carità, lei con me non ha neanche parlato però voglio dire, siccome lei è venuto, c'era l'avvocato, l'avvocato poi non è venuto insomma mi è sembrata una cosa poco poco simpatica in verità.
D: Sì, sì è vero.
[...]
C: Io sono disponibilissimo, già mi sono detto disponibile a Prato, parlai con i magistrati dicendo che avevo ascoltato alcuni discorsi fra certi collaboratori , io ho espresso la verità, però sono in una posizione in cui ho bisogno di trasparenza...
D: Sì, sì no io lo capisco benissimo.
[...]
C: La verità l'ho già detta e la dirò sempre, non rischio...però io devo essere messo in regola, ha capito lei? Lei comprende?
D: Sì, no, io le chiedo scusa ma mi spiace sto disguido non ... non lo potevo prevedere...
C: Io personalmente sono testimone di cose, però purtroppo lei deve comprendere che io ho una posizione che non posso non essere trasparente agli occhi di chi mi osserva.
D: Certo, certo, lo capisco benissimo.
C: Tante cose. Stia bene.
D: Grazie mille, a presto, arrivederci, grazie.

In realtà questa telefonata è tutta un'architettura montata ad arte da Dell'Utri, che ha compreso di avere il telefono sotto controllo. Lo si evince da un cambio radicale del modo di conversare dei due. Non più riferimenti criptici, ma nomi e cognomi pronunciati chiaramente. Chiofalo si dice disponibile a dire la verità, afferma di avere bisogno di trasparenza, quando invece solo poche ore prima parlava in codice. L'espediente del finto rimprovero dovuto alla mancanza dell'avvocato non sta in piedi. Dell'Utri adduce una scusa inverosimile, dice che c'è stato un disguido, che non è riuscito a rintracciarlo. In realtà Dell'Utri non aveva mai avuto intenzione di portare con l'avvocato: l'incontro doveva essere segreto. La montatura del caso è avvenuta verosimilmente in quei minuti passati all'interno del box.

Ma cosa dice Chiofalo sulla vicenda? Ascoltato nelle udienze del maggio del 2000, afferma di non aver mai conosciuto i pentiti Di Carlo, Onorato e Guglielmini, dice di essersi accorto della falsità di Cirfeta già da tempo e conferma di essersi incontrato con Dell'Utri in ben quattro occasioni (febbraio, giugno, agosto, dicembre '98). Chiofalo confessa che in quest'ultimo incontro, all'interno del box, "Dell’Utri, visibilmente turbato e preoccupato per quanto accaduto in precedenza, lo aveva invitato a confermare le dichiarazioni del Cirfeta promettendogli che l'avrebbe fatto ricco e assicurandolo dell’eterna riconoscenza sua e dei suoi amici". Dichiara anche di essersi sempre rifiutato di confermare le dichiarazioni di Cirfeta, poichè non conosceva i pentiti incriminati e non aveva mai partecipato a questi fantomatici incontri per diffamare Dell'Utri e Berlusconi.

E cosa racconta invece Dell'Utri? Menzogne su menzogne. Osserva il Tribunale: "La versione dell’incontro con Chiofalo fornita dall’imputato non merita alcun commento perché palesemente mendace anche in relazione al giorno dell’incontro, avvenuto alla vigilia di Capodanno e non del giorno di Natale 1998". La conclusione del Tribunale è drastica: " Emerge la illecita condotta posta in essere da Marcello Dell’Utri, il quale, nonostante fosse in corso da alcuni mesi l’indagine dibattimentale del presente procedimento penale a suo carico in ordine a gravissimi reati, ha deciso di condurre in prima persona una non consentita personale “attività difensiva”...che è consistita, non nella ricerca di obiettivi e riscontrabili elementi di prova della sua estraneità ai gravissimi addebiti mossigli, ma bensì nell’artificiosa preordinazione di false accuse ad alcuni suoi attendibili e riscontrati accusatori mediante l’offerta di somme di denaro al collaborante ergastolano Pino Chiofalo al duplice fine di costruire falsi elementi probatori a suo favore e di delegittimare quegli stessi importanti ed affidabili collaboratori di giustizia con l’aiuto di Cirfeta Cosimo, autore materiale, in combutta con il Chiofalo, delle false accuse ai danni di Onorato Francesco, Di Carlo Francesco e Guglielmini Giuseppe".

lunedì 20 ottobre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 28)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 28
L'inquinamento delle prove (3)

Nel corso dell’indagine dibattimentale sono stati sentiti, in ordine cronologico, Angelo Izzo, Giuseppe Pagano, Rade Cukic, i fratelli Sparta Leonardi (Francesco e Cosimo) e Antonio Cariolo.

