lunedì 28 settembre 2009

Nel nome di Paolo


L'emozione. L'emozione che da bambino non ti fa dormire la vigilia di Natale. Ecco, quella: la stessa. L'autostrada, tirata a piombo, da Bruxelles a Milano e poi via, da Milano fino a Roma. Non sentire la stanchezza, un'agenda posata sul sedile posteriore, rossa. Le commesse all'Autogrill: “Ieri un signore mi ha chiesto di un nuovo giornale appena uscito, con un nome corto. Iniziava per effe”. Un fresco profumo. Roma, l'asfalto caldo del grande raccordo anulare. Alla reception dell'hotel: “Ma che è? C'è qualche gita scolastica? Come mai tutti 'sti giovani a Roma?”. Il caldo soffocante della Linea Blu. Garbatella, Piramide, Circo Massimo. “Signora, sa dove si trova piazza Bocca della Verità?”. “No, ma anch'io ci sto andando”. Le sterpaglie tristi e secche del Circo Massimo. Quella sensazione. La sensazione di star facendo qualcosa di bello, di grande, di giusto. In mano la stessa agenda, rossa.

La piazza brulicante, in attesa. Centinaia di voci, sguardi, volti. Riconoscere tra di essi quello dolce, serio, forte di Sonia. La calca affettuosa attorno a Salvatore. Cellulari, macchine fotografiche, videocamere, microfoni, taccuini, agende, immagini, mani che stringono, braccia che abbracciano, una dedica per piacere, la pazienza infinita di Salvatore. Paolo, mi fai un autografo? Paolo, per piacere, un autografo. Un autografo. Come si fa con i piloti di Formula Uno. Solo che questa gara è ben diversa. Paolo si volta, ma ha il volto di Salvatore. Non importa. In fondo, sono la stessa cosa. L'accento modenese di Marco, inconfondibile. Scoprire di conoscersi da sempre. L'esercito di Pino, capitanato da Roberto, l'uomo instancabile, sempre presente. Seduto, ma sempre presente. Il sole che ti strappa gocce di sudore dalla pelle.

Il megafono di Serenetta. Il corteo che parte, timido. Apri gli occhi, osserva. Il megafono di Sebastian. Non chiudere le orecchie, ascolta. Il megafono di Federica. Solo così sentirai il fresco profumo di libertà. La massa che si muove, lenta. Oggi mi è successa una cosa incredibile. Su le agende, su le agende. Si sollevano le agende, tutte, rosse. Quanti saremo? Cinquecento, mille, duemila? Che importa? Fuori, la mafia, dallo stato. Il ritmo che avanza, il ritmo che sale. Salvatore che guida, guardando avanti. Una mano che regge lo striscione, l'altra che regge l'agenda, rossa, ben levata in alto. Oggi mi è successa una cosa incredibile. Io oggi, mentre camminavo per le strade di Roma per venire qui. Fuori, Dell'Utri, dal senato. I turisti cinesi che si fermano e fotografano. I turisti italiani che si fermano e osservano, con aria stralunata. La voce sale, più convinta, meno timida. In fondo sono loro che si devono vergognare. L'altare della patria che ci guarda di traverso. Il Campidoglio con il sindaco chiuso dentro. O forse no. Le persiane serrate, per il caldo. O forse no. Oggi mi è successa una cosa incredibile. Io oggi, mentre camminavo per le strade di Roma per venire qui, io ho camminato insieme a Paolo. Via delle Botteghe Oscure. Stop. Il megafono di Gioacchino. Il ricordo di Berlinguer.

Via. La strada che si stringe. Le ombre che si allungano. Lo striscione ripiegato altrimenti non si passa. Fuori, la mafia, dallo stato. Più forte. Fuori, Mancino, dal CSM. Più forte. Fuori, l'agenda, di Paolo Borsellino. L'eco che risuona, rimbalza sconnessa sui palazzi. Sconnessa, ma forte e sincera. Le facce divertite dei turisti giapponesi. Le facce impaurite delle signore sedute al bar. L'agenda sempre in alto, rossa, per un'ora e mezza. Fa male al braccio. Ma a Salvatore no. Il suo braccio è quello più proteso, levato come un vessillo. Oggi mi è successa una cosa incredibile. Io oggi, mentre camminavo per le strade di Roma per venire qui, io ho camminato insieme a Paolo. Io ho camminato inseme ad Agostino, ho camminato insieme a Claudio, insieme ad Emanuela, insieme a Vincenzo, insieme a Walter.

La luce che torna. La piazza che si spalanca. Il profilo imponente di Sant'Agnese in Agone. Il palco. Il fischio del microfono. La calca che si distende e si scioglie nell'estuario di Piazza Navona. Fuori, l'agenda, di Paolo Borsellino. Gli ultimi rivoli della coda del corteo. Un'anziana, seduta, stranita: “Ma che è?”. “E' la manifestazione indetta da Borsellino”. “Chi? Paolo?”. “No, signora, Paolo è morto”. La signora è risentita: “Ma no! Io dico il fratello!”. Che idiota che sono. Ha ragione lei. In fondo sono la stessa cosa. Io, vi giuro, mi gira la testa. La gente addossata alle transenne. Gli striscioni posati per terra, di fronte. Viva Caselli e il pool antimafia. Si ricomincia. La voce di Serenetta che rimbomba dagli altoparlanti, rotola sul ciottolato e rimbalza sui palazzi. L'apertura di Salvatore, polo blu, voce roca, emozionata, ma potente. Oggi mi è successa una cosa incredibile. Io oggi, mentre camminavo per le strade di Roma per venire qui, io ho camminato insieme a Paolo. Io ho camminato inseme ad Agostino, ho camminato insieme a Claudio, insieme ad Emanuela, insieme a Vincenzo, insieme a Walter. Io vi giuro: ho camminato insieme a loro. Perché i loro pezzi sono dentro il cuore di ciascuno di voi.

Benny che corre su per gli scalini del palco. Un grido che spacca il microfono. Io non so se il parlamento è mafioso, ma fa di tutto per sembrarlo. Il pugno che colpisce, ritmico, il leggio. La rabbia trattenuta a stento. Gli applausi, le agende, macchie rosse sopra le teste. L'orgoglio calabrese di Pino. Perfetto, in giacca blu. Ma come fa con questo caldo? Io potrei essere uno di quei morti vivi. La forza gioiosa di Cecilia. Quattordici anni, ma una grinta da far invidia. 18 luglio 1992. La memoria che torna a quei momenti. Salvatore sul palco, alle spalle di Cecilia, come a proteggerla. Io, vi giuro, mi gira la testa. Ho problemi a parlare perché ho il cuore troppo gonfio. La lettera di Martina. Bellissima ed esatta. Quel leggero senso di vergogna. Di cosa mi occupavo, io, alla sua età? 19 luglio 1992. La voce di Martina che ci accompagna, limpida e trascinante, fino alle 17:58 e venti secondi. Finché ci sarà solo uno di noi che manterrà vivo il tuo ricordo e il tuo impegno.

La pacata lucidità di Giulio, che non c'è ma è come se ci fosse. Il microfono inclemente che spezza le sue parole, leggère ma taglienti. Una volta tolta la coperta, basta guardarli dall'alto e sorridere. Come faceva Arlecchino. L'ironia di Marco, cristallina, come sempre. La telefonata di Beppe, tranquilla, stranamente. Parla di Salvatore e lo chiama Paolo. Anche lui. Assorto, le braccia sotto il mento, appoggiate alla struttura del palco, Paolo lo ascolta. Ma ha il volto di Salvatore. Non importa. In fondo, sono la stessa cosa. Io, vi giuro, mi gira la testa. Ho problemi a parlare perché ho il cuore troppo gonfio, troppo pieno di gioia, per tutta questa manifestazione di affetto, questa voglia di giustizia, questa rabbia che io leggo in ciascuno di voi. L'abbraccio lunghissimo tra Luigi e Salvatore. Luigi, alto, forte, prestante. Salvatore, in confronto, minuto e fragile. Le pacche veementi sulla schiena di Salvatore. Pugni d'affetto, come quelli che si scambiano i calciatori dopo un gol. Fai piano, Luigi, ché ce lo rompi.

Le denunce, puntuali e appassionate, di Carlo. Vere, trancianti. La sensazione, anche, di una sottile polemica. Il non nominare mai il nome di Luigi nel ricordo di quei magistrati ostacolati nell'esercizio delle loro funzioni. Scorie di passate campagne elettorali? Ma forse è solo una sensazione. La fiera determinazione di una donna, di una madre, ma soprattutto di una figlia. Un cognome pesante: Alfano. A cosa serve mettere il tricolore sulle bare dei magistrati e dei militari se poi, quando la gente scende nelle piazze per commemorarli, mancano i pezzi più grossi delle istituzioni? La bandiera italiana stretta nel pugno di Gioacchino. La maglia, i pantaloni, le scarpe di Gioacchino. Rigorosamente rossi. La notte su piazza Navona. Verità è uguale Giustizia e Verità più Giustizia è uguale Libertà.

