giovedì 31 luglio 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 7)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 7
Il matrimonio londinese e i Vichinghi

Il 19 aprile 1980 Maria Girolamo Fauci, detto “Jimmy”, sposa a Londra la cittadina inglese Shanon Green alla presenza di numerosi invitati tra i quali si annoverano i coniugi Adamo Calogero e Spataro Caterina, il dott. De Luca Gustavo, Teresi Girolamo, detto “Mimmo”, esponente di spicco della famiglia mafiosa palermitana di Santa Maria di Gesù o della Guadagna, l’architetto Molfettini Vittorio, Monteleone Filippo e Lucani Antonio. Ovviamente, al ricevimento erano pure presenti i due amiconi Marcello Dell'Utri e Gaetano Cinà.

Sulla vicenda si hanno notizie di prima mano grazie alla testimonianza del collaboratore Francesco Di Carlo, presente alle nozze come testimone d'anello per lo sposo e dipendente della ditta Fauci Continental Imports gestita da Jimmy Fauci nella capitale inglese. Ufficialmente Di Carlo era impiegato come addetto alla burocrazia, ma in realtà era una copertura per la sua latitanza.

Le nozze vengono celebrate nella zona vicino ai magazzini e l'ufficio della compagnia, nella zona Lambert a sud-est di londra. Il ricevimento invece si tiene in un caffè dell'affollatissima Piccadilly Circus, Cafè Royal, all'angolo con Regent Street. Il proprietario del locale è un italiano, conosciutissimo in Inghilterra perchè l'unico ad essere stato fatto "sir" dalla regina Elisabetta.

Fuori dalla chiesa il boss Mimmo Teresi, Di Carlo e Dell'Utri iniziano a dialogare. Teresi introduce Di Carlo a Dell'Utri e gli spiega che si trova lì a Londra come latitante. Dell'Utri annuisce, lo sa bene. Teresi allora ordina a Dell'Utri di tenersi pronto: in caso Di Carlo venga a Milano, Dell'Utri dovrà fargli avere un posto sicuro dove alloggiare. Dell'Utri allora lascia il numero di telefono del suo ufficio e della sua abitazione.

A quel punto Teresi rassicura Di Carlo: "Marcello a Milano ci ha una abitazione, ci ha tutto. Ne ha fatti dormire tanti, non ti preoccupare".

Ma perchè Dell'Utri era presente alle nozze? Era stato invitato o ci era capitato lì per caso?

Di Carlo ne è certo: "Ma certo che era invitato! Non era certo di passaggio. Non siamo mica in Svizzera. In Inghilterra ci si va apposta. E poi mi è stato detto dallo stesso Jimmy Fauci che l'aveva invitato".

Poi racconta un particolare sconcertante. Dopo che Dell'Utri ha lasciato i propri recapiti telefonici, il boss Teresi e Di Carlo si appartano e iniziano a parlare della possibilità "di combinare" Dell'Utri, cioè farlo diventare ufficialmente uomo d'onore di Cosa Nostra.

"Teresi mi dice (riferito a dell'Utri): un bonu picciottu. In gergo di Cosa Nostra si capisce che un bonu picciottu e' una persona a disposizione. Me ne parla bene e dice: io e Stefano Bontate abbiamo intenzione di combinare a Dell'Utri. Poi mi chiede: tu che ne pensi, tu che l'hai conosciuto? Gli ho detto: ma voialtri lo conoscete meglio di me...ma poi, se combinate a Dell'Utri e a Cinà no, che fate? Poi quello ci perde d'immagine, ci perde di tutto. Allora o li combinate tutti e due o niente".

Di Carlo ha il sentore che poi Cinà sia stato effettivamente "combinato", ma non ne ha la prova, quindi su questo punto preferisce avvalersi della facoltà di non rispondere.

Jimmy Fauci, interrogato, conferma la presenza di Dell'Utri alle nozze, ma lo definisce come un "non invitato, non conosciuto". Cioè Dell'Utri era presente alle nozze di Jimmy Fauci, amico del boss Stefano Bontate, senza che lo sposo ne fosse a conoscenza e senza nemmeno averlo invitato. Chi dunque si è assunto la responsabilità dell'invito?

Fauci ne è praticamente sicuro: "Cinà Gaetano. Non c'è altra possibilità".

Ma Dell'Utri cosa dice? In tribunale niente di niente. Si confessa però davanti al microfono di Gian Piero Mughini, che evidentemente lo intimorisce meno del pubblico ministero. Il 12 dicembre 1996 esce su Panorma l'intervista completa.

"La storia del matrimonio inglese è questa. Cinà mi aveva detto che un tal giorno sarebbe stato a Londra dove un amico siciliano avrebbe sposato una giovane londinese. Il caso voleva che anch’io, quel giorno, sarei stato a Londra, dove volevo visitare una grande mostra dedicata ai Vichinghi. Perciò andai al matrimonio, che si svolse in un grande locale a Piccadilly Circus, e dov’era quella strana mescolanza di facce siciliane e buona società londinese".

Mughini, tra un "non so", un "non mi ricordo" e risatine imbarazzate, risponde alle domande del PM riguardanti quell'intervista, il quale alla fine riesce a strappargli una confessione.

"Ricordo che Dell'Utri mi disse che i volti dei presenti non erano esattamente raccomandabili, insomma, che lui ebbe un qualche disagio nell’entrare in un ambiente in cui, diciamo, gli attori, come dire, i protagonisti, i personaggi, non erano esattamente una galleria di poeti dell’accademia, mi pare di aver capito".

Insomma, ricostruendo, Marcello Dell'Utri, a Londra per visitare una mostra sui Vichinghi, incontra casualmente il suo amico di lunga data Gaetano Cinà che lo invita al matrimonio di un non ben precisato ragazzo palermitano con un'inglesina. Dell'Utri, pur non conoscendo nè lo sposo nè la sposa, accetta di buon grado, ma quando arriva in chiesa nota che casualmente questa è affollata dai principali boss di Cosa Nostra e della mafia palermitana. A quel punto, molto in imbarazzo e solo per non fare brutta figura, accetta di partecipare lo stesso al banchetto.

Tutto fila.

mercoledì 23 luglio 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 6)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 6
Epoca di cavalli

Il 21 maggio del 1992, appena tre giorni prima della strage di Capaci, Paolo Borsellino rilascia un'intervista a due giornalisti francesi, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. Sarà la sua ultima intervista pubblica. Neanche due mesi dopo salterà in aria in via D'Amelio. La registrazione e la diffusione di questa intervista è risultata essere una vicenda piuttosto travagliata. Ne sono state create varie copie, tutte più o meno tagliuzzate qua e là e manipolate. Pure la versione integrale apparsa sull'Espresso o quella trasmessa da RaiNews24 sono state pesantemente martoriate. Lo ha stabilito persino una sentenza del Tribunale del gennaio 2008. La versione utilizzata nel processo a Dell'Utri e Cinà è invece quella originale e trascritta da un perito.

Paolo Borsellino parla della figura di Vittorio Mangano, uomo d'onore della famiglia di Pippo Calò.

"Vittorio Mangano l’ho conosciuto in epoca addirittura antecedente al maxi processo perché tra il ’74 e il ’75 Vittorio Mangano restò coinvolto in un’altra indagine che riguardava talune estorsioni fatte in danno di talune cliniche private palermitane che presentavano una caratteristica particolare, ai titolari di queste cliniche venivano inviati dei cartoni con all’interno una testa di cane mozzata. Fu questo il primo incontro processuale che io ebbi con Vittorio Mangano, che poi ho ritrovato nel maxi processo perché Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra. Uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia alla quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove costituiva un terminale di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane. Era uno di quei personaggi che erano i ponti, le teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia".

