martedì 28 aprile 2009

Lo statista illuminato


"Oggi, 64 anni dopo il 25 aprile 1945 e a vent'anni dalla caduta del Muro di Berlino, il nostro compito, il compito di tutti, è quello di costruire finalmente un sentimento nazionale unitario. Dobbiamo farlo tutti insieme, tutti insieme, quale che sia l’appartenenza politica, tutti insieme, per un nuovo inizio della nostra democrazia repubblicana".

Silvio Berlusconi, discorso del 25 aprile ad Onna



"Per riformare la Costituzione l'opposizione non serve. Non c'è un solo articolo nella Costituzione che dica che è necessario il concorso dell'opposizione per modificare la Carta costituzionale".

Silvio Berlusconi, 28 aprile, Varsavia



"Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti".

Articolo 138 della Costituzione Italiana

domenica 26 aprile 2009

I liberatori


Giorgio Bocca l'ha definito "il 25 aprile più brutto della sua vita". E c'è da capirlo, poveretto. Per lui che un partigiano lo è stato per davvero, vedersi le piazze arringate da Berlusconi e Formigoni e i caduti commemorati da Fini, Alemanno e La Russa, deve essere stato un trauma non da poco. "Un 25 aprile patrocinato dai fascisti". Lo dice con sconsolata amarezza. Lo dice perchè ha capito l'inganno, ha capito il pericolo che c'è dietro.

E il pericolo è che, dopo averci preso tutto, Berlusconi ci prenda pure la memoria. Intendiamoci bene. Non che ci sia niente di scandaloso nel discorso pronunciato ieri dal presidente del consiglio, risultato abbastanza cauto, a grandi spanne condivisibile e più politicamente corretto di quanto probabilmente avrebbe voluto. Il punto non è questo, perchè, in fondo, le parole di circostanza, dovute per posizione istituzionale, lasciano un po' il tempo che trovano. Ciò che conta, più che altro, sono i fatti. E quelli, mi spiace, non tornano per niente. E' stato un 25 aprile troppo anomalo, quello di ieri. Spirava un vento diverso, non necessariamente migliore.

I fatti sono che a Silvio Berlusconi fino a ieri non era mai fregato niente del 25 aprile. Non ci aveva mai messo piede, tacciandolo sdegnosamente di "ricorrenza comunista". Si era sempre vantato di non essersi mai immischiato nei festeggiamenti e nelle celebrazioni. Vederlo ieri con il tricolore al collo porgere omaggio ai "caduti comunisti" stride e non poco. Sa tanto di piazzata pubblicitaria. Il suo fine dichiarato è quello di raggiungere la maggioranza assoluta per aver mano libera in parlamento e, per poter arrivare ad ottenere il fatidico 51% dei consensi, deve necessariamente proporsi come "il presidente di tutti". Per questo, l'invito di Franceschini, più che risultare d'imbarazzo, si è trasformato in un vero e proprio invito a nozze.

I fatti sono che Silvio Berlusconi non più tardi di qualche mese fa stava attentando alla Costituzione usando come ariete il corpo morente di Eluana. Aveva definito in modo sprezzante la Carta Costituzionale "di chiara ispirazione bolscevica". Aveva messo il Capo dello Stato con le spalle al muro intimandogli di firmare un decreto incostituzionale e minacciandolo, in caso contrario, di riformare la Costituzione a proprio piacimento e riconsegnare il proprio mandato al popolo. Una svolta populista e autoritaria, almeno a parole, di chiaro stampo mussoliniano, stoppata sul nascere dal rifiuto netto di Napolitano a cedere all'ennesimo ricatto. Vederlo ieri celebrare la Costituzione, "sulla quale si fonda la nostra libertà" e nella cui stesura si condensò "la saggezza di comunisti e cattolici, socialisti e liberali, azionisti e monarchici" suona per lo meno molto strano.

I fatti sono che Silvio Berlusconi, che, ogni due per tre, si riempie la bocca della parola "libertà", è l'espressione più lampante di un personaggio dalle chiare pulsioni autoritarie e dittatoriali, liberticide e illiberali. Lo testimonia il suo curriculum vitae. Il suo partito è costruito in questo senso come un organismo in cui a decidere è uno solo e la libertà dei componenti assomiglia molto alla libertà dei sudditi, quella cioè di applaudire il sovrano. Il fatto che la parola "libertà" compaia poi nel nome stesso del suo partito è un esempio ancora più evidente dell'equivoco e dell'inganno perpetrato. Non c'è persona che sappia meno di Berlusconi cosa significhi la parola "libertà". Berlusconi è colui che ha dimostrato in tutta la sua vita di non avere il mio rispetto del concetto di libertà. La libertà di corrompere tutto e tutti, questa è l'unica libertà che conosce Berlusconi.

Berlusconi ha corrotto la mafia per poter liberamente estendere le proprie televisioni al sud. Ha corrotto la mafia per poter liberamente veicolare centinaia di migliaia di voti sul suo partito. Ha corrotto la guardia di finanza per poter continuare a fare liberamente i suoi affari. Ha corrotto Bettino Craxi per poter continuare liberamente a trasmettere in tutta Italia illegalmente. Ha corrotto gli avvocati Cesare Previti e Attilio Pacifico perchè corrompessero i giudici Renato Squillante e Filippo Verde per poter liberamente mettere le mani sulla SME. Ha corrotto gli avvocati Cesare Previti e Attilio Pacifico perchè corrompessero i giudici Arnaldo Vitale e Vittorio Metta per poter liberamente mettere le mani su Mondadori. Corruzione per osmosi. Ha corrotto l'avvocato londinese David Mills perchè liberamente mentisse in un paio di processi a suo carico e, tacendo sulle molteplici società off-shore in cui si riciclava liberamente il denaro sporco, lo tenesse liberamente alla larga dai guai.

Questo è ciò che Silvio Berlusconi chiama "libero mercato". Questo è quello che Berlusconi definisce "moralità del fare".

I fatti sono questi. I fatti sono che Silvio Berlusconi ha in programma una legge liberticida sull'informazione (intercettazioni) e una legge illiberale sulla giustizia (riforma delle competenze dei pm). Ha il monopolio pressochè completo dell'informazione e ha appena deciso a casa sua chi dei suoi scagnozzi Mediaset andrà a dirigere i programmi Rai. Un uomo che è un conflitto di interessi ambulante. Dove, giova ricordarlo, il conflitto di interessi rappresenta l'estrema mortificazione del concetto di libertà. Un personaggio così, che, in tutto ciò che ha fatto e detto in vita sua, ha dimostrato sempre e solo uno sprezzo irrisorio per la vera Libertà, dovrebbe avere solo il buon gusto, come per altro ha fatto in tutti questi anni, di tenersi alla larga da una manifestazione come il 25 aprile.

Il fatto che invece, per la prima volta, ci vada e ottenga consensi più o meno unanimi la dice lunga su quanto l'Italia berlusconizzata sia pronta a vendersi al suo sorriso a trentadue denti e a salutare con ovazioni di massa il nuovo statista. Fa niente se i fatti poi fanno a pugni con le parole.

Due considerazioni conclusive.

La prima. Stiamo ben attenti a difendere le parole. Le singole parole. Non facciamo in modo che la propaganda berlusconiana ci porti via anche quelle. L'auspicio di Berlusconi affinchè il 25 aprile diventi "la festa della libertà" anzichè "della liberazione" è tanto apparentemente insignificante quanto pericoloso. La differenza sembra impercettibile, ma è carica di significati. Se concediamo ora che il 25 aprile si trasformi in una generica celebrazione della libertà in senso lato, significherà in un futuro prossimo accettare l'idea che questa data venga svuotata del suo senso fondamentale.

Il 25 aprile non rappresenta in la Libertà, quanto la Liberazione. Son due concetti adiacenti, che si toccano, ma che non si sovrappongono. Stiamo bene attenti. Non cediamo nemmeno di un millimetro su questo. La Liberazione costituisce la premessa alla Libertà, di cui essa è una diretta conseguenza. La Liberazione implica una lotta, implica uno sforzo, implica un sacrificio alto e supremo nei confronti dei soprusi di un oppressore. Non esiste Libertà senza Liberazione. E' ipocrita celebrare la Libertà senza ricordare chi è morto per essa. In nome di una non ben definita unità e pacificazione nazionale. Non vorrei che, tra un po', il 25 aprile da Festa della Libertà si trasformasse in Festa (del Popolo) della Libertà. Sapete, il passo è breve.