Non sentire la stanchezza nelle ginocchia. Le agende ancora in alto, a brillare sotto i riflettori. Tutti sul palco attorno a Salvatore. Ha ancora la forza di urlare dal microfono. Ma come fa? Io, vi giuro, mi gira la testa. Ho problemi a parlare perché ho il cuore troppo gonfio, troppo pieno di gioia, per tutta questa manifestazione di affetto, questa voglia di giustizia, questa rabbia che io leggo in ciascuno di voi. Non mi importa se non ho più voce e non riuscirò a parlare. Tanto oggi io so che ci sono degli altri che potranno gridare al mio posto. La voce ancora più rauca, ancora più emozionata, leggermente commossa. Ma il grido è potente e pauroso. Resistere, resistere, resistere.

La paura che possa crollare per la tensione. Le mani che lo sorreggono. Portate una bottiglietta d'acqua. Ma lui non crolla. Ma come fa? Anzi si divincola, quasi infastidito. Balza giù dal paco con un salto improvviso. Passa sotto lo striscione. L'energia di un ragazzino. Salvatore che ringrazia uno per uno. Mani che si stringono alla sua mano. Come fanno le rock star. Solo che qui la musica è ben diversa. I fari che si spengono. La fame che morde. Il palco smontato pezzo per pezzo. Le gambe che fanno male. La gente che si ritrova, a gruppetti, a parlare. Questo è proprio l'ultimo avamposto, l'ultimo baluardo di resistenza. Finito questo, è finito tutto. La notte romana. L'attesa infinita davanti ad un ristorante. Ancora dieci minuti de pazienza, signò! Mozzarella di bufala e caponata. Pici e fettuccine. Stracciata ed amaretto. Ma che è tutti 'sti ragazzi oggi? C'è qualche gita scolastica? Il saluto a Salvatore. Lui è ancora lì che abbraccia e ringrazia tutti. Uno per uno, fino all'ultimo. Con gentilezza e infinita pazienza. Proprio come avrebbe fatto Paolo. Perché, in fondo, sono la stessa cosa. Lui che ringrazia noi. Un'eresia. Il bus fino a Termini. Prima che chiuda la metro.

La mattina romana. Brioche e cappuccio. Un giornale nella hall dell'hotel. Parleranno della manifestazione? E' di Roma, Il Tempo. Magari sì. Un pugno al fegato. Non una riga. In compenso, a tutta pagina, l'articolo vigliacco di Jannuzzi, che gronda di bile e menzogne. Vergogna. Colazione rovinata. Ma solo per un attimo. E' un buon segnale. Vuol dire che diamo fastidio. Di nuovo in macchina. Da Roma a Milano. Via, sull'asfalto rovente del grande raccordo anulare. L'agenda rossa posata sul sedile posteriore. Fuori il sole è già caldo. E dentro, quella sensazione. La sensazione di aver fatto qualcosa di bello e di giusto. Qualcosa di grande.

giovedì 17 settembre 2009

Tremonti e i polli di Trilussa

E' passata quasi inosservata un'intervista rilasciata ieri dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti al giornalista Aldo Cazzullo del Corriere della Sera. Peccato, perché conteneva molti spunti interessanti, nonché rare perle di saggezza. Voi direte: perle di saggezza da Tremonti? Ebbene sì. Stufo di rappresentare l'ala un po' rozza, volgarotta e non acculturata del Parlamento, sembra che il nostro abbia voluto tutto d'un colpo riversare sul povero giornalista tutta la sua cultura. Ma che dico cultura: tutta la sua erudizione. Che, come si sa, è come la marmellata: meno se ne ha e più la si spande. Quel che è certo è che a Cazzullo, di marmellata in faccia, ne è arrivata parecchia.

E' un trucco per elevarsi al di sopra della media dei ministri? Può darsi. Non che ci voglia chissà che, a dire il vero, considerando i nomi che girano. Da Bossi a Calderoli, dalla Brambilla alla Carfagna, basterebbe citare qualche battuta di Gerry Scotti per ottenere immediatamente un certo status. Senza scomodare illustri filosofi e sciorinare citazioni in latino, che, più che abbellire l'intervista, l'hanno resa, a mio giudizio, paurosamente ridicola. Ma il sorriso svanisce subito se si pensa che Tremonti è colui che ha in mano il destino dell'economia italiana, ovvero il mio e il vostro futuro. Il sorriso poi si trasforma in smorfia di apprensione quando ci si accorge che cotanto sfoggio di cultura altro non serve che a sviare il discorso, evitare di rispondere alle domande e far apparire i problemi devastanti creati dalla crisi planetaria addirittura come qualcosa di positivo e di cui ci si dovrebbe rallegrare. La smorfia diviene terrore quando è ormai chiaro che dietro alle metafore, alle analogie, alle citazioni filosofiche, alle figure retoriche, c'è il vuoto universale di idee, l'assoluta incapacità di fornire una risposta adeguata al disastro economico italiano.

Riporto tutta l'intervista qui di seguito, perché è molto gustosa. Le frasi tra parentesi sono miei pensieri in libertà. Buona lettura.

Ministro Tremonti, nel Palazzo della politica si parla di complotti, di elezioni anticipate, di nuove maggioranze. Lei che ne pensa?

«Da un po’ di mesi, più che un Palazzo sembra una caverna (attenzione in questo periodo a parlare di corpi cavernosi...)».

Caverna?
«La caverna di Platone (Ah, ecco, meno male...). Nella caverna di Platone (non sapevo che Platone vivesse ancora nelle caverne) gli uomini non vedono la realtà, ma le ombre della realtà proiettate sulle pareti. Vedono immagini, profili, stereotipi, imitazioni della realtà. Il mondo esterno, la realtà, è una cosa; l’immagine della realtà, vista dal profondo della caverna, è un’altra (tutto corretto, ma cosa c'entra con il Parlamento Italiano? Nel mito della caverna di Platone erano proprio coloro che stavano all'interno, in questo caso i parlamentari italiani par di capire, a non percepire la realtà vera, ma solo ombre. E' proprio sicuro che l'analogia sia azzeccata?). C’è una drammatica asimmetria tra la realtà del Paese e del governo e la rappresentazione che se ne fa (ecco, appunto, voleva dire esattamente l'opposto). Dal lato della realtà c’è la realtà (ma va?), certo con tutte le sue complessità (in effetti...): negatività ma anche positività, crisi ma anche crescente coesione sociale (crescente cosa???). Dal lato della caverna (quindi in Parlamento), è l’opposto o il diverso. Non solo non si vede l’essere (urca, qui si torna a Parmenide), ma a volte si confonde l’essere — quello che è — con il dover essere — quello che si immagina debba essere (che si immagina o che deve?); o con il voler essere (ma sì, abbondiamo), cioè quello che per proprio conto e tornaconto si vorrebbe fosse (ma di chi sta parlando?)».


Chi lo vorrebbe? A chi si riferisce? Ai media? Alle opposizioni? Alle élites?

«Il prodotto del lavoro politico delle élites (élites???) è oggi un po’ come una nave in bottiglia (dalla caverna alla bottiglia). La nave è perfetta finché sta dentro la bottiglia (d'accordo, e allora?); e l’involucro della bottiglia è anche la stampa (credevo che i giornali servissero per incartare il pesce, non le navi in bottiglia), che tende a fornire una rappresentazione perfetta della nave (sì, e quindi?). Però è una nave che affonda appena la metti non dico in mare aperto, ma nella vasca da bagno (e certo: è una nave giocattolo!). Perché, come diceva quel tale, i fatti sono testardi (può darsi, ma cosa c'entra?).».

Quel tale è Stalin? (Veramente era Lenin...)

«Da ultimo (ma si mette a citare i comunisti?). Mi pare che prima lo avesse detto Hegel. Ma può essere che sbagli, perché milito in una formazione politica priva di 'legittimazione culturale' (ecco dove voleva arrivare! Dai non fare l'offeso però!). A chi pensa davvero non serve un 'pensatoio' (ha letto Harry Potter!!!). Un certo lavorio cultural-politico ricorda l’ironia di Barthes (citiamone subito un altro per fare vedere che non conosce solo Hegel) sul lavoro a merletto delle signorine di buona famiglia (dalla nave in bottiglia al merletto), parodia borghese del lavoro finto al posto del lavoro vero. Cosa vuole: con rispetto per i merletti, l’ozio è il padre dei vizi (e con rispetto per i felini, tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino). All’opposto, chi lavora non ha tempo per ricamare (e chi non lavora non fa l'amore). Passiamo dal ricamo alla realtà (sarà meglio...). Crisi in greco vuol dire discontinuità (vallo a dire ai cassintegrati). E discontinuità è anche opportunità (quindi la crisi è un'opportunità da non perdere?). Nelle strutture del reale (qui mi torna filosofo), abbiamo paradossalmente un dividendo positivo della crisi (e io che credevo che la crisi avesse azzerato i dividendi) in termini di ritorno dell’etica (vallo a raccontare a Papi), di consolidamento della coesione sociale (consolidamento di cosa?).