Paolo Borsellino fa poi un riferimento esplicito.

"Vittorio Mangano risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo nel corso della quale lui, conversando con un altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane
(Inzerillo n.d.r.), preannuncia o tratta l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come magliette o cavalli".

A questo punto il giornalista francese ricorda al giudice Borsellino che esisterebbe un'altra telefonata tra Mangano e Dell'Utri in cui si parla di cavalli, emersa durante il processo San Valentino. Borsellino dice di aver dichiarato l'incompetenza territoriale di tale processo e quindi di non esserne del tutto al corrente e di non conoscerne i dettagli. Allora il giornalista incalza chiedendo se comunque, quando Mangano al telefono parla di cavalli, intende partite di droga.

La risposta del giudice è sicura: "Sì".

Di che processo si tratta? Il biltz di San Valentino, così come è stato ribattezzato perchè effettuato nella notte del 15 febbraio 1983, fu il risultato di una serie di indagini effettuate su quei soggetti della mafia siciliana che risiedevano a Milano agli inizi degli anni '80, come i fratelli Fidanzati, i fratelli Enea e lo stesso Vittorio Mangano. Costoro erano implicati in tentativi di sequestro e traffico di droga. La Criminalpol di Milano era riuscita ad individuare una delle sedi da cui partivano gli ordini sui traffici illeciti: l'Hotel Duca di York dove era spesso presente Vittorio Mangano. In una di queste telefonate, avvenuta per ironia della sorte il giorno di San Valentino del 1980, vengono intercettati proprio Mangano e Dell'Utri.

E' questo l'episodio a cui fa riferimento il giornalista francese e con cui, chi ha manipolato l'intervista, ha cercato di far dire a Borsellino che Dell'Utri trattasse di droga con Mangano. Nell'intercettazione del 14 febbraio 1980 si parla in effetti di "cavalli", ma non ci sono elementi espliciti che possano far ricondurre quel termine a traffici illegali. Semplicemente si mostra come i legami tra i due fossero tutt'altro che labili e saltuari, anche molti anni dopo l'allontanamento di Mangano da Arcore.

Alle ore 15:44 Mangano (M), dalla sua camera d'albergo all'Hotel Duca di York, chiama il numero 02-8054136, utenza registrata a nome di Sergio Fava, via Chiaravalle 7. Dall'altra parte del cavo risponde Marcello Dell'Utri (D).

D: Pronto?
M: Buonasera, il dottor Del Lupi?
D: Oh, caro Mister!
M: Minchia! Sempre occupato 'sto telefono!
D: Sì, e per forza. Perché senza ufficio, questa è diventata casa, ufficio, tutte cose.
M: Ah, l’appartamento, lì è?
D: Si, a casa. Lei dov’è, dov’è?
M: Sono in albergo. Ha telefonato Tony Tarantino?
D: Mah, ieri c’ho parlato. Avevo telefonato io, però.
M: Comunque …ci dobbiamo vedere?
D: Come no? Con tanto piacere!
M: Perché io le devo parlare di una cosa.
D: Benissimo!
M: Anzitutto un affare.
D: Eh beh, questi sono bei discorsi.
M: Il secondo affare che ho trovato per il suo cavallo.
D: Davvero? Ma per questo dobbiamo trovare i soldi.
M:Eh va , questo è niente.
D: No, questo è importante.
M: Perché? Non ce ne hai?
D: Sono veramente in condizioni di estremo bisogno.
M: Vada dal suo principale! Silvio!
D: Quello non sgancia manco se...

Il tono della telefonata è sicuramente divertito e prosegue come una chiacchierata tra amici di lunga data. Dell'accaduto vengono date due versioni differenti dai diretti interessati.

Dell'Utri: "Nel ’78 lascio Berlusconi e vado a lavorare da Rapisarda. Nell’80 mi pare avviene la telefonata di Mangano; questa telefonata nella quale lui mi chiede di dire a Berlusconi se poteva comprare la cavalla Epoca, che era di sua proprietà e che aveva lasciato lì in attesa di venirla a ritirare e non veniva mai. Però Berlusconi la teneva volentieri perché c’era il suo box, non dava fastidio e poteva stare a figurare con gli altri cavalli della villa. Io rispondo che Berlusconi non ha interesse e intenzione di comprarla perché era una cavalla molto vivace, era un tre quarti di sangue, un po’ bizzarro: non voleva che i figli cavalcassero questa Epoca perché aveva paura che facesse qualche infortunio".

Mangano: "No, questa telefonata non la ricordo. E siccome io adesso sto male, non ricordo più niente di niente. Mi avvalgo della facoltà di non rispondere".

Vari particolari da sottolineare. Primo. Mangano nega spudoratamente di aver intrattenuto quella conversazione con Dell'Utri, il quale invece la ricorda benissimo. Anzi, afferma che quelle registrazioni sono state manipolate. Perchè? Secondo. Mangano ricorda al PM come quel Rapisarda da cui Dell'Utri era andato a lavorare fosse "un truffaldo" e che anzi "tutta Palermo sapeva che è un truffaldo!". Tutti tranne Dell'Utri evidentemente. Terzo. Mangano nega che Dell'Utri conosca quel tale, Tony Tarantino, nominato nella telefonata. Perchè? Quarto. Alla domanda del PM se il cavallo in questione fosse Epoca, Mangano risponde: "Sì. Era Epoca". Poi, senza che il PM obietti nulla, aggiunge: "E non era droga". Excusatio non petita...

martedì 22 luglio 2008

Il giorno della vergogna


Oggi, 22 luglio 2008, alle ore 20:01, con 171 voti favorevoli (Pdl e Lega), 128 contrari (Pd e Idv) e 6 astenuti (Udc), per la prima volta dopo la nascita della prima repubblica, tramite strumenti costituzionalmente democratici si è infranto il principio cardine su cui si basano tutte le costituzioni dei paesi democratici.

Da oggi, 22 luglio 2008, per coerenza, bisognerebbe smantellare in tutte le aule di tribunale le insegne che ricordano come l'articolo 3 della Costituzione Italiana sancisca l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Da oggi, 22 luglio 2008, la propria "condizione personale" diventa un discrimine decisivo nella vita sociale del paese. Quattro cittadini, vergognosamente più uguali degli altri, si sono autoproclamati al di sopra della legge. Tutti i procedimenti a loro carico, di qualsiasi natura, nel passato, nel presente o nel futuro, sono sospesi per tutta la durata della legislatura.

Oggi, 22 luglio 2008, a tre giorni dalla commemorazione della morte del giudice Paolo Borsellino, viene perpetrato l'affronto sommo alla figura del più grande eroe della Repubblica Italiana. L'uomo che ha trafficato con quei mafiosi che il giudice Paolo Borsellino ha combattuto per tutta la sua vita, l'uomo che ha fondato grazie a Dell'Utri un partito basato sui voti di quella mafia contro cui il giudice Paolo Borsellino ha lottato fino all'ultimo respiro, l'uomo che è stato accusato da trafficanti sudamericani di aver riciclato nei conti svizzeri della Fininvest i fondi neri di quei boss che il giudice Paolo Borsellino aveva contribuito a decimare, l'uomo che ha prima accolto tra le sue braccia e poi incensato uno degli uomini d'onore più spietati di Cosa Nostra, Vittorio Mangano, definendo "eroica" la sua omertà, l'uomo che è stato coinvolto nei due processi riguardanti i mandanti occulti delle stragi di Capaci e via D'Amelio in cui perse la vita proprio il giudice Paolo Borsellino, quell'uomo, oggi, 22 luglio 2008, devasta il più elementare principio costituzionale, si erge, autoimmune, al di sopra del diritto e sputa idealmente sulla tomba del giudice Paolo Borsellino.

