giovedì 15 ottobre 2009

Ecco il papello di Riina!



Mancino Rognoni
Ministro Guardasigilli
Abolizione 416 bis
Strasburgo maxiprocesso
SUD partito
Riforma Giustizia alla Americana sistema elettivo
con
persone superiori ai 50 an­ni indipendentemente dal titolo di studio (Es. Leonardo Scia­scia)

............
............
Abolizione del car­cere preventivo se non in fla­granza di reato;
in questo caso rito direttissimo

............
Aboli­zione del Monopolio Tabacchi



Consegnato, SPONTANEAMENTE, al colonnello dei carabinieri MORI dei ROS

mercoledì 14 ottobre 2009

La disinformatia de Il Secolo XIX


In questi ultimi giorni sembrano aver avuto grande risonanza le rivelazioni rilasciate da Antonio Di Pietro nell'ultima puntato di Annozero, durante la quale il leader dell'Italia dei Valori ha raccontato un dettaglio assolutamente nuovo: subito dopo la strage di via D'Amelio, il 4 agosto 1992, ricevette un passaporto di copertura (sotto il falso nome di Marco Canale), fornitogli dalle autorità competenti per espatriare in Costa Rica insieme alla moglie, a seguito di un'informativa dei Carabinieri del Ros di Milano, datata 16 luglio 1992, in cui si faceva esplicito riferimento al pericolo imminente di un possibile attentato ai suoi danni. Nella stessa informativa si indicava anche il nome del giudice Paolo Borsellino come probabile bersaglio di Cosa Nostra. Successe però che, se Di Pietro fu immediatamente informato, il giorno stesso, di questo pericolo, Paolo Borsellino ne rimase all'oscuro: la busta con l'informativa, spedita da Milano con posta ordinaria, arriverà a Palermo troppo tardi, quando ormai il giudice è saltato in aria insieme ai suoi ragazzi in via D'Amelio.

La notizia della “fuga” in Costa Rica dell'allora pm Antonio Di Pietro è stata ripresa da molti giornali, che hanno preferito concentrarsi su questo episodio, oggettivamente del tutto marginale, e tralasciare le ben più importanti rivelazioni dell'allora ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli che, sempre nella stessa puntata di Annozero, ha raccontato quello che Salvatore Borsellino aveva sempre sospettato, cioè che Paolo Borsellino fosse stato messo a conoscenza della trattativa in corso tra i vertici di Cosa Nostra e i più alti esponenti del Ros, nella figura del generale Mario Mori e del capitano Giuseppe De Donno, per tramite dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Cinacimino.

La notizia è di quelle sconvolgenti, visto che una delle ipotesi fin qui al vaglio dei magistrati è che il giudice Paolo Borsellino sia stato eliminato (ed eliminato anche in fretta) poiché avrebbe costituito un ostacolo insormontabile allo sviluppo della trattativa. Anche se De Donno si è affrettato a smentire che nell'incontro avuto il 25 giugno con Paolo Borsellino si sia mai parlato di “trattativa”, ma solo di indagini “mafia-appalti”, le parole di Martelli aprono degli scenari decisamente inquietanti.

L'attenzione dei giornali però si è concentrata principalmente su Antonio Di Pietro e sul ruolo da lui svolto in quelle concitate giornate dell'estate 1992. In successione, sabato 10 e domenica 11 ottobre, sono apparsi su Il Secolo XIX due articoli a tutta pagina a firma del giornalista Manlio Di Salvo dal titolo “La verità su Di Pietro, 17 anni dopo” e “Borsellino non volle espatriare”. Entrambi gli articoli partono da spunti autentici per arrivare, attraverso un accumulo di notizie distorte o addirittura inventate di sana pianta, a conclusioni, se non false, assolutamente discutibili. Il succo del discorso è riuscire a dimostrare, o comunque insinuare nel lettore, l'idea che Di Pietro sapesse cose sconosciute ai più e che solo ora, dopo 17 anni, si sia deciso a vuotare il sacco. Non solo. La tesi successiva è che Di Pietro, a differenza dell'atteggiamento eroico (e anche un po' masochista) di Paolo Borsellino che, informato dai Ros di un attentato ai suoi danni, si sarebbe rifiutato categoricamente di lasciare Palermo, avrebbe vigliaccamente fatto in fretta e furia le valigie per il Costa Rica senza dire niente a nessuno e senza nemmeno informare il suo “compagno di sventure” Paolo Borsellino.

