sabato 24 ottobre 2009

Lo strano caso del comune di Fondi (LT)


Fondi è un comune di circa 31.169 abitanti, appartenente alla provincia di Latina e situato nel sud Pontino a metà strada tra Roma e Napoli, sul tracciato storico della Via Appia. Le favorevoli condizioni climatiche e l’abbondante irrigazione hanno favorito un’intensa vocazione agricola del territorio. L'economia locale è quindi fortemente legata alla produzione e alla distribuzione dei prodotti agricoli. La tradizionale destinazione del territorio ad agrumeto è stata soppiantata in anni più recenti da un’intensa coltivazione di ortaggi, primizie in serra e frutta di ogni tipo. Fondi è sede del secondo centro di distribuzione agroalimentare all'ingrosso d'Europa (M.O.F.), secondo solo a quello di Parigi, che movimenta circa 1,15 milioni di tonnellate di prodotti ortofrutticoli all'anno.


L'indagine Damasco1

Il comune di Fondi e, in generale, tutta l'area della provincia di Latina, è da tempo sotto attenta osservazione da parte degli organi di polizia giudiziaria che, seguendo il filo delle carte processuali, sono arrivati negli ultimi anni a scoperchiare un giro di corruzione che convive in simbiosi con le istituzioni. Nel caso del procedimento denominato Damasco1, che inizia nel 2005 con il procedimento penale n.36857 a carico di tre cittadini di Fondi, le carte svelano con chiarezza che in provincia di Latina, non soltanto quindi a Fondi, la corruzione abita nei palazzi del potere e veste i panni della politica, sempre pronta a siglare affari con il crimine organizzato. L'indagine, portata avanti dalla Dda, concentra l'attenzione sul controllo dei locali notturni, delle agenzie di pompe funebri e delle imprese di pulizie: una rete che secondo gli inquirenti si estende tra Fondi, Monte San Biagio, Itri, San Felice Circeo e Terracina.

Il 21 settembre 2007 il pubblico ministero della Dda Diana De Martino dispone un nuovo procedimento penale contro Riccardo Izzi, Romolo Del Balzo e Massimo Di Fazio: i reati ipotizzati sono l'associazione per delinquere di stampo mafioso, l'abuso d'ufficio e la concussione. Il procedimento penale nasce da un'informativa dei Carabinieri che non lascia spazio a dubbi:

E' stata individuata l'attiva presenza di un'organizzazione che, pur non essendo organica a quella investigata ne favorisce gli interessi e le attività attraverso la sistematica consumazione di delitti contro la pubblica amministrazione. Tale organizzazione, avvalendosi della posizione d'impiego che parte dei sodali rivestono nell'ambito di settori della pubblica amministrazione (politico, amministrativo, giudiziario, esecutivo) attraverso una rete clientelare di scambi di favori e corruzioni, riescono a gestire e controllare parte dell'attività istituzionale del Comune di Fondi accaparrandosi illeciti vantaggi nell'ambito di altri enti pubblici.

Riccardo Izzi vuota il sacco

Nei primi del gennaio 2008, Riccardo Izzi, consigliere di Forza Italia, ex assessore ai lavori pubblici nel comune di Fondi, è vittima di un duplice attentato incendiario alla sua autovettura. Izzi viene immediatamente interrogato dai Carabinieri, ma inizialmente non rivela nulla: “Non so chi possa essere stato”. Il giorno dopo però ci ripensa e torna in commissariato per riferire i due anni di inferno passati al comune, contrassegnati dall'esperienza della cocaina, che lo hanno avvicinato a personaggi legati alle cosche mafiose, come Domenico Tripodo, Massimo Di Fazio, Aldo Trani, Zizzo, Garruzzo ed altri. Confessa che, nell’ultima campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Comunale del 28 maggio 2006, ha preso voti da tale organizzazione criminale.

“Se qualcuno pensa di trovare a Fondi i segni della Lupara si sbaglia di grosso. Perché la quinta mafia, così chiamano l'intreccio d'interessi tra 'ndrangheta e camorra, è qui per investire e per farlo ha bisogno di tranquillità. Due le attrazioni che spingono questa nuova mafia a riciclare il denaro sporco nel Basso Lazio. Il mercato immobiliare che, grazie al turismo è in forte espansione, e il Mof, il mercato ortofrutticolo di Fondi, uno dei più grandi d'Europa”.

Siamo al 3 gennaio 2008. La Procura Antimafia è allertata e i pubblici ministeri Diana De Martino e Francesco Curcio convocano Riccardo Izzi a Roma per la data del 9 gennaio 2008. Il giorno precedente, l'8 gennaio, l'assessore riceve una telefonata dal padre, che lo avverte: “Ti cerca Claudio Fazzone”. Claudio Fazzone è un senatore della Repubblica, potentissimo cavallo di razza del PDL, cresciuto facendo da galoppino a Nicola Mancino e che ora controlla un patrimonio di circa 50.000 voti nel Lazio. Era già presidente del Consiglio regionale del Lazio e coordinatore provinciale di Forza Italia. Fazzone informa Izzi di essere già al corrente di tutte le dichiarazioni da lui rese ai Carabinieri e sa che l'indomani lo attendono i magistrati dell'Antimafia. “Ti devi dimettere subito. Devi lasciare il Comune di Fondi. So cosa vai a fare domani a Roma”. Come faceva il senatore Fazzone a conoscere in maniera dettagliata le dichiarazioni rese qualche giorno prima ai Carabinieri?

La relazione del prefetto

Il perfetto di Latina, il dottor Bruno Frattasi, visto il grave pericolo di infiltrazioni mafiose all'interno del Consiglio Comunale di Fondi, l'11 febbraio 2008 insedia una Commissione di Accesso che, dopo alcuni mesi di lavoro, con una relazione di 507 pagine integrata da 9 faldoni di documenti allegati, accerta ciò che Riccardo Izzi sostiene e cioè che l'amministrazione comunale di Fondi è collusa con una famiglia mafiosa ritenuta la cassaforte dell'usura del basso Lazio.

L'8 settembre del 2008, sulla base della relazione della Commissione di Accesso, Frattasi spedisce al ministro dell'Interno Roberto Maroni una propria relazione segreta sulla presenza della Camorra e dell'Ndrangheta a Fondi, con la richiesta di scioglimento immediato del comune per infiltrazione mafiosa.

Alcuni passi salienti:

La relazione della Commissione di Accesso presso il Comune di Fondi chiaramente tratteggia la fitta ragnatela di rapporti che, nel tempo, è venuta a delinearsi tra soggetti di sicuro spessore criminale, come attestano le referenziate acquisizioni testimoniali a cui, con riferimento a deposizioni giudiziali in procedimenti già celebratisi, fa più volte richiamo la Commissione stessa. Da quella relazione riservata emergono l'inosservanza sistematica della normativa antimafia del comune e le gravissime violazioni dell'amministrazione di Fondi, che, unite all'agevolazione di interessi economici di elementi contigui alla criminalità organizzata o da considerare ad essa affiliati, conferiscono al quadro di insieme una pericolosità tale da dover essere fronteggiata col commissariamento.

In questo quadro, appaiono altamente significative le connessioni, emerse chiaramente in sede di accesso, tra la famiglia Tripodo e soggetti legati, per via parentale, anche a figure di vertice del comune di Fondi, nonché a titolari di attività commerciali, pienamente inserite nel mercato ortofrutticolo di Fondi, Mof. Su tali aspetti appare esaustiva la scrupolosa ricostruzione operata dalla Commissione di accesso, che ben delinea il collegamento della famiglia Tripodo con elementi della mafia calabrese e clan camorristici, in particolare quello dei Casalesi.

Alcuni episodi di grave violazione della legalità:

1) E’ stato accertato dalla Commissione d’Accesso che il settore dell’urbanistica ha oggettivamente agevolato interessi economici di Salvatore La Rosa, pregiudicato e già sottoposto a misure di sorveglianza speciale di P.S., considerato affiliato al clan Bellocco di Rosarno

2) Gravi comportamenti omissivi appaiono anche nella vicenda relativa alla costruzione di ben 30 appartamenti a Fondi. Anche in tal caso il soggetto istante, tale Antonio Dirozzi, soggetto sul conto del quale sono emersi frequentazioni e rapporti con elementi collegati a clan camorristici, non aveva alcun titolo che potesse abilitarlo alla richiesta. In tale vicenda edilizia, oltretutto, si evidenzia anche il coinvolgimento non certamente secondario del Geom. Gianni Giannoni, attuale consigliere di maggioranza e vicesindaco nella precedente giunta Parisella. In tali suddetti episodi appare senz’altro centrale il ruolo del Dirigente del settore urbanistica - Arch. Martino Di Marco. Quest’ultimo annovera precedenti penali per reati propri. In data 26 marzo 2008, per citare il più recente, il Tribunale di Latina lo ha condannato a un anno e 4 mesi di arresto e all’ammenda di 30.000 Euro per il reato di lottizzazione abusiva. Ciò nonostante il Di Marco è stato «stabilizzato» dalla amministrazione Parisella.

3) E’ stata accertata la contiguità di Domenico Tripodo al Sindaco Parisella. Emergono, in particolare due significativi episodi: nel primo il sindaco Parisella interviene personalmente, presente il Tripodo, per «accreditarlo» presso l’amministrazione comunale in relazione a lavori di pulizia che avrebbe dovuto eseguire l’impresa controllata dal Tripodo, sebbene l’amministrazione comunale disponesse al momento di una propria impresa di pulizie; il secondo episodio vede addirittura la ditta del Tripodo di fatto sostituirsi ad altra impresa locale a cui era stato affidato la commessa del trasporto della biblioteca comunale.

4) E’ stata approvata nel 2002 dal Consiglio Comunale una variante al piano regolatore generale, cosiddetta variante Pantanello, che con il voto del sindaco Parisella, in palese conflitto di interessi in quanto avvantaggiato certamente dall’adozione dell’atto, ha previsto la realizzazione di una nuova strada di accesso in tale località, strada peraltro ad oggi costruita solo in parte. Sul nuovo tratto, tuttavia, oggetto di realizzazione, si affaccino alcuni capannoni industriali, tra i quali, oltre a quello direttamente riferibile al sindaco Parisella, anche altri riferibili: I) ad un consigliere comunale Antonio Ciccarelli con comprovati rapporti con La Rosa Salvatore; II) a tale Diego Alecci, carrozziere, considerato vicino alle famiglie Trani e Tripodo; III) a tale Massimiliano Forcina, socio accomandatario di una società di autodemolizione, il quale, all’esito di accertamenti in Sdi, è 5)Per la somministrazione di lavoro interinale, il comune di Fondi ad un certo punto decide di rivolgersi alla filiale fondana di una ditta campana - la GE.VI. - la cui titolarità di fatto, in base a documentali acquisizioni della commissione di accesso, è riferibile a Visconti Gennaro, vicino a soggetti camorristici, pregiudicato.