Questo non significa l’assenza della crisi (e io che mi ero già illuso); anzi, proprio perché c’è la crisi abbiamo la riduzione del conflitto (che conflitto? Quello in Afghanistan?) e l’avvio dell’economia sociale di mercato (se lo dice lui). All’opposto, nella sovrastruttura (ha letto anche Marx!!!) c’è il contrario di quello che è il Paese e di quello che è nel Paese, il tentativo ossessivo di rottura. Da una parte si chiede giustamente la celebrazione dei 150 anni dello Stato (no, veramente qualcuno chiede la celebrazione del miglior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni dello Stato); dall’altra parte c’è una caduta del senso dello Stato (vallo a dire alla D'Addario), con un eccesso di violenza (beh, no, dai, la D'Addario era consenziente) che non corrisponde all’interesse nazionale (su questo non ci piove)».

Si riferisce agli attacchi a Berlusconi? (Ma va?)

«Esattamente. Mi riferisco a una campagna che è orchestrata come un’ordalia paragiudiziaria (non preoccupatevi, non ha idea nemmeno lui di cosa cazzo voglia dire), tra l’altro senza che alla base vi sia alcun elemento giudiziario (vallo a dire ai magistrati di Bari). Domande e sentenze (no: domande e, possibilmente, risposte). L’appello al tribunale dell’opinione pubblica (e infatti l'opinione pubblica si chiama così perché dovrebbe avere il diritto di farsi un'opinione...). Il farsi dei giornali giudici (notare l'elegante anastrofe)».

La stampa fa il suo mestiere: dare notizie, e commentarle.

«Un conto è il potere della stampa come contropotere, a tutela della libertà dei cittadini contro l’eccesso, contro il 'detournement' (ma anche contro il 'passe partout' e il 'pourpourri') del potere esecutivo. Questa è la funzione essenziale della libera stampa: rappresentare i fatti non orchestrarli (giusto), non sostituirsi al popolo (e chi mai l'ha fatto?) nel gioco democratico (non è il Monopoli...)».

Non crede che Berlusconi abbia fatto il gioco dei suoi critici, decidendo di alzare la voce e rispondere colpo su colpo?

«Chi avrebbe fatto diversamente? (Forse una persona seria?) A un’azione corrisponde una reazione (e un corpo immerso nell'acqua...). Mi chiedo piuttosto (ecco, piuttosto): tutto questo è nell’interesse del Paese? Io non credo che lo sia (forse nel caso in cui l'interesse di Berlusconi coincida con quello del paese...). Ora basta (e basta!). Credo che nell’interesse nazionale sia fondamentale uscire dalla caverna (e magari tirar fuori la nave dalla bottiglia) e guardare la realtà. E il governo è nella realtà, non nella caverna (ma non aveva detto che la caverna era il parlamento?). Per quello che fa, e per come gli italiani valutano e vedono quello che fa. (manca un pezzo di frase) Non è un caso che questo governo attraverso la crisi abbia aumentato il suo consenso (certo, se ci si attiene alle cifre che spara Papi...). Se la democrazia è un referendum quotidiano (peccato che non si arrivi mai al quorum), la realtà corrisponde positivamente al governo (eh?) e il governo corrisponde alla realtà (eh?), più di tutto il resto (non fa una piega). E se c’è una formula per uscire (ecco, sentiamo) è che, fatto il congresso del Pd, riparta davvero organicamente l’opposizione politica (hahahahaha)».

Franceschini o Bersani pari sono? (E Marino?)

«Non voglio danneggiare nessuno dei due (ma sono in tre!) con la mia preferenza (e certo, perché gli elettori del Pd si baserebbero sui tuoi consigli per decidere). L’importante è il congresso. Una svolta positiva democratica può essere data proprio dalla ripartenza dell’opposizione in Parlamento (guarda che non è mai partita). Non tanti e diversi, ma un interlocutore responsabile con cui parlare su ciascun tema (oddìo! Ci risiamo con il dialogo)».

In Parlamento c’è un’altra maggioranza possibile?

«Per risolvere i grandi problemi, come ha indicato l’esperienza dell’ultimo governo Prodi, servono grandi numeri (no: quello è per mantenere il cadreghino, non per risolvere i problemi). Prodi aveva piccoli numeri, e per di più litigiosi. Quelli che parlano oggi non hanno neanche i numeri».

Casini dice che una nuova maggioranza si trova in dieci minuti (ah beh, se lo dice Casini).

«Non credo. In ogni caso, se fosse, durerebbe a sua volta dieci minuti (e ci credo: con a capo Casini!)».

Chiede il «time out», quindi? Sembra volerlo anche Franceschini, quando nota che «il caso escort ha danneggiato anche il Pd».

«Non lo chiedo io. Lo chiede l’interesse del Paese (sempre se l'interesse del paese coincide con quello di Berlusconi...). Può essere un contributo positivo del congresso dei democratici (e basta! Abbiamo capito!)».

Anche l’ombra delle elezioni anticipate esiste solo nella caverna? (E basta con sta caverna! Adesso anche tu ti ci metti?)

«Certo. Il governo Berlusconi è stato eletto sulla base di un programma elettorale (quale?). La fedeltà al programma non è un optional (tipo il lodo Alfano?); è un elemento fondamentale dell’etica politica (tipo il condono fiscale?). Un governo senza programma o un programma senza governo (un programma senza governo? Ma che sta' a ddì?) non sono quello che serve al Paese (e te credo!) e non sono quello che è nel nostro cuore e nella nostra mente (che romanticone)».

La Lega non pesa forse troppo sul governo? (E non solo sul governo...)

«La Lega è l’unico alleato che abbiamo (io non ne farei un vanto...). La sintesi politica la fanno, e sempre bene, i due leader, Berlusconi e Bossi (adesso si spiega tutto)».

Fini rivendica più democrazia interna al Pdl. È davvero isolato? (No, solo per finta)

«La macchina politica è un po’ come un computer (Oh Gesù, un'altra similitudine!). È fatta da hardware e da software (ho paura...). È fatta dagli apparati (genitali?), che vanno dalla base verso i vertici— dagli amministratori locali agli organi di presidenza (o, indifferentemente, all'organo del presidente) — e da idee e principi, simboli e messaggi. Fini ha posto tutte e due le questioni: quella dell’hardware e quella del software (non me n'ero accorto, credevo semplicemente avesse scaricato Berlusconi). Ci sono nella politica contemporanea due forme di hardware (ah sì?), e corrispondono all’alternativa non casuale tra 'Partito della libertà' e 'Popolo della libertà'. La scelta, nell’alternativa tra partito e popolo, è stata nel senso del popolo. Partito è una struttura novecentesca; popolo è una forma diversa di fare politica (e ha un nome: populismo). Ma è politica, appunto, e non dogmatica o scolastica (sì, sì, abbiam capito: populismo). Il fatto che sia popolo e non il partito (a fare cosa?) non esclude dunque in radice forme comunque utili e necessarie di organizzazione (cioè?). E queste possono e devono essere attivate in forma sempre più intensa e organica, per scadenze, temi, decisioni; su questo credo che nessuno, neanche il presidente Berlusconi, sia contrario (ma contrario a cosa?). Si può assumere anzi che questa formula non riduca ma rafforzi la sua leadership (sì, ma quale formula?!?)».

Fini pone anche una questione di idee e principi.

«Giusto. Un computer è corpus mecanicum (ecco, ci mancava il latino), che resta inerte (è una metafora sessuale?), senza il software. E su questo campo, in questo mese, si è sviluppata l’azione di Fini. Ed è su questo, su immigrazione, interesse nazionale, tipo di patria (quanti tipi ci sono?), globalizzazione, catalogo dei valori e dei principi, che non solo tra Fondazioni ma dentro il Pdl si può e si deve aprire una discussione (vallo a dire a Berlusconi), dove vince chi convince (ma non si vinceva per acclamazione?). Una discussione preparata magari anche da un nuovo centro studi (magari diretto dal bibliofilo Dell'Utri). Questo non vuol dire cambiare il programma elettorale, ma capire il programma elettorale (non l'hanno ancora capito nemmeno loro!)».

Crisi: siamo nella fase della paura o della speranza? (Che domanda profonda...)