Cerchiamo di vedere perché questa ricostruzione fa acqua da tutte le parti.

Nel primo articolo del 10 ottobre, Manlio Di Salvo accusa Antonio Di Pietro di aver aspettato addirittura 17 anni per confermare quello che il suo giornale aveva scritto il 23 luglio 1992, solo quattro giorni dopo la strage di via D'Amelio, e cioè l'esistenza di quella famosa informativa dei Carabinieri in cui si diceva che la mafia voleva uccidere l'ex pm di Mani Pulite. Peccato che questa informativa fosse nota da tempo e che dunque, quando Di Pietro l'ha ricordata ad Anno Zero, ha solo raccontato qualcosa che era già noto e stranoto. La notizia dell'informativa compare, per esempio, come dato accertato e mai smentito, nel libro di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, “L'agenda rossa di Paolo Borsellino”.

Poi Di Salvo si dilunga ad elogiare la propria testata giornalistica, che fu la prima ed unica, come abbiamo visto, a pubblicare la notizia riservata, ottenuta, a suo dire, da un misterioso agente dei Servizi Segreti in un bar di Milano proprio la mattina del 19 luglio, poche ore prima della strage. Agente di cui il giornalista si guarda bene da fare il nome (pur dando varie indicazioni molto specifiche) e che ha la particolarità di non aver più la possibilità di dare la propria versione dei fatti, visto che “negli anni scorsi è stato stroncato da un male incurabile” (il vizio di far parlare i morti è molto contagioso). Di Salvo autocita il suo scoop di diciassette anni prima facendo riferimento ad un coinvolgimento del clan mafioso dei fratelli Fidanzati e rivelando che Giovanni Falcone, pochi giorni prima di saltare in aria con la moglie, a Capaci, s’era incontrato con il collega Di Pietro”. Sono le stesse notizie che Di Salvo aveva pubblicato proprio nell'articolo del 23 luglio 1992. Peccato che si erano rivelate assolutamente false: l'indiscrezione del pentimento del boss Tanino Fidanzati non aveva alcun fondamento, così come il presunto incontro tra Di Pietro e Falcone, subito smentito dallo stesso Di Pietro e anche dal procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli. Ma Di Salvo le ripropone senza porsi troppi problemi, come se si trattasse di verità accertate. Servono evidentemente per dimostrare una certa tesi.

Quali sono dunque queste “verità su Di Pietro” anticipate nel titolo e confermate dal diretto interessato solo 17 anni dopo? Nessuna. Che Di Pietro fosse nel mirino della mafia era già noto, come detto, da tempo, era stato confermato dal Ros e Di Pietro stesso non si è mai sognato di nascondere o di smentire la notizia. Tutta la ricostruzione basata sulla soffiata di un confidente dei Servizi Segreti, che potrebbe pure avere un qualche fondamento, non ha mai avuto riscontri attendibili e soprattutto contiene informazioni false, come l'incontro tra Di Pietro e Falcone, che ne minano alla base l'attendibilità.

L'articolo del giorno successivo contiene un'accozzaglia di informazioni se possibile ancora più deformate, se non addirittura irreali. Il testo si apre con la prima menzogna: “Quella mattina del 16 luglio 1992, Borsellino aveva letto l’informativa degli investigatori dell’Arma. E all’invito pressante a spostarsi più che velocemente da un territorio che scottava, avrebbe detto: «Questa è la sede dove svolgo regolarmente il mio lavoro. Io da questo ufficio non ho nessuna intenzione di muovermi». Una decisione che ha pagato con la vita”. Notare la locuzione “avrebbe detto”, che sottintende una incertezza nella notizia, spacciata poi per vera e su cui è costruito tutto l'articolo. In realtà questa prima frase non è una menzogna: sono due menzogne messe insieme. E' falso che la mattina del 16 luglio 1992 Borsellino abbia letto l'informativa dei Carabinieri e dunque viene da sé che è pure falso che possa aver pronunciato quella frase.