5) Assai grave inoltre appare l’inosservanza sistematica della normativa antimafia. Tale inosservanza, che è stata registrata in ogni tipo di attività contrattuale ad evidenza pubblica, è un fatto che certamente può considerarsi agevolativi rispetto all’instaurazione di rapporti contrattuali. Essa non solo riguarda numerose imprese, che hanno presentato controindicazioni di vario tipo, ma come ha posto in risalto la commissione di accesso, concerne, per lo più, soggetti imprenditoriali di origine campana, con riferimento ai quali non sembrano sussistere, né peraltro sono mai state fornite in sede di accesso, plausibili ragioni di convenienza/opportunità/necessità per farvi ricorso.

6) Garruzzo Vincenzo, già citato, risultava ammonire i debitori usurati a saldare prontamente i prestiti ricevuti, minacciando che, in caso di persistente «inadempimento», non avrebbe esitato a chiedere l’intervento di propri sodali calabresi che sarebbero venuti a Fondi proprio per spalleggiare le pretese del loro affiliato. Ed è importantissimo in questo scenario citare il fatto che il sindaco Parisella, con lettera a sua firma, ha conferito alla figlia di Garruzzo Vincenzo, Garruzzo Rosaria, l’incarico di revisore dei conti nell’ambito del progetto Equal sostenuto con fondi comunitari, incarico esauritosi a marzo 2008. L’attuazione dello stesso progetto ha visto, peraltro, tra i suoi beneficiari anche l’impresa Net Service riferibile al più volte richiamato Tripodo Carmelo Giovanni.


Le reazioni alla relazione del prefetto

Il 7 novembre 2008, in seguito a questa relazione, il prefetto Frattasi viene fatto oggetto di pesanti attacchi. In particolare, il senatore Claudio Fazzone invoca una commissione che indaghi sul suo operato: “Credo nelle istituzioni, ma ho ragione di dubitare su quanto accaduto con la Commissione d'Accesso a Fondi. Frattasi, che contesta agli altri di non saper amministrare, da commissario del Comune di Gaeta ha redatto bilanci contestati dalla Corte dei Conti. Tutti possiamo sbagliare, ma non si danno lezioni agli altri, come fa il prefetto”. Il presidente della provincia, Armando Cusani, anche lui in quota Pdl, va oltre e arriva a dichiarare che “la mafia a Fondi non esiste”. Altri spiegano che in realtà è “tutto un complotto”. Il Sindacato dei Prefetti è costretto ad esprimere solidarietà al collega di Latina.

Roberto Maroni trasmette al Consiglio dei Ministri la richiesta di scioglimento solo a febbraio 2009. Da allora sono stati sciolti due comuni, Rosarno in Calabria e Villa Literno, nel Casertano. Ma la pratica-Fondi, feudo elettorale del senatore forzista Claudio Fazzone, ora coordinatore provinciale del Pdl di Latina, rimane bloccata.

La richiesta del prefetto Frattasi si ferma una volta arrivata a Palazzo Chigi e diventata un caso politico per l'insorgere dei parlamentari del Pd. In un'interrogazione parlamentare i deputati democratici Marco Minniti, Gianclaudio Bressa e Laura Garavini chiedono al premier “quali siano le motivazioni per cui non si sia ancora provveduto a sciogliere Fondi. La situazione ordine pubblico in quel comune s'è infatti aggravata a tal punto che negli ultimi giorni ci sono stati attentati incendiari e azioni intimidatorie a danno di imprenditori di Fondi riconducibili ad un'ulteriore recrudescenza dell'offensiva della criminalità organizzata sul territorio”.

L'indagine Damasco2

Il 6 luglio 2009 la città di Fondi viene travolta da un'altra indagine della Dia di Roma con il supporto dei Carabinieri di Latina, denominata Damasco2, che porta all'arresto di 17 persone per associazione di stampo mafioso, abuso di ufficio, corruzione e falso. Tra gli arrestati, i fratelli Carmine e Venanzio Tripodo, esponenti legati a clan della 'Ndrangheta, alcuni dirigenti comunali e l'ex assessore di Forza Italia Riccardo Izzi.

Il colonnello Paolo La Forgia, capo della Dia di Roma, spiega: “E' una ricostruzione dettagliata di vari episodi, di varie indagini, talune remote altre recentissime. (…) E' stata data forma a questa associazione mafiosa che da tempo operava nel fondano. Associazione mafiosa di tipo 'ndranghestistico, la cui espressione avveniva tramite i fratelli Tripodo legati alla cosca calabrese La Minore (…) Dalla lettura dell'ordinanza di custodia cautelare, ci sono numerosi episodi che riportano a delle collusioni con funzionari del comune di Fondi. (…) Non tutte le indagini vanno a buon fine. Noi stessi della Dia nel '99 abbiamo fatto un'indagine che però non ha portato agli esiti sperati. Però è rimasta una grossa indagine, ripresa e rivisitata, e quindi ha consentito l'emissione di misure di custodia cautelare anche con riferimenti al passato. (…) Il MOF (Mercato Ortofrutticolo) ha centinaia di operatori commerciali e ovviamente sono gente assolutamente pulita, poi però ci sono alcuni settori in cui evidentemente i Tripodo hanno inteso reinvestire dei proventi provenienti dall'usura e dal traffico di stupefacenti in alcune società. Tutte e tre sequestrate, tutte e tre facenti capo a un noto imprenditore del MOF di Fondi”.

La tensione cresce. Il 24 luglio 2009, il Consiglio dei Ministri, chiamato a prendere una decisione sul possibile scioglimento del comune di Fondi, rinvia il voto. Il Governo nomina una seconda commissione d’indagine, chiede un parere alla Commissione Antimafia e infine invita il prefetto Frattasi a rivedere la relazione in base alle nuove normative sulla sicurezza appena emanate dal Governo. Ovviamente Frattasi, che ha dovuto confrontarsi anche con il Comitato provinciale per la pubblica sicurezza, giunge alle stesse conclusioni e invia una seconda richiesta di scioglimento al governo. Non c’è scampo: il Consiglio comunale di Fondi va sciolto.

Il governo tergiversa

Il 31 luglio 2009 il governo è di nuovo chiamato a valutare la situazioni di Fondi. Nuova riunione del Consiglio dei Ministri e nuova fumata nera. Comunicazione ufficiale: “Il Consiglio dei ministri ha deliberato di riconsiderare la proposta di scioglimento del consiglio comunale di Fondi, a suo tempo formulata dal ministro dell'Interno, sulla base di una nuova relazione che lo stesso ministro dovrà sottoporre al consiglio dei ministri alla luce delle modifiche introdotte dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, che entrerà in vigore nei prossimi giorni e che detta nuove norme per lo scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose”.

Il parlamentare dell'Idv Stefano Pedica srotola davanti all'ingresso principale di Palazzo Chigi uno striscione con una scritta inequivocabile: "Via la mafia dalle istituzioni". “Ci risulta - dice Pedica - che anche questa volta il Consiglio dei ministri non prenderà nessuna decisione riguardo lo scioglimento del comune di Fondi per infiltrazioni mafiose, accertate e dichiarate dal prefetto di Latina. Ci sono stati 17 arresti e nessuno fa nulla”.

In seguito, la protesta si sposta all'interno della sala stampa della sede del governo, occupata dallo stesso Pedica, accompagnato dal deputato Francesco Barbato e dalla senatrice Giuliana Carlino. Doveva tenersi una conferenza dei ministri Sacconi e Gelmini, che poi si è tenuta in un'altra sala.

Il governo dice no

Il 15 agosto 2009 la decisione sullo scioglimento di Fondi viene rinviata per l'ennesima volta: almeno tre ministri sono contrari allo scioglimento.

Maroni dichiara: “Abbiamo fatto tutto ciò che si doveva. Ho già dato incarico al prefetto competente di svolgere nuovi accertamenti in modo da essere pronto al primo Cdm a portare una nuova relazione se gli esiti della prima saranno confermati”.
Berlusconi rivela: “In Cdm sono intervenuti diversi ministri. Alcuni erano contrari allo scioglimento di Fondi. Hanno fatto notare come nessun componente della giunta e del consiglio comunale sia stato neppure toccato da un avviso di garanzia. Quindi sembrava strano che si dovesse intervenire con un provvedimento estremo come lo scioglimento della giunta”.
Chi sono i ministri contrari? Lo rivela un'inchiesta de L'Espresso del 27 agosto 2009.

Sono proprio i tre ministri “amici” del senatore Claudio Fazzone: Renato Brunetta (la cui compagna, Tiziana Giovannoni, detta Titti, è cognata del sindaco di Cisterna di Latina), Giorgia Meloni (è fidanzata con Nicola Procaccini, uno degli avvocati della moglie del senatore Fazzone, a cui è intestata la villa di famiglia sequestrata perchè abusiva. Procaccini difende pure grossisti del Mof come Vincenzo Garruzzo, già arrestato per usura) e Altero Matteoli (il ministro delle Infratrutture è sceso in campo a favore di Ilaria Bencivenni, candidata sindaco di Aprilia, uno dei comuni più popolosi della provincia, dopo furiose lotte interne chiuse da un diktat del solito Fazzone). Si viene a sapere che Maroni, su pressione di questi ministri, ha dovuto fare dietrofront, facendo rinviare la votazione per ben tre volte.

Di Pietro dichiara: “Il premier fa finta di dimenticare che lo scioglimento del Comune è stato richiesto dal prefetto Frattasi circa un anno fa: cinquecento cartelle che provano l'intreccio tra mafia, politica e comitati d'affari, con 17 arresti. Ma questi signori ministri, che oggi sostengono davanti alle telecamere di battersi contro la mafia, fanno l'esatto contrario: premiano i malavitosi e condannano i cittadini di Fondi a convivere con la mafia. Così è sempre più chiaro a tutti da che parte sta chi ci governa”.

Il capogruppo Pd all'Antimafia Laura Garavini propone un'interpellanza parlamentare: “Chiedo informazioni sulla società che ha sede a Fondi, denominata SILO srl, della quale sono soci l'attuale sindaco di Fondi, Luigi Parisella, il senatore Pdl, Claudio Fazzone e tale Luigi Peppe. Detta società, che dovrebbe occuparsi di lavorazione di prodotti agricoli, è di fatto inattiva ma possiede una struttura industriale situata in un'area interessata da una variante urbanistica detta Pantanello, che ha inciso significativamente sul valore del capannone della Silo come di altri capannoni presenti in zona. Il signor Luigi Peppe, oltre ad essere cugino del sindaco, è fratello di Franco Peppe, soggetto in rapporti certi con la famiglia Tripodo, ed in particolare con Antonino Venanzio Tripodo. Il quale, secondo alcuni collaboratori di giustizia, avrebbe usato per la consegna di armi a soggetti appartenenti al clan camorristico dei Casalesi una automobile intestata proprio a Franco Peppe”.

Anche l'Associazione Nazionale dei Prefetti protesta contro il mancato scioglimento del comune di Fondi.