E qui arrivo alla seconda considerazione. Stiamo bene attenti a difendere la memoria. Non facciamo in modo che la propaganda berlusconiana ci porti via anche quella. Volenti o nolenti il 25 aprile è la festa della vittoria del movimento partigiano contro l'incubo del nazifascismo. E, volenti o nolenti, il movimento partigiano è legato, anche se non completamente annesso, a una precisa connotazione politica. Non può essere negato, può essere dimenticato. Non cediamo nemmeno di un millimetro su questo. Il 25 aprile appartiene ai partigiani e solo a loro. I cosiddetti Repubblichini, i fedeli al regime nazifascista, che tanto oggi vanno di moda e per i quali si chiede sempre più insistentemente la pietà, il rispetto, se non addirittura una certa riabilitazione, non c'entrano nulla con il 25 aprile. Non erano ingenui idealisti che combattevano "dalla parte sbagliata" senza saperlo, come si sente dire in questi giorni da più parti. Erano persone che, nonostante tutto, sono rimaste fedeli al Duce e si sono messe a disposizione di Hitler (la repubblica di Salò era uno stato fantoccio nelle mani del Reich) con cui hanno condiviso le leggi razziali e la soluzione finale dello sterminio di massa.

La pietà che a loro si deve è la stessa pietà umana che si deve ad un morto, per il fatto stesso di essere morto. E' la stessa pietà che si può avere per un Hitler suicida nel suo bunker o per un Mussolini impiccato a testa in giù a Piazzale Loreto. Cosa c'entra tutto ciò con il 25 aprile? Niente. Cosa c'entra tutto ciò con la pacificazione nazionale? Niente. E che colpa ne hanno gli Italiani se oggi al governo ci sono coloro che, volenti o nolenti, furono gli eredi dei Repubblichini?

mercoledì 22 aprile 2009

La giustizia che muore


Sono proprio dei burloni i magistrati della procura di Roma.

Avete presente il decreto di perquisizione con cui hanno ordinato ai Ros di frugare in tutte le abitazioni di Gioacchino Genchi e portarne via tutto il materiale informatico e tutti gli archivi relativi ad indagini in corso? Avete presente la serie di accuse con cui Genchi è stato inserito nel registro degli indagati per abuso d'ufficio, violazione della privacy e attentato alla sicurezza nazionale? Come ben sapete (e avrete sicuramente appreso dai principali organi di informazione) il Tribunale del Riesame ha ridicolizzato tutta questa montatura, ha annullato il sequestro dei documenti di proprietà di Genchi ritenendolo un atto assolutamente illegittimo e ingiustificato alla luce del comportamento sempre limpido e ineccepibile tenuto dal consulente di De Magistris.

Il decreto della Procura di Roma non solo era illegittimo per il fatto che essa non ha alcuna competenza su Palermo, ma, se anche l'avesse avuta, le ragioni per cui era stato emesso si sono rivelate assolutamente campate per arie, inconsistenti, basate sul nulla giuridico. Questo è quanto è scritto a chiare lettere nella sentenza del Tribunale del Riesame. Quanto basterebbe per far vergognare un'intera procura per aver inscenato un polverone assolutamente gratuito sull'onda dell'indignazione popolare alimentata da politici collusi e da stampa compiacente, che si divertiva a sparare cifre a caso, sempre più astronomiche, sempre più eclatanti. A un certo punto sembrava che Genchi fosse riuscito a spiare qualcosa come una famiglia italiana su tre. Pensate un po'.

Ci è voluto poco perchè la montatura si sciogliesse, si disintegrasse, anzi scomparisse del tutto di fronte al primo alito di verità. Genchi ha mantenuto sempre un atteggiamento perfetto e irreprensibile. Ha dimostrato come un uomo delle istituzioni dovrebbe sempre affrontare certe situazioni, anche di fronte alla mistificazione più orrenda e palese. Genchi si è sempre difeso nel processo. All'interno del processo. Ha sempre mantenuto la più lucida fiducia nella Giustizia e ha dimostrato, documenti alla mano, l'assoluta correttezza delle sue azioni. Non ha mai sbraitato contro i giudici. Non si è mai difeso dal processo. Ci si è sottoposto e ha vinto alla grande la sua battaglia. E ora si sta prendendo delle rivincite mica da ridere.

Peccato che ci sia un però. E' che i magistrati della Procura di Roma sono proprio dei burloni. A quanto pare, anche in seguito all'annullamento del sequestro da parte del Tribunale, si sono, a tutt'oggi, dimenticati di restituire il materiale al legittimo proprietario. Anzi, sembra proprio che non abbiano la minima intenzione di restituirlo. Voi direte: è uno scherzo. E ve l'ho detto: sono dei burloni! In quelle carte sono contenuti delicatissimi documenti su indagini ancora in corso, coperte da segreto istruttorio. Perchè, dovete sapere che gli hanno portato via tutto. Tutto. Non solo le carte relative all'indagine Why not. Con la scusa di fare chiarezza, gli hanno portato via tutti i documenti più scottanti, raccolti da Genchi nel corso della sua carriera di consulente informatico.

A che titolo la Procura di Roma si riserva di riconsegnare il tutto? Perchè non ha ancora dato esecuzione al decreto del tribunale del Riesame? In base a cosa si rifiuta di sganciare il maltolto? O è uno scherzo o siamo di fronte ad uno degli atti più terroristici della storia della giustizia italiana.

Genchi ha parlato di "un atto eversivo di gravità inaudita" e si è rivolto direttamente al Capo dello Stato con un appello per riavere immediatamente ciò che gli spetta. Il suo avvocato, Fabio Repici, ha commentato così la vicenda: "Siamo oltre il porto delle nebbie. Oggi la Procura di Roma ha fatto ammutinamento rispetto ai provvedimenti dei giudici che hanno decretato l’illegittimità totale dell’operato della stessa Procura. I reperti che la Procura di Roma sta mantenendo abusivamente in sequestro sono tutti di proprietà del dr. Gioacchino Genchi. Per questo oggi i Pm di Roma si sono resi responsabili, tra l’altro, dei reati di rifiuto di atti d’ufficio e di appropriazione indebita".

Io non so se il Capo dello Stato reagirà con la stessa prontezza con la quale si affrettò a censurare la ormai leggendaria "guerra tra procure". Vorrei solo far notare che, in quel caso, è stato chiamato in causa da tutte le principali istituzioni il CSM perchè intervenisse e punisse i contendenti, ovvero le procure di Salerno e Catanzaro. Il CSM alla fine, nonostante anche allora il Tribunale del Riesame avesse decretato che Salerno aveva operato nella piena legittimità, decise di annientarne d'ufficio la procura, cacciando Apicella dalla magistratura e trasferendo i sostituti Nuzzi e Verasani. Un atto di ingiustizia legalizzata tanto grave quanto fatto passare sotto silenzio.

Credevo avessimo toccato il fondo. Invece no. La vicenda Genchi supera la più fervida fantasia. La cosa grave, anzi gravissima, è che la ragione per cui la Procura di Roma si sta rifiutando, come un bambino capriccioso, di restituire materiale delicatissimo che detiene illegalmente è che in quei documenti ci sono anche le carte relative ad indagini che Genchi stava portando avanti nei confronti dei Ros e dei magistrati stessi della Procura di Roma!

Un leggendario conflitto di interessi. I magistrati della procura di Roma, su cui Genchi aveva iniziato ad indagare dopo averne ricevuto l'incarico dall'Autorità Giudiziaria, inventano delle accuse folli nei suoi confronti con il solo scopo di mettere le mani sugli incartamenti che li riguardano direttamente e vedere dunque a che punto è l'indagine e cosa è stato raccolto contro di loro. Questo è quanto è avvenuto. Sotto gli occhi complici di un CSM inerme, tanto zelante quando si tratta di punire chi fa il proprio dovere, ma assente nel momento delle ingiustizie più grandi e atroci.

Lo spiega ancora chiaramente l'avvocato Repici: "Peraltro, nei supporti informatici trattenuti ci sono atti relativi a delicate indagini per le quali il dr. Genchi aveva ricevuto incarichi dall’Autorità giudiziaria. E ci sono perfino atti e intercettazioni che riguardano il procuratore aggiunto di Roma Toro: tra l’altro sue conversazioni nelle quali nel maggio 2006 concordava con altra persona, con insospettabili capacità profetiche, gli incarichi al ministero della giustizia presso l’appena nominato ministro Mastella e presso altri ministeri, riferendo anche gli incarichi graditi da altri magistrati romani, ivi compreso il dr. Nello Rossi".