«Siamo in zona prudenza (questa me la segno). La paura è finita (vallo a dire ai prossimi cassintegrati), ed è finita perché sono scesi in campo i governi (sì, ecco: forse gli altri governi...). Nel mondo, un’enorme massa di debiti privati è stata girata sui debiti pubblici (Oh mio Dio!!! L'ha ammesso!!! Ci hanno scaricato addosso tutti i debiti delle banche!!!), e questo trasferimento è stato decisivo per eliminare la sfiducia (???). Non è che così i problemi sono stati tutti risolti (vorrei ben vedere!), ma la catastrofe è stata evitata (rimandata?), ricostruendo una base fiduciaria indispensabile all’economia. Proprio perché alla platea dei debitori privati si è sostituita la sovranità degli Stati (cioè i debiti non ce li hanno più le banche, ma gli Stati, cioè i cittadini: grandioso!). Il ritorno degli Stati può essere positivo anche perché porta con sé il ritorno delle regole necessarie per evitare crisi future. E il 'discorso sulle regole', nell’agenda internazionale, l’ha posto il governo Berlusconi (Berlusconi?!? Le regole?!? Hahahahaha)».


L’Italia però ha un enorme debito pubblico, che continua a crescere (ecco, appunto).

«(Vediamo adesso cosa si inventa...) La crescita del debito pubblico italiano (sì...) è causata solo dalla decrescita dell’economia (solo?), ed è comunque per la prima volta negli ultimi decenni (vediamo dove va a parare) inferiore alla velocità di crescita degli altri debiti pubblici (che culo!). Secondo le proiezioni, questo differenziale fondamentale negativo dell’Italia si chiuderà, in rapporto con gli altri grandi Paesi europei, nei prossimi anni (cioè tra qualche anno gli altri grandi Paesi europei saranno disastrati come l'Italia: che consolazione). In più abbiamo un enorme stock di risparmio e l’Italia non ha un’economia drogata dalla finanza ma la seconda manifattura d’Europa (se è per questo anche il più grande patrimonio artistico, ma cosa c'entra?). I confronti non si fanno sul passato (e no: si faranno sul futuro!), quando la crescita degli altri era drogata da un eccesso di debito privato, ma sul futuro (l'ha detto!!!). Un futuro che è tutto da scrivere (ma allora come fai a fare un confronto?!?)».

Ma per affrontarlo, vi ricordano in molti, servono le riforme strutturali.

«La riforma delle riforme è il federalismo fiscale. Non è il progetto di una forza politica, ma il futuro dell’Italia (ma non era già stato approvato? Fatelo sapere a Bossi, se no gli viene un coccolone). Che rischia di essere un Paese troppo duale. Il Centro-Nord, 40 milioni di abitanti, un medio-grande Paese europeo, da solo produce più ricchezza della media europea. Il Meridione d’Italia, 20 milioni di abitanti, grande come Portogallo e Grecia messi insieme (eh la madonna! Da dove parte il meridione per Tremonti? Dalla Baviera?), sta invece sotto la media europea. Mai come nel 'caso Italia' vale il discorso di Trilussa sulla statistica dei due polli (mancava l'ultima chicca). Non solo. In Italia di polli ce ne sono tre (credevo di più): c’è anche il terzo pollo, il pollo dell’evasione, il pollo dell’illegalità, il pollo della criminalità (ma allora i polli sono cinque!). Metà del governo della cosa pubblica è in Italia fuori dal vincolo democratico fondamentale: no taxation without representation (e un 'no Martini no party' non ci sta bene?). È questo il caso tipico dello 'Stato criminogeno' (ah lo ammette allora!), che produce irresponsabilità, amoralità, evasione fiscale (Oh mio Dio! Questo è un attacco frontale a Berlusconi!!!).

Ed il Sud ne soffre di più. Possibile che sia così difficile trovare al Sud un amministratore che non abbia la moglie o la sorella, un parente o un compare proprietario di una clinica? (Mai sentito parlare di Cosa Nostra?) La Calabria non ha quasi più i bilanci (mai sentito parlare di 'Ndrangheta?), le giunte di Campania e Puglia sono quel che sono (mai sentito parlare di Camorra e Sacra Corona Unita?). Il federalismo fiscale è la risposta che chiuderà la questione meridionale (lasciando gestire i soldi direttamente alla mafia) — oggi più che mai questione nazionale — e produrrà le risorse per le altre riforme (quali?)».

martedì 15 settembre 2009

Vigliacco


Questo è un articolo che non avrei mai voluto scrivere.

Ma la protervia di certa carta stampata deve essere assolutamente svergognata in pubblico. Perchè ne rimanga traccia, perchè tutti possano leggere e vedere fino a che punto di meschinità ed abiezione possa ridursi un giornalista. Posto qui di seguito il testo completo dell'articolo apparso oggi sul Giornale di Vittorio Feltri. Titolo: "E al festino dell’Idv scatta il trenino. In testa De Magistris e Genchi". Firmato: la Redazione. Nemmeno hanno il coraggio di prendersi le proprie responsabilità, questi vigliacchi.

Ecco il testo.

"Maracaibo, oh oh oh. È il trenino dei valori, tutti a ballare e saltare come grilli(ni) al Paradise village del Lido di Maccarese (dalle parti di Fregene), si festeggia l’elezione in Europa di De Magistris e Sonia Alfano, ricchi premi e cotillons, bevande e musica dal vivo inclusa nei 15 euro. Ma allora le feste non le fa solo il premier? No, anche l’opposizione balla e canta il karaoke, anche l’opposizione più feroce, quella dei Di Pietro boys and girls, alias grillini prestati al dipietrismo. Sabato scorso dalle 20 alle 6 del mattino, un vero after hour sulla spiaggia, con gli onorevoli Sonia Alfano e Luigi De Magistris, l’ex pm che ha fatto il botto di voti e ora siede a Strasburgo, c’era una pazza compagnia di fieri oppositori del regime berlusconiano e di accusatori delle feste a Palazzo Grazioli, che stavolta facevano loro una festa, targata Italia dei valori.

Belle ragazze à gogo, musica, cocktail, trenini. Sì, a un certo punto la festicciola ha visto il classico trenino, con una insolita composizione: Luigi De Magistris appiccicato a Sonia Alfano seguita da Salvatore Borsellino e Gioacchino Genchi, quello del famoso «archivio segreto» su centinaia di migliaia di italiani, informazioni raccolte nell’attività di consulente per diverse procure della Repubblica. La compagnia di giro di Beppe Grillo insomma, che infatti a un certo punto è apparso come un santone sugli schermi del locale, collegato da altrove per dare il suo saluto al baccanale dipietrista. Soliti gridi di battaglia contro il sistema piduista, il bavaglio all’informazione libera (quella del blog di Grillo, magari un po’ di Repubblica e Unità, poi è soltanto voce del padrone), l’Idv unica vera opposizione, il grande inciucio alle porte e via grilleggiando. Il trenino, appresso a Genchi, proseguiva con altri onorevoli dipietristi vicini all’area grillina, come Franco Barbato. Tutti insieme appassionatamente scatenati in pista, in mezzo alle molte (belle) grilline del Meet up laziale «I grilli del Pigneto», organizzatori del festone sulla spiaggia. Ma allora le feste e le danze non si fanno solo nella maggioranza
".

Non sto nemmeno a spendere una parola sulla povertà di un testo (definirlo articolo è effettivamente troppo), scritto in un italiano stentato, zoppicante e dalla punteggiatura creativa. Non mi soffermo nemmeno (tanto è evidente) sulla confusione mentale dell'autore di cotanta opera giornalistica, che non riesce a distinguere la lievissima differenza che intercorre tra una spontanea festa fra amici e un festino a base di prostitute raccattate a botte di migliaia di euro da un pappone spacciatore di cocaina (Paolo Tarantini) per compiacere il presidente del consiglio italiano.

Mi limito a constatare la strategia perversa adottata da Feltri in queste ultime settimane e oggi portata alle estreme conseguenze con grave sprezzo del ridicolo. Mi limito ad assistere schifato a quel viscido buco nero (nero di melma) in cui Silvio Berlusconi da tempo sprofonda e in cui ha dato mandato al suo manganello tascabile Vittorio Feltri di trascinare tutto e tutti. Al grido: "Muoia Sansone con tutti i Filistei!". Peccato che i tentativi di sputtanare chiunque non sia allineato siano talmente maldestri e miserabili che un sorriso compassionevole è sufficiente a farli evaporare. Mi limito a far notare, e questa diventa roba seria, che lo "scoop" del Giornale (tale doveva probabilmente essere nell'intenzion dell'autore) è stato possibile solo grazie alla presenza di un "infiltrato", inviato da Feltri in missione top secret per montare lo scandalo. Uno scandalo riuscito veramente male, lasciatemelo dire. Il livello di bassezza di tale informazione è talmente infimo che non sono nemmeno in grado di montarne uno credibile.