La relazione di Maroni

Il 18 settembre 2009 il ministro dell'Interno Maroni, sulla base delle indicazioni provenienti dal prefetto di Latina, le precedenti indagini della Commissione Parlamentare Antimafia e in seguito alla retata della Dia di Roma, redige di proprio pugno una relazione sulla situazione del comune di Fondi.

Alcuni passi salienti:

Il comune di Fondi (Latina), i cui organi elettivi sono stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 28 maggio 2006, presenta forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata tali da determinare una alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, nonché il funzionamento dei servizi, con grave e perdurante pregiudizio per lo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica. L'infiltrazione della criminalità di tipo mafioso nell'area pontina, e più specificamente nella zona di Fondi, è segnalata da oltre un decennio sulla base di specifiche risultanze investigative.

La commissione ha acclarato, insieme alla stretta continuità tra l'attuale consiliatura e la precedente, come nell'amministrazione comunale si siano radicate anomalie organizzative e procedurali nonché illegittimità gravissime quanto diffuse, i cui esiti hanno spesso oggettivamente favorito soggetti direttamente o indirettamente collegati alla criminalità organizzata.

Ritenuto, pertanto, che ricorrano le condizioni indicate per l'adozione del provvedimento di cui all'art.143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, come sostituito dall'art. 2, comma 30, della legge 15 luglio 2009, n.94, si formula conseguente proposta per l'adozione del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale di Fondi (Latina).


Il Consiglio comunale si dimette in massa


Il 2 ottobre 2009, proprio la mattina in cui il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto prendere la decisione definitiva sullo scioglimento della giunta di Fondi, arriva una notizia inaspettata. Un anno e 25 giorni dopo la richiesta di scioglimento del prefetto di Latina per infiltrazioni mafiose (respinta per ben due volte dal Consiglio dei Ministri), la maggioranza di centrodestra (Pdl con Udc) di Fondi decide di rassegnare le dimissioni, prendendo letteralmente in contropiede il governo.

Per le opposizioni si tratta di una manovra per bloccare la decisione del Cdm.
La Cgil commenta: “E' un escamotage per potersi ricandidare”.
Pedica rincara la dose: “È una mossa mafiosa che serve a evitare lo scioglimento di un comune mafioso”.
Franceschini chiosa: “Se si sono dimessi, significa che il marcio c'era”.

Da parte sua, il sindaco di Fondi, Luigi Parisella, si difende: “Non potevamo andare avanti così. Pensavo di farcela, ma io non reggo più al peso, alle pressioni politiche e mediatiche: era ora di finirla”. Parisella non fa alcun cenno all'accusa contestagli dal prefetto di conflitto di interessi per aver votato una variante urbanistica che ha favorito una società (la Silo srl), nella quale è socio insieme al senatore Pdl Claudio Fazzone e al parente di un pregiudicato.

Il commissario straordinario

Il 9 ottobre 2009 il governo, non potendo più sciogliere il comune di Fondi ormai dimissionario, si limita a nominare un commissario straordinario che sostituisca il sindaco e indice nuove elezioni amministrative previste per marzo 2010. Si tratta di Guido Nardone, esperto di infiltrazioni mafiose negli enti pubblici. Si andrà dunque alle elezioni. Gli ex amministratori di Fondi potranno ricandidarsi, tranne Parisella, ma solo perché è già stato eletto sindaco per due volte consecutive.

Pedica sottolinea: “In questa maniera però gli stessi consiglieri che da mesi sono chiacchierati per presunte collusioni con la mafia potranno ripresentarsi alle prossime elezioni”.
Maroni si difende rivelando che la scelta di non sciogliere Fondi è stata premeditata: “Di comuni accusati di infiltrazioni mafiose ne ho sciolti 12, quattro in più rispetto al precedente esecutivo. Ma per Fondi ho preferito le elezioni. Ora il popolo potrà scegliere i nuovi amministratori”.

Approfondimenti

Il 15 luglio 2009 è stata varata, all'interno del pacchetto sicurezza, la legge L 94/2009, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio 2009. E' la legge a cui fa riferimento lo stesso ministro Maroni nella sua relazione del 18 settembre 2009, in cui intimava lo scioglimento del comune di Fondi.

Gli articoli più rilevanti:

1. L'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è sostituito dal seguente: Art. 143. - (Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguenti a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dei dipendenti). Fuori dei casi previsti dall'articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare ovvero su forme di condizionamento degli stessi amministratori, tali da determinare una alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica.

5. Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione del prefetto rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e a ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con l'obbligo di avviare il procedimento disciplinare da parte dell'autorità competente.

10. Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici mesi a diciotto mesi, prorogabile fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, al fine di assicurare il regolare funzionamento dei servizi affidati alle amministrazioni, nel rispetto dei princìpi di imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa.

11. Gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso

lunedì 19 ottobre 2009

Si dimetta chi ha taciuto sulla trattativa


<<Le belle parole del Procuratore Grasso al TG3 per noi purtroppo sono amare come il fiele. Intanto perché troppe bugie abbiamo ascoltato in questi anni, mentre cercavamo giustizia completa per la morte dei nostri parenti, e perché le conseguenze delle quali il PNA (Procuratore Nazionale Antimafia, n.d.r.) parla oggi con grande semplicità, noi le abbiamo pagate tutte e senza sconti.

Non ci interessa se si è cercato di fermare una deriva stragista con interlocutori credibili, e ancora meno ci interessa se non si è riusciti a non riconoscere a “cosa nostra”, malgrado lo sforzo, un ruolo tale da essere a livello di trattare con lo Stato. Quella sbagliata e vigliacca trattativa giocata tutta sulla pelle dei nostri figli, non solo ha avuto conseguenze dolorosissime , ma è stata la dimostrazione della totale impotenza dello Stato contro la mafia.

Impotenza che permane ancora oggi e lo sanno tutti benissimo, visto come sono trattate le nostre vittime.
Si dimettano quindi come primo provvedimento da qualunque incarico pubblico e politico, quanti hanno messo a punto una trattativa più che ignobile con la mafia e quanti erano a conoscenza della trattativa con “cosa nostra” già dal 1992 e si sono chiusi in omertosi opportunistici silenzi per sedici anni. Da questo momento in poi dedicheremo tutte le nostre forze, a cercare di perseguire attraverso la legge, quanti sono responsabili in Italia insieme alla mafia della morte dei nostri parenti.

Diciamo altresì che rivelare oggi dopo 16 anni una trattativa nei termini nei quali l’ha rivelata il PNA Grasso, ovvero dire :
“Era un momento terribile, bisognava cercare di fermare questa deriva stragista che era iniziata con la strage di Falcone. I contatti servivano a questo e ad avere degli interlocutori credibili. Ma il problema era quello di non riconoscere a “cosa nostra” un ruolo tale da essere al livello di trattare con lo Stato, ma non c’è dubbio che questo primo contatto ha creato delle aspettative che poi ha creato ulteriori conseguenze”, è una cosa che nessuno ci farà mai ingoiare per il quieto vivere di certi uomini dello Stato, i quali dovrebbero non solo cambiare mestiere, ma vergognarsi di indossare una divisa, una toga, di nascondersi dietro ad un simbolo politico, ad una carica istituzionale.

E ancora di più dovrebbero vergognarsi di aver nascosto per sedici anni a delle madri i nomi di chi ha ucciso i loro figli, ma soprattutto i nomi di chi li ha lasciati uccidere, perché dovevano tenere nascosta una vergognosa trattativa andata male.

Ammesso e non concesso che tutto questo sia la verità, perché a questo punto potrebbe benissimo essere ancora un tentativo per riallungare quella coperta che per troppi ormai insistiamo è davvero corta, siamo stanchi di bugie e mezze verità, meritiamo rispetto e invece sentiamo intorno a noi solo desolante isolamento.>>

Cordiali saluti

Giovanna Maggiani Chelli
Associazione familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili

venerdì 16 ottobre 2009

Una vita da Mesiano



Ho deciso. Vado a fare la tessera del PDL.

Dopo quello che ho visto in tv questa mattina, mi hanno convinto. Ho capito finalmente perché il nostro premier è l'uomo più perseguitato della Storia, quella con la S maiuscola. Ho capito anche che lui è veramente il miglior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni e che l'ha detto solo perché è di una modestia smisurata che neanche San Francesco, perché avrebbe potuto benissimo dire che lui è stato il migliore della Storia, sempre quella con la S maiuscola, di tutti i tempi e di tutte le nazioni. E si sarebbe tenuto ancora stretto. Ho realizato finalmente quanto lui sia buono e giusto, anzi: troppo buono e troppo giusto. Troppo buono perché la sua bontà sia concepita (come accade solo agli uomini degni, appunto, di un tale appellativo) e troppo giusto perché la sua giustezza sia riconosciuta tale. Ammetto di aver vissuto in un tremendo inganno, in una tremenda bolla di sapone, creatami intorno ad arte da tutti quei giornali insuflati di spirito comunista. Ora che ho visto la luce, davvero non riesco a capacitarmi di come io abbia potuto lasciarmi ingannare per così tanto tempo.

Immagino che a questo punto anche voi vorrete sapere cosa mi ha aperto gli occhi definitivamente, cosa mi ha ridestato dal sonno della ragione. Non ci crederete, ma quella cosa ha un nome e quel nome è: Claudio Brachino. Mai avrei pensato che un giornalista di tal fatta avebbe avuto su di me un'influenza tanto sconvolgente. D'ora in poi non smetterò più di ringraziarlo. Da qui alla fine dei miei giorni. Grazie Claudio. Grazie Brachino. Anzi: posso chiamarti Braq? Grazie Braq. Mi hai salvato la vita. Hai impedito, in una fredda mattinata di ottobre, che la mia anima fossa rapita dall'oblio comunista. E di questo ti sarò grato per sempre.

Fino ad ora ero convinto che quel giudice, come si chiama?, Mesiano? Mesiani?, insomma quello che aveva deciso di dar ragione alla Cir di De Benedetti nel processo civile di primo grado riconoscendo il torto subito e condannando Mediaset, l'allora Fininvest, allo storico risarcimento di 750 milioni di euro, avesse fatto semplicemente il suo dovere e si fosse limitato a constatare una sentenza penale ormai da tempo passata in giudicato in cui si stabiliva che Previti aveva corrotto il giudice Metta con soldi della Fininvest per far arrivare la Mondadori nelle mani del solito utilizzatore finale. Che ovviamente non ne sapeva niente e che accettò il tutto come un gentile omaggio. Avevo pensato fino ad ora che quella sentenza che Mesiano ha scritto avrei potuto scriverla pure io, avendo in mano lo scudo spaziale della pronuncia della Cassazione in merito. Un gioco da ragazzi, senza nemmeno perdere tempo a scartabellare carte. Qualcosa di assolutamente lineare e limpido. Un atto dovuto.