Ha perfettamente ragione il fratello di Paolo, Salvatore Borsellino, che da più di un anno ormai gira per l'Italia, nelle scuole, nei comuni, per gridare il proprio sdegno, per gridare la propria sete di giustizia e verità, e che ogni momento della sua vita paradossalmente ringrazia Dio di aver fatto morire suo fratello, di avergli risparmiato in questo modo la vergogna di assistere allo scempio di quelle Istituzioni che Paolo serviva con zelo maniacale e verso cui nutriva religioso rispetto.

Come se non bastasse, a monito futuro, oggi, 22 luglio 2008, si è deciso il trasferimento d'ufficio di uno dei pochi giudici con la schiena dritta, il giudice Clementina Forleo, che nonostante tutto crede ancora nel proprio lavoro e nella forza della giustizia.

Oggi è il 22 luglio 2008, ma l'assordante silenzio dei media asserviti e schierati ricorda tanto il 28 ottobre del 1922.

Marcello, Silvio e la mafia (parte 5)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 5
A suon di bombe

Nel dicembre '74 dunque, Vittorio Mangano, dopo il fallito sequestro del principe D'Angerio, si allontana spontaneamente da Villa San Martino. A questo punto Berlusconi, rimasto privo della copertura di Cosa Nostra, rappresentata dalla presenza di Mangano ad Arcore, torna ad essere un obiettivo attaccabile e ricattabile. Non passano infatti molti mesi che, il 26 maggio del 1975, una bomba fa saltare in aria parte della villa in via Rovani. Come Villa San Martino, anche questa era in fase di ristrutturazione, ma la bomba non ebbe pietà e sfondò i muri perimetrali provocando pure il crollo del pianerottolo del primo piano.

La devastazione viene denunciata alla questura da un certo Walter Donati, socio della Società Generale Attrezzature e intestatario della ditta di ristrutturazione. Successivamente si accerterà che la villa era di proprietà di Berlusconi, il quale però, nonostante il chiaro messaggio estorsivo, si era guardato bene dallo sporgere denuncia. Lì per lì i responsabili dell'attentato non vengono rintracciati, ma una telefonata intercettata circa 11 anni dopo tra Berlusconi e Dell'Utri chiarisce l'accaduto: a mettere la bomba è stato Mangano.

Il 28 novembre del 1986, infatti, la stessa villa di via Rovani è soggetta ad un nuovo attentato dinamitardo. Questa volta però non si registrano gravi danni: solo una bomba rudimentale che ha scalfito la cancellata. Ne parlano al telefono Berlusconi (B) e Dell'Utri (D), più divertiti che spaventati, in una chiacchierata dal sapore altamente comico divenuta ormai famosa.

B: Allora, è Vittorio Mangano...
D: Che succede?
B: Ha messo la bomba!
D: Non mi dire! E come si sa?
B: Da una serie di deduzioni. Per il rispetto che si deve all'intelligenza.
D: Perchè? E' fuori?
B: Sì. E' fuori.
D: Ah! Non lo sapevo neanche!
B: E questa cosa qui...fatta con un chilo di polvere nera...fatta con molto rispetto, quasi con affetto.
D: Ah!
B: Un altro manderebbe una lettera...lui ha messo la bomba!
D: Ma perchè? Non si spiega proprio!
B: Sì, poi la bomba fatta proprio rudimentale...
D: Proprio per dire: faccio un botto!
B: Sì! Ma poi con molto rispetto. Mi ha incrinato soltanto la parte inferiore della cancellata. Un danno da 200 mila lire. Una cosa rispettosa e affettuosa.
D: Pazzesco!
B: E' la stessa via Rovani come allora...e lui fuori di prigione.
D: Questo qui è un chiaro segnale estorsivo!
B: Classico avvertimento di qualche cosa...
D: Sì, sì! Ripensi a undici anni fa...
B: Uh, uh! Sì, sì, sì!

Poi Berlusconi passa la cornetta a Fedele Confalonieri (C) che è lì con lui.

C: Questo Mangano non è un uomo di fantasia!
D: Esatto! Si ripete...
C: Ha cominciato dieci anni fa a fare così e adesso ne ha 46...
D: E poi anche un attentato timido in effetti. Solo per dire: sono qui.
C: Come la lettera con la croce nera. Come l'altra volta, ricordi?

E' chiaro dunque che i tre interlocutori hanno bene presente che Mangano fosse stato il responsabile del primo attentato alla villa, corredato pure di una lettera intimidatoria con una croce nera e una probabile minaccia al figlio di Berlusconi. Nonostante la loro piena consapevolezza, nessuno di loro aveva offerto un'utile indicazione agli investigatori sulla ricerca del responsabile, ma anzi avevano deciso di tacere il tutto. Abbastanza patetico il tentativo di Fedele Confalonieri di negare di fronte al PM la propria conoscenza del primo devastante attentato: "Perchè? C'era stata un'altra bomba?"

Berlusconi, subito dopo la bomba del '75, inizia a temere sul serio per la propria famiglia e decide di rifugiarsi all'estero per alcuni mesi. Prima in Svizzera, vicino a Ginevra, per un paio di settimane e poi nel sud della Spagna, a Marbella, per qualche mese. Al suo ritorno si premunirà di un adeguato sistema di difesa privata che andrà aumentando di anno in anno. Il Tribunale sottolinea come ciò sia la dimostrazione inequivocabile che, prima dell'allontanamento di Mangano da Arcore, Berlusconi si sentisse sufficientemente sicuro e ritenesse che la propria famiglia fosse adeguatamente protetta dalla sola presenza dello stesso Mangano all'interno della villa.

Incurante della gravità delle proprie affermazioni, è proprio Dell'Utri a confermare la circostanza: "Dopo Mangano, Berlusconi si attrezzò con un corpo di guardia considerevole, che è sempre aumentato, sino a diventare un esercito".

E' curioso notare come, anche dopo l'allontanamento di Vittorio Mangano da Milano, nonostante la caratura criminale del soggetto fosse divenuta evidente e fosse assolutamente chiara a Dell'Utri, quest'ultimo non interromperà i propri rapporti con Mangano. Anzi, come ricorda lo"storico" pentito Antonino Calderone, Dell'Utri non cessò le sue frequentazioni mafiose e continuò ad incontrare personaggi del calibro dei fratelli Grado nel famoso ristorante nel centro di Milano "Le colline pistoiesi", gestito da un certo Gori, fratello di un calciatore della Juventus. Dell'Utri confermerà la circostanza ma preciserà che il suo continuare a frequentare Mangano derivava solamente da un senso di timore nei suoi confronti.

"Proprio perchè mi ero reso conto della personalità del Mangano, avevo un certo timore nei suoi confronti e quando lo incontravo, non lo respingevo, ma accettavo la sua compagnia".

Dichiarazioni al limite del ridicolo se si pensa che Dell'Utri affermerà di non essere stato nemmeno messo al corrente di chi fossero gli altri personaggi seduti allo stesso tavolo.

"E' chiaro che io ho pranzato con Mangano e queste altre persone, che egli come al solito mi avrà presentato come amici, senza però farmene i nomi. Infatti non conosco il Calderone i fratelli Grado".