Voi capite che siamo di fronte ad un atteggiamento criminale da parte della Procura di Roma. Non ho ancora sentito nessun Gasparri agitarsi, non ho sentito ancora nessun Berlusconi gridare allo scandalo, non ho sentito purtroppo nessun Napolitano parlare di "atti di una gravità inaudita", nonostante questi lo siano, davvero, fatti di una gravità inaudita. Anzi, c'è da sperare solamente che il CSM non intervenga, magari per punire e trasferire d'ufficio tutto il Tribunale del Riesame, che ha dato ragione a Genchi. Considerato l'andazzo, non ci sarebbe nulla di cui stupirsi.

Ma se volete qualcos'altro di cui stupirvi, eccone un'altra. Fresca fresca. Clementina Forleo, il giudice che per anni è stata al centro degli attacchi della maggioranza per aver intaccato gli interessi di politici e banchieri e per non aver assecondato la propaganda di regime, è da oggi senza scorta e senza alcuna misura di protezione. A darne l'annuncio è stata Sonia Alfano, presidente dell'Associazione Famigliari Vittime della Mafia e candidata al Parlamento Europeo come indipendente nelle fila dell'Idv.

Spiega: "E' evidente che la decisione di revocare la scorta ad un giudice destinatario di gravi e numerose minacce sia motivata da pura rappresaglia politica. Mi chiedo - ha aggiunto Sonia Alfano - come sia possibile che mentre alla dottoressa Forleo, la cui incolumità è palesemente a rischio, viene revocata la scorta, ad altri, che non rischiano nulla perchè parte integrante di quel sistema che il Giudice Forleo ha sempre combattuto, viene concesso ogni tipo di protezione e di tutela".

Mentre l'Italia si interroga dubbiosa se il nostro presidente del consiglio festeggerà o meno il 25 aprile e, se sì, dove, e se dove, con chi, e se con chi, perchè, la giustizia in Italia muore sotto i colpi eversivi di parte di una magistratura deviata. La stessa magistratura corrotta che era finita nel mirino delle indagini di De Magistris e per cui De Magistris è stato bloccato prima che potesse scoperchiare il marcio che, secondo le accuse dello stesso De Magistris, sembra essersi ormai diffuso in modo endemico in tutta Italia: "Una nuova P2 sta tentando di prendere il potere in Italia".

Mentre Franceschini, forse per imitare Berlusconi, si fa fotografare con il cappellino da capo stazione e parte in treno per non si sa bene dove, la giustizia in Italia muore e lo fa nel peggiore dei modi: nel silenzio assordante delle Istituzioni.

Mi vengono in mente allora, e ho i brividi, le parole di Paolo Borsellino che, quando vide che tutto cospirava contro Falcone e il suo pool antimafia, ebbe il coraggio di esporsi in prima persona e, mettendo a rischio la sua stessa carriera di magistrato, lanciò accuse di fuoco al CSM gridando: "Se il pool antimafia deve essere eliminato, l'opinione pubblica lo deve sapere! Lo deve conoscere! Il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio!".

Esistono ancora magistrati, purtroppo sempre più pochi, che fanno il proprio dovere, che non sono ancora stati fermati e che servono lo Stato nel solco dell'esempio lasciato da Falcone e Borsellino. A loro dobbiamo rimanere stretti attorno. A loro dobbiamo aggrapparci, se ancora volgiamo credere in una Giustizia che è sì moribonda, ma, ancora morta, no.

martedì 21 aprile 2009

E ora chiedetegli scusa


Berlusconi: "Sta per uscire uno scandalo che forse sarà il più grande della storia della Repubblica".

Rutelli: "Si tratta di una vicenda di enorme rilievo per le istituzioni democratiche. Un vero e proprio pedinamento elettronico sistematico".

Alfano: "Si tratta di una delicatissima vicenda che investe anche la sicurezza nazionale".

Gasparri: "Il signor Gioacchino Genchi invece di dare consigli alle persone perbene si rechi volontariamente in Procura, o meglio ancora in un carcere a sua scelta perche' cio' che lui e i suoi mandanti hanno fatto e' di una gravita' inaudita. La sua condotta sara' certamente al centro di approfondimenti che, non solo in Parlamento, si dovranno fare su questa pagina di vergogna per la Repubblica italiana. Noi non parliamo a sproposito. Vorremmo sapere lui per conto di chi, quando, come e dove ha agito violando ogni norma vigente. Lui non sta dalla parte dello Stato. Noi siamo lo Stato, lui agisce per l'anti-Stato. Il caso del cosiddetto archivio Genchi e' una vergogna di dimensioni devastanti. Per certi casi ci vorrebbe la corte marziale. Sta emergendo uno dei piu' gravi e sconcertanti scandali della storia repubblicana che rischia di sommergere di vergogna interi settori dello Stato".

Il tribunale del Riesame di Roma ha appena depositato le motivazioni con cui ha annullato il decreto di sequestro del materiale informatico presente nelle abitazioni e negli uffici di Gioacchino Genchi disposto dal pm l'11 marzo 2009. Tutte le imputazioni di reato contestategli sono cadute. Tutte. Sgretolate sotto il peso della loro inconsistenza.

Gioacchino Genchi era stato inserito nel registro degli indagati per vari presunti reati: accesso abusivo a sistemi informatici e violazione della privacy per quanto riguarda le indagini da lui effettuate nell'ambito del sequestro della piccola Denise Pipitone a Mazzara del Vallo, e abuso d'ufficio, acquisizione illecita di utenze telefoniche in uso a parlamentari e servizi segreti per quanto riguarda l'inchiesta Why not, portata avanti, a quel tempo, dal pm Luigi De Magistris.

Per quanto riguarda i primi due capi di imputazione, l'accusa era di aver avuto accesso all'Anagrafe Tributaria di Mazzara del Vallo "acquisendo, elaborando e trattando dati ben oltre i termini e le finalità per i quali aveva conseguito l'abilitazione". Era insomma accusato di aver spiato persone che con le indagini non c'entravano niente. Come se Genchi, mentre indagava sulla sparizione di una bambina, si fosse divertito, già che c'era, a buttare l'occhio su tabulati telefonici di persone del tutto estranee alla vicenda. Già così, capite che l'accusa è di quelle ridicole e infatti il Tribunale non ravvisa nessun tipo di reato: "il Tribunale perviene alla conclusione della insussistenza, allo stato, del "fumus" incolpativo come prospettato dall'accusa".

Ma queste sono quisquilie. L'accusa di violazione della privacy era tanto campata per aria quanto di minima importanza. Il pm l'ha sbattuta lì tanto per fare un po' di fumo, per alzare un po' di polvere, in mancanza d'altro. Veniamo al succo della questione: le gravi incolpazioni che hanno fatto tremare i pilastri dello stato e hanno fatto gridare le istituzioni tutte al pericolo democratico.

La prima accusa è quella di aver violato l'articolo 4 e di aver "nell'ambito di un medesimo disegno criminoso,
acquisito, elaborato e trattato illecitamente i tabulati telefonici relativi ad utenze in uso a numerosi parlamentari intenzionalmente arrecando agli stessi un danno ingiusto". Genchi è dunque rappresentato dal pm come un vero e proprio criminale che passava il suo tempo a pedinare telematicamente deputati e senatori.

L'articolo 4 è quello che prevede la necessità di richiedere da parte di un giudice l'autorizzazione alla Camera prima di mettere in atto perquisizioni, ispezioni, intercettazioni in qualsiasi forma nei confronti di un membro del Parlamento. Quindi, anche ove si fosse riscontrato che Genchi, su ordine di De Magistris, avesse avuto accesso a tabulati telefonici in uso a parlamentari, la responsabilità penale sarebbe stata da attribuire a De Magistris e non certo a Genchi, che per legge non può rifiutarsi di operare secondo le direttive del giudice per conto del quale sta svolgendo le proprie funzioni di consulente.

Premesso questo, il Tribunale afferma che, dalle analisi effettuate sui documenti, emerge che "
il consulente tecnico Genchi Gioacchino, esercitando le proprie specifiche competenze tecniche, aveva adempiuto le sue funzioni di ausiliario del pubblico ministero dottor De Magistris, prestando la sua opera legalmente dovuta". Tradotto: ha operato nella piena legalità e, come suo dovere, su ordine del pm a cui prestava la propria consulenza.