Ora invece Brachino mi ha aperto la mente e allargato gli orizzonti. Che idiota ero stato a dare la mia fiducia ad un giudice che in realtà, come ha abilmente dimostrato quel grande giornalista che è Brachino, della stoffa del giudice ha ben poco. Anzi. I suoi comportamenti sono alquanto sospetti. L'ho capito questa mattina guardando quello splendido programma su Canale5 che risponde al nome di Mattino Cinque. Quello, tanto per intenderci, dove il giornalista di punta è Filippo Facci. Voglio dire: chapeau. Non molte testate possono vantare di ospitare in studio certi personaggi dell'intellighenzia italiana. E qui si sta parlando indubbiamente della crème de la crème. Quindi rilassatevi sulle vostre sedie, perché voglio condividere con voi, parola per parola, il servizio giornalistico che ha cambiato la mia vita e che, spero, dia una svolta anche alla vostra. Prima che moriate tutti comunisti. E non sarebbe bello, credetemi.

Guardate. C'è Brachino in studio che brandisce un pagina di un quotidiano che titola "Il CSM promuove il giudice anti-Fininvest". Questo quotidiano è Il Giornale, cioé la testata giornalistica della famiglia Berlusconi, padrone di Fininvest. Lo dico per mettere le mani avanti. Se qualcuno comincia a parlarmi di conflitto di interessi, lo fulmino. Quella roba lì ormai è acqua passata, alla gente non gliene frega niente del conflitto di interessi, il popolo l'ha votato e gli piace così, me l'ha insegnato Bondi, me l'ha ribadito Rotondi e ma l'ha esemplificato magistralmente Capezzone e quindi smettetela di fare quella faccia lì, quella faccia un po' così, che avete voi che avete l'anima comunista. Il conflitto di interessi non è il punto. Il punto che interessa a noi in questo momento è che un giudice si è permesso di fare una sentenza che mette in ginocchio una delle aziende più floride del paese, che dà da lavorare a 20.000 persone e che ci/vi intrattiene tutti i giorni con Il Milionario e Il Grande Fratello. E' mai possibile essere più anti-italiani di così? E il CSM poi! Che s'inventa la promozione per meriti sul campo. E poi ci si stupisce che il nostro premier parli di magistratura di sinistra. Voglio dire: servono altre prove?

E poi guardate. Perchè questo è solo l'inizio. Guardate il servizio che lancia Brachino. Sono immagini esclusive che Canale5 ha raccolto con un'inchiesta giornalistica, degna, questa sì, del premio Pulitzer. Altro che Sandro Ruotolo che si diletta con cose trite e ritrite vecchie di vent'anni. Le telecamere del Biscione sono riuscite ad immortalare quel giudice, come si chiama?, Mesiano? Mesiani?, in attimi di solitudine, mentre passeggia per le vie di Milano e mette in luce tutta la sua falsità, tutta la sua meschinità, tutta la sua ambigua pericolosità.

Eccolo il giudice, ripreso di fronte, che cammina con passo spedito. Lui non lo sa di essere osservato e allora dà sfogo a tutte le sue pulsioni più perverse. Innanzitutto guardate come è vestito. Quei pantaloni blu, stretti ben sopra la vita, che nemmeno Fantozzi, gli danno un'aria vecchia, stanca, impacciata. Non c'è da aspettarsi niente di buono da uno che veste come il mio bisnonno. E su questo, converrete con me. Ha un giornale sotto braccio, è bello voluminoso, non può che essere La Repubblica con tutti gli inserti annessi. E poi è completamente fuori forma. La magliettina bianca tradisce un ventre flaccido e rotondo. Dico io: un giudice che non sa nemmeno prendersi cura della propria panza, può permettersi di dare giudizi ad una società così prestigiosa e leggendaria come la Fininvest? Basterebbe già questo a rendere nulla la sua credibilità. Ma vi ripeto, questo è solo l'inizio. Ne vedrete delle belle tra poco. Siete pronti?

Ecco Raimondo Mesiano (che nome insulso) che è arrivato a passo lento alla sua meta. Sapete cos'è? Tenetevi forte. Il negozio di un barbiere! Una cosa a dir poco vergognosa. Ma come si fa? Un giudice che invece di lavorare pensa a farsi bello. Dice: la giustizia non funziona, la giustizia è lenta. E ti credo! Con giudici come questi, che invece di andare in ufficio ciondolano per Milano e passano le ore ad attendere l'apertura del negozio di un barbiere, non si può certo andare lontano. E poi guardate. E' arrivato in anticipo! Ma è mai possibile? Rispondete a questa domanda, se ci riuscite: può essere credibile un giudice che non sa nemmeno a che ora apre il suo barbiere di fiducia? Dai, non scherziamo: qui siamo di fronte ad un soggetto, come minimo, con dei seri disturbi della personalità. Non siete ancora convinti? Certo che voi comunisti, proprio, siete duri di comprendonio. Beccatevi questa. Avete notato cosa ha in mano? Dai, ditemelo. Ecco: una sigaretta. Una sigaretta! E vi sembra normale? Da quando in qua si è visto un giudice che fuma? Non so voi, ma io me ne starei ben alla larga da un tizio così. Guardate come inspira il fumo del tabacco. E poi come espira. Ha dei problemi, questo è chiaro.

Non volete dire che è pazzo? Va bene, allora diciamo che è "stravagante". Questo me lo concederete, spero. Voglio dire, guardate come si tira su le maniche con fare indispettito. E poi passeggia! Dico, avete visto? Passeggia!!! Cose dell'altro mondo. Guardate come è impaziente. Non riesce a stare fermo. Sembra un leone in gabbia. Cammina avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro. Ho quasi pena per lui. Chissà quali problemi psicofisici lo spingono ad un simile comportamento, obiettivamente indecoroso per il ruolo che ricopre. Ma lui non si scompone: va avanti e indietro, avanti e indietro. Come se niente fosse. Roba da chiamre il 113 seduta stante.

Poi finalmente arriva il barbiere che apre il negozio. E dico finalmente perchè chissà cosa avrebbe potuto fare se avesse dovuto attendere ancora cinque minuti. Non so davvero se sarebbe riuscito a contenere la sua impazienza o sarebbe esploso arrivando a compiere un gesto inconsulto. Grazie a Dio il barbiere è arrivato e ha evitato che si compisse un nefasto evento. Eccolo, il giudice, finalmente rilassato sulla poltrona, mentre si fa fare lo shampo e si fa insaponare il viso con la schiuma da barba. E' un'indecenza bella e buona. Se solo il CSM avesse potuto vedere tutto questo, forse ci avrebbe pensato su dieci volte prima di decidere la sua promozione. Meno male che le telecamere di Canale5 passavano di lì per caso e hanno potuto riprendere questo scempio. Questo schiaffo alla gente onesta.

Ma non finisce qui. Finito dal barbiere, esce e continua impunemente a passeggiare. Io non so se vi rendete conto: a passeggiare! E poi, ad un certo punto, si ferma pure al semaforo! Lo so, lo so cosa volete dire voi comunisti: si è fermato perchè il semaforo è rosso. Ma vi sembra una giustificazione? Nessuno in Italia si ferma col rosso. Lo sanno tutti. Io direi invece che si tratta di una prova schiacciante della sua indole comunista. Come tutti i comunisti, è attratto da tutto ciò che è rosso. Sicuro che, se avesse visto una luce, che so?, verde, avrebbe continuato a passeggiare con quel suo incedere stravagante. Sicuro. Ormai lo conosco fin troppo bene questo Mesiano. Ma siccome voi ancora fate spallucce, vi prego di attendere solo un attimo. Guardate, si è acceso di nuovo una sigaretta. L'ennesima della mattina. Una sconceria, non c'è dubbio.

E ora che fa?!? Questa le supera tutte. Non sono sicuro nemmeno che abbiate il coraggio di vedere quest'ultima stravaganza. Potrebbe impressionarvi. Anzi, se avete vicino a voi un minore, ditegli di allontanarsi. Non si sa mai che effetti possa fare su menti ancora acerbe il comportamento di un giudice oggettivamente psicopatico. Perfetto, ora che avete allontanato i vostri bimbi, ve lo posso dire. Siete pronti? Bene. Ecco qua: si è seduto su una panchina! Capito?!? Seduto! E per di più su una panchina! Io veramente non ho parole per esperimere il disgusto che mi riempie lo stomaco. Lo dico con sincerità. Ho quasi il vomito. Roba da codice penale. Sì perchè voi ancora non avete visto la chicca finale. Vi ho già detto del pantalone blu e della magliettina bianca. Ma niente sapete del vero orrore che quell'uomo indossa. Ora, lo so, sono immagini che potrebbero sconvolgere anche gente col pelo sullo stomaco. Ma la libertà di informazione non si può fermare. E bene ha fatto Canale5 a proporcele. Eccole: il mocassino marrone rivela un paio di calzini color turchese!!!

Ora, dopo questa, dovete ammettere anche voi che si tratta evidentemente di uno squilibrato. Io veramente spero che qualcuno abbia chiamato la neurodeliri e l'abbiano portato via prima che possa fare del male a qualcuno. Voglio dire: il mocassino marrone col calzino turchese, a Milano. A Milano! La capitale mondiale della moda. Anzi, devo dire che sono incazzato con la Moratti. Dove sono le ronde che aveva promesso? Perchè, quando c'è serio bisogno, non ci sono mai?

Meno male che il servizio è finito. Ora, come ci tiene a sottolineare l'ineccepibile Brachino, noi non vogliamo ovviamente dare giudizi e trarre conlusioni affrettte su un giudice che ha dimostrato di essere un pericolo sociale. No. Questo mai. Però un paio di considerazioni sono come minimo doverose. Stampatevi queste parole di Brachino: "Tra la stravaganza del personggio e la promozione del CSM, c'è qualcosa che non funziona". Lui sì che ha capito tutto. Lui sì che ha inquadrato immediatamente il personaggio e l'assurdità di una situazione al di là del bene e del male. E se non vi basta il contributo di Brachino, che, voi direte, è di parte, beccatevi cosa ha da dire un giornalista assolutamente indipendente come Alessandro Sallusti, vice direttore de Il Giornale. E zitti. Vi ho già detto che delle vostre lagne sul conflitto di interessi non frega niente a nessuno.

Invece di criticare sempre come fate voi, state una buona volta ad ascoltare chi ha qualcosa da dire. E' chiaro che non è solo una questione di stravaganza fisica, quella è solo la punta di un iceberg, la somatizzazione di un problema interiore molto più profondo e grave, che produce un'inaccettabile stravaganza professionale. Volete la prova regina? Eccola. Durante una causa tra due condomini per la classica rottura di un tubo dell'acqua che poi sporca il soffitto del condomino di sotto, lui, Mesiano, questo po' po' di giudice, sapete cosa si è inventato? Si è messo in testa di fissare le cause di anno in anno. Avete capito? Di anno in anno! E sapete a quando ha rimandato la prossima? Al 2011! Per un tubo dell'acqua rotto! E il CSM l'ha pure promosso!