Il primo, Angelo Izzo, chiede di essere ascoltato il 10 dicembre 1999 e conferma il fatto che il collaborante Di Carlo, durante il suo periodo di detenzione, "era sottoposto a misure eccezionali di sicurezza con un agente praticamente fisso che lo seguiva continuamente". Quindi non avrebbe in alcun modo potuto organizzare un complotto ai danni di Dell'Utri e Berlusconi e, tanto meno, avrebbe potuto eventualmente parlarne ad un personaggio come Cirfeta, ritenuto dalla stesse guardie carcerarie "un tipo pericoloso". Izzo lo sa bene, perchè è uno dei pochi detenuti ad essere entrato in rapporto con Di Carlo: "Ero uno dei pochissimi che poteva entrare nella sua cella, mangiavo con lui...lui quasi non salutava nessuno". Di Carlo, poi, a detta di Izzo, "era riservatissimo" e non avrebbe sicuramente mai parlato a nessuno di questioni giudiziarie. Sul personaggio di Cirfeta, Izzo conferma la versione degli altri collaboratori. "Aveva una serie di atteggiamenti di bassa lega...era tossicodipendente...girava a piedi nudi...mischiava vino e pastiglie...era una persona poco affidabile".

Un anno dopo un altro teste, Giuseppe Pagano, fa pervenire alla D.D.A. di Napoli una missiva, in cui chiede di poter essere ascoltato. Il 18 settembre del 2000 rilascia le proprie dichiarazioni. Le rivelazioni sono bollenti. "Chiamammo il Cirfeta nella stanza, gli offrimmo un caffè e Angelo Izzo gli fece capire, insomma gli disse, io c’ero pure io, che non era una cosa fatta bene e ad un certo punto il Cirfeta disse: - Sì lo so, ho sbagliato - andò un attimino in incandescenza e recriminava il fatto che gli avevano promesso che espatriava, che gli dovevano dare dei soldi". Dunque, sembra che Cirfeta, messo alle strette dagli stessi Izzo e Pagano, confessi il proprio errore, dovuto ad una promessa di futuri favori.

Il 24 settembre del 2001 viene ascoltato il terzo teste, Antonio Cariolo, il quale aggiunge una tessera al mosaico: Giuseppe Chiofalo. "Chiofalo successivamente esprimeva il suo pensiero, praticamente il pensiero era che avremmo avuto dei vantaggi a dichiarare questa situazione che avveniva all’interno delle sezioni dei collaboratori di giustizia quindi sarebbe stato utile per quanto concerne i collaboratori che avrebbero smentito le affermazioni di altri collaboratori, sarebbe stato utile per quanto concerne la remissione in libertà e anche per averne dei vantaggi economici". Quindi non solo Cirfeta, ma anche Chiofalo risulta autore di indebite pressioni sui vari collaboratori di giustizia rinchiusi a Rebibbia: "Questo mi fu proposto da parte sia del Cirfeta che del Chiofalo, come mi fu proposto a me anche ad altri collaboratori. Dicevano che avremmo avuto dei vantaggi per quanto riguarda i benefici penitenziari e quindi saremmo stati posti in libertà e anche per quanto riguarda in termini economici, quindi questo era quello che almeno propagavano".

Non solo. Antonio Cariolo ha riferito di aver appreso dallo stesso Chiofalo di un misterioso incontro in occasione delle festività natalizie del 1998 tra lo stesso Chiofalo (in permesso) e un influente personaggio politico, che "doveva praticamente diramare un po' tutta la situazione, nel senso che doveva sistemare anche la situazione di Cirfeta all’interno". Di chi si tratta? Ovviamente, di Marcello Dell'Utri.