Se solo Di Salvo si fosse premurato di leggere la pagina dell'agenda grigia del giudice Paolo Borsellino alla data 16 luglio 1992, si sarebbe risparmiato una figuraccia. Rivela infatti Di Salvo: “Il mattino del 16 luglio di 17anni fa, Paolo Borsellino viene scortato,come sempre, nel suo ufficio. Poco dopo lo raggiungono i carabinieri del Ros. Le facce sono più cupe del solito. D’altronde, l’allarme è più grave e serio del solito. Borsellino inforca gli occhiali e legge. Con attenzione. (...) Gli investigatori del Raggruppamento operazioni speciali tentano di convincere Borsellino che stavolta la situazione è davvero grave, più del solito. La minaccia arriva da nomi di spicco della malavita organizzata. Ma Borsellino non recede. Scuotendo il capo, dice che lui da lì non si muove. Tanto meno ha intenzione di cambiare ufficio o di sottostare a ulteriori misure di sicurezza: quelle che ha, già gli bastano.

E' veramente ammirevole la fantasia di questo giornalista, che riesce a ricostruire in modo apparentemente verosimile un avvenimento mai accaduto. Sì, perché l'agenda grigia non lascia dubbi. Alle 6:00 del mattino Paolo Borsellino è nella sua abitazione a Palermo. Alle 6:30 parte con l'aereo da Punta Raisi per arrivare a Fiumicino alle 8:00 circa. Rimarrà alla Dia di Roma tutto il giorno fino a sera tardi. Tornerà a Palermo soltanto il pomeriggio seguente dopo aver interrogato per ore il pentito Gaspare Mutolo, ma nemmeno allora passerà dal suo ufficio, andando invece direttamente a Villagrazia di Carini insieme alla moglie Agnese. Quindi è assolutamente falso che quella mattina Borsellino si rechi nel suo ufficio (essendo in aereo alla volta di Roma) ed è assolutamente falso, evidentemente, che i Ros possano averlo raggiunto lì. E' falso dunque che Borsellino “inforca gli occhialiper leggere con attenzione un'informativa che abbiamo visto arriverà a Palermo solo vari giorni dopo. Di conseguenza è falso che i Ros possano aver cercato di convincere il giudice a espatriare ed è falso che Borsellino abbia pronunciato una frase di rifiuto. Intendiamoci: molto probabilmente Paolo avrebbe reagito davvero in quel modo, se solo l'avessero avvisato. Peccato che quell'avviso non arrivò mai.

Ma perché Di Salvo allora inventa tutto questo? Per corroborare la sua tesi, molto discutibile, secondo cui i Ros avrebbero fatto di tutto per tutelare il giudice ed è stato in qualche modo Paolo Borsellino a non voler dare ascolto ai loro consigli. Quasi a scaricare le colpe della morte del giudice sul giudice stesso, che appare dunque, dall'articolo di Di Salvo, come un martire incosciente che “se l'è cercata”. Questa tesi viene supportata da un'ulteriore menzogna: “Nelle stesse ore, sempre uomini del Ros, riescono invece a convincere l’altro bersaglio della mafia: Di Pietro. Che con un passaporto falso finisce in Costarica con la moglie.” Il messaggio è chiarissimo: Borsellino quel giorno non si fa convincere dai Ros, esponendosi così a morte certa, mentre Di Pietro, sempre quel giorno (“nelle stesse ore”), accetta il passaporto di copertura e fugge all'estero. Falso. Abbiamo visto che il passaporto verrà messo a disposizione dell'ex pm di Mani Pulite solo venti giorni dopo.

Come se non bastasse, nel medesimo articolo Di Salvo si avventura in considerazioni e particolari che denotano la sua assoluta impreparazione in materia. Particolari assolutamente noti a chiunque si sia informato solo un po' sulle stragi di Capaci e via D'Amelio, fosse solo attraverso le fiction di Canale5. Di Salvo azzarda un: “E' assai probabile che, come era già successo per Giovanni Falcone (prima di saltare in aria con la moglie a Capaci), anche Paolo Borsellino fosse stato più volte minacciato di morte. Certamente quando vennero prelevati con le famiglie e trasportati quasi a forza all’Addaura, dove venne poi trovata una borsa piena di esplosivo. E dove qualcuno ipotizzò che se la fossero messa addirittura i due magistrati. Che comunque, sebbene amareggiati per quella gravissima insinuazione, erano abituati a ricevere informative che li indicavano come possibili vittime della mafia. Un po’ scuotevano la testa con fatalità, un po’ venivano costretti come per l’Addaura a spostarsi”.