Questi sono gli scandali veri di cui i telegiornali dovrebbero occuparsi. Altro che veline ed escort. Ora ho capito tutto. La mia mente è sgombra. Il complotto contro il nostro, anzi il mio premier, è talmente evidente che solo degli ottusi come voi, che mi state leggendo sperando che dica qualcosa contro il mio Silvio, possono ignorare.

Io vi saluto. La cosa finisce qui. Vi ho voluto bene. Ora non più. Per me ormai siete e rimarrete i soliti comunisti. Addio. Vado a fare la tessera del PDL.

Grazie Braq.

giovedì 15 ottobre 2009

Ecco il papello di Riina!



Mancino Rognoni
Ministro Guardasigilli
Abolizione 416 bis
Strasburgo maxiprocesso
SUD partito
Riforma Giustizia alla Americana sistema elettivo
con
persone superiori ai 50 an­ni indipendentemente dal titolo di studio (Es. Leonardo Scia­scia)

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Abolizione del car­cere preventivo se non in fla­granza di reato;
in questo caso rito direttissimo

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Aboli­zione del Monopolio Tabacchi



Consegnato, SPONTANEAMENTE, al colonnello dei carabinieri MORI dei ROS

mercoledì 14 ottobre 2009

La disinformatia de Il Secolo XIX


In questi ultimi giorni sembrano aver avuto grande risonanza le rivelazioni rilasciate da Antonio Di Pietro nell'ultima puntato di Annozero, durante la quale il leader dell'Italia dei Valori ha raccontato un dettaglio assolutamente nuovo: subito dopo la strage di via D'Amelio, il 4 agosto 1992, ricevette un passaporto di copertura (sotto il falso nome di Marco Canale), fornitogli dalle autorità competenti per espatriare in Costa Rica insieme alla moglie, a seguito di un'informativa dei Carabinieri del Ros di Milano, datata 16 luglio 1992, in cui si faceva esplicito riferimento al pericolo imminente di un possibile attentato ai suoi danni. Nella stessa informativa si indicava anche il nome del giudice Paolo Borsellino come probabile bersaglio di Cosa Nostra. Successe però che, se Di Pietro fu immediatamente informato, il giorno stesso, di questo pericolo, Paolo Borsellino ne rimase all'oscuro: la busta con l'informativa, spedita da Milano con posta ordinaria, arriverà a Palermo troppo tardi, quando ormai il giudice è saltato in aria insieme ai suoi ragazzi in via D'Amelio.

La notizia della “fuga” in Costa Rica dell'allora pm Antonio Di Pietro è stata ripresa da molti giornali, che hanno preferito concentrarsi su questo episodio, oggettivamente del tutto marginale, e tralasciare le ben più importanti rivelazioni dell'allora ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli che, sempre nella stessa puntata di Annozero, ha raccontato quello che Salvatore Borsellino aveva sempre sospettato, cioè che Paolo Borsellino fosse stato messo a conoscenza della trattativa in corso tra i vertici di Cosa Nostra e i più alti esponenti del Ros, nella figura del generale Mario Mori e del capitano Giuseppe De Donno, per tramite dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Cinacimino.

La notizia è di quelle sconvolgenti, visto che una delle ipotesi fin qui al vaglio dei magistrati è che il giudice Paolo Borsellino sia stato eliminato (ed eliminato anche in fretta) poiché avrebbe costituito un ostacolo insormontabile allo sviluppo della trattativa. Anche se De Donno si è affrettato a smentire che nell'incontro avuto il 25 giugno con Paolo Borsellino si sia mai parlato di “trattativa”, ma solo di indagini “mafia-appalti”, le parole di Martelli aprono degli scenari decisamente inquietanti.

L'attenzione dei giornali però si è concentrata principalmente su Antonio Di Pietro e sul ruolo da lui svolto in quelle concitate giornate dell'estate 1992. In successione, sabato 10 e domenica 11 ottobre, sono apparsi su Il Secolo XIX due articoli a tutta pagina a firma del giornalista Manlio Di Salvo dal titolo “La verità su Di Pietro, 17 anni dopo” e “Borsellino non volle espatriare”. Entrambi gli articoli partono da spunti autentici per arrivare, attraverso un accumulo di notizie distorte o addirittura inventate di sana pianta, a conclusioni, se non false, assolutamente discutibili. Il succo del discorso è riuscire a dimostrare, o comunque insinuare nel lettore, l'idea che Di Pietro sapesse cose sconosciute ai più e che solo ora, dopo 17 anni, si sia deciso a vuotare il sacco. Non solo. La tesi successiva è che Di Pietro, a differenza dell'atteggiamento eroico (e anche un po' masochista) di Paolo Borsellino che, informato dai Ros di un attentato ai suoi danni, si sarebbe rifiutato categoricamente di lasciare Palermo, avrebbe vigliaccamente fatto in fretta e furia le valigie per il Costa Rica senza dire niente a nessuno e senza nemmeno informare il suo “compagno di sventure” Paolo Borsellino.

Cerchiamo di vedere perché questa ricostruzione fa acqua da tutte le parti.

Nel primo articolo del 10 ottobre, Manlio Di Salvo accusa Antonio Di Pietro di aver aspettato addirittura 17 anni per confermare quello che il suo giornale aveva scritto il 23 luglio 1992, solo quattro giorni dopo la strage di via D'Amelio, e cioè l'esistenza di quella famosa informativa dei Carabinieri in cui si diceva che la mafia voleva uccidere l'ex pm di Mani Pulite. Peccato che questa informativa fosse nota da tempo e che dunque, quando Di Pietro l'ha ricordata ad Anno Zero, ha solo raccontato qualcosa che era già noto e stranoto. La notizia dell'informativa compare, per esempio, come dato accertato e mai smentito, nel libro di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, “L'agenda rossa di Paolo Borsellino”.

Poi Di Salvo si dilunga ad elogiare la propria testata giornalistica, che fu la prima ed unica, come abbiamo visto, a pubblicare la notizia riservata, ottenuta, a suo dire, da un misterioso agente dei Servizi Segreti in un bar di Milano proprio la mattina del 19 luglio, poche ore prima della strage. Agente di cui il giornalista si guarda bene da fare il nome (pur dando varie indicazioni molto specifiche) e che ha la particolarità di non aver più la possibilità di dare la propria versione dei fatti, visto che “negli anni scorsi è stato stroncato da un male incurabile” (il vizio di far parlare i morti è molto contagioso). Di Salvo autocita il suo scoop di diciassette anni prima facendo riferimento ad un coinvolgimento del clan mafioso dei fratelli Fidanzati e rivelando che Giovanni Falcone, pochi giorni prima di saltare in aria con la moglie, a Capaci, s’era incontrato con il collega Di Pietro”. Sono le stesse notizie che Di Salvo aveva pubblicato proprio nell'articolo del 23 luglio 1992. Peccato che si erano rivelate assolutamente false: l'indiscrezione del pentimento del boss Tanino Fidanzati non aveva alcun fondamento, così come il presunto incontro tra Di Pietro e Falcone, subito smentito dallo stesso Di Pietro e anche dal procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli. Ma Di Salvo le ripropone senza porsi troppi problemi, come se si trattasse di verità accertate. Servono evidentemente per dimostrare una certa tesi.

Quali sono dunque queste “verità su Di Pietro” anticipate nel titolo e confermate dal diretto interessato solo 17 anni dopo? Nessuna. Che Di Pietro fosse nel mirino della mafia era già noto, come detto, da tempo, era stato confermato dal Ros e Di Pietro stesso non si è mai sognato di nascondere o di smentire la notizia. Tutta la ricostruzione basata sulla soffiata di un confidente dei Servizi Segreti, che potrebbe pure avere un qualche fondamento, non ha mai avuto riscontri attendibili e soprattutto contiene informazioni false, come l'incontro tra Di Pietro e Falcone, che ne minano alla base l'attendibilità.

L'articolo del giorno successivo contiene un'accozzaglia di informazioni se possibile ancora più deformate, se non addirittura irreali. Il testo si apre con la prima menzogna: “Quella mattina del 16 luglio 1992, Borsellino aveva letto l’informativa degli investigatori dell’Arma. E all’invito pressante a spostarsi più che velocemente da un territorio che scottava, avrebbe detto: «Questa è la sede dove svolgo regolarmente il mio lavoro. Io da questo ufficio non ho nessuna intenzione di muovermi». Una decisione che ha pagato con la vita”. Notare la locuzione “avrebbe detto”, che sottintende una incertezza nella notizia, spacciata poi per vera e su cui è costruito tutto l'articolo. In realtà questa prima frase non è una menzogna: sono due menzogne messe insieme. E' falso che la mattina del 16 luglio 1992 Borsellino abbia letto l'informativa dei Carabinieri e dunque viene da sé che è pure falso che possa aver pronunciato quella frase.

Se solo Di Salvo si fosse premurato di leggere la pagina dell'agenda grigia del giudice Paolo Borsellino alla data 16 luglio 1992, si sarebbe risparmiato una figuraccia. Rivela infatti Di Salvo: “Il mattino del 16 luglio di 17anni fa, Paolo Borsellino viene scortato,come sempre, nel suo ufficio. Poco dopo lo raggiungono i carabinieri del Ros. Le facce sono più cupe del solito. D’altronde, l’allarme è più grave e serio del solito. Borsellino inforca gli occhiali e legge. Con attenzione. (...) Gli investigatori del Raggruppamento operazioni speciali tentano di convincere Borsellino che stavolta la situazione è davvero grave, più del solito. La minaccia arriva da nomi di spicco della malavita organizzata. Ma Borsellino non recede. Scuotendo il capo, dice che lui da lì non si muove. Tanto meno ha intenzione di cambiare ufficio o di sottostare a ulteriori misure di sicurezza: quelle che ha, già gli bastano.

E' veramente ammirevole la fantasia di questo giornalista, che riesce a ricostruire in modo apparentemente verosimile un avvenimento mai accaduto. Sì, perché l'agenda grigia non lascia dubbi. Alle 6:00 del mattino Paolo Borsellino è nella sua abitazione a Palermo. Alle 6:30 parte con l'aereo da Punta Raisi per arrivare a Fiumicino alle 8:00 circa. Rimarrà alla Dia di Roma tutto il giorno fino a sera tardi. Tornerà a Palermo soltanto il pomeriggio seguente dopo aver interrogato per ore il pentito Gaspare Mutolo, ma nemmeno allora passerà dal suo ufficio, andando invece direttamente a Villagrazia di Carini insieme alla moglie Agnese. Quindi è assolutamente falso che quella mattina Borsellino si rechi nel suo ufficio (essendo in aereo alla volta di Roma) ed è assolutamente falso, evidentemente, che i Ros possano averlo raggiunto lì. E' falso dunque che Borsellino “inforca gli occhialiper leggere con attenzione un'informativa che abbiamo visto arriverà a Palermo solo vari giorni dopo. Di conseguenza è falso che i Ros possano aver cercato di convincere il giudice a espatriare ed è falso che Borsellino abbia pronunciato una frase di rifiuto. Intendiamoci: molto probabilmente Paolo avrebbe reagito davvero in quel modo, se solo l'avessero avvisato. Peccato che quell'avviso non arrivò mai.