A questo punto, leggendo il decreto del tribunale del Riesame, si apprendono notizie molto interessanti. Tutte le utenze telefoniche su cui Genchi ha indagato previa autorizzazione di De Magistris e che poi si sono rivelate essere in uso a Parlamentari, in realtà erano utilizzate da soggetti estranei al Parlamento che, utilizzando lo scudo di un cellulare per definizione non intercettabile, portavano avanti affari poco chiari.

Il vero scandalo dunque non è che Genchi abbia indagato su tabulati telefonici in uso a parlamentari (non poteva infatti sapere che lo fossero), ma che dei parlamentari prestassero i propri telefoni ai loro scagnozzi perchè potessero utilizzarli indisturbati senza il pericolo di essere intercettati. Capite ora il perchè Genchi sia tanto pericoloso. Era arrivato, suo malgrado, senza saperlo, a toccare i fili del potere. Aveva messo il naso in questioni che dovevano assolutamente rimanere nascoste, occultate sotto il "segreto di stato".

Chi sono questi parlamentari che prestavano con troppa facilità i propri cellulari? Innanzitutto c'è il senatore Beppe Pisanu, il cui cellulare 335-353656 era in realtà intestato a una certa Stefania Ilari, un'avvocatessa di Roma, entrata nel mirino di Genchi e De Magistris sempre nell'ambito dell'inchiesta Why not.

Genchi si imbatte anche in un altro numero di telefono (335-1282774), intestato al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, verso cui Antonio Saladino nel giugno 2006 operava una telefonata e da cui nel settembre 2006 riceveva due messaggi sms. E' chiaro che Genchi allora non poteva immaginare che quel numero fosse in realtà in uso ad un parlamentare. Quel parlamentare era in realtà il ministro della Giustizia Clemente Mastella.

E ancora, il 20 aprile 2007 Genchi chiede a De Magistris l'autorizzazione ad indagare su cinque di numeri telefono tutti intestati e in uso ad Agazio Loiero, presidente della regione Calabria. Chiedeva inoltre di poter effettuare accertamenti sul numero 335-5361848 intestato a un certo Gianni Mazzoran di Monastier di Treviso. Genchi non avrebbe mai immaginato che tale utenza fosse riconducibile in realtà all'onorevole Domenico Minniti, detto Marco, l'allora Vice Ministro dell'Interno.

D'altra parte risulta evidente dai documenti depositati dalla difesa che l'operato di Genchi è stato sempre cristallino e votato alla trasparenza e alla legalità. Quando, per esempio, si è imbattuto in una serie di numeri di telefono che comparivano nell'agenda telefonica di Saladino sotto il nome "Romano Prodi cell", Genchi giustamente si è fermato e non ha proceduto, in vista di una eventuale richiesta di autorizzazione preventiva alla Camera dei Deputati.

Le conclusioni del Tribunale sono precise e incontrovertibili: "Le attività di acquisizione, di elaborazione e di trattamento dei dati storicizzati nei tabulati attestanti il traffico telefonico compiute dal consulente tecnico dottor Genchi non possono definirsi illecite. Egli non violò le guarentige a tutela dei parlamentari interessati dalle acquisizioni dei tabulati di traffico telefonico. Non sussiste profilo di illiceità nella condotta acquisitiva del dottor Genchi".

Per quanto riguarda l'accusa di aver violato il segreto di stato acquisendo illegalmente tabulati di cellulari in uso ai servizi segreti, il Tribunale è molto sbrigativo data l'inconsistenza e la genericità dell'accusa del pm, che, tra parentesi, ci fa una figura barbina. Il tribunale afferma sostanzialmente che non esiste alcuna norma per cui il personale dei servizi segreti debba essere al di sopra della legge e, siccome Genchi ha operato sempre nella legalità e rispettando le direttive del pm De Magistris, non c'è nulla che gli si possa imputare. Tanto meno si capisce come avrebbe potuto Genchi mettere in pericolo la sicurezza dello stato. Anche per quanto riguarda l'abuso d'ufficio, il Tribunale taglia corto e afferma che le contestazioni non sono corrispondenti all'ipotesi di reato.

Bene. La più grande mistificazione della storia d'Italia, come l'ha definita Genchi, è stata smascherata.

Attendo ora i titoloni in prima pagina e le scuse dei tg nazionali.

Ma forse non ci saranno. Non è il momento per certe cose. C'è da celebrare la leggendaria vittoria di Ferdi al Grande Fratello.

domenica 19 aprile 2009

Silvan contro Silvio


Se qualcuno avesse ancora dubbi sul tipo di regime sovietico che vige negli studi della Rai, ascolti questa storia. L'ho letta due giorni fa in prima pagina su La Stampa e non volevo crederci. Ho pensato che fosse un'esagerazione del giornalista e non le ho dato molto peso. Poi sono andato su Youtube, ho ritrovato il filmato in questione e devo dire che sono rimasto di sasso.

La scenetta è agghiacciante. Siamo a Domenica In, RaiUno. In studio il mago Silvan, che sta presentando uno dei soliti stantii giochi di prestigio al grido "Sim sala bim" con tanto di fazzolettino rosso e bacchetta magica. Di fianco a lui, a reggere il fazzolettino, la conduttrice Lorena Bianchetti, nota al grande pubblico come volto immagine della comunicazione religiosa della Rai. A un certo punto a Silvan, quasi di sfuggita, scappa una battuta: "Questa bacchetta magica poi la regaleremo a Berlusconi". E' un evidente richiamo alla frase del premier di qualche giorno fa in cui spiegava di non avere la bacchetta magica per ricostruire l'Abruzzo.

Sacrilegio, grande sacrilegio! Panico in studio. Il volto della Bianchetti da sorridente si trasforma in funereo, quasi disgustato. Diventa pallida, la mano che regge il fazzolettino quasi tremante, lo sguardo fisso davanti a lei, uno sguardo di puro terrore. Le passano davanti le immagini di tutta la sua vita, una carriera gloriosa che rischia di essere stroncata dall'imprudenza di un mago cialtrone. Chissà cosa pensa. Sarebbe divertente saperlo. Quell'immobilità, quella paralisi, quel ghigno sulla bocca, come di un condannato a morte in attesa della sedia elettrica. Sembra che stia quasi per scoppiare in lacrime. Poi si riprende, si guarda attorno a cercar aiuto. Il mago che prosegue nel suo patetico spettacolino. Ma quando la smette questo guitto? Devo riparare, devo riparare! Devo riequilibrare, devo riequilibrare! Sembra una belva in gabbia. Non si contiene più, fa cenno a qualcuno fuori campo che è tutto sotto controllo e ci penserà lei a riportare la trasmissione nei binari della decenza.

Ecco che Silvan termina la sua scenetta, l'anello è scomparso come da copione, ma in studio nessuno ha voglia di ridere, nessuno ha voglia di applaudire. E' un momento triste per la televisione pubblica. Dopo le polemiche su Santoro, un altro impertinente che ha osato pronunciare il nome di Berlusconi invano. La Bianchetti prende subito la parola, è palesemente imbarazzata, si dissocia dall'orribile battuta del mago Silvan e parte in un pistolotto sulla magnificenza e sulla straordinarietà delle Istituzioni "che stanno mostrando sul campo davvero un impegno concreto". Il mago si guarda attorno sconcertato.

E' evidente che siamo arrivati a livelli di indecenza che travalicano il ridicolo. Il solo fatto che negli studi della Rai vi sia un supervisore fisso che controlla affinchè non una parola sconveniente scappi agli ospiti in studio, fosse solo la semplice parola "Berlusconi" pronunciata invano, il solo fatto che la conduttrice si senta in dovere di rassicurare l'occulto supervisore, il solo fatto che poi si prostri in ginocchio, con la lingua a spazzolare i pavimenti di Domenica In, e prenda le distanze da niente po' po' di meno che il noto pericoloso comunista mago Silvan, dimostra i livelli infimi in cui è crollata la televisione di stato.

Berlusconi è il padrone di tutto, ma soprattutto di tutti. Non sarà un caso che a livello di libertà di informazione il nostro paese è all'ottantesimo posto su scala mondiale, insieme agli stati dittatoriali africani. Berlusconi, con la colpevole complicità della sinistra, è riuscito in tutti questi anni nel clamoroso intento di stravolgere un paese, di diventare padrone delle coscienze, raggiungendo livelli di consenso imbarazzanti, anomali per un paese democratico.