C'è davvero da scuotere la testa, visto che le idee di Di Salvo appaiono molto confuse. Confonde il fallito attentato all'Addaura del 21 giugno 1989 nei confronti del giudice Falcone (e non nei confronti di tutti e due i giudici) con l'episodio del trasporto di entrambi i giudici all'isola dell'Asinara la notte del 4 agosto 1985 in seguito all'uccisione di Beppe Montana e Ninni Cassarà.

Ma c'è una chicca finale. Di Salvo conclude il suo articolo con questa frase: “La normalità finisce nella tarda mattinata di domenica 19 luglio 1992, quando il giudice Paolo Borsellino va a casa della madre per pranzare con lei. Come ogni domenica. E come non accadrà più”.

Ora, passi per l'Addaura confusa con l'Asinara, ma non sapere che la strage di via D'Amelio è avvenuta alle cinque della sera (e non “nella tarda mattinata”) e non sapere che il giudice era andato in via D'Amelio per portare la madre dal cardiologo (e non “per pranzare con lei”), da uno che dice di essere in contatto con misteriosi agenti dei Servizi Segreti, appare, come minimo, piuttosto buffo.

giovedì 8 ottobre 2009

La legge è ugale per tutti, ma...



Dunque vediamo. La Corte Costituzionale è di sinistra, il capo dello stato è di sinistra, i magistrati fanno lotta politica e sono di sinistra, il capo dello stato controlla i magistrati di sinistra, i suoi processi sono una farsa, tutta la stampa è di sinistra, tutti i cosiddetti programmi di approfondimento sono di sinistra (tranne Porta a Porta), tutti i programmi di satira sono di sinistra, tutti i comici sono di sinistra e Rosy Bindi è più bella che intelligente. Poi? Ah ecco, dimenticavo: lui gode del 68,2% degli Italiani, che, evidentemente, sono tutto tranne che di sinistra, anche quel "virgola due". Quindi lui non si fermerà, continuerà, andrà avanti, se ne fa un baffo, il governo è più forte che mai, queste cose a lui lo caricano, agli Italiani gli caricano (sic), meno male che Silvio c'è, viva l'Italia e soprattutto viva Berlusconi. Non fa una grinza.

Ora, sarebbe troppo semplice liquidare queste parole per quello che fondamentalmente sono: uno sproloquio imbarazzante di un uomo al delirio di onnipotenza. C'è anche questo sicuramente, ma molto di più, in tutte le affermazioni che nella giornata di ieri il presidente del consiglio ha rovesciato nei microfoni che gli venivano sottoposti da giornalisti desiderosi di raccogliere il suo verbo. Prima della mostra, a braccetto con il cardinal Bertone, dopo la mostra e, immancabile, negli studi del suo portavoce personale, al secolo Bruno Vespa, che lo ha ascoltato per quindici minuti quindici, in rigoroso silenzio, il capo chino, le mani congiunte in preghiera.

Non è riuscito a smuoverlo nemmeno l'insulto villano, da tipico maschio cafonal, rivolto alla povera Rosy Bindi, che ha avuto il torto di trovare qualcosa da eccepire in merito al monologo berlusconiano e il merito di non scomporsi più di tanto e di rispondere a tono senza scendere ai livelli beceri da bar su cui il presidente del consiglio stava tentando di portare il discorso. Di fronte ad un'offesa tanto sguaiata quanto ignorante, l'unica cosa che Vespa è riuscito a balbettare, senza mai sollevare il capo e mantenendo le mani giunte, è stato un laconico "La prego...". Solo qualche giorno prima aveva preso a male parole, con l'appoggio del ministro della Difesa ("Lei mi fa schifo!"), il matematico Odifreddi che aveva osato associare il nome della Gelmini e della Carfagna alle veline.

In uno studio dove l'accusa era nella mani del duo Bindi-Casini (che facevano a gara a dire che nessuno di loro si era mai sognato di chiedere le dimissioni del premier, al massimo Di Pietro, ma quello lì è meglio lasciarlo perdere) e la difesa nelle mani del trio Berlusconi-Alfano-Castelli con l'appoggio esterno di Feltri, si è consumata una delle pagine più tristi della storia politica italiana. In quindici minuti di incontinenza verbale, Berlusconi è riuscito a palesare tutta la sua allergia ed estraneità alle più elementari regole democratiche. Ha accusato niente po' po' di meno che il presidente della Repubblica di non essersi mosso a sufficienza per sponsorizzare il Lodo Alfano presso la Corte Costituzionale, di non aver saputo o voluto esercitare le dovute pressioni sui giudici di sinistra della Consulta che lui notoriamente controlla come burattini e di averlo preso in giro visto che gli aveva assicurato che il Lodo Alfano sarebbe stato giudicato la legge più costituzionale che è mai stata scritta negli ultimi 150 anni.