Ma perché Di Salvo allora inventa tutto questo? Per corroborare la sua tesi, molto discutibile, secondo cui i Ros avrebbero fatto di tutto per tutelare il giudice ed è stato in qualche modo Paolo Borsellino a non voler dare ascolto ai loro consigli. Quasi a scaricare le colpe della morte del giudice sul giudice stesso, che appare dunque, dall'articolo di Di Salvo, come un martire incosciente che “se l'è cercata”. Questa tesi viene supportata da un'ulteriore menzogna: “Nelle stesse ore, sempre uomini del Ros, riescono invece a convincere l’altro bersaglio della mafia: Di Pietro. Che con un passaporto falso finisce in Costarica con la moglie.” Il messaggio è chiarissimo: Borsellino quel giorno non si fa convincere dai Ros, esponendosi così a morte certa, mentre Di Pietro, sempre quel giorno (“nelle stesse ore”), accetta il passaporto di copertura e fugge all'estero. Falso. Abbiamo visto che il passaporto verrà messo a disposizione dell'ex pm di Mani Pulite solo venti giorni dopo.

Come se non bastasse, nel medesimo articolo Di Salvo si avventura in considerazioni e particolari che denotano la sua assoluta impreparazione in materia. Particolari assolutamente noti a chiunque si sia informato solo un po' sulle stragi di Capaci e via D'Amelio, fosse solo attraverso le fiction di Canale5. Di Salvo azzarda un: “E' assai probabile che, come era già successo per Giovanni Falcone (prima di saltare in aria con la moglie a Capaci), anche Paolo Borsellino fosse stato più volte minacciato di morte. Certamente quando vennero prelevati con le famiglie e trasportati quasi a forza all’Addaura, dove venne poi trovata una borsa piena di esplosivo. E dove qualcuno ipotizzò che se la fossero messa addirittura i due magistrati. Che comunque, sebbene amareggiati per quella gravissima insinuazione, erano abituati a ricevere informative che li indicavano come possibili vittime della mafia. Un po’ scuotevano la testa con fatalità, un po’ venivano costretti come per l’Addaura a spostarsi”.

C'è davvero da scuotere la testa, visto che le idee di Di Salvo appaiono molto confuse. Confonde il fallito attentato all'Addaura del 21 giugno 1989 nei confronti del giudice Falcone (e non nei confronti di tutti e due i giudici) con l'episodio del trasporto di entrambi i giudici all'isola dell'Asinara la notte del 4 agosto 1985 in seguito all'uccisione di Beppe Montana e Ninni Cassarà.

Ma c'è una chicca finale. Di Salvo conclude il suo articolo con questa frase: “La normalità finisce nella tarda mattinata di domenica 19 luglio 1992, quando il giudice Paolo Borsellino va a casa della madre per pranzare con lei. Come ogni domenica. E come non accadrà più”.

Ora, passi per l'Addaura confusa con l'Asinara, ma non sapere che la strage di via D'Amelio è avvenuta alle cinque della sera (e non “nella tarda mattinata”) e non sapere che il giudice era andato in via D'Amelio per portare la madre dal cardiologo (e non “per pranzare con lei”), da uno che dice di essere in contatto con misteriosi agenti dei Servizi Segreti, appare, come minimo, piuttosto buffo.

giovedì 8 ottobre 2009

La legge è ugale per tutti, ma...



Dunque vediamo. La Corte Costituzionale è di sinistra, il capo dello stato è di sinistra, i magistrati fanno lotta politica e sono di sinistra, il capo dello stato controlla i magistrati di sinistra, i suoi processi sono una farsa, tutta la stampa è di sinistra, tutti i cosiddetti programmi di approfondimento sono di sinistra (tranne Porta a Porta), tutti i programmi di satira sono di sinistra, tutti i comici sono di sinistra e Rosy Bindi è più bella che intelligente. Poi? Ah ecco, dimenticavo: lui gode del 68,2% degli Italiani, che, evidentemente, sono tutto tranne che di sinistra, anche quel "virgola due". Quindi lui non si fermerà, continuerà, andrà avanti, se ne fa un baffo, il governo è più forte che mai, queste cose a lui lo caricano, agli Italiani gli caricano (sic), meno male che Silvio c'è, viva l'Italia e soprattutto viva Berlusconi. Non fa una grinza.

Ora, sarebbe troppo semplice liquidare queste parole per quello che fondamentalmente sono: uno sproloquio imbarazzante di un uomo al delirio di onnipotenza. C'è anche questo sicuramente, ma molto di più, in tutte le affermazioni che nella giornata di ieri il presidente del consiglio ha rovesciato nei microfoni che gli venivano sottoposti da giornalisti desiderosi di raccogliere il suo verbo. Prima della mostra, a braccetto con il cardinal Bertone, dopo la mostra e, immancabile, negli studi del suo portavoce personale, al secolo Bruno Vespa, che lo ha ascoltato per quindici minuti quindici, in rigoroso silenzio, il capo chino, le mani congiunte in preghiera.

Non è riuscito a smuoverlo nemmeno l'insulto villano, da tipico maschio cafonal, rivolto alla povera Rosy Bindi, che ha avuto il torto di trovare qualcosa da eccepire in merito al monologo berlusconiano e il merito di non scomporsi più di tanto e di rispondere a tono senza scendere ai livelli beceri da bar su cui il presidente del consiglio stava tentando di portare il discorso. Di fronte ad un'offesa tanto sguaiata quanto ignorante, l'unica cosa che Vespa è riuscito a balbettare, senza mai sollevare il capo e mantenendo le mani giunte, è stato un laconico "La prego...". Solo qualche giorno prima aveva preso a male parole, con l'appoggio del ministro della Difesa ("Lei mi fa schifo!"), il matematico Odifreddi che aveva osato associare il nome della Gelmini e della Carfagna alle veline.

In uno studio dove l'accusa era nella mani del duo Bindi-Casini (che facevano a gara a dire che nessuno di loro si era mai sognato di chiedere le dimissioni del premier, al massimo Di Pietro, ma quello lì è meglio lasciarlo perdere) e la difesa nelle mani del trio Berlusconi-Alfano-Castelli con l'appoggio esterno di Feltri, si è consumata una delle pagine più tristi della storia politica italiana. In quindici minuti di incontinenza verbale, Berlusconi è riuscito a palesare tutta la sua allergia ed estraneità alle più elementari regole democratiche. Ha accusato niente po' po' di meno che il presidente della Repubblica di non essersi mosso a sufficienza per sponsorizzare il Lodo Alfano presso la Corte Costituzionale, di non aver saputo o voluto esercitare le dovute pressioni sui giudici di sinistra della Consulta che lui notoriamente controlla come burattini e di averlo preso in giro visto che gli aveva assicurato che il Lodo Alfano sarebbe stato giudicato la legge più costituzionale che è mai stata scritta negli ultimi 150 anni.

Rosy Bindi ha tentato timidamente di far notare la gravità di tali affermazioni che suonerebbero male perfino se uscissero dalla bocca di un ultrà ubriaco della curva nord. E' stata assalita verbalmente dai due ministri della giustizia (neo ed ex) che hanno soffocato la sua voce, già di per sè sgraziata, con urla ancora più sgraziate. E' finita in caciara con Vespa che non sapeva più da che parte voltarsi.

Io vorrei invece prendere molto sul serio le parole di Berlusconi. La fortuna di quell'uomo infatti è che non viene mai preso sul serio. L'aveva già capito quel genio di Corrado Guzzanti più di dieci anni fa. E mentre gli altri non prendono sul serio le sue sparate, lui le mette in atto come se niente fosse, preparandosi a sparare sempre più in alto. E a ben vedere, ciò che il presidente del consiglio ha esternato, materializzandosi nell'aire di Porta a Porta, era nient'altro che la spiegazione esaustiva e dettagliata, con sottotitoli per i duri d'orecchio e di comprendonio, di quella frase sibillina che aveva buttato lì qualche ora prima: "Mi sento preso in giro".

Perchè ha usato proprio quella espressione? Perchè non ha detto "Mi sento accerchiato", "Mi sento attaccato", "Mi sento delegittimato"?. Chi l'avrebbe preso in giro? Chi si era divertito a giocare con lui? Di chi ingenuamente si era fidato? La risposta è arrivata prontamente. Quella frase era riferita in tutto e per tutto a Giorgio Napolitano. Era stato lui, con la sua firma in meno di 24 ore, a dargli la garanzia che niente avrebbe potuto scalfire il Lodo Alfano. Era stato lui ad assicurargli che avrebbe esercitato una certa influenza per condizionare il giudizio della Corte a suo favore. Era stato lui insomma che gli aveva detto di dormire sonni tranquilli, che era tutto sotto controllo, che avrebbe fatto valere il suo peso istituzionale su giudici compiacenti. L'ha detto esplicitamente, senza mezzi termini e, forse, senza nemmeno rendersi conto dell'enormità di certe affermazioni.

E allora, come si dice, delle due l'una. O Berlusconi è pazzo e queste dichiarazioni sono il frutto di una schizofrenia ormai in stadio avanzato e deve essere rimosso dal suo incarico al più presto per il bene del paese. O è vero quello che dice (ma anche se ci fosse solo un fondo di verità non cambierebbe nulla) e allora Napolitano ha il dovere di rassegnare le dimissioni immediate per indegnità e per alto tradimento alle istituzioni democratiche che egli rappresenta. Un capo dello stato che solo pensasse, o peggio millantasse, o peggio promettesse (senza necessariamente poi mantere la promessa), di essere in grado di usare la propria posizione per deviare il giudizio del supremo Consiglio garante della Costituzione, sarebbe un presidente da rimuovere senza esitazioni.

E il silenzio del Quirinale in materia è a dir poco preoccupante. A quanto pare, Napolitano si è sentito particolarmente offeso dalla battuta "Si sa da che parte sta" e ha tenuto a rispondere piccato: "Certo, si sa da che parte sto. Sto dalla parte della Costituzione!". Invece sembra che quelle parole che lo accusano apertamente di poter manipolare a piacimento i giudici della Consulta siano passate via senza lasciare traccia. Senza che il Quirinale sentisse il bisogno di rispondere a tali pesantissime insinuazioni. Nemmeno con un monito pacato. Nulla, il silenzio. Chiedo: è più grave sentirsi dire di essere di estrazione comunista (cosa vera e innegabile) o di essere un cospiratore contro l'imparzialità della Corte Costituzionale?