Si nomina più uguale degli altri, al di sopra della legge, con un lodo che straccia i principi cardine della Costituzione e aumenta i consensi. Regala la parte sana di Alitalia ad un gruppo di imprenditori avvoltoi in pieno conflitto di interesse e ne riversa sui contribuenti tutti i debiti e aumenta i consensi. Difende un ladro morto latitante come Bettino Craxi, demonizza l'operazione Mani Pulite e aumenta i consensi. Inneggia all'eroe Vittorio Mangano, mafioso ergastolano pluriomicida e aumenta i consensi. Insulta i magistrati e aumenta i consensi. Irride Obama, fa il pagliaccio tra i capi di stato, fa innervosire la regina e aumenta i consensi. Racconta barzellette dal gusto orrendo sui campi di sterminio e sui desaparecidos argentini e aumenta i consensi. Promette di militarizzare lo stato e aumenta i consensi. Nega la crisi e prende per il culo i disoccupati e aumenta i consensi. Passeggia sui morti d'Abruzzo, prende per il culo gli sfollati, censura la stampa, stramaledice i giudici e aumenta i consensi.

Tutto ciò è il sintomo inequivocabile di uno stato degenerato, morto, finito. Come è stato possibile tutto questo? La massima colpa è dei giornalisti. Berlusconi sarebbe nulla senza la stampa e le televisioni. Sono loro che creano il consenso. In loro è il potere di sancire vita e morte di una persona. Per questo il loro lavoro è di una delicatezza estrema. Per questo ci vorrebbero giornalisti seri, indipendenti che facessero sentire la loro voce, forte e autorevole, ogni volta che ce ne sia bisogno. E' chiaro che una campagna d'odio orchestrata ad arte dai media, anche fondata sul nulla, ha il potere di distruggere chiunque.

Guardate per esempio il caso Genchi, a cui dedicherò uno dei prossimi post. E' stato crocifisso per mesi. E' stato dipinto come il mostro che attentava alla stabilità democratica dello stato. E' stato preso un degno servitore dello stato, della valenza di un Falcone o di un Borsellino per intenderci, ed è stato esposto alla pubblica gogna per aver indagato su fatti troppo scottanti. Fatti che devono rimanere nascosti. Primo su tutti la strage di Via D'Amelio. Berlusconi parlò del più grande scandalo della storia italiana. Rutelli annunciò che era in pericolo la democrazia. Gasparri, sempre molto contenuto, chiese l'intervento della Corte Marziale.

La stampa, anzichè smontare la montagna di fandonie raccontate sul conto di Genchi, per mesi alimentò i sospetti, ne demonizzò la figura (non scorderò mai un paio di editoriali vergognosi del vicedirettore di Repubblica D'Avanzo sul tema) e face a gara a sparare cifre a caso, sempre più esorbitanti, sempre più ridicole. Una volta terminata l'offensiva mediatica, nel silenzio più totale, Genchi, solo e abbandonato, è stato cacciato dalla Polizia, con tanto di ritiro di pistola, tesserino e distintivo, con un pretesto che definire comico è riduttivo. E' stato indagato dalla Procura di Roma per violazione della privacy. Ha poi subito la perquisizione del suo ufficio da parte dei Ros che gli hanno sequestrato tutti gli archivi e tutto il materiale custodito. Lui ha fatto ricorso e in questi giorni il Riesame gli ha dato ragione. Il sequestro operato dai Ros era assolutamente illegittimo. Genchi ha sempre operato nella legalità e per conto dei magistrati. Attendo ancora le scuse di tutti quanti hanno gridato al mostro. Attendo un editoriale riparatore di D'Avanzo.

La verità è che i giornalisti hanno nelle mani un potere enorme, ma l'hanno svenduto al dio Berlusconi, il nuovo idolo a cui offrire preghiere, ori e sacrifici riparatori. Non è un linguaggio paradossale il mio. L'episodio, di per stupido del mago Silvan, dimostra come si sia arrivati ad un culto quasi religioso della divinità Berlusconi. Il solo nominarlo a sproposito crea imbarazzo, terrore, panico. L'ira degli dei è pronta ad abbattersi tremenda su chiunque non ne tessa le lodi, luminose lodi.

E' una situazione talmente grave e soffocante che non credo la gente nemmeno se ne renda più conto. Il giornalismo in Italia è una struttura marcia, nauseabonda, organica al potere per il potere. Sono i giornalisti i veri responsabili dell'abisso antidemocratico in cui è sprofondata l'Italia. Hanno sulle loro spalle una responsabilità tremenda, per non aver mai detto ciò che la gente avrebbe dovuto sapere, per aver taciuto, per aver coperto, per essere stati ed essere collusi col regime italiano più autocrate dopo il ventennio.

Bisognerebbe prendere sul serio l'appello di Antonio Tabucchi che propone di denunciare al Consiglio d'Europa l'inaccettabile stato dell'informazione in Italia. La totale mancanza di libertà sui giornali e soprattutto sulle televisioni, palesemente schierate a tutela e difesa ad oltranza di ogni nefandezza operata dal governo, è una vergogna di chiaro stampo comunista che deve essere conosciuta e urlata al di fuori dei patrii confini.

Se gli Italiani sono morti, l'ultima speranza sono i Tedeschi, i Francesi, gli Spagnoli.

Per favore, salvateci.

sabato 18 aprile 2009

Una risata li seppellirà


Non c'è che dire. Mauro Masi è una persona dalla schiena dritta. Si è insediato a viale Mazzini la settimana scorsa e nel giro di un paio di giorni è riuscito a farsi convincere a portare sotto osservazione del Consiglio di Amministrazione Rai ben tre programmi, le ultime due puntate di Annozero e l'ultima di Report, ha intimato a Santoro di riequilibrarsi e ha sospeso il suo vignettista di fiducia. Se non altro un uomo dalle idee chiare. Ha perfettamente capito chi comanda e agisce di conseguenza. D'altronde, poveretto, c'è da capirlo. Non ha fatto in tempo a posare il sedere sulla poltrona che il telefono ha cominciato a squillare come un ossesso vomitandogli addosso tutte le lamentele dei vari Berlusconi, Fini, Gasparri, Cicchitto, Rotondi, Bonaiuti, Garra, Tremonti e perfino prelati e arcivescovi.

Per un uomo così c'è solo da avere un po' di compassione, schiacciato com'è in una delicatissima posizione di finto potere. Nemmeno il Presidente Garimberti gli è venuto in soccorso. Si è chiuso nel più ermetico dei silenzi e, pilatescamente, gli ha fatto capire: sbrigatela tu perchè io non ci voglio entrare in queste polemiche. Masi allora ha preso il cuore in mano, ha ponderato pro e contro e ha infine deciso di fare quello che tutti sapete: diramare un comicissimo comunicato in cui auspicava un riequilibrio dell'informazione e, gia che c'era, per agevolare il riequilibrio si intende, diffidare Vauro dal presentarsi in trasmissione con le sue vignette indecenti. Si è passati dall'ormai storico "Santoro, si contenga!" al più innovativo "Santoro, si riequilibri!".

Quale assist migliore per un volpone della tv come lui. Santoro è stato al gioco, perchè sicuramente trattasi di gioco e non di roba seria, ha preso la palla al balzo e ha rilanciato facile, fin troppo facile. I tentennamenti di Masi dovuti all'inconsistenza delle accuse mosse al programma, il suo voler far la voce grossa senza poter di fatto intervenire, il suo abbaiare senza possibilità di mordere, la ripicca di voler mutilare l'intervento finale di Vauro in mancanza d'altro hanno reso le sue mosse così impacciate e ridicole. O hai il fegato di sospendere il programma in toto prendendotene tutte le responsabilità, o taci. Così facendo si è esposto al pubblico ludibrio sui cui Santoro e compagni hanno infierito. Ma come dargli torto: se l'è andata a cercare.

L'idea di vietare l'apparizione di Vauro in televisione si è dimostrata tanto insulsa quanto miope. Un errore da principianti. Hanno scambiato la persona con le sue idee. Hanno creduto di poter censurare le idee annullando la persona. E non hanno previsto che non era necessaria la presenza di Vauro perchè venisse messa a tacere la sua matita graffiante. E' bastata la presenza di una vignettista improvvisata che leggesse le vignette al posto di Vauro, ancora più numerose e più dissacranti del solito, e il gioco è fatto. Semplice, troppo semplice. Ma se la sono andata a cercare: non ci poteva essere risposta più lineare e geniale contro l'ottusità di un potere che crede di poter imporre con la forza la propria autorità senza un minimo di autorevolezza.