Rosy Bindi ha tentato timidamente di far notare la gravità di tali affermazioni che suonerebbero male perfino se uscissero dalla bocca di un ultrà ubriaco della curva nord. E' stata assalita verbalmente dai due ministri della giustizia (neo ed ex) che hanno soffocato la sua voce, già di per sè sgraziata, con urla ancora più sgraziate. E' finita in caciara con Vespa che non sapeva più da che parte voltarsi.

Io vorrei invece prendere molto sul serio le parole di Berlusconi. La fortuna di quell'uomo infatti è che non viene mai preso sul serio. L'aveva già capito quel genio di Corrado Guzzanti più di dieci anni fa. E mentre gli altri non prendono sul serio le sue sparate, lui le mette in atto come se niente fosse, preparandosi a sparare sempre più in alto. E a ben vedere, ciò che il presidente del consiglio ha esternato, materializzandosi nell'aire di Porta a Porta, era nient'altro che la spiegazione esaustiva e dettagliata, con sottotitoli per i duri d'orecchio e di comprendonio, di quella frase sibillina che aveva buttato lì qualche ora prima: "Mi sento preso in giro".

Perchè ha usato proprio quella espressione? Perchè non ha detto "Mi sento accerchiato", "Mi sento attaccato", "Mi sento delegittimato"?. Chi l'avrebbe preso in giro? Chi si era divertito a giocare con lui? Di chi ingenuamente si era fidato? La risposta è arrivata prontamente. Quella frase era riferita in tutto e per tutto a Giorgio Napolitano. Era stato lui, con la sua firma in meno di 24 ore, a dargli la garanzia che niente avrebbe potuto scalfire il Lodo Alfano. Era stato lui ad assicurargli che avrebbe esercitato una certa influenza per condizionare il giudizio della Corte a suo favore. Era stato lui insomma che gli aveva detto di dormire sonni tranquilli, che era tutto sotto controllo, che avrebbe fatto valere il suo peso istituzionale su giudici compiacenti. L'ha detto esplicitamente, senza mezzi termini e, forse, senza nemmeno rendersi conto dell'enormità di certe affermazioni.

E allora, come si dice, delle due l'una. O Berlusconi è pazzo e queste dichiarazioni sono il frutto di una schizofrenia ormai in stadio avanzato e deve essere rimosso dal suo incarico al più presto per il bene del paese. O è vero quello che dice (ma anche se ci fosse solo un fondo di verità non cambierebbe nulla) e allora Napolitano ha il dovere di rassegnare le dimissioni immediate per indegnità e per alto tradimento alle istituzioni democratiche che egli rappresenta. Un capo dello stato che solo pensasse, o peggio millantasse, o peggio promettesse (senza necessariamente poi mantere la promessa), di essere in grado di usare la propria posizione per deviare il giudizio del supremo Consiglio garante della Costituzione, sarebbe un presidente da rimuovere senza esitazioni.

E il silenzio del Quirinale in materia è a dir poco preoccupante. A quanto pare, Napolitano si è sentito particolarmente offeso dalla battuta "Si sa da che parte sta" e ha tenuto a rispondere piccato: "Certo, si sa da che parte sto. Sto dalla parte della Costituzione!". Invece sembra che quelle parole che lo accusano apertamente di poter manipolare a piacimento i giudici della Consulta siano passate via senza lasciare traccia. Senza che il Quirinale sentisse il bisogno di rispondere a tali pesantissime insinuazioni. Nemmeno con un monito pacato. Nulla, il silenzio. Chiedo: è più grave sentirsi dire di essere di estrazione comunista (cosa vera e innegabile) o di essere un cospiratore contro l'imparzialità della Corte Costituzionale?