Patetici inetti.

Ciò che deve allarmare è invece il solo tentativo (miseramente fallito) di inventare lo "scoop" utilizzando loschi figuri. Sì, perchè alla festa è stata individuata una ragazza ucraina, alticcia, scesa da un auto scura alle sei del mattino, che, spacciandosi per un'amica di Sonia Alfano, tentava di farsi fotografare insieme ai presenti in pose provocanti. Dopo che Sonia ha fiutato il pericolo, la ragazza è stata immediatamente allontanata. Non è difficile immaginare (è già stato fatto in passato) che la sua presenza alla festa per Sonia e Luigi De Magistris fosse in realtà pilotata da vigliacche manine esterne, al fine di porre i presenti in situazioni imbarazzanti. Gioacchino, Sonia, Luigi e Salvatore sono avvisati. Questa è un guerra sporca, lurida, a cui gente perbene come loro non sono abituati. Stiano attenti. Questa gentaglia ha dimostrato di essere disposta a tutto e di non fermarsi di fronte a niente e nessuno. Nemmeno di fronte alla fiera dignità di un famigliare di vittime di mafia. Nemmeno di fronte al dolore di chi ha perso un fratello.

Uno dei presenti ai "riti orgiastici" era infatti il fratello di Attilio Manca, l'urologo che fu costretto in circostanze tutte da chiarire ad operare in incognito un "paziente particolare" a Marsiglia. Scoprirà in seguito che quel paziente era Bernardo Provenzano. Attilio fu trovato morto il 12 febbraio 2004. Il caso fu archiviato subito come suicidio. O sarebbe meglio dire: auto-omicidio. Come Peppino Impastato. Il fratello ieri era lì a Fregene a raccontare la sua storia. Ma questo il Giornale di Feltri l'ha tralasciato.

Ha preferito evidenziare la "scandalosa" bellezza dei ragazzi presenti, senza accorgersi di aver detto l'unica verità in un mare di sconce menzogne. Quelle persone erano davvero "belle". Belle di una bellezza che certi personaggi non potranno mai cogliere nemmeno lontanamente. La bellezza dell'onestà e della pulizia morale. Della dignità e della perseveranza nella ricerca della verità. La bellezza pulita del "fresco profumo di libertà." Bellezza che non ha niente a che fare con la volgarità di una prostituta o la finzione di un parrucchino.

Il Giornale di Feltri ha preferito porre l'accento sullo scandalo vero della festa: il "trenino sfrenato" che avrebbe visto protagonisti Genchi, De Magistris, Sonia Alfano e addirittura Salvatore Borsellino. Peccato che Salvatore in quel momento se ne stesse tranquillo nella sua casa di Milano e fosse intervenuto qualche minuto prima in collegamento telefonico. Peccato che il Giornale si sia dimenticato anche di dire chi c'era a capo di quel trenino: Roberto Monaco, un ragazzo disabile in carrozzina.

Era il suo compleanno.

Vigliacchi.

lunedì 14 settembre 2009

Un presidente, una garanzia


Succedono cose strane, ultimamente, in Italia.

Succede che il giornale dei vescovi, storicamente ossequioso nei confronti del paladino dei valori cristiani in Europa, leggasi: il nostro presidente del consiglio, si trovi nella situazione leggermente imbarazzante di dover commentare le prestazioni amatorie del paladino suddetto, dentro e fuori le residenze istituzionali, tra un festino e l'altro organizzato dal dispensatore di prostitute, nonchè di cocaina, Gianpaolo Tarantini. Ora, sarà pur vero che Gesù Cristo prese le difese di una escort dell'epoca pronunciando la famosa frase "Chi è senza peccato scagli la prima pietra", ma a tutto c'è un limite. E probabilmente le registrazioni intime della D'Addario quel limite l'hanno oltrepassato di brutto. Succede allora che Boffo, il direttore del giornale dei vescovi, dovendo una risposta alle migliaia di lettere pervenute da fedeli indignati, osi consigliare al miglior presidente del consiglio della storia d'Italia un po' più di moderazione nelle azioni e una maggior aderenza dei comportamenti privati con i discorsi pubblici.

Succede, di reazione, che salta la testa del direttore del quotidiano della famiglia Berlusconi, probabilmente non abbastanza reattivo sul caso. Succede che il suo sostituto tiri fuori dal cilindro un vecchio dossier, che guarda caso sputtana clamorosamente il direttore del giornale dei vescovi con il carico da novanta di una fantomatica informativa dell'ufficio giudiziario, poi rivelatasi una vigliacca lettera anonima. Molto probabilmente vergata da qualche zelante poliziotto dei Servizi. Succede dunque che salta la testa di Boffo e con lui l'ala ruiniana della CEI.

Succede poi che alcuni giornali, nazionali e non, riprendano le notizie fatte trapelare da personaggi al di sopra di ogni sospetto, ovvero berlusconiani doc come Paolo Guzzanti (che sparacchia in giro scandalose voci di corridoio sui più turpi vizi sessuali di Berlusconi) e lo stesso Vittorio Feltri (che giurava sull'assoluta impotenza del Cavaliere e quindi sulla sua estraneità ai fatti per evidenti defezioni nell'arma del delitto), si vedessero intentare dagli avvocati personali del presidente del consiglio milionarie cause civili per diffamazione. La Repubblica, che aveva solamente osato proporre una decina di domande (che, in quanto tali, non sono nè vere nè false) sulle relazioni tra Berlusconi e una minorenne, è stata querelata dagli stessi solerti avvocati. Anzi sono state querelate le domande, in modo tale che non possano più apparire su carta stampata.

Succede poi che ci siano dei magistrati in Italia che, a fronte di nuove rivelazioni offerte da due testimoni eccellenti come Massimo Ciancimino, figlioccio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, e Gaspare Spatuzza, già esecutore materiale dell'omicidio di Don Puglisi ed esponente di spicco della famiglia mafiosa del mandamento di Brancaccio retta da due dei più sanguinari boss di Cosa Nostra, i fratelli Graviano, responsabili sicuramente almeno delle stragi del '93 nel continente, succede, dicevo, che questi magistrati riaprano vecchi filoni di indagine per vedere se è possibile avvicinarsi alla verità sulla stagione oscura delle stragi. E soprattutto ottenere notizie sui mandanti a volto coperto, la cui esistenza non è invenzione di complottisti, ma è stata decretata ufficialmente da una sentenza passata in giudicato (Borsellino Bis). Mandanti esterni che non possono che essere personaggi infiltrati nelle Istituzioni o comunque molto vicini ad essi.

Succede che, in tutta risposta, il presidente del consiglio, anzichè congratularsi con questi magistrati che stanno squarciando per la prima volta quel velo di omertà che non permette da 17 anni di porre una parola fine al periodo più tormentato della Repubblica, incredibilmente li assale, li insulta, li chiama "folli" e li accusa di cospirare contro di lui e di sperperare i soldi pubblici. Succede allora che l'unica persona probabilmente di buon senso rimasta nelle file del centro-destra, Gianfranco Fini, si chieda stupefatto perchè mai il presidente del consiglio debba temere qualcosa dalla riapertura delle suddette indagini. Cosa dovrebbe mai c'entrare Berlusconi con le stragi del '92 e del '93, si chiede Fini, basito. E poi succede che, sornione, butti lì una frase, all'apparenza criptica, ma a ben vedere fin troppo esplicita. Accenna a "grembiulini" e "compassi". Che, per chi non è del ramo, rappresentano due tra i più famosi simboli massonici. A cosa stava facendo riferimento Fini? Ovviamente alla più famosa congregazione massonica esistita (ed esistente?) in Italia, la loggia Propaganda2, nota come P2, retta dal noto fascista e bancarottiere Licio Gelli, implicata in tutti i più grandi scandali Italiani, dal crollo del Banco Ambrosiano, all'assassinio di Ambrosoli, Sindona e Calvi, al riciclaggio del denaro mafioso nelle banche vaticane, all'attentato a Papa Wojtyla, alla strage di Bologna.

Bene, dovrebbe essere noto a tutti che il nostro presidente del consiglio ne era membro onorario, tessera numero 1816, con tanto di firma autografa. Cosa sta tentando di dire Fini? Forse che Berlusconi non ha mai interrotto i rapporti con certi ambienti massonici deviati? E che ora ne è sotto ricatto? E' buffo notare come, nel giro di un paio di proposizioni, il principale alleato di Berlusconi gli abbia dato implicitamente del "mafioso piduista". Ovvero il ritornello che Di Pietro va pronunciando da mesi in ogni trasmissione televisiva. Cose strane, non c'è che dire.