Il 21 maggio 2001 vengono ascoltati anche i fratelli Sparta, citati da Cariolo come alcuni dei pentiti che erano stati avvicinati dal duo Cirfeta-Chiofalo per convincerli a testimoniare il falso. Carmelo Sparta dichiara di aver ricevuto pressioni da Cirfeta: avrebbe dovuto affermare che c'era un complotto tra i vari pentiti per accusare il dott. Marcello Dell'Utri. "Il 3 ottobre è successo che è venuto in cella e dice: - Lo dovete fare per forza, ormai non potete più tirarvi indietro - allora l'abbiamo scritto fuori dalla cella e siamo andati giù dall'Ispettore a dire quello che stava succedendo. Lo hanno isolato perchè tante altre persone non ne potevano più perchè Cirfeta è un tipo violento".

Nel frattempo Cirfeta era passato anche alle minacce: "Diceva che ci ammazzava i figli a colpi di mitra, ci ammazzava le nostre donne, intervengono i miei amici importanti, onorevoli e Senatori". Pochi giorni dopo, interviene pure Chiofalo: "Chiofalo mi ha detto che bisognava fare questa cosa perchè ce ne veniva assistenza legale e un interessamento di amici suoi per una scarcerazione prossima e un piccolo aiuto economico per iniziare un'attività". Ma fare cosa? "Screditare più pentiti possibili della Procura di Palermo così si indebolisce un po' la Procura e poi intervengono i miei amici e ci tolgono 'sto strapotere che ha la Procura di Palermo".

Il piano sembra dunque assumere dimensioni più ampie. Non solo destituire di credibilità alcuni pentiti, ma indebolire addirittura un'intera procura che, a detta di Cirfeta, avrebbe troppo potere. Un discorso sottile e articolato, che va al di là della semplice logica di una falsa testimonianza resa in cambio di favori. Non certo un ragionamento che ti aspetteresti da un tossicomane sporco e trasandato, curato a vista all'interno del carcere. Chi ha infarcito la testa di Cirfeta con queste idee? Chi lo controlla?

Il fratello di Carmelo, Francesco Sparta, nel corso della stessa udienza spiega: "Cirfeta era quello più azzardoso, più attaccante, il Chiofalo era più sottile. Ci fecero questa proposta di accusare Di Carlo, Onorato e Franceschini. E in cambio si parlava di parecchi soldi, mezzo miliardo, 300 milioni".

Il 9 ottobre del 2000 è la volta del teste Rade Cukic, che, nel carcere di Palliano, ha avuto modo di incontrare più o meno tutti i protagonisti di questa vicenda. Dichiara che Chiofalo e Cirfeta avevano "creato una certa confusione, problemi dentro il carcere tra di noi detenuti...si erano messi d'accordo per un processo...si tratta dell'onorevole Dell'Utri o qualche altro personaggio importante". Cukic dice di essere stato presente nel momento dell'accordo: "Francesco Sparta doveva accusare due collaboratori, Onorato e un altro, non mi ricordo il nome in questo momento perché erano, erano insieme al carcere, carcere di Rebibbia". Dalle parole di Cukic si apprende inoltre che Chiofalo aveva pure architettato un piano per far pervenire ai fratelli Sparta un telegramma in cui comparisse anche la firma dello stesso Cukic.

Osserva il tribunale: " Chiofalo non ha agito da solo per obbedire ad un sublime afflato e ad un irresistibile e cogente bisogno di giustizia che lo spingevano a denunciare l’infame complotto ordito ai danni dell’onorevole Marcello Dell’Utri da fedifraghi collaboratori di giustizia ma bensì per realizzare, insieme all’ineffabile Cosimo Cirfeta, un ben preordinato disegno, quello di delegittimare i collaboratori dai quali l’imputato era stato pesantemente accusato, il cui ispiratore non poteva non essere che lo stesso Marcello Dell’Utri".

venerdì 17 ottobre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 27)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 27
L'inquinamento delle prove (2)

Cosa racconta Cirfeta al dott. Michele Emiliano? Questa la sua versione.