Ma, in un certo senso, gli sta bene. Fedele alla sua estrazione comunista, Napolitano ha fatto, in questo anno e mezzo di governo Berlusconi, quello che tutti gli esponenti dell'ex partito comunista che hanno retto e ancora oggi reggono le file del PD, da D'Alema a Veltroni, da Violante a Bersani, hanno fatto nella loro vita: assecondare gli istinti autoritari di Berlusconi, blandirlo, corteggiarlo, vincere la sua simpatia, per poi essere puntualmente rinnegati, schiaffeggiati, umiliati, derisi e abbandonati. Quale sarebbe la colpa grave di Napolitano, secondo Berlusconi? Di che può lamentarsi? Gli ha firmato tutto senza fiatare e con la massima solerzia. Non ha mai alzato una volta la voce nemmeno nei momenti in cui Berlusconi si è trovato in situazioni paurosamente imbarazzanti, più per il Paese che per sè. Quando Berlusconi, un giorno sì e l'altro pure, attaccava i magistrati, Napolitano chiedeva ai magistrati di essere sereni nel loro giudizio e di abbassare i toni. Quando Berlusconi, un giorno sì e l'altro pure, attaccava l'opposizione, Napolitano chiedeva all'opposizione di cercare il dialogo nell'interesse del Paese e di abbassare i toni. Quando Berlusconi partiva a testa bassa in un'offensiva mai vista contro la stampa, Napolitano invitava la stampa a lavare i panni sporchi in casa nostra e ad abbassare i toni. Quando Berlusconi trasformava Palazzo Grazioli in un bordello di Stato, Napolitano invitava a non dar spazio al gossip e ad abbassare i toni.

Ora, anche lui deve sorbirsi questo calice amaro. Usato e poi ripudiato puntualmente dal presidente del consiglio, così come è solito fare con le sue escort. Una gran brutta fine, non c'è che dire, Presidente. Nemmeno l'aver posto la sua augusta firma ad una legge palesemente incostituzionale, che lo salvasse da sicura condanna nel processo Mills, l'ha potuto salvare delle ire di Silvio. Ma non si crucci: lei, più di così, proprio non poteva fare. E' lui che è un tantino esigente.

Vorrei concludere con un paio di considerazioni sulle argomentazioni imbastite dall'allegra brigata del Pdl a difesa del Lodo Alfano. Argomentazioni che sono state prontamente distribuite a tutti dall'ineccepibile avvocato Ghedini (quello de "la legge è uguale per tutti, ma non la sua applicazione") e che tutti, scrupolosamente, si sono premurati di ripetere ad ogni microfono che trovassero sotto mano.

La prima argomentazione è che la Consulta, con questa decisione, si sarebbe contraddetta e avrebbe smentito il verdetto di qualche anno fa sull'analogo Lodo Schifani. Scusate. Mi sono perso qualcosa o anche il Lodo Schifani era stato incenerito perchè palesemente incostituzionale? Dove sarebbe la contraddizione? A parte questa sottigliezza, l'argomento è che la Consulta nel 2004 non aveva ritenuto che il Lodo Schifani violasse l'articolo 138, quello che stabilisce che per modificare la Costituzione ci vuole una legge costituzionale e non ordinaria. Ergo, non si capisce perchè ora se ne vengono fuori con questa storia della legge costituzionale. E sembra quasi che si sentano offesi, presi in giro dalla Consulta. Guardateli in faccia questi Ghedini, Bonaiuti, Schifani, Pecorella, Gasparri. Hanno la faccia di quelli che avevano fatto di tutto per seguire "le indicazioni della Corte" e, per qualche inspiegabile motivo, ora la Corte ha deciso che non va bene un'altra volta. Sono proprio dispettosi questi giudici.

Mi stupisco che nessuno, nel panorama politico italiano, abbia fatto notare molto semplicemente che nel 2004 la Corte, stroncando il Lodo Schifani perchè violava una serie interminabile di articoli, non ha dato nessuna "linea guida", non ha invitato nessuno a rifare un'altra legge porcata di quel tipo. Non l'ha mica ordinato il dottore che l'Italia debba avere qualcosa come il Lodo Alfano. Perchè qui sembra quasi che sia stata la Consulta a chiedere al Parlamento di modificare il Lodo Schifani, il Parlamento l'ha modificato come aveva chiesto la Consulta e ora la Consulta dice che non va ancora bene. Siamo alla follia. La Consulta si limita a giudicare la costituzionalità delle leggi che le vengono sottoposte. I due verdetti sono assolutamente chiari: il Lodo Schifani era qualcosa di aberrante; il Lodo Alfano è leggermente meglio, ma sempre incostituzionale è. L'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è qualcosa che non si può calpestare. Lo capirebbe anche un bambino.

