venerdì 5 settembre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 9)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 9
Berlusconi è amico mio

Del periodo trascorso da Dell'Utri nelle società di Rapisarda parla in particolare Angelo Siino. Costui, pur non essendo formalmente uomo d’onore, aveva avuto contatti con gli esponenti più rappresentativi di Cosa Nostra ed aveva svolto un costante ed importante ruolo di cerniera tra l’organizzazione malavitosa ed il settore imprenditoriale e politico, venendo a conoscenza dei segreti dell'organizzazione criminale nel settore degli appalti, tanto da essere noto giornalisticamente come “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra.

Siino conosce Dell'Utri dai tempi della scuola. Frequentavano lo stesso Istituto Don Bosco di Via San Paolo a Palermo. Angelo Siino era in classe con Giorgio Dell'Utri, il fratello di Marcello il quale, essendo maggiore, frequentava un'altra classe. Poi le loro storie si erano divise, Marcello era salito a far fortuna a Milano, Angelo era rimasto a Palermo, al soldo del capo assoluto Stefano Bontate.

Siino racconta che nella seconda metà degli anni '70, in uno dei tanti viaggi in cui accompagnava Bontate a Milano per degli incontri con gli esponenti della mafia siciliana al nord (fratelli Saccà, fratelli Bono, fratelli Martello), vide negli uffici di Martello proprio Marcello Dell'Utri. Bontate aveva in quel momento bisogno di riciclare dei soldi all'estero e Dell'Utri faceva proprio al caso suo, visto che si occupava di problemi di ordine finanziario all'estero, cioè di collocazione di denaro fuori dall'Italia. Ma che tipo di denaro?

Siino non ha dubbi: "Eh, chiaramente erano capitali di Cosa Nostra perché quelli di Bontade erano suoi e di altri appartenenti a Cosa Nostra, quale Teresi, Albanese e compagnia bella. Diciamo, di Cosa Nostra e familiari, perché anche questi erano parenti del Bontade". In realtà sembra che Bontate utilizzasse Dell'Utri senza averne grossa considerazione. "Da quello che ho visto, in quel momento (Bontate) non aveva una grossa considerazione del Dell'Utri, perché diceva che... insomma... lo chiamava l'imbrugghiunazzu". Apprendiamo dunque che nemmeno il massimo boss di Cosa Nostra si fida completamente di Dell'Utri e lo definisce apertamente un imbroglione.

Durante l'incontro Siino rimane in macchina fuori dagli uffici di Via Larga. Poi a un certo punto vede uscire Dell'Utri con al fianco Bontate e Ugo Martello. E' presente probabilmente anche Mimmo Teresi. Siino non lo ricorda con precisione. Gli viene presentato Dell'Utri: i due con un po' di fatica ricordano i tempi in cui erano stati compagni di scuola. Siino viene a sapere dalla bocca di Bontate che Dell'Utri curava i problemi finanziari di Vito Ciancimino, inerenti ad una società di costruzioni con Alamia. Proprio quell'Alamia citato da Paolo Borsellino nella sua ultima intervista alla stampa francese.

Ma Siino racconta anche altro. In quello stesso periodo dovette accompagnare un'altra volta Bontate a Milano. Usano una BMW di grossa cilindrata. Prima però passano da Roma a prendere Vito Cafari, massone calabrese molto vicino agli ambienti della 'ndrangheta. Siino l'aveva conosciuto nel '79 in occasione del tentato golpe separatista, il golpe Sindona. Cafari appartiene alla loggia massonica denominata Camea a capo della quale si trovava il Maestro Venerabile Aldo Vitale. Più che un massone però è un appartenente all'ndrangheta calabrese: conosce praticamente tutti, Paolo De Stefano, Joe Martino, i Piromalli, i Mammoliti.

Durante il viaggio Bontate e Cafari parlano dell'incontro a cui dovranno partecipare. "Fecero cenno al fatto che dovevano incontrarsi con i Condello. Questi Condello erano dei personaggi che avevano a che fare con gente di Locri e che avevano intenzione di sequestrare o Silvio Berlusconi o un suo familiare..."

Una volta arrivati a Milano, i due si incontrano con tre personaggi della mafia di Locri. La conversazione è decisamente poco cordiale. Cosa Nostra e la 'ndrangheta non sono in buoni rapporti. Bontate si sente decisamente superiore agli altri tre e lancia continuamente battute pesanti. Non gli va assolutamente giù che certi personaggi infastidiscano un uomo a lui vicino come Silvio Berlusconi, vicino in particolare ad Ignazio e Giovanni Pullarà. Bontate intima ai calabresi di lasciar stare Berlusconi, i tre nicchiano e non capiscono il perchè dell'ingerenza della mafia palermitana in questo affare.

Durante il viaggio di ritorno in auto, Bontate è molto contrariato. Spiega Bontate: "I Pullarà generalmente hanno protetto Berlusconi dalle ingerenze calabresi e per questo hanno avuto da Berlusconi notevoli riscontri, rientri in denaro. I Pullarà ci stanno tirando u radicuni!". Cioè lo stanno sradicando, lo stanno spazzolando ben bene, gliela stanno facendo pagare a caro prezzo la protezione.

Un altro episodio molto interessante citato da Siino. In un night di Milano dei tizi calabresi iniziano a dar fastidio proprio a Berlusconi e lo offendono in maniera plateale. I Pullarà interverranno personalmente per difenderlo. Il rapporto era dunque di questo tipo, quasi da guardie del corpo. Un rapporto tra estorsore ed estorso?

"Certamente no, forse al principio fu così, ma in secondo luogo, in secondo tempo, il rapporto tra il Bontate e Berlusconi era un po’ sbandierato, soprattutto non dal Bontate che era un tipo diciamo signorile, ma soprattutto da Mimmo Teresi. Mimmo Teresi ogni tre parole diceva Berlusconi è amico mio...".

Col fratello Paolo si dava addirittura del tu.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

travaglio dovrebbe cominciare a preoccuparsi...

Matteo ha detto...

Federico, stai facendo un lavoro immenso... non posso che farti i complimenti... ti leggo sempre con piacere.

Anonimo ha detto...

Federico Presidente!