"Nel mese di giugno c.a. sono stato tratto in arresto e condotto nella Casa Reclusione di Rebibbia sezione collaboratori, ove erano fra gli altri ristretti tale Di Carlo Francesco, Onorato Francesco, e Guglielmini Giuseppe con i quali instauravo, soprattutto con gli ultimi due immediatamente degli ottimi rapporti, tali da indurre il sottoscritto a fare socialità con gli stessi. Dopo pochi giorni il Guglielmini Giuseppe mi riferì che Onorato Francesco stava parlando con Di Carlo Francesco in quanto doveva essere quella mattina interrogato dai Giudici che gli avevano chiesto precedentemente se fosse a conoscenza di collusione con la mafia da parte del dr. on. Berlusconi e dr. Marcello Dell'Utri, in considerazione del fatto che il Di Carlo doveva essere sentito anche lui dai magistrati il Guglielmini mi riferì che si stavano mettendo d’accordo. Io feci finta di niente per non dare nell’occhio ma ovviamente mi meravigliò il fatto che queste persone complottassero per accreditare ancor di più la loro posizione di collaboratori di giustizia false accuse contro i summenzionati personaggi politici. Dopo pochi giorni, sempre parlando con Guglielmini io disinteressatamente feci cadere il ragionamento su quanto era accaduto il giorno prima, lo stesso mi riferì che gli accordi presi con Di Carlo Francesco erano i seguenti.

Il Di Carlo avrebbe accusato il dr. Berlusconi di essere stato in contatto con lo stesso e Stefano Bontate e di essersi incontrato con l’on. Berlusconi a Milano, Onorato Francesco il giorno stesso in cui furono presi gli accordi come ho già detto fu sentito dai Magistrati e avrebbe dichiarato di avere avuto contatti con il dr. Dell'Utri e dal quale lo stesso, o il suo gruppo avrebbero riscosso percentuali inerenti l’installazione dei ripetitori televisivi a Palermo e Sicilia. Guglielmini dal canto suo avrebbe atteso che il Magistrato lo sentisse e lo stesso avrebbe confermato le tesi del Di Carlo e Onorato, questo in virtù del fatto che il Guglielmini era stato molto vicino a Inzerillo che a sua volta era alleato di Bontate quindi poteva avvalorare ancora di più quanto asserito dai primi due essendo stato lo stesso l’alter ego a suo dire di Inzerillo.

In quella circostanza il Guglielmini mi propose se ero disposto anche io a costruire una valida accusa nei confronti non di Silvio Berlusconi e Dell'Utri in quanto a quello ci avrebbero pensato loro, ma in considerazione del fatto che si era parlato di alcuni appoggi politici che il Gruppo facente capo a me, De Tommasi Giovanni, Rogoli Giuseppe avevano prima della mia collaborazione lo stesso mi chiese se ero in grado di costruire un’accusa contro il partito di Forza Italia del quale l’on. Berlusconi è presidente, mi chiedeva questo in virtù del fatto che aveva sentito parlare di me in riferimento allo spessore della collaborazione data, a suo dire mi riteneva all’altezza nel portare avanti un’accusa falsa contro le suddette persone e nei termini su specificati, questo in virtù del fatto che il Guglielmini sapeva che ero considerato e sono uno dei collaboratori più grossi della Puglia, io gli risposi che la cosa non mi interessava perché dovevo uscire di lì a pochi giorni
".

Peccato che, nei mesi di giugno-luglio del 1997, Onorato non abbia mai deposto sul conto di Dell'Utri di Berlusconi. Solo qualche mese prima, in febbraio, Onorato aveva parlato di un episodio, per altro marginale, in cui Dell'Utri avrebbe incontrato Cinà in un bar. Tutto tranne che dichiarazioni "particolarmente indizianti". Di Carlo, invece, aveva parlato dei suoi incontri con Dell'Utri addirittura un anno prima rispetto alle "fantomatiche dichiarazioni del Cirfeta", secondo cui ci sarebbe stato in ballo un complotto contro il duo Berlusconi-Dell'Utri. Precisamente nell'interrogatorio del 30 luglio 1996.