La seconda argomentazione che ho sentito è che il Lodo Alfano era una legge giusta e necessaria perchè tutela non tanto Berlusconi, quanto i cittadini: se Berlusconi deve perder tempo a difendersi nei processi, non ha più tempo per badare al bene del Paese, che l'ha votato e vuole che governi. Argomentazione facilmente smontabile, visto che: 1) Berlusconi era imputato in quei processi da molto prima che venisse eletto nel 2008 e quindi sapeva benissimo che, se fosse stato eletto, avrebbe dovuto sottrarre tempo al suo mandato per presenziare alle udienze. Non gliel'ha ordinato il medico di candidarsi. 2) Gli Italiani sapevano benissimo che Berlusconi era imputato in quei processi da molto prima che venisse eletto nel 2008 e, se ora temono che Berlusconi debba sottratte tempo al suo mandato per difendersi nelle aule di tribunale, potevano pensarci prima. Non l'ha ordinato il dottore di votare per un pluri-imputato. 3) Berlusconi è da vent'anni, prima ancora che scendesse in campo, che viaggia alla media di due-tre processi in corso contemporaneamente. Non si è mai sognato di presentarsi una sola volta davanti ai giudici. In Tribunale non ci ha messo mai piede. Ci manda i suoi avvocati, due o tre alla volta. Si è ripresentato per sei volte di fila alle elezioni senza mai porsi il minimo problema di un'incompatibilità tra la figura di imputato e quella di presidente del consiglio. Non si vede perchè se ne debba preoccupare adesso. 4) Berlusconi, dopo che era stato bocciato il Lodo Schifani, ha continuato a governare come se niente fosse mentre nelle aule di tribunale si discuteva se avesse corrotto giudici e avvocati per comprare sentenze o avesse corrotto guardie della finanza per occultare evasioni fiscali. Non si vede perchè non possa fare la stessa cosa ora che è stato bocciato il Lodo Alfano.

E poi, la considerazione a mio parere più delicata. Che va a toccare i principi base su cui si fonda un sistema democratico. Fino a che punto la volontà popolare può legittimare l'operato di un governante? E' giusto ed accettabile che un governante si senta legibus solutus per il solo fatto di aver ricevuto la maggioranza dei consensi? Qualora il popolo decidesse di conferire nelle mani di un solo governante tutti i poteri, si potrebbe parlare ancora di democrazia per il solo fatto che la decisione è stata presa a maggioranza? E' veramente questo il senso della parola "democrazia"? Perchè non so se è chiaro: il Lodo Alfano stabiliva l'improcessabilità per qualunque tipo di reato penale, per tutto il mandato, delle quattro più alte cariche dello stato. Questo significa che Berlusconi avrebbe potuto per assurdo uccidere il capo dello stato e gli esponenti dell'opposizione ed ottenere di fatto il potere assoluto senza che la giustizia potesse fermarlo.

Non è un paradosso. E' la follia di una legge meschina, costruita ad hoc per salvare Berlusconi dai suoi processi, che avrebbe potuto generare mostri. Per fortuna, l'ultimo baluardo a garanzia della Costituzione ha retto (per questa volta) e non ha sancito l'assioma devastante per cui l'investitura popolare equivale ad essere sollevato al di sopra della legge.

Al di sopra del bene e del male.

mercoledì 7 ottobre 2009

Che schiaffo, Presidente!



ROMA
- Il Lodo Alfano è illegittimo. Così si sono pronunciati i giudici della Corte Costituzionale. La legge che sospende i processi delle quattro più alte cariche dello Stato è stata bocciata per violazione dell'art.138 della Costituzione, vale a dire l'obbligo di far ricorso a una legge costituzionale e non ordinaria. Il Lodo è stato bocciato anche per violazione dell'art.3, ovvero il principio di uguaglianza.

sabato 3 ottobre 2009

Beata ingenuità



E' bellissimo. Questo paese è straordinario. A Roma, in Piazza del Popolo, c'è una manifestazione indetta dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana per difendere la libertà di informazione a cui partecipano 300.000 persone e, per vederla, su quale canale mi devo collegare? Su Rete4. Anzi, di più: sul Tg4. Anzi, di più: sul Tg4 diretto per l'occasione dal direttore Emilio Fede. E' una cosa strepitosa. Una cosa che, devo dire, mi riempie di buon umore.

