Siamo alle solite. Perfino in un momento così drammatico e delicato per il nostro paese, colpito da una tragedia di proporzioni devastanti con quasi trecento morti sotto le macerie d'Abruzzo e sessanta-settanta mila sfollati nelle tendopoli, i nostri politici
non trovano di meglio che occuparsi di quanto viene detto nella trasmissione di Santoro, divenuta ormai da tempo l'obiettivo
consacrato di critiche, attacchi, denunce, insulti, strali da parte di coloro che si strappano le vesti e urlano il loro sdegno per un servizio pubblico che, a detta loro, non fa il proprio dovere.
Sono le schiere degli indignati. Ce n'è sempre una vasta teoria dopo ogni puntata di
Annozero. Vi fanno parte personaggi ormai consolidati,
gli habitué dell'indignazione potremmo dire, tra cui primeggia
incontrastato per acredine e stridulo livore il capogruppo del
PDL al Senato Maurizio
Gasparri, che non perde mi occasione per dire la sua sul modo e sul metodo con cui è impostato e condotto il programma di
RaiDue.
Come se fosse roba sua. Poi ci sono tutta quella serie di comparse, le
new entry dell'indignazione, che saltano su di volta in volta e scoprono con grande sorpresa personale che il servizio pubblico non fa il proprio dovere. Ove, per servizio pubblico inefficiente, si intende solo ed esclusivamente la
trasmissione di
Santoro, essendo tutti gli altri programmi notoriamente liberi, trasparenti, obiettivi, imparziali, portatori di verità e dunque immuni da ogni tipo di critica. A questi ultimi si è aggiunto in questi giorni perfino il presidente della Camera, Gianfranco
Fini, che, aggirandosi tra le macerie de L'Aquila, ha trovato il tempo per stigmatizzare l'ultima puntata di
Annozero definendola "
indecente" e definendosi "
profondamente indignato".
Ora, il punto è capire quali siano questi doveri che il servizio pubblico deve rispettare. E' il dovere di
non dire nulla che possa risultare sconveniente o politicamente scorretto? E' il dovere di mantenere una linea moderata che piaccia al governo? E' il dovere di allinearsi alla
televisione del dolore e della commozione, che tanto piace ai direttori
perchè porta
audience e picchi d'ascolto inarrivabili? E' il dovere di non creare alcuna polemica, semplicemente
perchè non sta bene? E' il dovere di non porre domande scomode? E' il dovere di far apparire tutto bello e perfetto? E' il dovere di
nascondere le voci del dissenso e della denuncia? E' il dovere di non chiedere mai di chi siano le responsabilità pregresse, ma di incensare sempre e comunque l'eroismo del giorno dopo?
Perchè, se questo è effettivamente il dovere del servizio pubblico, beh,
Bruno Vespa, tanto per fare un esempio, ne è a tutti gli effetti l'integerrimo rappresentante. Lui, che cammina tra la polvere, i detriti e i calcinacci con aria funebre, che si sofferma a cercare per terra qualche segnale di vita, che
raccoglie da terra un orsacchiotto, trovato lì per caso si intende, e, con occhi lucidi, recita: "
Non c'è terremoto in cui non si trovino cose di questo genere... (pausa teatrale)
...cose così dolorose... (pausa teatrale)
...sempre... (pausa teatrale)
...li abbiamo visti in Friuli, li abbiamo visti in Irpinia, li abbiamo visti a Perugia... (pausa teatrale)
...e adesso anche a L'Aquila". Così come ne sono validi rappresentanti, senza ovviamente mai sfiorare le
vette vespiane, tutti quei giornalisti sguinzagliati tra gli sfollati, come lupi tra branchi di pecore indifese,
in cerca della testimonianza più straziante, del particolare più macabro, dell'immagine più dolorosa, della scena più forte.
E' talmente prorompente questa ricerca spasmodica dello
scoop strappalacrime da risultare a volte
tragicomica. Domande del tipo "
Come si sente?" rivolte ad un poveraccio sdraiato su una barella con la mascherina dell'ossigeno sulla bocca, domande del tipo "
Quanti cadaveri sono già stati estratti?" rivolto a un padre che aveva appena ritrovato il corpo morto del figlio, domande tipo "
Si riesce a dormire?" rivolte alle famiglie stipate nelle macchine, domande tipo "
Stasera dove dormite?" rivolte a gente che ha perso tutto, domande tipo "
Ma lei come mai è qui? Ha qualche persona cara lì sotto?" e ancora "
Ha avuto paura del terremoto?", "
La scossa è stata violenta?", "
Lei cosa ci fa qui? Aspetta un posto letto?", "
Cosa vi cadeva in testa mentre scappavate?", "
Preferite dormire in tenda o in albergo?".
Questo,
evidentemente, è il dovere del servizio pubblico. Quello di
parlare alla pancia della gente, di suscitarne la commozione, di
ingenerarne la lacrima facile, in modo che rimanga il più possibile incollata agli schermi televisivi. La gente, evidentemente, vuole questo. Di fronte alla tragedia
ha bisogno di piangere, ha bisogno di provare commozione, ha bisogno di mettere alla prova i propri sentimenti, ha bisogno di
scoprirsi in grado di avere delle emozioni, di avere sensibilità e istinti di generosità. Fatto questo, è in pace con se stessa. Mandato il messaggino da un euro, va a dormire tranquilla. "
Questo non è il momento della polemica, ma della commozione". Dietro questo slogan
ci si pulisce la coscienza e si lavano via le responsabilità.