Risulta comunque poco probabile che Dell'Utri e Berlusconi avessero realizzato la pericolosità del personaggio solo in seguito al mancato sequestro del principe D'Angerio. Mangano infatti aveva intrattenuto rapporti con esponenti di Cosa Nostra ben prima del '74. Il 16 agosto '72 era stato fermato per esempio in compagnia di Gioachino Mafara, il 23 agosto con Antonino La Rosa e Antonino Vernengo. Il 15 febbraio dello stesso anno era stato addirittura arrestato per il reato di tentata estorsione. Il 27 dicembre, tre settimane dopo il tentato sequestro del principe, Mangano viene arrestato di nuovo per il reato di truffa (10 mesi e 15 giorni). Il 1 dicembre del '75 viene ancora una volta tratto in arresto dalla Squadra Mobile di Palermo per detenzione e porto di coltello. La sua residenza risulta essere ancora in Arcore, via Villa San Martino 42. Raggiunto da una serie di provvedimenti giudiziari, nel maggio del 1980 veniva arrestato proprio ad Arcore, nell'ambito dell'indagine sui traffici di eroina e morfina base, che porterà al processo Spatola, il primo grande processo ai danni della criminalità organizzata istruito da Giovanni Falcone.

Mangano, in quegli anni, nell'ambito del traffico di droga, costituiva un insostituibile tramite di collegamento tra Palermo e Milano. Nell'ultima intervista rilasciata da Paolo Borsellino a due giornalisti francesi, Mangano verrà definito "una delle teste di ponte di Cosa Nostra a Milano". Tre giorni dopo salterà in aria Falcone. Meno di un mese dopo toccherà anche a lui.

lunedì 21 luglio 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 4)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 4
Il sequestro del principe

E' appurato dunque che nei primi anni '70 a Milano si apre la stagione dei sequestri. A seminare la paura è un manipolo di uomini d'onore sbarcati nel nord Italia in cerca di fortuna. A quanto pare (lo riferiscono sia Buscetta che Mutolo), Cosa Nostra negli anni '60 aveva imposto un veto sui sequestri all'interno della Sicilia e, dunque, per forza di cose, gli interessi economici-estorsivi si erano riversati al nord, in particolare nella zona di Milano dove moltissimi imprenditori pieni di soldi e alle prime armi offrivano un'attrazione irresistibile. A capo dell'organizzazione criminale c'era Luciano Liggio, che assieme a Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti faceva parte del Triumvirato che reggeva le sorti di Cosa Nostra. Attorno a lui gravitavano tutta una serie di personaggi spietati e senza scrupoli come Pippo Contorno, i fratelli Grado, i fratelli Fidanzati, i fratelli Martello, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Di Carlo, lo stesso Vittorio Mangano, ecc...

Un pentito, Giuseppe Marchese, uomo d'onore al servizio di Totò Riina e Leoluca Bagarella, parla di un intervento della mafia palermitana al fine di proteggere Berlusconi da un eventuale sequestro del figlio. La minaccia proveniva dalla mafia catanese guidata da Gimmi Miano.

"Avevano intenzione di sequestrare il figlio di Berlusconi, ma c'è stato un intervento dei paesani nostri (i corleonesi n.d.r.) che dicevano che Berlusconi era una persona che interessava a loro e su di lui non si potevano fare sequestri".

Su un possibile sequestro di persona ai danni dei famigliari di Silvio Berlusconi si esprime anche il pentito Gaspare Mutolo, uomo d'onore della famiglia di Partanna Mondello e presenza stabile nella Milano degli anni '70.

"Su questo progetto di sequestro ero interessato anch'io. C'era già un gruppo di persone pronte per sequestrarlo. Al progetto erano interessati Badalamenti, Bontate, Inzerillo, Riccobono. Insomma, tutti i capoccioni. Poi non se ne fece più niente. Addirittura siamo rientrati tutti e poi ho saputo che quell'impresario che aveva fatto Milano2 era entrato in contatto con alcuni personaggi importanti mafiosi e quindi Berlusconi era tranquillo ormai".

Anche il pentito eccellente Antonino Giuffrè, uomo d'onore vicino a Bernardo Provenzano, conferma la circostanza: "Nella metà degli anni '70 vengono fatti molto sequestri e uno degli obiettivi è il signor Berlusconi. Lui era molto preoccupato che qualcuno dei suoi famigliari fosse sequestrato".

Se il sequestro ai danni di Berlusconi non sarà mai portato a termine, va però ricordato che un altro sequestro sarà organizzato ad un suo amico e ospite nella villa di Arcore, il principe Luigi D'Angerio. E' la notte di Sant Ambrogio tra il 6 e il 7 dicembre del '74. Berlusconi tiene una cena nella villa da lui appena comperata e invita una serie di facoltosi e personaggi importanti. Tra di loro c'è pure il principe. Vittorio Mangano è presente insieme agli ospiti al tavolo. In seguito si accerterà che è stato proprio lui ad organizzare il sequestro.

Ricorda Mangano: "Io ero presente alla cena. Ero sempre lì con loro, con tutti. Anche mia moglie e i miei figli cenavano insieme. Poi sono andati via tutti gli invitati".

Questo particolare fa ben capire quanto Mangano nella villa di Arcore fosse ben più che un semplice stalliere, ma anzi presenziasse sempre a tutte le cene importanti e fosse trattato con rispetto al pari degli ospiti, come si conveniva "al rappresentante di Cosa Nostra ad Arcore". La circostanza di un Mangano presente al tavolo è stata riferita anche dallo stesso principe D'Angerio, ma stranamente negata da Fedele Confalonieri, anch'egli presente, che ricorda benissimo i dettagli della serata.

Racconta Confalonieri: "Era il giorno di S. Ambrogio. C'era una cena ed erano presenti il principe D'Angerio con la moglie e il figlio. Poi c'era un industriale di piastrelle con la moglie. C'era anche una signora accompagnata da una persona che diceva di essere parente della moglie del principe Vittorio Emanuele. Era la sorella di Marina Doria. Poi c'era un certo Attilio Capra, oltre naturalmente a Berlusconi con la moglie. C'era Dell'Utri, ma assolutamente non ricordo Mangano. Su questo sono tassativo. Io andavo ad Arcore tre volte alla settimana e non ho mai visto Mangano seduto a tavola con Berlusconi. Non c'era nessun fattore a tavola quella sera".

Come è possibile che il principe D'Angerio, nell'interrogatorio subito dopo il fallito sequestro, si dica certo della presenza del fattore, mentre Confalonieri nega decisamente? Chi sta mentendo? E soprattutto: chi dei due ha interesse a mentire?

Il sequestro in realtà fallisce. La scena è abbastanza rocambolesca. Verso la una di notte gli invitati escono dalla villa. C'è un nebbione tremendo. A poca distanza dalla villa l'auto su cui viaggiava il principe D'Angerio viene speronata e il principe viene costretto a forza a salire sull'auto dei rapitori, tra cui figurano i fratelli Grado. Durante la fuga però l'auto, immersa nella nebbia, sbanda. Alla guida c'è Pippo Contorno che guida come un pazzo e finisce contro un albero. Il principe riesce a scappare, mentre i sequestratori si danno alla fuga. L'unico che verrà arrestato sarà Pietro Vernengo, che aveva inavvertitamente lasciato sul luogo del misfatto la propria patente con nome falso ma foto vera.

Per far capire quanto quel sequestro fosse stato improvvisato e messo su "un po' alla buona", basti ricordare che il principe D'Angerio, pur essendo un principe, non navigava assolutamente nell'oro e non avrebbe mai, per sua stessa ammissione, avuto modo di pagare il riscatto. Berlusconi ovviamente capisce immediatamente che quel sequestro è stato organizzato da Mangano. Ma incredibilmente non lo denuncia, lo licenzia. Anzi. Sarà poi lo stesso Mangano che deciderà volontariamente di togliere il disturbo. Se non altro, questione di opportunità. Bellissima, al limite del comico, la telefonata tra Mangano e Confalonieri sulla questione.

Mangano: "Ho pensato di ritornare a Palermo. Sarà forse l'aria che non giova ai miei figli. Li vedo un po' palliducci".
Confalonieri: "Ma lei si preoccupa dei giornali? Se ne fotta! Anzi: per noi non ci sono problemi!"
Mangano: "Dottore, io la ringrazio della sua bontà. Però io ci tengo all'immagine di Berlusconi. E allora io me ne vado. Così i giornali ci danno un taglio".