Succede anche che la reazione di Berlusconi non tardi ad arrivare e sia sempre affidata al proprio manganello tascabile, Vittorio Feltri. Che oggi, dalle pagine del giornale, fa sapere al caro Gianfranco, con un avvertimento che a definire mafioso è poco, che è meglio che torni all'ovile e si dia una regolata, altrimenti c'è già nel cassetto un bel dossier pronto a sputtanare anche lui. L'argomento è sempre quello: festini e prostitute. Gira voce che negli archivi del Giornale esista un dossier per ogni cittadino italiano, in grado di sputtanare chiunque (sì, anche te che stai leggendo in questo momento), da tenere pronto all'occorrenza. I tempi sembrano effettivamente propizi.

Nello stesso momento succede che in Rai la situazione sia alquanto tumultuosa. Per piccolissimi contrattempi, assolutamente casuali, succede che i vertici del Tg3 siano ancora vacanti. I nomi di Mentana e Minoli aleggiano come spettri. Succede anche, sempre per dei lievissimi problemi tecnici, che la trasmissione in assoluto più seguita del palinsesto di Rai2, Annozero, che ufficialmente dovrebbe tornare in onda il 24 settembre, cioè esattamente tra 10 giorni, sia completamente oscurata sugli schermi. Nessuno è stato ancora in grado di vedere una pubblicità che ne annunci l'inizio imminente. Eppure gli spot esistono già, sono stati preparati da tempo, si possono vedere tranquillamente su Youtube, ma, per un banale scherzo del destino, non riescono ad approdare sul piccolo schermo. Succederà probabilmente che i telespettatori, il 24 settembre, facendo zapping, si troveranno a commentare per caso: "Toh, guarda chi si rivede! Non sapevo fosse iniziato di nuovo Annozero".

Ma forse succederà pure che al loro commento di stupore dovranno aggiungere: "E come mai non c'è più quel giornalista coi boccoli che parlava da solo ad inizio trasmissione?". Sì perchè succede che, ancora in queste ore, la firma del contratto di Marco Travaglio, per minuscoli vizi di forma che però saranno ovviamente risolti al più presto, non sia ancora stata apposta e se ne debba discutere nel Consiglio Direttivo. Ma forse succederà che i telespettatori nemmeno la vedranno quella puntata di Annozero, perchè i contratti di molti altri tecnici ed operatori, sempre per incomprensibili ritardi dell'ultimo minuto (guarda la sfiga quando ci si mette!), sono nelle stesse condizioni di quello di Travaglio. Sub judice.

E probabilmente succederà anche che un'altra trasmissione, questa volta di Rai3, una delle più interessanti e dunque più seguite dal pubblico, Report, non vedrà mai la luce. Non si capisce bene perchè però quest'anno la Rai sembra essere un tantino timida ed ha paura ad assicurare la copertura legale ai propri giornalisti. Cioè se questi dovessero fare un'inchiesta scottante che attiri su di sè le querele di chi si sente diffamato, un atteggiamento alquanto di moda in questi tempi, la Rai se ne laverebbe le mani e i giornalisti sarebbero costretti a pagarsi le spese di tasca loro. Come se fossero non degli stipendiati, ma dei collaboratori esterni usa e getta. La stessa identica cosa che successe ad un altro giornalista di Report qualche anno fa, Paolo Barnard, che io personalmente non amo, ma a cui va riconosciuto il fatto di essere stato il primo a dover subire quella che lui definisce, giustamente, "censura legale".

Succederà poi, e questo è certo, che molti telespettatori che già avevano segnato sull'agenda l'inizio della nuova stagione di Ballarò, in programma per domani sera e già ampiamente pubblicizzata su tutte le reti Rai, si troveranno a sintonizzarsi sul secondo canale e chiedersi dove diamine siano finiti Floris, Crozza e i loro ospiti. E' successo infatti che proprio ieri, ovvero a due giorni esatti dall'inizio del programma, sia arrivata un email al conduttore di Ballarò da parte del direttore generale della Rai, Mauro Masi, che, scavalcando paurosamente il cosiddetto "presidente di garanzia" Paolo Garimberti, lo informava del cambio di programma. La sua trasmissione sarebbe stata spostata o in seconda serata o addirittura al giorno dopo.

Succedeva infatti che, su un' altra rete, Rai1, alla stessa ora, si fossero svegliati d'un tratto e avessero sentito l'esigenza di dedicare uno speciale in prima serata ad un evento straordinario per la nazione: la consegna delle prime case in Abruzzo ai terremotati. Un evento patrocinato da Bruno Vespa in persona, che probabilmente ha già pronto il plastico della villetta del terremotato fortunato. Non è dato sapersi. Come resta un mistero il perchè non ci avessero pensato prima.

Immagino già il nostro Bruno, che apparendo con aria gioviale nella cucina della villetta da inaugurare, apre il frigo e, indicando uno yogurt e un prosciutto, plaude all'efficienza della Protezione Civile di San Guido Bertolaso e alla pragmaticità del "governo del fare". A quel punto è più che evidente che farà la comparsa alle sue spalle il premier che, sbucando all'improvviso a favore di cerone, come se stesse facendo una sorpresa, griderà: "Io sì, che mantengo le promesse! Allegria!" suscitando l'applauso fragoroso dei terremotati presenti e dando il la al ricordo strappalacrime del suo amico Mike. Tutto bello, tutto perfetto.

Poi uno ci pensa su un attimo e si chiede spaesato: ma perchè, per fare posto a Vespa su Rai1, si è dovuto spostare Floris da Rai2?

Io, mentre ci penso su, per non sbagliare, domani sera spegnerò il televisore.


P.S. Qualcuno mi sa spiegare cosa aspetti Garimberti a dimettersi?

P.P.S. Aggiornamento dell'ultim'ora. Per uno strano gioco del destino, anche Matrix, in onda alla stessa ora su Canale5, ha subito uno slittamento di orario. Quando si dice la coincidenza.

giovedì 10 settembre 2009

Quel terrone di Peppino

Cristiano Aldegani

Ho appreso la notizia gironzolando su Facebook. Un link, un nome, una foto mi hanno fatto cadere l'occhio su una notizia che altrimenti non avrei mai notato. Si faceva riferimento ad un paesino della bergamasca, ad una targa, ad una biblioteca comunale. Ma non era chiaro il perchè. Ho voluto approfondire e, seguendo il link a Bergamo News, mi sono letto tutta la vicenda. Tristissima vicenda.

Tutto parte delle elezioni comunali di qualche mese fa. Il paesino si chiama Ponteranica. Uno dei tanti affastellati nelle valli attorno a Bergamo, ai piedi del monte Maresana. A giugno si è insediata la nuova giunta leghista che ha sostituito la precedente di centro-sinistra. Il nuovo sindaco è un certo Cristiano Aldegani, padano doc, che ha voluto subito imporre la ferrea legge della Lega: "padroni a casa nostra". Con tutti i piccoli-grandi problemi che possono interessare un comune di circa 7000 abitanti, la prima promessa solenne che fece il sindaco appena insediatosi fu infatti quella che avrebbe fatto di tutto per smantellare la targa che campeggiava all'ingresso della Biblioteca civica. Una targa che aveva provveduto ad installare la giunta precedente, si capisce. Una targa offensiva dell'orgoglio orobico-casereccio. Una targa commemorativa "d'un terùn". Passi per il nome: Peppino. Ma il cognome proprio era inaccettabile. Di quelli impronunciabili, brutti, cacofonici. Di quelli del profondo sud, che proprio non si addicono alla biblioteca comunale di un comune leghista.

Quel cognome, Impastato, era davvero un pugno alla dignità e all'onore dei padani. Ma sarà mai possibile intestare una biblioteca comunale di un paesino della bergamasca ad un tizio che si chiama Peppino Impastato? Che brùt nòm! Ricorda proprio quel profondo sud, povero, troglodita, rozzo ed arretrato. Im-pa-sta-to. Proprio suona male. Dà l'idea di qualcosa di sporco, impiastricciato, infangato, zozzo. Qualcosa di impastato, appunto. Niente a che vedere con la forza, la fierezza e la pulizia di un Mereghetti, di un Cappellini e, perchè no, di un Aldegani. Sicuro che questo Impastato sarà stato un siciliano, di quelli che parlano quella lingua incomprensibile, che fanno finta di lavorare e passano le giornate a prendere il sole. Sicuro che sarà stato anche mafioso. Tutti quelli lì son mafiosi. Tutti della stessa razza.

E allora che venga tolta immediatamente quella targa! Che venga ridato lustro e onore padano ad un'istituzione culturale come la biblioteca! Via subito quel nome da terrone e dentro uno tutto bergamasco: padre Giancarlo Baggi, questo sì che suona bene, un sacramentino morto nel 2000 e residente per molti anni proprio a Ponteranica. Peccato che, non essendo ancora passati dieci anni dalla sua morte, la legge non permette di intitolargli edifici pubblici. E allora che fare da qui a maggio 2010, quando ricorrerà il decennale della morte? Beh, non vi aspetterete che la giunta potesse attendere ben sette mesi prima di apporre la nuova targa! Sette mesi in cui i Ponteranicesi che avessero voluto trascorrere qualche ora in biblioteca sarebbero stati costretti a passare davanti ad una targa su cui fosse scolpito quel nome altamente offensivo: Peppino Impastato. Sarebbe stato effettivamente qualcosa di inaccettabile.