Come se la sono andata a cercare tutta quella schiera di cortigiani di palazzo che, palesemente invidiosi di come Santoro possa permettersi incredibilmente di andare controcorrente, hanno riversato in questi giorni contro di lui tutto il loro astio. Tra questi meritano una menzione speciale il nostro Bruno Vespa, esempio fulgido di giornalismo equilibrato e indipendente, che addirittura osava frignare come un bambino per il fatto che Santoro in Rai avrebbe "una posizione di privilegio". Lui, poverino, con la seconda serata assicurata 365 giorni all'anno per volere divino, con la cara mogliettina Iannini a capo del dipartimento per gli Affari di Giustizia del ministero della Giustizia, è davvero discriminato e non si può che averne compassione per un maltrattamento tanto evidente quanto inaccettabile. E' lo stesso Vespa, tanto per dire, che, beccato in imbarazzanti intercettazioni telefoniche con il portavoce di Fini, gli assicurava che gli avrebbe "strutturato e confezionato addosso la trasmissione". Tanto per far capire cosa si intenda per "informazione equilibrata".

Merita di essere citato anche lo scribacchino del nostro presidente del Consiglio, il direttore de Il Giornale, Mario Giordano, che, dopo aver partecipato ad Annozero come ospite libero di dire qualunque cosa, da giorni dedica a Santoro paginate e paginate di insulti ed improperi e si indigna e si scandalizza per un uso indecente del servizio pubblico pagato con i soldi dei cittadini, dimenticandosi forse che il suo giornaletto, confezionato tra le mura di Casa Berlusconi, vive con l'unico scopo di diffamare in modo imperterrito 24 ore su 24, con costanza decisamente ammirevole, Di Pietro e Travaglio. Un esempio luminoso di quello che Masi definirebbe "informazione equilibrata".

E per finire come non nominare il caro Emilio Fede, trasposizione televisiva di Mario Giordano, che passa i telegiornali a dileggiare, diffamare e vomitare insulti contro i terroristi dell'informazione, come li chiama lui. Altro prototipo di giornalismo indipendente, pacato ed equilibrato.

Gli sta fin troppo bene: se la sono andata a cercare e Santoro non si è lasciato sfuggire l'occasione per menare stoccate a tutti e tre. Quella frase, "Siamo un Tg4 fatto bene", è geniale e rimarrà nella storia per aver condensato in una battuta l'ipocrisia di chi continua a chiedere la censura dell'antiberlusconismo salvo poi elegiarne paradossalmente gli effetti benefici per il cavaliere. Non si sono mai viste tante persone mobilitarsi per tarpare le ali a un programma che a detta loro contribuirebbe alla vittoria di Berlusconi. Evidentemente c'è qualcosa che non torna.

E fa ancora più ridere, a me personalmente fa piegare dalle risate, vedere tutti i tromboni degli indignati andare su tutte le furie dopo questo ennesimo oltraggio alla decenza. Giordano è tornato alla carica più violento di prima, ha dimenticato d'un lampo i morti sotto le macerie e da due giorni dedica la prima pagina a Santoro ("Sempre più squilibrato") accusandolo di ogni sorta di nefandezza. Gli avevano ordinato di fare una puntata di riparazione e lui invece ha disobbedito! Una provocazione inaudita! Ha addirittura rincarato la dose! Gli avevano proibito di avere in studio Vauro e lui ha mostrato non una ma ben quindici sue vignette! Uno scandalo! Intervengano immediatamente i vertici Rai! Come si permette! Ma guai a toccare Santoro! Non bisogna farlo diventare un martire! E via dicendo...

Voi capite quanto siano comiche queste rimostranze. Ricordano tanto quei bulletti di periferia che urlano e strepitano e cercano la rissa e quando il malcapitato, invece di scendere al loro livello e sottomettersi alla loro arroganza, si dimostra superiore, li irride e si prende gioco della loro ottusità, battono i piedi ancora più infuriati, diventano rossi paonazzi e non si capacitano di come il malcapitato possa rimanere calmo di fronte alle loro intimidazioni.

Ieri perfino l'agente segreto Renato Farina, nome in codice Betulla, si strappava le vesti dalle pagine di Libero stigmatizzando la manipolazione dell'informazione di stampo santoriano. Detto da uno che è stato radiato dall'ordine dei giornalisti per aver pubblicato notizie false in cambio di denaro dal Sismi, che ha scritto un dossier falso su Romano Prodi per conto dei servizi segreti e che ha patteggiato una pena di sei mesi di reclusione per favoreggiamento nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento di Abu Omar, suona quasi come un complimento.

E poi c'è l'Arcivescovo de L'Aquila, monsignor Molinari, che non ha trovato di meglio da fare che scomunicare la trasmissione di Santoro ritenendo "vergognoso che si permettesse sulla televisione pubblica un dileggio così incivile su un dolore tanto grande affrontato dagli Aquilani con molta dignità e un così evidente disprezzo di tutti i soccorritori e i volontari che hanno contribuito con meravigliosa generosità e affrontando gravi rischi a salvare moltissime vite umane". Salvo poi scoprire che l'alto prelato la trasmissione nemmeno l'aveva vista ("Ma Santoro mi sta comunque antipatico! E' sempre polemico!") e solo il giorno dopo aveva osservato qualche vignetta sui giornali. In particolare l'aveva colpito una vignetta, però non quella fatidica sulle cubature dei cimiteri, ma, guarda caso, quella su Berlusconi, ritratto come Nerone che suona la cetra e annuncia la New Town. Tralascio ogni commento sulla pietosa figura dell'arcivescovo, troppo preoccupato a difendere l'immagine di Berlusconi e a sorridere compiaciuto per la cacciata del comunistone Vauro ("Sicuramente non è un poveraccio che non troverà lavoro...").

Se ha un merito la trasmissione di Santoro, è quello di aver fatto uscire allo scoperto tutti questi leccapiedi di palazzo a cui sta tanto a cuore, a sentir loro, la pluralità dell'informazione, ma che non si fanno scrupoli a chiedere e strillare nuove sanzioni e sempre più dure nei confronti di chi semplicemente non si allinea al loro coro adulante dal sapore di Minculpop, come ha dimostrato comicamente Travaglio. E più non ci si allinea, più loro strillano, si agitano, imprecano. E più loro imprecano, più si ride di loro, della loro pochezza e della loro "schiena prona".

Se ne facciano una ragione. Una risata li seppellirà.

mercoledì 15 aprile 2009

Gli squilibrati


Quando vedete il nostro presidente del Consiglio andare in conferenza stampa e dichiarare con faccia puntuta, sincera e impotente: "Faremo il possibile, ma purtroppo non abbiamo la bacchetta magica", quando sentite il ministro dell'Interno Maroni (a Ballarò) sostenere che il referendum sulla legge elettorale non si deve accorpare alle elezioni europee perchè comunque "il risparmio non sarebbe poi così grande" e il denaro per rimettere in sesto l'Abruzzo è in confronto una somma enormemente più alta, quando ascoltate il sottosegretario Crosetto (ad Annozero) sostenere le folli spese per il Ponte sullo Stretto perchè "le grandi opere non sono alternative agli interventi di edilizia primaria, ma anzi si devono portare avanti contemporaneamente", quando adocchiate il ministro dell'Economia Giulio Tremonti che difende la patacca delle social card per metà completamente vuote, quando poi soprattutto incontrate per strada il ministro della Difesa Ignazio La Russa che dice di non riuscire a trovare i soldi per mettere la benzina nelle auto della polizia, provate a porre loro questa domanda.

Perchè il Governo, con l'avallo delle Commissioni Difesa di Camera e Senato, ha approvato pochi giorni fa uno stanziamento di oltre 13 miliardi euro, dicansi tredici mila milioni di euro, per l'acquisto di 131 caccia-bombardieri da attacco F-35 Lightning II nell'arco dei prossimi diciotto anni?

Vi insulteranno, borbotteranno qualcosa, faranno finta di aver ricevuto una telefonata e se la daranno a gambe. Una notizia che ho dovuto scovare in rete, quasi per caso. Leggete qui se volete farvi il sangue marcio. Nessun organo di stampa l'ha riportata, impegnati com'erano a dare addosso allo sciacallo Santoro, al suo leccapiedi Vauro e al suo giullare Travaglio.