Apprendiamo dunque che Confalonieri aveva addirittura consigliato a Mangano di restare a Milano e di non dar retta ai giornali. Per loro andava bene anche così. Cioè non avevano alcun problema a tenere in casa uno che gli organizzava rapimenti sotto il naso. Lo conferma lo stesso Berlusconi che dice di non ricordare se Mangano fosse stato portato via direttamente dalla Polizia o se ne fosse andato spontaneamente. Di certo lui non l'aveva cacciato.

Ma perchè Mangano avrebbe dovuto organizzare un sequestro ai danni di un amico di Berlusconi? Il motivo è semplice. Nel caso fosse andato a buon fine, Mangano avrebbe finto di fare da mediatore e, oltre a ricevere un adeguato compenso economico, avrebbe acquistato agli occhi di Berlusconi ancora più considerazione. La logica dunque era quella di cercare di attrarre ancora di più Berlusconi nell'orbita di Cosa Nostra. Nella quale, per altro, Berlusconi sembra trovarsi a suo agio. Mangano verrà arrestato il 27 dicembre del '74, ma la sua famiglia rimarrà a vivere ad Arcore. Mangano manterrà lì la propria residenza ancora per due anni, fino all'ottobre del 1976.

Quando poi tornerà a Palermo, i contatti con Dell'Utri non si interromperanno, pur essendo egli consapevole, per sua stessa ammissione, dalla caratura criminale del personaggio. Gli amici sono sempre amici, anche quando sbagliano.

domenica 20 luglio 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 3)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 3
Le richieste del boss

Appurato che nella primavera del '74 una delegazione dei vertici di Cosa Nostra, guidata dal boss Stefano Bontate, viene invitata a Milano da Marcello Dell'Utri per un incontro con Silvio Berlusconi nei suoi uffici della Edilnord in via Foro Bonaparte e appurato che, alla richiesta di protezione per i famigliari di Berlusconi, Bontate risponde positivamente stabilendo di mandare a lavorare nella villa di Arcore un uomo d'onore fidato come Vittorio Mangano, resta da stabilire quale prezzo ha chiesto la mafia all'imprenditore milanese. Cosa Nostra, si sa, non fa niente per niente.

Ce lo spiega il pentito Di Carlo: "Avevano deciso di mettere Mangano non certamente come stalliere, perchè, per carità, non offendiamo il signor Mangano! Cosa Nostra non ne pulisce di stalle a nessuno! Cosa Nostra ha un potere enorme e allora ha messo Mangano ad abitare là a Milano. Lui trafficava e nello stesso tempo faceva la figura che Berlusconi aveva qualcuno vicino di Cosa Nostra, legato a Stefano Bontate. Tanino Cinà mi ha raccontato di essere stato imbarazzato perchè a un certo punto gli era stato ordinato di chiedere subito 100 milioni a Berlusconi. Pensavano di farci pagare qualche cosa al mese, così..."

Berlusconi dunque, a quanto pare, paga sull'unghia 100 milioni in un'unica soluzione a garanzia di protezione di Cosa Nostra. Sono questi gli unici soldi versati nelle tasche della mafia?

"Che io sappia, sì. Ma poi conoscendo Cosa Nostra, avranno cominciato a chiederne altri..."

Di Carlo è a conoscenza di un altro episodio in cui Berlusconi, tramite Dell'Utri, finanzia la mafia per avere delle agevolazioni. Siamo attorno al '77-'78 e Dell'Utri si rivolge ancora una volta a Cinà per risolvere il problema relativo all'installazione delle antenne per la diffusione del segnale televisivo delle reti di Berlusconi.

"I motivi di questi versamenti erano chiari. Ottenere garanzia da Cosa Nostra. Garanzia di tutto: di non essere disturbato, di non essere soggetto a sequestri e di essere aiutato, in caso di sequestro, a ricercare e punire i colpevoli. Ma Berlusconi non è mai stato soggetto a sequestri. Lui pagava".

Tra gli altri episodi raccontati con precisione e dovizia di particolari da Di Carlo ci sono per esempio tutti gli incontri avuti con Dell'Utri.

Ricorda una cena a casa di Stefano Bontate una sera del 1979: "Una cantina bellissima. L'ha fatta per ricevere uomini di Cosa Nostra. Grandissima, ci potevano stare pure 100 persone. Ci sono andato più di una volta. Di solito eravamo pochissimi, ma una sera ho visto più di venti persone e tra loro c'era anche Marcello Dell'Utri. C'erano tantissimi uomini d'onore. C'era Mimmo Teresi, c'era il fratello di Stefano Bontate, c'era Totuccio Federico, non mi ricordo se c'era Mannoia, c'era Giuseppe Gambino... Oppure una cena con Gimmi Fauci e Tanino Cinà in via Ruggiero Settimo da Battaglia. E poi tutta una serie di incontri nella lavanderia di Cinà o al magazzino di articoli sportivi in via Archimede".

Questi incontri nella villa di Bontate o presso la lavanderia di Cinà alla fine degli anni '70 sono stati confermati dalle dichiarazioni di un altro pentito, Francesco Onorato, affiliato a Cosa Nostra dal 1980 nel mandamento di Partana Mondello, con a capo Rosario Riccobono e Salvatore Micalizzi. Quest'ultimo si sarebbe incontrato nel negozio di articoli sportivi di Cinà, oltre che con Di Carlo, anche con Marcello Dell'Utri.

C'è un particolare che però Di Carlo non riesce a definire esattamente: la data dell'incontro di Milano tra Berlusconi e Bontate. Ricorda molto bene come erano vestiti i partecipanti e ne deduce che doveva essere o la primavera o l'autunno del '74. Nonostante il ricordo un po' offuscato su questo aspetto, è in realtà possibile risalire al periodo esatto dell'incontro facendo riferimento ad una particolare battuta pronunciata da Bontate al termine della riunione. Bontate avrebbe commentato che, dopo l'arresto di Luciano Liggio, avvenuto qualche giorno prima, sarebbe stato più facile per lui mantenere l'impegno di garanzia preso con Berlusconi.

"Va beh. Adesso che Liggio è in galera, ce lo possiamo permettere!"

Per capire il senso di questa affermazione basti ricordare che Liggio era stato il responsabile dei numerosi sequestri di persona a scopo di estorsione commessi nel milanese in quel periodo. Se dunque si tiene conto che Liggio fu arrestato dopo una lunga latitanza dalla Guardia di Finanza di Milano il 16 maggio 1974 e che lo stesso Stefano Bontate fu tratto in arresto solo due settimane dopo, il 29 maggio, è chiaro che l'incontro cade necessariamente nella seconda metà del mese di maggio 1974. Dato che coincide perfettamente con l'arrivo di Mangano ad Arcore.

La deposizione di Di carlo viene corroborata da un altro pentito eccellente, Antonino Galliano, che arrichisce lo scenario con preziose rivelazioni. Galliano aveva assunto un ruolo predominante all'interno di Cosa Nostra negli anni '80. Era nipote di Raffaele Ganci e molto amico del figlio Mimmo Ganci. Era anche molto intimo di Tanino Cinà ed è proprio dalla sua voce che viene messo al corrente dell'incontro milanese tra Berlusconi e Bontate.