E allora, nell'attesa di maggio, che venga smantellata la targa! Se ancora per qualche mese non sarà possibile chiamarla biblioteca Giancarlo Baggi, che ritorni almeno all'antico nome! Semplice e pulito: Biblioteca Comunale di Ponteranica. Altro che Biblioteca Peppino Impastato. Con una delibera urgente del 31 agosto il Consiglio comunale leghista ha dato mandato all'unanimità di togliere di mezzo quel terrone impertinente così caro ai comunisti della giunta precedente (si sa che ai comunisti gli piacciono i terroni, tutti la stessa razza) e di provvedere affinchè fosse immediatamente ripristinato l'antico nome.

Finalmente un sindaco con le palle. Di quelli che quando promettono qualcosa poi la mantengono. Mica come quei quaraquaquà del profondo sud che pensano solo a mangiar soldi e magari a intrallazzare con la mafia. Noi non siamo mica mafiosi. Noi non siamo mica siciliani. Siamo padani e a noi la mafia ci fa schifo. Anzi, vi dirò di più: la mafia è una montagna di merda. Non mi ricordo più chi ha pronunciato questa frase, ma deve essere stato sicuramente qualcuno a cui va tutto il mio rispetto. Altro che Peppini Impastati. Noi la mafia la combattiamo, mica come quei terroni che se la sono voluta loro. E che si vede che la mafia sotto sotto gli piace. Dovremmo lasciarli tutti al loro destino, come diceva il professor Miglio 17 anni fa. Loro e la loro mafia. Che si facciano uno stato a parte, magari comandato dalla mafia, e che ci lascino in pace a noi che volgiamo lavorare.

E già che ci sono si portino via anche quei comunisti antidemocratici della giunta precedente che se non incensano qualche terrone non sono contenti. E hanno poco da lamentarsi, hanno perso le elezioni: che stiano zitti. Questa è la legge della democrazia. Sputano bile, ma è solo invidia. "So che stanno ancora smaltendo la pappina elettorale, ma noi manteniamo le promesse". Parola di sindaco.



Peppino, se ci riesci, perdonali.



P.S. Iscrivetevi al gruppo su Facebook

P.P.S. Se qualcuno volesse rinnovare gli auguri di buon lavoro al simpatico sindaco Aldegani ed esprimergli tutta l'ammirazione per aver finalmente ripulito Ponteranica degli ultimi residui terroni lasciati dalla precedente amministrazione, lo può contattare a questo indirizzo email: sindaco@comune.ponteranica.bg.it

Qua sotto la lettera che gli ho inviato:

Caro Sindaco Aldegani,

ho appena letto le sue dichiarazioni in merito alla polemica sulla rimozione della targa a Peppino Impastato dalla biblioteca comunale di Ponteranica.
Lei dice: "Avevamo già espresso questa nostra volontà alla passata amministrazione un anno e mezzo fa ma non siamo stati ascoltati. Ora diamo seguito a ciò che abbiamo annunciato in campagna elettorale. Non si tratta, come qualcuno vuole farlo passare, di un cambiamento ideologico. Onore al merito di Impastato e di tutti coloro che hanno dato la vita per combattere il cancro mafioso. Soltanto, ci sembrava giusto intitolare il luogo per eccellenza della cultura del nostro paese a un personaggio locale di grande valore spirituale, come padre Giancarlo Baggì.Vedremo se dedicargli in futuro un'altra struttura".

Mi lasci dire che le sue parole suonano alquanto ipocrite e decisamente offensive.

Ipocrite perchè la sua giunta si è affrettata a smantellare la targa senza che ci fosse alcuna urgenza in merito. Piuttosto che attendere semplicemente il prossimo maggio, anniversario del decennale della morte di padre Baggi, lei ha deciso di provvedere immediatamente alla rimozione. Qual è il motivo di una tale furia iconoclasta? Che fastidio le dava la targa di Peppino Impastato affissa ancora per qualche mese? E' un cognome troppo "terrone" per voi padani? E' semplicemente un modo di dare uno schiaffo arrogante alla precedente giunta di centro-sinistra che ha voluto quella targa? E' un modo per far vedere quanto è efficiente la sua amministrazione che rispetta le promesse fatte? Ma le promesse di cosa? E a chi? Di cancellare per volgare ripicca la memoria di un martire della mafia? Di che promesse sta parlando, sindaco?

Le sue parole sono tanto più offensive quanto più lei tenta di giustificarsi. Non esiste una sola ragione plausibile per una decisione tanto sconcertante.

E' quel riferimento alla "urgenza" della vostra delibera che mi fa indignare come cittadino e soprattutto come abitante del vostro adorato Nord Italia. Accettare di lasciare la biblioteca senza un nome, piuttosto che mantenere ancora per qualche mese la targa in memoria di Peppino Impastato, è un'azione vile e inqualificabile. Bisogna avere del pelo sullo stomaco.

Auguri

martedì 8 settembre 2009

Vergognati



"E' una follia che ci siano frammenti di Procura che da Palermo a Milano guardano ancora a fatti del '92, del '93, del '94. Quello che mi fa male e' che gente cosi', con i soldi di tutti noi, faccia cose cospirando contro di noi che lavoriamo per il bene comune del Paese".

Silvio Berlusconi, 8 settembre 2009

venerdì 4 settembre 2009

Il passero solitario


Sono tornato dalle vacanze molto rilassato, a digiuno di notizie provenienti dal nostro piccolo stivale, e devo dire che ce n'è voluto un po' per riprendere il contatto con la realtà e capire cosa stesse succedendo. Improvvisamente, la notizia del giorno, anzi della settimana, e chissà pure che non diventi quella del mese, riguarda il caso-Boffo. In Italia ogni cosa diventa un caso. E ogni caso ha il suo nome. Il caso-Eluana. Il caso-Noemi. Il caso-Veronica. Il caso-D'Addario. Oggi tiene banco il caso-Boffo.

Alzi la mano chi sapeva dell'esistenza di quest'uomo. Ho scoperto che è (anzi era) il direttore dell'Avvenire, il quotidiano di riferimento della CEI, Conferenza Episcopale Italiana, presieduta dal cardinale Bagnasco, Arcivescovo di Genova. Insomma, il giornale dei vescovi. E ho anche scoperto che il suo passo falso sarebbe quello di aver osato lasciare spazio sul proprio quotidiano a velate critiche nel confronti dei comportamenti del presidente del consiglio. Niente di che, per carità. Richiami a maggiore sobrietà, sempre molto pacati e rispettosi.

A quel punto, a quanto mi sembra di aver capito, il premier si è un tantino infastidito, ha cacciato il suo eunuco fedele dal giornale di famiglia e l'ha sostituito con l'artiglieria pesante, di quella che non si fa scrupoli a sparare nel mucchio, sempre utile nei momenti più delicati della guerra. Sì, perchè è più che evidente che sia in corso una guerra feroce proclamata dal presidente del consiglio contro chiunque in questi mesi gli si sia messo di traverso. L'hanno chiamata "campagna d'autunno" e il nome, devo dire, ci sta bene. Un'offensiva che pare chiaramente studiata a tavolino con avvocati e consiglieri, ma che allo stesso tempo suscita incredulità per la sua attuazione sconsiderata e a dir poco maldestra. La furia cieca, la vendetta a tutti i costi non è propria di un leader che ha sotto controllo la situazione. Di solito è sintomo di disperazione. Nel momento in cui un leader politico decide di fregarsene di ogni tipo di ripercussione che le proprie azioni possono avere, anche fossero alla lunga negative e deleterie per la propria immagine, facendone una questione di principio e cercando di soddisfare semplicemente l'orgoglio ferito, quel leader ha perso definitivamente lucidità, sta veleggiando a vista, ha perso di mano la situazione.

E probabilmente nessuno tra i suoi fidati scagnozzi ha il coraggio o l'autorità per farglielo notare. Lo sputtanamento di Boffo tramite lettera anonima spacciata per "informativa giudiziaria" operato dal Giornale di Feltri è probabilmente andato al di là di ogni previsione. La bacchettata con conseguente ritorno all'ordine del quotidiano dei vescovi (come era probabilmente nelle intenzioni di Berlusconi) si è tramutata invece in uno scandalo nazionale che, amplificato dai giornali, è arrivato molto vicino a creare una seria frattura tra il governo e la Chiesa. Prontamente sanata da un incontro pacificatore tra gli esponenti della Lega Bossi (!) e Calderoli (!!!) e il cardinale Bagnasco. C'è chi assicura che le dimissioni di Boffo siano arrivate giusto in tempo per tenere fuori addirittura il Papa dagli schizzi di fango volati in questi giorni. Tanto per capire a che livelli era montata la polemica. Lo scherzetto di Feltri è chiaramente scappato di mano al suo autore e soprattutto al suo mandante, Silvio Berlusconi. A meno di non credere davvero che ci fosse un'intesa malata tra Berlusconi e la Santa Sede per far fuori l'ultimo ruiniano doc nella lotta per il controllo della CEI. Fantapolitica tutta da dimostrare.