All'udienza del 16 febbraio 1998, Di Carlo ha modo di spiegare i propri rapporti con Cirfeta. "Io ho conosciuto questo Cirfeta...una persona particolare...era tutto tatuato dal collo sotto il mento fino proprio nel piede pieno di tatuaggi, tutto tatuaggi, sembrava un arlecchino, proprio una cosa impressionante...Questa è la mia conoscenza".

Alla successiva udienza del 7 aprile Onorato parla delle accuse mossegli da Cirfeta. Dice di aver pranzato con lui in un'unica occasione e di aver parlato di cibo e di calcio. E di faccende giudiziarie? "No, completamente. Non esiste. Lui si lamentava abbastanza perché l'avevano arrestato di nuovo. Anzi mi diceva certe volte: - Ma che collaborate a fare? Vi prendono in giro - Istigava a non collaborare. E io ci faccio a Guglielmini: - Questo istiga a noi a non collaborare, non gli dare ascolto perché questo è pericoloso - E basta, e non è successo più niente". Ma tra di loro c'era confidenza? " No, completamente. Di Carlo neanche mi dava confidenza a me, si figuri se gli dava confidenza a quello… a quel drogato, tutto sporco. Faceva entrare sostanze stupefacenti attraverso la sorella, la madre, la moglie. Questo camminava pure a piedi scalzi nel cemento, in mezzo alla sporcizia. Stiamo parlando di una persona molto schifosa. E poi Di Carlo era sempre sorvegliato da una guardia 24 ore su 24. Sempre, sempre accanto".

Il 10 giugno 2002 tocca a Guglielmini parlare di Cirfeta. "L'ho conosciuto che era insieme, diciamo, in quel padiglione dove ero io e giocavamo a pallone e cose, poi siccome era un soggetto che ci siamo accorti che era... lo abbiamo allontanato perché si diceva in giro che la “famiglia” c’entrava con la droga, controllavano sempre a tutta la “famiglia” e perciò lo abbiamo allontanato, così l’ho conosciuto".

Osserva il Tribunale: "Dalle concordi dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia, pesantemente chiamati in causa dal Cirfeta con l’accusa di avere ordito un complotto ai danni degli onorevoli Berlusconi e Dell’Utri, emergono non solo elementi di smentita, netta e recisa, alle accuse loro mosse ma si delinea la personalità del Cirfeta, soggetto tossicodipendente (al punto di attaccarsi al tubo del gas per drogarsi), malvisto dagli altri collaboranti, malandato nella persona e, forse, anche deluso e frustrato dalla sua esperienza di collaboratore di giustizia e, comunque, preoccupato per alcune situazioni concernenti la sua famiglia. Né va dimenticato che un dato temporale inoppugnabile smentisce la versione dei fatti che il Cirfeta ha tentato di ammannire".

Non solo. Esistono ben altri sei testimoni oculari, detenuti estranei alla vicenda, che hanno confermato la tesi dei tre collaboratori di giustizia. Tratteremo di loro nel prossimo capitolo.

giovedì 16 ottobre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 26)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 26
L'inquinamento delle prove (1)

Un'accusa specifica mossa dal PM nel corso delle udienze riguarda la condotta dell'imputato Marcello Dell'Utri, il quale si sarebbe reso protagonista di un'attività volta all'inquinamento delle prove a suo carico. Il periodo a cui si fa riferimento è il 1998, ovvero l'anno successivo all'inizio del dibattimento. Innanzitutto, a Dell'Utri viene contestato il fatto di essersi incontrato con alcuni soggetti come Giorgio Bressani, Yvette Grut e Giovanni Cangemi, collegati, per ragioni lavorative e societarie, a Filippo Alberto Rapisarda, "il pittoresco finanziere siciliano" presso cui aveva lavorato alla fine degli anni '70 lo stesso Dell'Utri.

"L’assunto accusatorio è quello che l’imputato avrebbe ripreso i suoi contatti con detti soggetti, tra il 1997 ed il 1998 e nonostante i rapporti si fossero interrotti molti anni prima, al solo fine di indurli, attraverso promesse di denaro, di immobili e di altri vantaggi economici, a rendere false dichiarazioni al dibattimento, favorevoli alla sua posizione processuale, in relazione ed a confutazione di argomenti emergenti dall’esame del Rapisarda".