Spiega Galliano: "Marcello Dell'Utri contattò Cinà. Gli disse che era molto preoccupato di un fatto che era avvenuto al signor Berlusconi, cioè il fatto che aveva ricevuto delle minacce di sequestro per uno dei suoi figli. Cinà gli disse che secondo lui queste minacce venivano dalla mafia catanese. Allora Cinà, tornato a Palermo, ne parla con i Citarda, suoi parenti, che sono imparentati anche coi Bontate. Quindi la voce arriva anche a Stefano Bontate che fissa l'appuntamento a Milano. Bontate ascolta le parole di Berlusconi, capisce il problema e lo rassicura che non sarebbe successo più nulla e che per maggiore sicurezza avrebbe mandato un suo uomo per guardare le spalle alla famiglia Berlusconi. Gli manda allora Vittorio Mangano, esperto di animali. Berlusconi rimase affascinato dalla figura di Stefano Bontate. Non si immaginava di avere a che fare con una persona così intelligente. Si immaginava di avere a che fare con un uomo rozzo, un mafioso tipico".

Questo particolare del fascino suscitato da Bontate in Berlusconi non è da poco perchè sarà alla base dei successivi emolumente elargiti alla mafia in tutti gli anni a venire.

"Subito dopo il primo incontro Berlusconi dice a Bontate che gli vuole fare un regalo e per questo incarica Cinà. Tanino da quel momento si recherà due volte all'anno a ritirare i soldi direttamente nell'ufficio di Dell'Utri. Erano venticinque milioni per volta, quindi cinquanta milioni all'anno. Questi soldi finivano nelle tasche della famiglia di Santa Maria del Gesù controllata da Stefano Bontate. Quando, dopo la seconda guerra di mafia, Bontate viene ucciso, il flusso di soldi continua. Cinà li prendeva da Dell'Utri, li consegnava a Pippo Di Napoli, Di Napoli a Pippo Contorno, Contorno a Gianbattista Pullarà".

C'è poi un altro pentito ritenuto di "elevata affidabilità", Salvatore Cucuzza, vicino ai Gambino e conoscente di Vittorio Mangano. Egli offre un punto di vista molto importante della vicenda poichè riporta proprio le parole dello stesso Mangano.

Racconta Cucuzza: "Mangano mi spiegò il principio per cui andò a lavorare ad Arcore. Assieme ai fratelli Grado e a Salvatore Contorno aveva messo delle bombe a persone riconducibili a Berlusconi il quale si sarebbe premunito di prendere qualcuno per garantirsi. Il fatto che fosse stato assunto come fattore era un paravento".

Cucuzza conferma pure di essere a conoscenza dei 50 milioni versati annualmente da Berlusconi a Cosa Nostra. Particolare riferito pure da un altro pentito, Francesco Scrima, cugino di Pippo Calò. Scrima incontra Mangano in carcere e questi si lamenta con lui del fatto che Ignazio Pullarà, reggente della famiglia di Santa Maria del Gesù, si fosse intascato i proventi di Berlusconi, che in realtà spettavano a lui.

Ultimo in ordine cronologico, il pentito Francesco La Marca riferisce di un discorso fattogli dallo stesso Dell'Utri: "Mi disse che la sua conoscenza con tutti questi personaggi mafiosi era dovuta al fatto che si era dovuto interessare per mediare tra coloro che avevano fatto minacce a Berlusconi e Berlusconi stesso. In seguito a tali minacce Berlusconi aveva fatto andare provvisoriamente all'estero moglie e figli. Dell'Utri mi disse che grazie a lui le pretese di denaro da parte dei mafiosi erano state ridotte".

sabato 19 luglio 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 2)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 2
L'incontro di Milano

Chiarito il fatto che Marcello Dell'Utri si rivolge all'amico Tanino Cinà per fare arrivare Vittorio Mangano nella villa di Arcore, è utile ricordare brevemente i rapporti familiari che legavano Cinà a una serie di soggetti al vertice dell'organizzazione mafiosa di Cosa Nostra in quegli anni.

La sorella di Tanino, Caterina Cinà, aveva sposato Benedetto Citarda, autorevole esponente della famiglia mafiosa dei Malaspina. Loro figlio Giovanni Citarda era uomo d'onore della stessa consorteria, mentre una delle figlie aveva sposato Girolamo Teresi, detto Mimmo, importante imprenditore palermitano, sottocapo della famiglia mafiosa di Santa Maria del Gesù e molto vicino a Stefano Bontate, capo della stessa famiglia. Stefano Bontate era uno dei boss più importanti della mafia siciliana degli anni '70. Insieme a Luciano Liggio e Gaetano Badalamenti costituiva il Triumvirato che reggeva le sorti di Cosa Nostra in quegli anni. Le altre tre figlie di Benedetto Citarda erano sposate con il fratello di Stefano Bontate, l'avvocato Giovanni Bontate, con Giuseppe Albanese, detto Pinuzzu, uomo d'onore della famiglia dei Malaspina, e con Giuseppe Contorno, detto Pippo, uomo d'onore della famiglia di Santa Maria del Gesù. A questa famiglia mafiosa appartenevano pure i fratelli Grado, Gaetano e Nino, e Nicola Milano, uomo d'onore a cui era stato affiancato Vittorio Mangano nel periodo di "praticantato" in Cosa Nostra a Milano.

In questa fitta trama di rapporti si inserisce un episodio fondamentale: un misterioso incontro a Milano di cui ha parlato esplicitamente il pentito Francesco Di Carlo. Costui era un uomo d'onore della famiglia di Altofonte fin dagli anni '60. Attorno al '73/'74 viene nominato consigliere della sua famiglia e in seguito sottocapo. In buonissimi rapporti con Badalamenti e Bontate, Di Carlo diventa, per volontà di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, capo della famiglia mafiosa di Altofonte che reggerà fino alla fine degli anni '70 rimanendo poi a disposizione di Bernardo Brusca. Di Carlo, denunciato e arrestato per associazione a delinquere, sequestro, omicidio, traffico di droga, grazie alla sua posizione dominante all'interno di Cosa Nostra è un pentito di importanza cruciale, che ha riferito degli omicidi eccellenti (Terranova, Costa, Scaglione, Francese, Impastato, Mattarella, Basile, Russo) e ha parlato dei rapporti tra Cosa Nostra e il senatore Giulio Andreotti.

Di Carlo, in virtù del proprio rapporto con Gaetano Cinà, aveva avuto modo di conoscere Marcello Dell'Utri in un bar del Viale a Palermo, vicino alla lavanderia di Cinà. E' interessante notare che Dell'Utri ha sempre negato espressamente di conoscere Di Carlo, ma il tribunale ritiene questa tesi assolutamente poco verosimile, proprio alla luce della deposizione del pentito.

"Dell'Utri l'ho incontrato altre volte. Una nel negozio di articoli sportivi in via Archimede dove c'erano altri uomini d'onore. Poi l'ho incontrato a Londra e poi, ma forse prima, una sera a casa di Stefano Bontate".

Di Carlo, poco tempo dopo avere conosciuto Marcello dell'Utri, incontra Cinà, Bontate e Teresi a Palermo. Dovendo tutti andare a Milano, decidono di incontrarsi nei giorni successivi negli uffici che Ugo Martello aveva in Via Larga, nei pressi del Duomo. Con loro c'è anche Nino Grado. Fa da autista, perchè conosce bene le vie di Milano. Durante la riunione Stefano Bontate parla di un incontro che si sarebbe dovuto tenere nel pomeriggio.

Ricorda Di Carlo: "Mi hanno detto con chi si dovevano incontrare, ma a me a quel tempo il nome non mi diceva niente. Mi hanno detto che si dovevano incontrare con un industriale, un certo Berlusconi. No, no. Il motivo non me l'hanno detto. Però capisco che Tanino aveva portato questa amicizia di Dell'Utri e Berlusconi direttamente a Bontate e a Teresi".

Appena arrivati in via Foro Bonaparte negli uffici della Edilnord, Dell'Utri accoglie tutti, abbracciando e baciando uno per uno.