I risultati prevedibili a breve e medio termine di un affondo così sgangherato saranno il necessario raffreddamento delle relazioni con il Vaticano (checchè ne dicano i comunicati di facciata) e l'evidente imbarazzo di molti cattolici, appassionati lettori dell'Avvenire e in gran parte elettori del centro-destra, che mal digeriranno questo attacco così arrogante con annesse dimissioni del direttore e si ricrederanno probabilmente sulla fiducia da accordare ad aeternum al presidente del consiglio. C'è chi ricorda che il governo Prodi iniziò a vacillare proprio nel momento in cui si smarrì il feeling con la Santa Sede sulla questione Dico, Pacs, ecc... Ed è un fatto che nel giro di un mese, tra questione-clandestini e caso-Boffo, prima la Lega e poi Berlusconi in persona per mano di Feltri, si sia arrivati più volte vicini ad una clamorosa rottura dei rapporti.

Quando la Chiesa aveva osato prendere le parti di quei (tanti) poveracci morti in mare e di quei (pochi) sopravvissuti ricacciati in Libia senza pietà, la Lega era esplosa con Bossi che chiedeva al Santo Padre di prenderseli lui in Vaticano gli immigrati clandestini e con i leghisti che sui forum si lamentavano (neanche fossero dei comunistacci atei) delle solite ingerenze inutili del Vaticano. Berlusconi aveva mediato e tentato di ricucire. Poi, quando si stava per avvicinare la Perdonanza con la P maiuscola e Berlusconi si sentiva in odore di ritrovata santità, ci pensava Feltri a lanciare nella mischia un polpettone avvelenato che aveva il potere di annullare immediatamente la cena con Bagnasco e suscitare un polverone mai visto. A questo punto è lo stesso Bossi, allarmato da cotanta confusione, a chiedere udienza agli alti prelati e, dimentico dei riti celtici consumati sulle rive del Po e assicurando di essere sempre stato il paladino difensore delle radici cristiane in Italia, ricuce di nuovo lo strappo.

La pantomima, vista dall'esterno, è particolarmente penosa quanto divertente. Come patetica appare la strategia della guerra totale a tutti gli organi di informazione. Con una perfetta tattica da blitzkrieg di hitleriana memoria, Berlusconi un giorno dopo l'altro ha dato mandato ai suoi avvocati di querelare e/o denunciare civilmente chiunque abbia osato parlare della sua disgraziata vita privata. Una furia cieca che non ha risparmiato niente e nessuno. Ha querelato direttori, opinionisti, editorialisti, giornalisti. Ha denunciato giornali italiani e stranieri. Ha querelato intere redazioni. Nella sua furia cieca non ha avuto compassione per nulla. Nemmeno per cose inanimate o astratte. Nemmeno per delle innocenti domande. Ha querelato persino le domande. Tu mi fai una domanda? E io ti querelo la domanda! Così in futuro non me la potrai più fare. Geniale. Quando l'ho saputo non ci volevo credere. "Berlusconi querela le dieci domande di Repubblica". Non c'è che dire. Uno che si inventa l'idea di querelare delle domande è un genio. Punto.

Ma forse l'idea non è sua. E' probabilmente di quella mente diabolica del suo deputato-avvocato personale Niccolò Ghedini. L'avevamo lasciato con l'uscita alquanto infelice sull'utilizzatore finale. Sembra che da allora non si sia più ripreso. Ha giurato a tutti che riuscirà a dimostrare che il suo assistito è un santo. No, forse quello no. Un santo no, ma nemmeno un porco, come lo vogliono far passare. Non c'è più Lodo Alfano che tenga. Non c'è più riforma della giustizia che incomba. Ieri Gasparri, commentando il fatto che tra un mese la Corte costituzionale potrebbe cancellare il Lodo Alfano e dar dunque il via di nuovo ai tre processi a carico di Berlusconi, si diceva del tutto tranquillo "perchè ci sarà sempre un Ghedini o un Ghedoni che troverà qualche cavillo" per salvare Silvio dalle condanne. Sorvolando sulla leggiadra spudoratezza di certe affermazioni, se io fossi Gasparri (Dio me ne scampi), non sarei così tranquillo. No. Ghedini in questi giorni ha in mente tutt'altro, in altre faccende affaccendato.

Ghedini, novello Leopardi, sembra essere ossessionato, per usare una sobria metafora, dal "passero solitario" del suo datore di lavoro. Non ci dorme la notte. E' un chiodo fisso. Appena chiude gli occhi, gli compare nella mente. Cioè, si fa per dire. Non che l'abbia visto di persona, per carità (almeno: si spera). Ma da quando Feltri, ancora dalle pagine di Libero, aveva confessato l'incoffessabile, cioè che l'organo più utilizzato dall'utilizzatore per antonomasia non vivesse di vita propria, ma avesse bisogno di "aiutini esterni" e da quando Paolo Guzzanti, altro berlusconiano doc, ora apparentemente ravveduto, aveva rivelato sul suo blog particolari piccanti della vita del premier riguardo alle ore passate ad attendere il risveglio del volatile, Ghedini ha preso l'impegno solenne di risollevare, sempre metaforicamente si intende, l'orgoglio del passero ferito.

Per questo ha deciso di chiedere all'Unità 2 milioni di euro di danni morali. Mica perchè L'Unità ha detto che Berlusconi controlla tutta l'informazione: nemmeno Ghedini potrebbe negare. Mica perchè l'Unità ha detto che ha fatto la guerra a Sky in pieno conflitto di interessi: nemmeno Ghedini potrebbe negare. Mica perchè l'Unità ha detto che va con le prostitute: sì, su questo Ghedini è riuscito a negare, affermando che le registrazioni della D'Addario erano manipolate (?). Ma comunque non è questo. Ciò che ha fatto infuriare l'avvocato del Pdl è stato quell'accenno irridente all'incapacità di "volare" del passero di Silvio. Questo proprio è insopportabile. Avesse potuto si sarebbe cacciato nel lettone di Putin travestito da D'Addario per dimostrare che è tutta una menzogna. Ma si sa. Anche lui ha una sua dignità e non si spingerebbe mai a tanto. Lascerà che il giudice faccia le proprie indagini e spazzi via tutte le calunnie.

Oggi ha perfino rilasciato una surreale intervista al giornalista del Corriere, Fabrizio Roncone, in cui entra nei particolari della querela senza lasciare nulla all'immaginazione. Quando ho letto l'intervista ho dapprima pensato a uno scherzo clamoroso, tipo Pesce d'Aprile. Ma visto che siamo a settembre, è tutto vero. Ghedini si sbizzarrisce in arringhe per cercare di dimostrare come una querela all'Unità fosse necessaria, per una semplice questione "di orgoglio e di puntiglio". Si addentra con paurosi voli pindarici in tematiche delicatissime che vanno dalle "stecche da biliardo" alle "iniezioni nei corpi cavernosi". Senza alcun imbarazzo. Quasi con leggiadria. Come se stesse parlando della primavera che rifiorisce.

Il dialogo tra il giornalista e l'avvocato è tragicomico.

Giornalista: "Ora tutti, e non solo noi, siamo qui, ancora costretti a parlare di certi presunti problemi sessuali del Cavaliere".
Ghedini: "È stata l'Unità a tirar fuori i problemi di erezione di Berlusconi".
Giornalista: "Ma perché, ce li ha?"
Ghedini: "Cosaaa?!? Scherza?!?"

Scusate. E' il passaggio più significativo dell'intervista. Ci tenevo a riproporlo per intero. Ma la parte più esilarante è quando il giornalista fa notare che in un eventuale processo ci sarà da accertare se il passero di Berlusconi è davvero impotente o meno. Ghedini non si scompone: "Vuol sapere se noi dovremo fornire prove? No, noi assolutamente no. La controparte, semmai, se crede...".

A questo punto è ridotta l'Italia. Mi vedo già Berlsuconi in aula che per dimostrare la propria virilità si cala braghe e mutandoni di fronte al giudice. Magari la Gandus. Ma non preoccupatevi. Non ce ne sarà bisogno. Ghedini assicura infatti che il passero di "Berlusconi è perfettamente funzionante".

Se lo dice lui.