Ma, in un certo senso, gli sta bene. Fedele alla sua estrazione comunista, Napolitano ha fatto, in questo anno e mezzo di governo Berlusconi, quello che tutti gli esponenti dell'ex partito comunista che hanno retto e ancora oggi reggono le file del PD, da D'Alema a Veltroni, da Violante a Bersani, hanno fatto nella loro vita: assecondare gli istinti autoritari di Berlusconi, blandirlo, corteggiarlo, vincere la sua simpatia, per poi essere puntualmente rinnegati, schiaffeggiati, umiliati, derisi e abbandonati. Quale sarebbe la colpa grave di Napolitano, secondo Berlusconi? Di che può lamentarsi? Gli ha firmato tutto senza fiatare e con la massima solerzia. Non ha mai alzato una volta la voce nemmeno nei momenti in cui Berlusconi si è trovato in situazioni paurosamente imbarazzanti, più per il Paese che per sè. Quando Berlusconi, un giorno sì e l'altro pure, attaccava i magistrati, Napolitano chiedeva ai magistrati di essere sereni nel loro giudizio e di abbassare i toni. Quando Berlusconi, un giorno sì e l'altro pure, attaccava l'opposizione, Napolitano chiedeva all'opposizione di cercare il dialogo nell'interesse del Paese e di abbassare i toni. Quando Berlusconi partiva a testa bassa in un'offensiva mai vista contro la stampa, Napolitano invitava la stampa a lavare i panni sporchi in casa nostra e ad abbassare i toni. Quando Berlusconi trasformava Palazzo Grazioli in un bordello di Stato, Napolitano invitava a non dar spazio al gossip e ad abbassare i toni.

Ora, anche lui deve sorbirsi questo calice amaro. Usato e poi ripudiato puntualmente dal presidente del consiglio, così come è solito fare con le sue escort. Una gran brutta fine, non c'è che dire, Presidente. Nemmeno l'aver posto la sua augusta firma ad una legge palesemente incostituzionale, che lo salvasse da sicura condanna nel processo Mills, l'ha potuto salvare delle ire di Silvio. Ma non si crucci: lei, più di così, proprio non poteva fare. E' lui che è un tantino esigente.

Vorrei concludere con un paio di considerazioni sulle argomentazioni imbastite dall'allegra brigata del Pdl a difesa del Lodo Alfano. Argomentazioni che sono state prontamente distribuite a tutti dall'ineccepibile avvocato Ghedini (quello de "la legge è uguale per tutti, ma non la sua applicazione") e che tutti, scrupolosamente, si sono premurati di ripetere ad ogni microfono che trovassero sotto mano.

La prima argomentazione è che la Consulta, con questa decisione, si sarebbe contraddetta e avrebbe smentito il verdetto di qualche anno fa sull'analogo Lodo Schifani. Scusate. Mi sono perso qualcosa o anche il Lodo Schifani era stato incenerito perchè palesemente incostituzionale? Dove sarebbe la contraddizione? A parte questa sottigliezza, l'argomento è che la Consulta nel 2004 non aveva ritenuto che il Lodo Schifani violasse l'articolo 138, quello che stabilisce che per modificare la Costituzione ci vuole una legge costituzionale e non ordinaria. Ergo, non si capisce perchè ora se ne vengono fuori con questa storia della legge costituzionale. E sembra quasi che si sentano offesi, presi in giro dalla Consulta. Guardateli in faccia questi Ghedini, Bonaiuti, Schifani, Pecorella, Gasparri. Hanno la faccia di quelli che avevano fatto di tutto per seguire "le indicazioni della Corte" e, per qualche inspiegabile motivo, ora la Corte ha deciso che non va bene un'altra volta. Sono proprio dispettosi questi giudici.

Mi stupisco che nessuno, nel panorama politico italiano, abbia fatto notare molto semplicemente che nel 2004 la Corte, stroncando il Lodo Schifani perchè violava una serie interminabile di articoli, non ha dato nessuna "linea guida", non ha invitato nessuno a rifare un'altra legge porcata di quel tipo. Non l'ha mica ordinato il dottore che l'Italia debba avere qualcosa come il Lodo Alfano. Perchè qui sembra quasi che sia stata la Consulta a chiedere al Parlamento di modificare il Lodo Schifani, il Parlamento l'ha modificato come aveva chiesto la Consulta e ora la Consulta dice che non va ancora bene. Siamo alla follia. La Consulta si limita a giudicare la costituzionalità delle leggi che le vengono sottoposte. I due verdetti sono assolutamente chiari: il Lodo Schifani era qualcosa di aberrante; il Lodo Alfano è leggermente meglio, ma sempre incostituzionale è. L'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è qualcosa che non si può calpestare. Lo capirebbe anche un bambino.

La seconda argomentazione che ho sentito è che il Lodo Alfano era una legge giusta e necessaria perchè tutela non tanto Berlusconi, quanto i cittadini: se Berlusconi deve perder tempo a difendersi nei processi, non ha più tempo per badare al bene del Paese, che l'ha votato e vuole che governi. Argomentazione facilmente smontabile, visto che: 1) Berlusconi era imputato in quei processi da molto prima che venisse eletto nel 2008 e quindi sapeva benissimo che, se fosse stato eletto, avrebbe dovuto sottrarre tempo al suo mandato per presenziare alle udienze. Non gliel'ha ordinato il medico di candidarsi. 2) Gli Italiani sapevano benissimo che Berlusconi era imputato in quei processi da molto prima che venisse eletto nel 2008 e, se ora temono che Berlusconi debba sottratte tempo al suo mandato per difendersi nelle aule di tribunale, potevano pensarci prima. Non l'ha ordinato il dottore di votare per un pluri-imputato. 3) Berlusconi è da vent'anni, prima ancora che scendesse in campo, che viaggia alla media di due-tre processi in corso contemporaneamente. Non si è mai sognato di presentarsi una sola volta davanti ai giudici. In Tribunale non ci ha messo mai piede. Ci manda i suoi avvocati, due o tre alla volta. Si è ripresentato per sei volte di fila alle elezioni senza mai porsi il minimo problema di un'incompatibilità tra la figura di imputato e quella di presidente del consiglio. Non si vede perchè se ne debba preoccupare adesso. 4) Berlusconi, dopo che era stato bocciato il Lodo Schifani, ha continuato a governare come se niente fosse mentre nelle aule di tribunale si discuteva se avesse corrotto giudici e avvocati per comprare sentenze o avesse corrotto guardie della finanza per occultare evasioni fiscali. Non si vede perchè non possa fare la stessa cosa ora che è stato bocciato il Lodo Alfano.

E poi, la considerazione a mio parere più delicata. Che va a toccare i principi base su cui si fonda un sistema democratico. Fino a che punto la volontà popolare può legittimare l'operato di un governante? E' giusto ed accettabile che un governante si senta legibus solutus per il solo fatto di aver ricevuto la maggioranza dei consensi? Qualora il popolo decidesse di conferire nelle mani di un solo governante tutti i poteri, si potrebbe parlare ancora di democrazia per il solo fatto che la decisione è stata presa a maggioranza? E' veramente questo il senso della parola "democrazia"? Perchè non so se è chiaro: il Lodo Alfano stabiliva l'improcessabilità per qualunque tipo di reato penale, per tutto il mandato, delle quattro più alte cariche dello stato. Questo significa che Berlusconi avrebbe potuto per assurdo uccidere il capo dello stato e gli esponenti dell'opposizione ed ottenere di fatto il potere assoluto senza che la giustizia potesse fermarlo.

Non è un paradosso. E' la follia di una legge meschina, costruita ad hoc per salvare Berlusconi dai suoi processi, che avrebbe potuto generare mostri. Per fortuna, l'ultimo baluardo a garanzia della Costituzione ha retto (per questa volta) e non ha sancito l'assioma devastante per cui l'investitura popolare equivale ad essere sollevato al di sopra della legge.

Al di sopra del bene e del male.

mercoledì 7 ottobre 2009

Che schiaffo, Presidente!



ROMA
- Il Lodo Alfano è illegittimo. Così si sono pronunciati i giudici della Corte Costituzionale. La legge che sospende i processi delle quattro più alte cariche dello Stato è stata bocciata per violazione dell'art.138 della Costituzione, vale a dire l'obbligo di far ricorso a una legge costituzionale e non ordinaria. Il Lodo è stato bocciato anche per violazione dell'art.3, ovvero il principio di uguaglianza.

sabato 3 ottobre 2009

Beata ingenuità



E' bellissimo. Questo paese è straordinario. A Roma, in Piazza del Popolo, c'è una manifestazione indetta dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana per difendere la libertà di informazione a cui partecipano 300.000 persone e, per vederla, su quale canale mi devo collegare? Su Rete4. Anzi, di più: sul Tg4. Anzi, di più: sul Tg4 diretto per l'occasione dal direttore Emilio Fede. E' una cosa strepitosa. Una cosa che, devo dire, mi riempie di buon umore.

E' per cose come queste che io, in fondo, amo l'Italia. Ammettetelo. In quale altro paese si sarebbe potuta inventare una sceneggiatura tanto esilarante? Emilio Fede che patrocina la diretta su una manifestazione in difesa della libertà di stampa. Come se Bernardo Provenzano scendesse in piazza a manifestare contro la mafia. Credo veramente che, dopo aver visto questo, ho visto tutto. Grazie Emilio. Di cuore.

La cosa, da ridicola, si fa grave se si pensa che la mossa geniale del direttore del Tg4, e che sia geniale è fuori discussione, non è assolutamente estemporanea, ma si inserisce perfettamente in una particolare strategia comunicativa che il presidente del consiglio ha imposto ai suoi dipendenti da qualche tempo a questa parte. Se non li posso mettere a tacere, li sbeffeggio mediaticamente. E i mezzi non mi mancano. Il via è stato dato dalla surreale puntata di Porta a Porta di giovedì scorso che, sovrapponendosi in parte ad Annozero, ha riproposto tali quali interi spezzoni del programma di Santoro, andati in onda dieci minuti prima, con il solo scopo di ridicolizzarli e, ridacchiando sornione, domandare ai telespettatori: "Ma davvero voi pensate che in Italia non ci sia libertà di informazione?"

Come se Provenzano, sceso in piazza per protestare contro la mafia, domandasse: "Non vedete che sto protestando contro la mafia? E allora come vi salta in testa di sospettare che sono mafioso?". Geniale. Se non fosse che dei retroscena imbarazzanti hanno smascherato il tutto. Il pomeriggio di giovedì, poche ore prima del programma, Vespa è stato chiamato a Palazzo Grazioli. No, non si trattava di orge con escort questa volta. Era solo per concordare come confezionare la puntata di Porta a Porta in modo che demolisse tutto ciò che si sarebbe detto qualche minuto prima ad Annozero. Vespa, dopo essersi sorpreso di trovare nella dimora del premier anche Maurizio Belpietro, lì per lo stesso motivo, ha preso nota delle indicazioni di Berlusconi su come impostare la puntata, su come sputtanare Santoro e su come delegittimare i suoi ospiti. E, già che c'era, ha invitato pure Belpietro nel suo salotto televisivo. Belpietro ha tentato di schermirsi dicendo che era già invitato da Santoro. Ma Vespa, senza scomporsi, ha risposto: "Appunto!". Si chiama ottimizzazione delle risorse.