"Non era una villa. Era un palazzo. moderno troppo antico. Potrei paragonarlo ai palazzi vecchi di Via Roma qua da noi a Palermo, anni '60-'70, un tipo così. Siamo entrati. Non mi ricordo se erano uno o due piani. A venirci incontro fu Marcello Dell'Utri, una persona bassina. Ci ha salutati con una stretta di mano. Con Tanino si è baciato, con Bontate si è baciato, con tutti gli altri si è baciato. Con me invece no. Io non lo conoscevo bene. Poi siamo entrati, c'era una sala e c'erano persone che andavano e venivano da altre stanze. Siamo andati in una grande stanza dove c'erano una scrivania, qualche divano e delle sedie. Dopo un quarto d'ora è spuntato questo signore sui 30 anni e me lo hanno presentato come il Dott. Berlusconi".

Di Carlo assiste alle presentazioni e capisce che Berlusconi già si conosceva con Gaetano Cinà. I suoi ricordi sono piuttosto particolareggiati. Ricorda che dell'Utri era vestito di blu, giacca e cravatta. Ricorda anche benissimo come gli apparve Berlusconi.

"Certo, non era quello di adesso, senza capelli. Aveva i capelli, era castano chiaro. Indossava un maglioncino a girocollo con sotto una camicia e un paio di pantaloni jeans, un abbigliamento sportivo comunque".

Stefano Bontate e Mimmo Teresi poi scherzeranno fra di loro sul look di Berlusconi: "Sembrava che dovevamo incontrare chissà chi! E quello è venuto in jeans e maglioncino!"

Dopo le presentazioni, Berlusconi e Bontate iniziano a parlare di cose serie. Bontate e Teresi spiegano il tipo di attività che svolgeva e Berlusconi a sua volta illustra il suo progetto di costruire Milano2. Berlusconi tiene la parola per una ventina di minuti e dà agli invitati una lezione di economia e amministrazione. Ma poi arrivano al succo della questione: il discorso della garanzia. Berlusconi esterna tutta la sua preoccupazione per i continui sequestri che stanno avvenendo nel Milanese. Dice di temere per l'incolumità dei suoi figli e dei suoi famigliari. Dice che il suo amico Dell'Utri gli ha suggerito di rivolgersi proprio a Stefano Bontate per ottenere una garanzia da Cosa Nostra.

Berlusconi: "Marcello mi ha detto che lei è una persona che può garantirmi questo".
Bontate si schermisce: "No, io, sa...sa come sono...però lei può stare tranquillo. Se io dico che può stare tranquillo, lei deve dormire tranquillo. lei avrà persone molto vicine che faranno ogni cosa lei chiede. Poi lei ha qui Marcello. Per ogni cosa si rivolga a lui. Anzi, le mando anche qualcuno, se già non ce l'ha".

Di chi si tratta? E' chiaro che Bontate ha in mente di affiancare a Dell'Utri, che non fa parte di Cosa Nostra, una persona fidata che sia dentro agli schemi di Cosa Nostra. Ne discutono Cinà, Bontate e Teresi alla fine del colloquio. Cinà propone il nome di Vittorio Mangano, uomo d'onore della famiglia di Porta Nuova, a quei tempi aggregata al mandamento di Bontate.

"Potevamo anche non mandare nessuno, ma bisognava far capire che era Cosa Nostra a proteggere. Basta che si sa che è Cosa Nostra a proteggere che risulta difficile poi per chiunque tentare di sequestrare".

Bontate si lascia convincere: "Va bene. Mangano va bene per quello che deve fare, ma sempre comunque in rapporti con Dell'Utri".

Di Carlo chiarisce poi un punto importante. Le minacce che verosimilmente Berlusconi aveva ricevuto e che lo avevano spinto a chiedere un "garanzia" a Cosa Nostra, in realtà erano state portate da Cosa Nostra stessa. Una pratica comune e collaudata.

"Niente di strano. Noi di Cosa Nostra prima minacciavamo e poi ci andavamo a proporre la garanzia. E' una cosa normale. Altrimenti che bisogno ha di chiederla?"

Il colloquio tra Bontate e Berlusconi d'altra parte si era chiuso con poche battute.

Bontate: "Lei è il padrone. Quando viene a Palermo, siamo a disposizione per qualsisasi cosa".
Berlusconi: "Anche noi siamo a disposizione per qualsiasi cosa, vero Marcello?"

Se non fosse chiaro, Di Carlo precisa: "Quando a noialtri di Cosa Nostra ci dicono "a disposizione" significa essere disposti a tutto".

E' chiaro dunque che la presenza di Mangano nella Villa di Arcore si delinea come un modo per far capire all'esterno che Berlusconi è protetto da Cosa Nostra e che non va toccato. Si capisce anche perchè Berlusconi ci tenga tanto che Mangano accompagni i suoi figli a scuola: con lui appresso, possono stare al sicuro da qualunque tentativo di sequestro. A questo punto bisogna solo capire cosa Bontate ha messo sul piatto in cambio della protezione offerta da Cosa Nostra. Lo si scoprirà a breve.

19 Luglio 1992

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Paolo Borsellino

Agostino Catalano
Claudio Traina
Emanuela Loi
Vincenzo Li Muli
Walter Cosina

giovedì 17 luglio 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 1)

L'11 dicembre del 2004 la II sezione penale del Tribunale di Palermo condanna Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa. Vogliamo ripercorrere le 815 pagine della sentenza, perchè riteniamo che i contenuti emersi in questo primo grado di giudizio non siano stati sufficientemente divulgati.

Forse tutti oggi sanno che che Dell'Utri aveva amicizie e frequentazioni abituali con boss di Cosa Nostra, forse oggi tutti hanno una vaga idea di chi fosse Vittorio Mangano, se non altro perchè sia Dell'Utri che Silvio Berlusconi non trovarono per lui miglior appellativo che "eroe". Forse però non tutti sanno dei retroscena e dei fatti certi e testimoniati che hanno portato all'incriminazione e alla condanna (in primo grado) di Marcello dell'Utri. Fatti sconcertanti, taciuti da giornali e media, che si trovano a stento in qualche "libro di contrabbando", pur essendo pubblici (in quanto scritti su di una sentenza) e che non hanno mai raggiunto l'opinione pubblica. Fatti che, se saranno poi confermati e ritenuti attendibili anche nei successivi gradi di giudizio, riscrivono completamente la biografia dell'attuale capo del Governo Silvio Berlusconi.

Dell'Utri inconsapevole amico di mafiosi? Mangano insospettabile uomo perbene assunto come fattore nella villa di Arcore con l'unico compito di accudire i cavalli? Berlusconi imprenditore in carriera che ha bisogno di uno stalliere per metter su un maneggio nella villa appena acquistata grazie alla gentile intercessione di Cesare Previti?

La verità, a quanto pare, è ben altra.

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo.

CAPITOLO 1
Berlusconi cerca un fattore

Marcello Dell'Utri, nel 1961, all'età di 20 anni, lascia Palermo per andare a studiare alla Statale di Milano dove conosce Silvio Berlusconi. Entrambi nella facoltà di legge. Diventano immediatamente grandissimi amici tanto da fondare insieme una squadra di calcio, la Torrescalla, dal nome del college dell'Opus Dei nel quale Dell'Utri risiede. Al termine degli studi universitari, nel 1966, Dell'Utri si trasferisce a Roma per dirigere un centro sportivo dell'Opus Dei. Nel 1970 dovrà però rientrare a Palermo per stare vicino al padre gravemente malato. A Palermo, la passione per il calcio spinge Dell'Utri a riprendere i rapporti con la società sportiva Bacigalupo che lui stesso aveva contribuito a fondare all'età di soli 16 anni. Non è un particolare insignificante, perchè è tra le mura del centro sportivo della Bacigalupo che Dell'Utri verrà a conoscenza di due personaggi fondamentali: Gaetano Cinà, detto Tanino, e Vittorio Mangano.