Riguardo a questa prima accusa, il Tribunale riterrà di non rilevare "una particolare valenza dimostrativa ai danni dell'imputato". Se da una parte risultano provati i rapporti extra processuali tra Dell'Utri e gli altri tre, dall'altra non è stato possibile recuperare prove sufficienti del fatto che tali rapporti fossero stati strumentalizzati allo scopo di inquinare le prove.

Ben differente, a livello di materiale probatorio, è la seconda accusa mossa a Dell'Utri riguardante i suoi contati con Cosimo Cirfeta e Giuseppe Chiofalo.

Dalle indagini svolte risulta che "la mattina del 31 dicembre 1998, Marcello Dell’Utri, a bordo di una autovettura guidata dall’autista Gianfranco Piccolo, lasciava Milano per raggiungere la zona di Rimini dove era atteso da Giuseppe Chiofalo, detto Pino, collaboratore di giustizia messinese detenuto a Paliano, al quale era stato concesso un permesso di alcuni giorni per trascorrere a casa le festività di fine d’anno. Nel portabagagli del veicolo l’autista aveva riposto due sacchetti, contenenti giocattoli ed indumenti per bambini ed una cesta piena di frutta esotica, il tutto acquistato, quella stessa mattina, dalla signora Miranda Ratti, moglie di Marcello Dell’Utri".

Ma perchè Marcello Dell'Utri, alla vigilia di capodanno, decide di compiere un viaggio di quattro-cinque ore per raggiungere l'abitazione di un noto mafioso, esponente di spicco della Sacra Corona Unita, già condannato all'ergastolo per gravi fatti di sangue commessi nel messinese?

Per capirlo bisogna fare un passo indietro, fino all'entrata in scena di Cosimo Cirfeta, collaboratore di giustizia atipico, molto irrequieto, in pessimi rapporti con gli altri pentiti detenuti, con gravi problemi famigliari e sentimentali. Il 24 agosto 1997, con una lettera post-datata, Cirfeta comunicava ai sostituti procuratori in servizio presso la DDA di Lecce, Cataldo Motta e Giuseppe Capoccia, di aver appreso da tale Giuseppe Guglielmini che costui si era messo d'accordo con altri due pentiti per lanciare false accuse nei confronti di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Il 26 settembre scriveva al sostituto procuratore Michele Emiliano presso la DDA di Bari un'altra missiva in cui si ribadivano le accuse a Guglielmini e si chiedeva un colloquio con il magistrato, visto che la precedente richiesta era caduta nel vuoto. Il 10 ottobre scriveva ad entrambe le DDA di Lecce e Bari denunciando la scomparsa di due block notes in cui avrebbe annotato appunti relativi ad un processo in cui avrebbe dovuto deporre a favore di Berlusconi e Dell'Utri.

Non contento, lo stesso giorno, indirizzava alla Procura Nazionale Antimafia, alle DDA di Bari e di Roma, al colonnello Alberto Cannone e al maggiore Criscuolo una lunga missiva. Eccola.