A proposito. Registro il ravvedimento di Aldo Grasso, gentilmente prestato per un giorno ai tromboni della stampa allineata, il quale oggi, dopo aver ricevuto, come lui stesso ammette, valanghe di critiche e insulti per il suo editoriale, fa marcia indietro, si rimangia tutto e, in modo a dir la verità piuttosto patetico, tenta di minimizzare e giustificare le sparate gratuite del giorno prima imbastendo un lungo discorso che fa esattamente a pugni con i giudizi tranchant espressi nel proprio articolo. Una correzione in corsa che suona ancora peggiore del danno perchè dimostra inequivocabilmente la malizia e la mala fede di certe accuse e di certi attacchi.

Grasso rivendica il proprio diritto alla critica: se Santoro può criticare tutto e tutti non si vede perchè lui non possa criticare a sua volta Santoro. Ragionamento che non fa una piega. Se solo non fosse che il noto critico televisivo aveva concluso il suo pezzo denunciando un "abuso di libertà" da parte del giornalista di RaiDue. Ora, parlare di "abuso di libertà" non è proprio una semplice critica, è una accusa pesantissima e gravissima che presuppone ed auspica un intervento immediato che metta fine a un tale abuso, come poi si è effettivamente verificato. Un odioso invito, nemmeno troppo implicito, alla censura. Grasso oggi ci spiega che secondo lui i veri sciacalli sono quei giornalisti che vanno a mettere il microfono sotto il naso alla gente che piange per strapparne una dichiarazione commovente. Grazie per la lezione, ci eravamo arrivati da soli. E poi: non dirlo a noi. Vallo a dire, per esempio, che ne so, a Vespa, tanto per fare un nome a caso.

Grasso conclude il suo intervento riparatore precisando di non aver voluto per nulla entrare nel merito della polemica politica: lui è un critico della televisione e certe cose non gli riguardano. Evidentemente, a distanza di pochi giorni, nemmeno si ricorda di quello che lui stesso ha scritto. Mi spiace per lui, ma non è passata inosservata la stoccata, abbastanza vigliacca perchè completamente gratuita e fuori luogo, nei confronti di uno degli ospiti in studio ad Annozero, l'ex magistrato Luigi De Magistris, ora candidato al Parlamento Europeo nelle file dell'Idv. Il suo commentino acido e ironico con tanto di punto esclamativo ("Che acquisto per la politica!") non aveva nulla a che fare con il discorso, ma semplicemente, in maniera questa sì molto qualunquista, derideva una delle poche persone pulite e genuine sedute in quello studio che ha fino ad oggi prestato un eccellente servizio allo stato nella lotta alla criminalità organizzata e allo sradicamento del grumo mafioso di interessi politico-imprenditoriali nel sud Italia. Di fronte ad una persona che ha pagato sulla sua pelle il coraggio di aver toccato quei fili dell'alta tensione che proteggono politici, mafiosi e neopiduisti e che ora vuole mettere la propria esperienza al servizio di chi deve vigilare sui finanziamenti europei che piovono in Italia senza alcun controllo bisognerebbe avere solo un po' di rispetto. E non gratuite parole di compatimento.

Quanto al resto, il finale era abbastanza scontato. I rimproveri ufficiali del neo direttore generale della Rai, Mauro Masi, che intima a Santoro di fare una puntata riparatrice in cui "siano attivati i necessari e doverosi riequilibri informativi" suonano sinistri e puzzano di marcio. Cosa ci sia da riequilibrare non si capisce. Si capisce invece, si capisce eccome, perchè il mese scorso sia stato scelto proprio lui a capo del servizio televisivo pubblico. Masi ha dimostrato con il suo comunicato di essere nient'altro che un burattino nelle mani dei maggiori partiti, si badi bene, non del governo, ma dei partiti in generale (Pd e Pdl) ai quali Santoro sta letteralmente sulle palle da tempo. Non è tanto questione di governo berlusconiano, è questione di un'informazione sempre più "appecoronata" alla politica, prona ad ogni richiamo, pronta a mettersi sull'attenti o in ginocchio a seconda dei capricci dei politici di turno.

E' una situazione francamente inaccettabile, soffocante, che puzza di regime. Il coro dei politici indignati che chiede sanzioni immediate, il coro della stampa asservita che amplifica e rincara l'indignazione dei politici creando un polverone ingiustificato e infine la mano operativa di chi deve mettere in pratica decisioni prese altrove che cala ineluttabile a colpire l'obiettivo designato fanno parte di un unico perfetto ingranaggio che ha a cuore un'unica cosa: l'eliminazione delle voci dissonanti. Tra l'altro a fronte di una puntata, come l'ultima di Annozero, decisamente tranquilla, filata via in studio con un dibattito acceso, ma nemmeno troppo, di gran lunga più pacata di molte altre, dove le voci antagoniste di Giordano e Crosetto hanno avuto tutto lo spazio che richiedevano. La verità è che la classe politica si è stancata di Santoro e deve trovare un motivo per farlo saltare, insieme a Travaglio e alla "banda dei quattro", colpevoli di dar troppo spazio in televisione alle tesi dipietriste. Questa è la verità.

Cos'altro è se non un avvertimento in stile mafioso la sospensione decisa a tavolino del vignettista Vauro? Come ai pentiti che parlano troppo si fanno fuori uno dopo l'altro tutti i famigliari in modo tale che gli passi la voglia di cantare, così hanno deciso di iniziare a creare il vuoto intorno a Santoro. Il pretesto della vignetta dissacrante per mutilare una trasmissione di successo, non a caso una delle più seguite della Rai, che però dà maledettamente fastidio ai potenti è di una vigliaccheria inaudita.

La vignetta incriminata di Vauro avrebbe il difetto di essere "gravemente lesiva dei sentimenti di pietà dei defunti e in contrasto con i doveri e la missione del servizio pubblico". Una dichiarazione, questa sì, da squilibrati. La cosa grottesca infatti è che Vauro è stato sospeso come capro espiatorio proprio dopo l'unica puntata in cui le sue vignette sono state pensate non per far ridere (non se ne sentiva infatti la necessità), ma per far riflettere. Il riferimento alla cubatura delle bare non era per nulla ironia spicciola, non era satira, era una denuncia fortissima allo scriteriato piano casa proposto da Berlusconi qualche giorno prima del terremoto. Cosa che, ovviamente, hanno fatto finta di non cogliere.

Ma non importa. Tutto fa brodo. Per quanto puerile e insensata sia la motivazione, il risultato è stato raggiunto. E' questo ciò che conta. Masi ha fatto bella figura nei confronti di Fini e Berlusconi, di Cicchitto e di Gasparri, di Garra e Bonaiuti. Ha le spalle coperte e rimarrà al suo posto ancora per un po'.

Dopo Biagi, Santoro, Luttazzi, rimane sul campo di battaglia il corpo di un gregario, un umile vignettista, evidentemente troppo impertinente per una classe politica allergica alla critica sottile, insofferente a tutto ciò che non sia moderato, entro le righe, equilibrato.

Più precisamente, autonomamente asservito.

martedì 14 aprile 2009

Gli indignati


Siamo alle solite. Perfino in un momento così drammatico e delicato per il nostro paese, colpito da una tragedia di proporzioni devastanti con quasi trecento morti sotto le macerie d'Abruzzo e sessanta-settanta mila sfollati nelle tendopoli, i nostri politici non trovano di meglio che occuparsi di quanto viene detto nella trasmissione di Santoro, divenuta ormai da tempo l'obiettivo consacrato di critiche, attacchi, denunce, insulti, strali da parte di coloro che si strappano le vesti e urlano il loro sdegno per un servizio pubblico che, a detta loro, non fa il proprio dovere.

Sono le schiere degli indignati. Ce n'è sempre una vasta teoria dopo ogni puntata di Annozero. Vi fanno parte personaggi ormai consolidati, gli habitué dell'indignazione potremmo dire, tra cui primeggia incontrastato per acredine e stridulo livore il capogruppo del PDL al Senato Maurizio Gasparri, che non perde mi occasione per dire la sua sul modo e sul metodo con cui è impostato e condotto il programma di RaiDue. Come se fosse roba sua. Poi ci sono tutta quella serie di comparse, le new entry dell'indignazione, che saltano su di volta in volta e scoprono con grande sorpresa personale che il servizio pubblico non fa il proprio dovere. Ove, per servizio pubblico inefficiente, si intende solo ed esclusivamente la trasmissione di Santoro, essendo tutti gli altri programmi notoriamente liberi, trasparenti, obiettivi, imparziali, portatori di verità e dunque immuni da ogni tipo di critica. A questi ultimi si è aggiunto in questi giorni perfino il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che, aggirandosi tra le macerie de L'Aquila, ha trovato il tempo per stigmatizzare l'ultima puntata di Annozero definendola "indecente" e definendosi "profondamente indignato".