Trovo personalmente grave, molto grave, che ancora una volta si
strumentalizzi una situazione, per altro in questo caso sconvolgente e drammatica, p
er mettere la mordacchia a un certo tipo di informazione scomoda e non allineata, per mettere in moto quella macchina burocratica che a partire dal presidente della
Rai giù giù a scendere arrivi a sanzionare pesantemente se non a chiudere del tutto la bocca a un giornalista. Trovo poi
assolutamente anomalo che questo tipo di punizioni esemplari vengano
sempre direttamente dalla politica. Questi politici che hanno di solito sulle spalle responsabilità enormi, che annegano nei conflitti di interesse, che si coprono a vicenda le vergogne e che si vedono in diritto di lanciare
diktat ed anatemi contro trasmissioni del servizio pubblico.
Come fosse roba loro. Se sentono qualche voce fuori dal coro la
stigmatizzano, se adocchiano un giornalista che approfondisce troppo lo tacciano di terrorismo, se vengono fatte passare opinioni che non gli aggradano urlano e richiedono interventi immediati degli organi di vigilanza.
Questo modo di fare è
assolutamente inconcepibile in uno stato democratico dove i poteri siano ben
distinti ed autonomi. Una politica che si sente in diritto e in dovere di bacchettare e zittire l'informazione ogni volta che ne sente la necessità rappresenta
una degenerazione preoccupante, al di là del merito dei contenuti contestati. Qui non si tratta di stabilire se il modo in cui
Santoro ha impostato la trasmissione sia più o meno condivisibile.
Non si tratta di essere d'accordo o meno con le denunce che il suo programma ha lanciato. Qui è in discussione la libertà di informazione, la libertà di pensiero e di parola. Chiunque ha il diritto di essere completamente contrario alle tesi esposte nell'ultima puntata di
Annozero,
chiunque ha il diritto di dissentire, chiunque ha il diritto di considerare le domande proposte da
Santoro futili, infondate, inadeguate o perfino stupide. Fa parte della dialettica. Fa parte della diversità di opinioni.
Nessuno però si deve permettere di chiederne la riduzione al silenzio. Nessuno si può permettere di utilizzare il disastro del terremoto per liberarsi di una voce, forse l'unica rimasta in televisione, troppo fastidiosa per il potere. Questo è assolutamente inaccettabile.
Santoro può avere tutti i difetti del mondo. Può essere arrogante, supponente, fazioso, schierato, venduto, sfacciatamente di parte.
Ma ha il diritto, come giornalista, di porre delle domande. E chi è chiamato in causa ha il diritto di rispondere, ma non il dovere di insultare e chiedere la ghigliottina.
Chi ha visto la puntata si sarà accorto che tutte le due ore e mezza di dibattito s
ono ruotate attorno ad un'unica precisa domanda a cui alla fine nessuno degli ospiti è riuscito, o ha voluto, rispondere: "
Perchè, nonostante le preoccupanti avvisaglie di un terremoto fin troppo annunciato, non si è predisposto nessun tipo di misura preventiva? Perchè la macchina, efficientissima, della Protezione Civile si è attivata solo dopo l'avvenuto disastro? Forse che la logica del tranquillizzare a tutti i costi derivasse semplicemente da una mancanza di soldi per porre in atto un minima prevenzione?".
Ora, queste domande possono essere più o meno sconvenienti, ma
devono essere poste da un giornalista che voglia approfondire la verità. Non c'è bisogno di insultare, di denigrare, di chiamare
Santoro "
sciacallo".
C'è solo bisogno di rispondere a quelle domande. Cosa che nessun ospite di
Annozero, l'altra sera, ha fatto. Sia il sottosegretario
Crosetto che il direttore de Il Giornale
Mario Giordano si sono nascosti dietro un'apologia dell'
operato di
Bertolaso,
dietro l'eroismo dei volontari, dietro l'abnegazione dei vigli del fuoco. Cose che
Santoro mai si è sognato di mettere in discussione. Lui faceva domande sul prima e loro
rispondevano parlando del dopo. Tutta la puntata si è giocata su questo
dialogo tra sordi senza soluzione.
Salvo poi tornare alla propria redazione, come ha fatto
quell'esempio di trasparenza, buon gusto e libertà di Giordano, e sbattere in prima pagina un editoriale al vetriolo contro
Santoro, cioè colui che il giorno prima l'ha invitato in trasmissione e gli ha permesso di esprimere le proprie opinioni in assoluta libertà.
Ciò che fa specie però non è Giordano, quanto per esempio un inedito
Aldo Grasso, stimato
opinionista, che cavalcava l'onda di
una polemica inesistente e pretestuosa sulla protezione civile per buttare fango sul metodo-
Santoro. Un
articolo paurosamente superficiale, demagogico, che tradisce una completa ignoranza dei contenuti proposti in trasmissione e che non manca di
lanciare perfino colpi bassi al
neo candidato per le Europee dell'
Idv Luigi De
Magistris.
Benvenuto nel club degli indignati.