Ne è venuta fuori una puntata grottesca, che ricordava un misto tra Il Processo alla Tappa di Sergio Zavoli e il Dopo Festival di Fiorello. Geniale. Vespa, forse inconsapevolmente, giovedì ha creato un nuovo modello di televisione. La televisione riparatrice. C'è un programma che dice cose sgradite? Non possiamo far chiudere quel programma? Bene. Arriva Vespa che ripara e riequilibra. In tempo reale. Senza far passare nemmeno un istante. Prima che le cose sgradite sedimentino nei cervelli dei telespettatori. Non si era mai vista una roba simile sui teleschermi della televisione pubblica. E' la realizzazione concreta e fisica di quel concetto che da mesi i berluscloni cercano di far passare. E' necessario riequilibrare. E' necessario imporre un contraddittorio.

Come se la verità dei fatti scaturisse dalla contrapposizione di due idee opposte. Magari bislacche entrambe, purchè opposte. E' un abominio intellettuale che si sta facendo strada come un virus. E' da mesi che il direttore di Rai2 Mauro Masi sta tentando di imporre a Santoro una presenza riparatrice di centrodestra che faccia da contraltare a Travaglio. Per fortuna nessuno ha ancora ceduto ad un'oscenità simile. Innanzitutto perchè qualcuno dovrebbe spiegare a Masi che Travaglio è tutto tranne che di centrosinistra. E secondo, perchè pensare che, per ogni giornalista che appare in televisione e che esprime un'idea, ci debba essere di fianco la badante che argomenta le ragioni dell'idea opposta è qualcosa che non si può nemmeno chiamare fascismo, come qualcuno fa. E' qualcosa di banalmente idiota.

Così oltre al danno c'è pure la beffa. Ed Emilio Fede ha buon gioco a sguinzagliare la sua inviata tra i manifestanti di Piazza del Popolo per porre loro leggiadre domande provocatorie. Tipo: "Lei pensa che il Tg3 sia libertà di informazione?". In studio insieme a Fede, il fido Piero Ostellino, quello che sul Corriere scrive di essere un liberale, di sentirsi un liberale e che comunque lui in fondo è stato sempre un liberale, e pure Sansonetti, direttore de L'Altro, il quotidiano della sinistra, che pensa in modo diverso dalla sinistra, talmente diverso che sembra quasi berlusconiano. Uno spettacolo obiettivamente indecente: una trasmissione che avrebbe dovuto patrocinare la manifestazione in difesa della libertà di stampa usata per prendere per il culo i partecipanti, al grido: "Ma voi pensate veramente che in Italia non ci sia libertà di informazione?"

Il disgusto è grande. E pensare che esistano cosiddetti giornalisti che si offrono da complici ai giochini un po' infantili di Fede che si diverte a tampinare da studio "le signore col cappello bianco" è veramente mortificante. E poi. Perchè mai un giornalista dovrebbe essere contrario ad una manifestazione in difesa dei propri diritti? Essere a favore della libertà di stampa significa essere contro il governo? E, se sì, non ci si dovrebbe allora porre qualche domanda?

E' quanto sostenuto infatti dall'esimio direttore del Tg1 che, in prima serata, dopo l'editoriale di qualche mese fa in cui spiegava i propri silenzi sul caso D'Addario definendo assolutamente incomprensibile la scelta delle altre testate di dare spazio al gossip, si è preso un altro minuto e mezzo della televisione pubblica per spiegare come fosse per lui incomprensibile una manifestazione per la libertà di stampa in Italia, che chi pensa che davvero ci sia un bavaglio all'informazione è un comunista e che i comunisti non hanno mosso un dito quando venivano querelati i giornali di Berlusconi. Sempre con lo stesso sorrisino beffardo dell'altra volta. Sempre con quella parlata robotizzata che incute un certo terrore. Come un automa programmato per uccidere. Mai si era assistito, sul telegiornale della rete ammiraglia del servizio pubblico, a una scesa in campo così sfacciata per difendere le ragioni di una ben precisa parte politica. Neanche si trattasse del Tg4 di Emilio Fede.

Ma io in fondo non mi sento di dar loro torto. Fanno benone a fare quello che fanno. Fa benone Vespa a insultare Santoro dicendogli che è un privilegiato in Rai mica come lui che quando è stato rimosso dal Tg1 dopo averlo portato ad ascolti fantasmagorici nessuno si è mosso in sua difesa, anzi la stampa si dovrebbe vergognare di non aver preso allora le difese di un paladino così integerrimo della neutralità e dell'imparzialità. Fa benone Fede a prendere per il culo i partecipanti alla manifestazione dicendo che se c'è la Dandini e Floris e Santoro e Di Bella e Crozza e Le Iene e Glob e Blob allora l'Italia non può che essere un paese libero e chi la pensa diversamente non può essere altro che uno di loro, dei comunisti, anzi dei "comunisti dei comunisti". Fa Benone Minzolini a materializzarsi nel suo Tg per spiegare alle casalinghe che manifestare per la libertà di informazione significa voler imporre un odioso regime (sic) e poi potrebbe confondersi per una manifestazione contro il governo, e questo proprio è incomprensibile visto che questo governo è uno tra i più liberali degli ultimi 150 anni.

Hanno ragione loro. E soprattutto ha ragione il nostro presidente del consiglio quando dice che questa manifestazione è una farsa. Sono d'accordo. Al cento per cento. Non fosse altro per quei pochi che vi hanno aderito credendoci veramente. Roberto Saviano su tutti. Questa manifestazione, tutto sommato, è una farsa. Una farsa perchè nessuno dei partecipanti sa esattamente perchè è sceso in piazza. Perchè la piazza è piena di bandiere del PD? Cosa c'entra il PD con la libertà di stampa? E che faccia può aver il PD di lamentarsi del regime berlusconiano quando, nel momento in cui c'era la possibilità di incenerire una delle leggi più criminose degli ultimi anni e di far cadere il governo, si è liquefatto in massa? Che faccia può avere il PD di lamentarsi del bavaglio quando un anno fa a piazza Navona una manifestazione analoga è stata disertata perchè bisognava ancora "dialogare" con Berlusconi? E, soprattutto, che faccia ha Repubblica, ad indire tale manifestazione solo dopo che Berlusconi gli ha fatto una causa milionaria per una decina di domande sulle sue frequentazioni private?

Dov'erano tutti quei giornalisti che oggi reclamano libertà e indipendenza quando entrava in vigore l'anno scorso la legge-bavaglio? Dov'erano i direttori e vicedirettori di Repubblica quando Travaglio e Di Pietro denunciavano questo sfacelo? Dov'erano quando Grillo radunava in piazza trecentomila persone per protestare contro l'asservimento della stampa al potere? Ve lo dico io dov'erano. Erano chiusi in redazione a scrivere editoriali al vetriolo contro Travaglio (vi ricordate la campagna calunniosa di D'Avanzo sulle presunte vacanze di Travaglio pagate da un boss della mafia?). Erano chiusi in redazione a scrivere editoriali al vetriolo contro Di Pietro (vi ricordate le parole schifate di Massimo Giannini dopo la manifestazione di Piazza Navona?). Erano chiusi in redazione a scrivere editoriali al vetriolo contro Grillo (vi ricordate le bordate altisonanti di Eugenio Scalfari?).

Bene. Hanno coperto per anni le porcate di Berlusconi. Hanno crocifisso con ogni insulto possibile e immaginabile (giustizialisti, qualunquisti, populisti, demagoghi, antipolitici) chiunque non si allineasse all'idea di dialogare col governo. Hanno coperto i poteri forti, dal presidente della Repubblica al presidente del Csm, mentre facevano scempio di intere procure, diffondendo notizie false e fuorvianti e avallando senza batter ciglio tutte le leggi porcata varate all'unisono dal Parlamento. Ora, d'un tratto, si sono svegliati. Rivendicano libertà. Rivendicano il loro spazio.

Per darvi un'idea, vi propongo due frasi di Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, la prima datata 29 gennaio 2009 e la seconda datata 3 ottobre 2009. Fate voi il confronto.

"Di Pietro, nella sua foga populista, sbaglia totalmente il bersaglio. Lo sbaglia sul piano istituzionale (...) e cade ancora una volta nella furia giustizialista, e a tratti un po' qualunquista, del girotondismo e del grillismo".

"Un'opposizione seria e strutturata, consapevole di questo, avrebbe fatto una battaglia campale contro questa vergognosa amnistia mascherata. Avrebbe "investito" sui mal di pancia dei diffidenti del partito del premier e dei dissidenti dell'ex partito di Fini e avrebbe fatto quadrato con l'Idv".

Avrebbe fatto quadrato con l'Idv? Ma dai? Davvero?

Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Beata ingenuità. La stessa che ha assalito quei temerari che ancora raccolgono firme per degli appelli al capo dello stato affinchè eviti di apporre la sua firma augusta sul decreto legge sulla sicurezza che include l'abominio etico e giuridico del cosiddetto "scudo fiscale". Beata ingenuità quella di uno sprovveduto cittadino che avvicinandosi a Napolitano l'ha supplicato di non firmare: "Lo faccia per la gente onesta!". A sentire quella parola (gente onesta), Napolitano si è rabbuiato e ha preso a male parole il poveretto facendogli seduta stante una lezione di diritto costituzionale e spiegandogli che è inutile che lui non firmi tanto poi quelli la votano un'altra volta tale e quale e lui la deve firmare lo stesso, quindi che me lo chiedete a fare? Lo sprovveduto cittadino è rimasto basito da cotanta spiegazione.

Un presidente della Repubblica che ammette in pubblico che i delicati sistemi di garanzia imposti dai padri costituenti altro non sono che pagliacciate che fanno perder tempo. Io non so se vi rendete conto della gravità di una tale affermazione: io firmo perchè tanto alla fine dovrei firmare lo stesso. Denota una mancanza assoluta di responsabilità civica nelle vesti del supremo garante della Costituzione. E' possibile che un capo dello stato scenda a formulare certe argomentazioni, più consone ad una discussione da bar che ad una carica istituzionale? Non sa Napolitano che l'atto formale di non firmare una legge porcata rappresenta un segnale fortissimo lanciato al Parlamento? Qualcosa che i padri costituenti avevano previsto con oculatezza? E allora cosa ci sta a fare al Quirinale? Davvero pensa di essere solo un passacarte? E' questa la considerazione che Napolitano ha della più alta carica istituzionale?

E cosa dire dello sconcertante annuncio che avrebbe firmato la legge prima ancora che il Parlamento l'aveva approvata? Forse per convincere quei pochi parlamentari dissidenti che il proprio voto contrario non sarebbe servito a niente? E' qualcosa di gravissimo, mai visto nella storia repubblicana, che fa saltare tutto quel sistema di "pesi e contrappesi", come ama definirli D'Alema, che stanno alla base del sistema democratico.

Napolitano ha dimostrato di essere pronto a firmare di tutto. Non si è mai posto problemi di sorta. Davvero qualcuno ancora crede che un appello con venti mila firme gli possa far cambiare idea?

Beata ingenuità.