"Eccellentissimi signori appena hanno saputo in questo carcere che io avrei deposto in favore dell’onorevole Berlusconi e del dr. Dell'Utri (non so poi come sia potuto accadere visto che io quelle dichiarazioni le ho rilasciate ad un maresciallo del carcere il sig. Mursilli, dato che ne avevo chiesto una copia che mi ha consegnato personalmente. La copia della lettera me l’ha consegnata di persona a Piazza d’Armi, dopo, o meglio il giorno dopo faccio colloquio, termino il colloquio e tornando alla sezione il M.llo Vincenzo Verani mi dice che devo essere isolato, però senza che mi venga contestato nulla.
Tramite radio carcere sono riuscito a sapere che avevo fatto. Ma la maggior parte delle persone della sezione dove io ero avevano fatto una lettera sottoscrivendola. Perché io mi taglio sul serio che ho tentato tre volte di uccidermi tagliandomi le vene.
Bene appena finito il colloquio con la mia famiglia, sono stato portato in isolamento senza che nessuno abbia (come prescrive l’ordinamento penitenziario) detto o dato una spiegazione, visto che per portarmi alla Seconda dove io avevo chiesto di andare con tutte le firme dei detenuti che occupavano quella sezione comunque mi si è andato così tutto il giorno i due marescialli che dovevano decidere non c’erano o se c’erano avevano da fare che poi mi avrebbero chiamato, premetto prima che io andavo al colloquio dal Maresciallo Mursilli davanti al maresciallo Lolli mi ha detto (quando torno (parola incomprensibile) dice che non vai a II° sezione io ero contento ma ignaro del fatto che poi mi sono trovato isolato da due giorni, io ho dei dubbi che questo comportamento siano dovuti alle dichiarazioni che io ho lasciato in sede da un maresciallo che mi prende a verbale (Mursilli) e l’altro Comandante Capo me ne consegna una copia come già detto. Comunque io non ho commesso nulla ma so che mi trovo con oggi da tre giorni in cella di isolamento, senza che nessuno sappia darmi una spiegazione e mentre prima ogni qual volta chiedevo di conferire con il maresciallo mi sentivano ora con banali scuse dette dei volti ... (parola
incomprensibile n.d.r.) lì siamo, o te lo chiamiamo fra un po' quindi visto che io non ho commesso nessuna infrazione denuncio per abuso di potere il maresciallo Lolli Fausto e Mursilli. Informo che sono stato anche minacciato di non dire niente più su quello che so in merito al patto scellerato di certi tipi di collaboratori (quindi la mia vita è in pericolo) che si sono messi d’accordo per accusare l’on. Silvio Berlusconi e il dr. Marcello Dell'Utri. Ora io isolato non riesco a starci, soprattutto quando non ho fatto niente, è un abuso vero e proprio, sono tre giorni che sono isolato senza che nessuno mi abbia potuto contestare infrazione alcuna, perché non ne ho fatta. Ora chiedo un vostro intervento io ho già tentato di togliermi la vita, ad un braccio 10 punti, all’altro 11 quindi fiducioso in un vostro interessamento porgo cordiali e distinti ossequi.
In Fede
Cosimo Cirfeta
Lì, 11/10/97
N.B.: Tutto ciò che da questo momento sono le 23.00 del 10/10/97 non è dovuto alla mia volontà devo pur difendermi e salvare la vita. Ora mi riservo di raccontare altro, ma di farlo nella sede opportuna.
Cosimo CIRFETA"

Il 19 maggio 1998 Cirfeta ottiene di parlare al telefono con il dott. Michele Emiliano. Ribadisce le accuse a Guglielmini, Onorato e Di Carlo, che l'avrebbero indotto a muovere false accuse nei confronti di Berlusconi e Dell'Utri, ma anche di D'Alema e del Capitano dei Carabinieri Giuseppe De Donno. Afferma di essere stato pesantemente minacciato da tre uomini con il passamontagna che gli avrebbe puntato in bocca una pistola per convincerlo a non parlare.

Peccato che il tribunale sia certo del fatto che "le dichiarazioni del Cirfeta siano clamorosamente smentite dalla cronologia dei fatti realmente accaduti e dalle acquisizioni testimoniali e documentali e, pertanto, siano da ritenersi sicuramente false e calunniose".

domenica 12 ottobre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 25)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 25
Le relazioni pericolose di Dell'Utri

Il pentito Vincenzo La Piana è il nipote del celebre capomafia Alberto Gerlando. Senza essere mai stato ufficialmente inserito in Cosa Nostra, La Piana aveva comunque preso parte a reati di natura associativa ed era stato implicato in questioni di traffico di droga venendo in contato anche con gli ambienti mafiosi milanesi. Le dichiarazioni di La Piana non possono essere valorizzate come ulteriori prove a carico di Marcello Dell'Utri poichè i temi che trattano sono stati oggetto di altre due indagini ai danni dell'imputato, che hanno però portato all'archiviazione, in entrambi i casi per insufficienza di prove. Non per questo il Tribunale ritiene che tali affermazioni siano da rigettare come false o corrotte. Anzi, data l'attendibilità e la precisione del collaborante nel raccontare i fatti, esse costituiscono un ulteriore spunto di riflessione per delineare i rapporti intercorsi tra Marcello Dell'Utri ed esponenti della criminalità organizzata.