Ora, il punto è capire quali siano questi doveri che il servizio pubblico deve rispettare. E' il dovere di non dire nulla che possa risultare sconveniente o politicamente scorretto? E' il dovere di mantenere una linea moderata che piaccia al governo? E' il dovere di allinearsi alla televisione del dolore e della commozione, che tanto piace ai direttori perchè porta audience e picchi d'ascolto inarrivabili? E' il dovere di non creare alcuna polemica, semplicemente perchè non sta bene? E' il dovere di non porre domande scomode? E' il dovere di far apparire tutto bello e perfetto? E' il dovere di nascondere le voci del dissenso e della denuncia? E' il dovere di non chiedere mai di chi siano le responsabilità pregresse, ma di incensare sempre e comunque l'eroismo del giorno dopo?

Perchè, se questo è effettivamente il dovere del servizio pubblico, beh, Bruno Vespa, tanto per fare un esempio, ne è a tutti gli effetti l'integerrimo rappresentante. Lui, che cammina tra la polvere, i detriti e i calcinacci con aria funebre, che si sofferma a cercare per terra qualche segnale di vita, che raccoglie da terra un orsacchiotto, trovato lì per caso si intende, e, con occhi lucidi, recita: "Non c'è terremoto in cui non si trovino cose di questo genere... (pausa teatrale) ...cose così dolorose... (pausa teatrale) ...sempre... (pausa teatrale) ...li abbiamo visti in Friuli, li abbiamo visti in Irpinia, li abbiamo visti a Perugia... (pausa teatrale) ...e adesso anche a L'Aquila". Così come ne sono validi rappresentanti, senza ovviamente mai sfiorare le vette vespiane, tutti quei giornalisti sguinzagliati tra gli sfollati, come lupi tra branchi di pecore indifese, in cerca della testimonianza più straziante, del particolare più macabro, dell'immagine più dolorosa, della scena più forte.

E' talmente prorompente questa ricerca spasmodica dello scoop strappalacrime da risultare a volte tragicomica. Domande del tipo "Come si sente?" rivolte ad un poveraccio sdraiato su una barella con la mascherina dell'ossigeno sulla bocca, domande del tipo "Quanti cadaveri sono già stati estratti?" rivolto a un padre che aveva appena ritrovato il corpo morto del figlio, domande tipo "Si riesce a dormire?" rivolte alle famiglie stipate nelle macchine, domande tipo "Stasera dove dormite?" rivolte a gente che ha perso tutto, domande tipo "Ma lei come mai è qui? Ha qualche persona cara lì sotto?" e ancora "Ha avuto paura del terremoto?", "La scossa è stata violenta?", "Lei cosa ci fa qui? Aspetta un posto letto?", "Cosa vi cadeva in testa mentre scappavate?", "Preferite dormire in tenda o in albergo?".

Questo, evidentemente, è il dovere del servizio pubblico. Quello di parlare alla pancia della gente, di suscitarne la commozione, di ingenerarne la lacrima facile, in modo che rimanga il più possibile incollata agli schermi televisivi. La gente, evidentemente, vuole questo. Di fronte alla tragedia ha bisogno di piangere, ha bisogno di provare commozione, ha bisogno di mettere alla prova i propri sentimenti, ha bisogno di scoprirsi in grado di avere delle emozioni, di avere sensibilità e istinti di generosità. Fatto questo, è in pace con se stessa. Mandato il messaggino da un euro, va a dormire tranquilla. "Questo non è il momento della polemica, ma della commozione". Dietro questo slogan ci si pulisce la coscienza e si lavano via le responsabilità.

Trovo personalmente grave, molto grave, che ancora una volta si strumentalizzi una situazione, per altro in questo caso sconvolgente e drammatica, per mettere la mordacchia a un certo tipo di informazione scomoda e non allineata, per mettere in moto quella macchina burocratica che a partire dal presidente della Rai giù giù a scendere arrivi a sanzionare pesantemente se non a chiudere del tutto la bocca a un giornalista. Trovo poi assolutamente anomalo che questo tipo di punizioni esemplari vengano sempre direttamente dalla politica. Questi politici che hanno di solito sulle spalle responsabilità enormi, che annegano nei conflitti di interesse, che si coprono a vicenda le vergogne e che si vedono in diritto di lanciare diktat ed anatemi contro trasmissioni del servizio pubblico. Come fosse roba loro. Se sentono qualche voce fuori dal coro la stigmatizzano, se adocchiano un giornalista che approfondisce troppo lo tacciano di terrorismo, se vengono fatte passare opinioni che non gli aggradano urlano e richiedono interventi immediati degli organi di vigilanza.

Questo modo di fare è assolutamente inconcepibile in uno stato democratico dove i poteri siano ben distinti ed autonomi. Una politica che si sente in diritto e in dovere di bacchettare e zittire l'informazione ogni volta che ne sente la necessità rappresenta una degenerazione preoccupante, al di là del merito dei contenuti contestati. Qui non si tratta di stabilire se il modo in cui Santoro ha impostato la trasmissione sia più o meno condivisibile. Non si tratta di essere d'accordo o meno con le denunce che il suo programma ha lanciato. Qui è in discussione la libertà di informazione, la libertà di pensiero e di parola. Chiunque ha il diritto di essere completamente contrario alle tesi esposte nell'ultima puntata di Annozero, chiunque ha il diritto di dissentire, chiunque ha il diritto di considerare le domande proposte da Santoro futili, infondate, inadeguate o perfino stupide. Fa parte della dialettica. Fa parte della diversità di opinioni.

Nessuno però si deve permettere di chiederne la riduzione al silenzio. Nessuno si può permettere di utilizzare il disastro del terremoto per liberarsi di una voce, forse l'unica rimasta in televisione, troppo fastidiosa per il potere. Questo è assolutamente inaccettabile. Santoro può avere tutti i difetti del mondo. Può essere arrogante, supponente, fazioso, schierato, venduto, sfacciatamente di parte. Ma ha il diritto, come giornalista, di porre delle domande. E chi è chiamato in causa ha il diritto di rispondere, ma non il dovere di insultare e chiedere la ghigliottina.

Chi ha visto la puntata si sarà accorto che tutte le due ore e mezza di dibattito sono ruotate attorno ad un'unica precisa domanda a cui alla fine nessuno degli ospiti è riuscito, o ha voluto, rispondere: "Perchè, nonostante le preoccupanti avvisaglie di un terremoto fin troppo annunciato, non si è predisposto nessun tipo di misura preventiva? Perchè la macchina, efficientissima, della Protezione Civile si è attivata solo dopo l'avvenuto disastro? Forse che la logica del tranquillizzare a tutti i costi derivasse semplicemente da una mancanza di soldi per porre in atto un minima prevenzione?".

Ora, queste domande possono essere più o meno sconvenienti, ma devono essere poste da un giornalista che voglia approfondire la verità. Non c'è bisogno di insultare, di denigrare, di chiamare Santoro "sciacallo". C'è solo bisogno di rispondere a quelle domande. Cosa che nessun ospite di Annozero, l'altra sera, ha fatto. Sia il sottosegretario Crosetto che il direttore de Il Giornale Mario Giordano si sono nascosti dietro un'apologia dell'operato di Bertolaso, dietro l'eroismo dei volontari, dietro l'abnegazione dei vigli del fuoco. Cose che Santoro mai si è sognato di mettere in discussione. Lui faceva domande sul prima e loro rispondevano parlando del dopo. Tutta la puntata si è giocata su questo dialogo tra sordi senza soluzione.

Salvo poi tornare alla propria redazione, come ha fatto quell'esempio di trasparenza, buon gusto e libertà di Giordano, e sbattere in prima pagina un editoriale al vetriolo contro Santoro, cioè colui che il giorno prima l'ha invitato in trasmissione e gli ha permesso di esprimere le proprie opinioni in assoluta libertà.

Ciò che fa specie però non è Giordano, quanto per esempio un inedito Aldo Grasso, stimato opinionista, che cavalcava l'onda di una polemica inesistente e pretestuosa sulla protezione civile per buttare fango sul metodo-Santoro. Un articolo paurosamente superficiale, demagogico, che tradisce una completa ignoranza dei contenuti proposti in trasmissione e che non manca di lanciare perfino colpi bassi al neo candidato per le Europee dell'Idv Luigi De Magistris.

Benvenuto nel club degli indignati.