Gaetano Cinà, proprietario di una lavanderia a Palermo, era infatti il padre di uno dei ragazzi che giocavano a calcio nella società gestita da Dell'Utri, un vero talento a quanto pare. Il padre non ne perdeva una, di partita. Ma si sa come sono i campi di periferia, soprattutto in Sicilia: focosi e molto pericolosi. Basta un niente per suscitare un battibecco sulle tribune,un niente per far scattare una rissa, magari anche i coltelli e qualcosa di più. Ecco che allora entra in scena per la prima volta Vittorio Mangano, amico di Gaetano Cinà.

Spiega il Mangano: "Marcello Dell'Utri era proprietario del campo. Una volta ci sono andato anch'io perchè c'era una squadra un po' turbolenta. Mi sono detto: "Quelli sono più grandi di età, andiamo così li facciamo stare buoni, mica che si azzuffino in mezzo al campo". Quel giorno, Gaetano Cinà mi ha presentato il dott. Dell'Utri".

Lo stesso Dell'Utri, interrogato sull'argomento, ha ricollegato la sua conoscenza con Mangano alla necessità di tutelare adeguatamente i giovani giocatori delle squadre della Bacigalupo quando giocavano in trasferta sui campi più degradati di Palermo. Non è un particolare di poco conto questo fatto della "protezione" offerta da Vittorio Mangano a Dell'Utri. Vedremo successivamente che il rapporto tra i due evolverà proprio in tal senso.

Nell'agosto del '73 Berlusconi telefona a dell'Utri. E' arrivato a Palermo con la sua barca e vuole assolutamente farla vedere al suo amico. Dell'Utri corre al porto dove scopre che Berlusconi ha intenzione di fare una crociera nel Mediterraneo. Silvio invita Marcello a seguirlo in crociera. Gli propone addirittura di mollare il suo lavoro in banca e di tornare a Milano insieme a lui.

"Ma cosa fai in banca? Vieni a Milano! Io a Milano sto facendo grandi cose, sto costruendo una città importante, Milano2, la città dei numeri 1. Io ho bisogno di amici, perchè sai...Ti conosco bene".

Potrebbe sembrare solamente un invito ad un amico fraterno, caloroso e disinteressato. Ma quell'ultima frase "Io ho bisogno di amici..." troverà una illuminante spiegazione nel prosieguo.

Fatto sta che Dell'Utri con una lettera del 5 marzo 1974 si dimette dall'istituto di credito, in cui lavorava a Palermo, per trasferirsi a Milano pochi giorni dopo. Lì, il suo compito è quello di segretario personale di Berlusconi.

"Abito in casa sua, lo seguo nelle riunioni, lo seguo a pranzo, lo seguo a cena, dalla famiglia, dappertutto, cioè divento praticamente un membro della famiglia, non solo a casa ma anche in ufficio, per cui sono praticamente assorbito del tutto nella mia vita con Berlusconi".

E' proprio in quel periodo, primavera del '74, che a Berlusconi viene in mente di assumere a Villa San Martino ad Arcore un responsabile dei terreni e della cura dei cavalli. Aveva intenzione di impostare un'attività di allevamento di cavalli.

"Chiesi a Marcello di interessarsi a trovare una persona adatta ed egli mi aveva presentato il signor Mangano come persona a lui conosciuta, più precisamente conosciuta da un suo amico con cui si davano del tu e che aveva conosciuto sui campi di calcio della squadra Bacigalupo".

Berlusconi non fa il nome dell'amico che ha presentato Mangano a dell'Utri, ma abbiamo visto che costui è stato individuato inequivocabilmente nella persona di Gaetano Cinà. D'altra parte risulta abbastanza strano il fatto che Dell'Utri abbia sminuito nelle sue deposizioni il dato di un Mangano esperto nell'allevamento di cavalli. Dice di non esserne stato al corrente. Lui sapeva solo che Mangano era esperto di mastini napoletani.

Spiega Dell'Utri: "Dissi a Berlusconi: guarda, qui ci vuole qualcuno che capisca di terreni, di cavalli e di cani. Non è facile trovarla. Tutti quelli che abbiamo sperimentato qui in Brianza non gli piacevano".

Bene. Si apprende dunque che Berlusconi, dopo aver fatto provini su provini a stallieri della zona ed essere rimasto deluso da tutti, si affida alle amicizie palermitane di Dell'Utri, il quale pensa subito a un certo Mangano, per altro assolutamente inesperto di cavalli e decisamente inadatto a lavorare sui terreni di Arcore. Sì, perchè c'è un piccolo particolare.

Lo spiega lo stesso Mangano."Dissi a Marcello che io non potevo prendere nemmeno in mano la zappa. Non ce la facevo a causa di questa disgrazia, un incidente che ho avuto: sono tutto fratturato. Non potevo durare mezz'ora. Avevo avuto la frattura al bacino, mi si erano aperte le gambe così. Anzi ho avuto una duplice frattura al bacino, duplice!"

Nonostante tutto ciò Dell'Utri sembra considerare Mangano come l'unico fattore in grado di gestire la villa di Arcore. Parte quindi per Palermo e gli propone di trasferirsi a Milano a lavorare nella villa di Berlusconi.

"Vado a Palermo, chiamo il Mangano e gli chiedo molto semplicemente se sarebbe stato disposto a lavorare a Milano per un imprenditore importante".

Mangano racconta la scena in una maniera un po' diversa: "Un operaio mi dice: ci sono persone fuori che cercano lei. Io esco e vedo il Dott. Dell'Utri. E con chi lo vedo? Con Gaetano Cinà!".

Il fatto che Dell'Utri compaia insieme a Cinà, vedremo, non è di poca importanza. Altro piccolo particolare: Mangano non aveva bisogno di trasferirsi a Milano, perchè ci viveva già. Risulta infatti residente a Milano ancora prima che Dell'Utri lasciasse Palermo. Era stato già addirittura arrestato il 15 febbraio 1972 su ordine della Procura di Milano per il reato di estorsione continuata. Dal 6 marzo 1973 aveva la residenza in via Rubens 20. Dal 1 luglio 1974 la sposta direttamente ad Arcore.

L'incontro per l'assunzione avviene negli uffici della Edilnord in via Foro Bonaparte 24, proprietà di Berlusconi. Il dialogo è molto breve. Berlusconi, così pignolo con tutti gli stallieri della Brianza, rimane immediatamente convinto: "Va bene", dice "per me da domani in poi può prestare sevizio". Nella primavera del 74 dunque, Berlusconi, fidandosi ciecamente di dell'Utri, si ritrova in casa come responsabile dei terreni e dei cavalli un pregiudicato con una doppia frattura al bacino che non riesce nemmeno a tenere in mano una zappa e che della cura di cavalli sa poco e niente. Come se non bastasse, Mangano dopo pochi mesi farà arrivare a Milano tutta la famiglia, le due bambine, la moglie e perfino la suocera.

Mangano nella villa fa di tutto tranne che lo stalliere. Coordina gli operai che entrano ed escono dalla villa in ristrutturazione. E' responsabile del parco, responsabile del restauro della recinzione della pista per cavalli. Tappa i buchi delle recinzioni fatte dai cacciatori in cerca di lepri. Picchetta i paletti che segnano i limiti della proprietà. Scorrazza per il parco in cavallo. Sguinzaglia i cani. Addirittura accompagna tutti i giorni i figli di Berlusconi a scuola. Semplice dimostrazione di affetto di una persona ormai divenuta stabilmente parte della famiglia o qualcosa d'altro? Lo si capirà ben presto.