Le rivelazioni di La Piana si riferiscono innanzitutto ad una presunta partecipazione di Dell'Utri, a partire dal 1994, in qualità di finanziatore, ad un traffico internazionale di sostanze stupefacenti ad alto livello, in cui sarebbero stati implicati grossi esponenti di Cosa Nostra, tra i quali Giovanni Brusca, Salvatore Cucuzza e il sempre presente Vittorio Mangano. In secondo luogo, La Piana parla anche del presunto interessamento di Dell'Utri nei confronti di Vittorio Mangano al fine di ottenere un miglioramento delle sue condizioni carcerarie. E' bene ribadire che, in entrambi i casi, l'eventuale intervento di Dell'Utri non si è mai concretizzato: il traffico di droga in questione non è andato a buon fine; Mangano non ottenne mai il trasferimento.

Anche se tali comportamenti non costituiscono reato, secondo il Tribunale, essi comunque "mettono in luce gli inquietanti contatti di Marcello Dell’Utri con soggetti legati a Vittorio Mangano, relativi, in particolar modo, ad un periodo successivo all’ultima carcerazione del mafioso, decorrente dall’aprile del 1995". E' una conferma del fatto che, ancora nel 1998, anche con il processo a suo carico già avviato, "l’imputato non aveva interrotto le sue “relazioni pericolose”, specie quelle che potessero essere riconducibili, indirettamente, alla persona di Mangano Vittorio, durante la detenzione di questi".

Entrando nello specifico, La Piana ha fatto riferimento a dei viaggi a Milano in compagnia di un certo Enrico Di Grusa, genero di Vittorio Mangano, poi arrestato e accusato di associazione mafiosa proprio grazie alle dichiarazioni di La Piana. La Piana racconta che, ben in due occasioni, Dell'Utri si sarebbe incontrato con due soggetti, chiamati Natale e Nino, interessati al traffico di droga e alla scarcerazione di Mangano: la prima volta in un bar di piazzale Corvetto, la seconda nel ristorante "La risacca". I due saranno riconosciuti nelle persone di Natale Sartori e Salvatore Antonino Currò, due imprenditori nel settore dei lavori di pulizia e facchinaggio, occultamente legati ad ambienti mafiosi e in stretti rapporti con Vittorio Mangano.

Al di là della vicenda del traffico di droga, è inequivocabilmente provato che tra Natale Sartori e Marcello Dell'Utri ci fossero stati rapporti personali. In primo luogo, in seguito ad una perquisizione della Guardia di Finanza nel 1998 presso gli uffici di Dell'Utri nei locali di Publitalia, era stato trovato un foglio in cui comparivano degli indirizzi e dei numeri telefonici riconducibili a società gestite da Sartori. In secondo luogo, il consulente del P.M. Gioacchino Genchi ha rivelato che dai tabulati telefonici era emerso che nel 1994 e nel 1996 vi erano stati diversi contatti tra cellulari riconducibili a Sartori e Dell'Utri. Infine, una specifica attività investigativa incrociata aveva permesso di accertare, grazie a pedinamenti e intercettazioni, che il 12 ottobre del 1998 i due si erano incontrati nella residenza di Dell'Utri in via Senato 14 a Milano.

Motivo dell'incontro? Qualche giorno prima, in seguito a una fuga di notizie, era stata battuta un'Ansa in cui si rivelava che il pentito La Piana avrebbe formulato nuove accuse nei confronti di Dell'Utri. Incredibilmente, è lo stesso Dell'Utri a confermare l'incontro rilasciando un'improvvida dichiarazione ad un giornalista dell'Ansa, Giuseppe Guastalla, il 18 aprile del 1999. Osserva il Tribunale: "La spontanea esternazione dell’imputato al giornalista dell’Ansa, al pari di altre sue dichiarazioni spontanee nel corso del dibattimento, è la miglior prova della correttezza della tesi accusatoria".