E' per cose come queste che io, in fondo, amo l'Italia. Ammettetelo. In quale altro paese si sarebbe potuta inventare una sceneggiatura tanto esilarante? Emilio Fede che patrocina la diretta su una manifestazione in difesa della libertà di stampa. Come se Bernardo Provenzano scendesse in piazza a manifestare contro la mafia. Credo veramente che, dopo aver visto questo, ho visto tutto. Grazie Emilio. Di cuore.

La cosa, da ridicola, si fa grave se si pensa che la mossa geniale del direttore del Tg4, e che sia geniale è fuori discussione, non è assolutamente estemporanea, ma si inserisce perfettamente in una particolare strategia comunicativa che il presidente del consiglio ha imposto ai suoi dipendenti da qualche tempo a questa parte. Se non li posso mettere a tacere, li sbeffeggio mediaticamente. E i mezzi non mi mancano. Il via è stato dato dalla surreale puntata di Porta a Porta di giovedì scorso che, sovrapponendosi in parte ad Annozero, ha riproposto tali quali interi spezzoni del programma di Santoro, andati in onda dieci minuti prima, con il solo scopo di ridicolizzarli e, ridacchiando sornione, domandare ai telespettatori: "Ma davvero voi pensate che in Italia non ci sia libertà di informazione?"

Come se Provenzano, sceso in piazza per protestare contro la mafia, domandasse: "Non vedete che sto protestando contro la mafia? E allora come vi salta in testa di sospettare che sono mafioso?". Geniale. Se non fosse che dei retroscena imbarazzanti hanno smascherato il tutto. Il pomeriggio di giovedì, poche ore prima del programma, Vespa è stato chiamato a Palazzo Grazioli. No, non si trattava di orge con escort questa volta. Era solo per concordare come confezionare la puntata di Porta a Porta in modo che demolisse tutto ciò che si sarebbe detto qualche minuto prima ad Annozero. Vespa, dopo essersi sorpreso di trovare nella dimora del premier anche Maurizio Belpietro, lì per lo stesso motivo, ha preso nota delle indicazioni di Berlusconi su come impostare la puntata, su come sputtanare Santoro e su come delegittimare i suoi ospiti. E, già che c'era, ha invitato pure Belpietro nel suo salotto televisivo. Belpietro ha tentato di schermirsi dicendo che era già invitato da Santoro. Ma Vespa, senza scomporsi, ha risposto: "Appunto!". Si chiama ottimizzazione delle risorse.

Ne è venuta fuori una puntata grottesca, che ricordava un misto tra Il Processo alla Tappa di Sergio Zavoli e il Dopo Festival di Fiorello. Geniale. Vespa, forse inconsapevolmente, giovedì ha creato un nuovo modello di televisione. La televisione riparatrice. C'è un programma che dice cose sgradite? Non possiamo far chiudere quel programma? Bene. Arriva Vespa che ripara e riequilibra. In tempo reale. Senza far passare nemmeno un istante. Prima che le cose sgradite sedimentino nei cervelli dei telespettatori. Non si era mai vista una roba simile sui teleschermi della televisione pubblica. E' la realizzazione concreta e fisica di quel concetto che da mesi i berluscloni cercano di far passare. E' necessario riequilibrare. E' necessario imporre un contraddittorio.

Come se la verità dei fatti scaturisse dalla contrapposizione di due idee opposte. Magari bislacche entrambe, purchè opposte. E' un abominio intellettuale che si sta facendo strada come un virus. E' da mesi che il direttore di Rai2 Mauro Masi sta tentando di imporre a Santoro una presenza riparatrice di centrodestra che faccia da contraltare a Travaglio. Per fortuna nessuno ha ancora ceduto ad un'oscenità simile. Innanzitutto perchè qualcuno dovrebbe spiegare a Masi che Travaglio è tutto tranne che di centrosinistra. E secondo, perchè pensare che, per ogni giornalista che appare in televisione e che esprime un'idea, ci debba essere di fianco la badante che argomenta le ragioni dell'idea opposta è qualcosa che non si può nemmeno chiamare fascismo, come qualcuno fa. E' qualcosa di banalmente idiota.

Così oltre al danno c'è pure la beffa. Ed Emilio Fede ha buon gioco a sguinzagliare la sua inviata tra i manifestanti di Piazza del Popolo per porre loro leggiadre domande provocatorie. Tipo: "Lei pensa che il Tg3 sia libertà di informazione?". In studio insieme a Fede, il fido Piero Ostellino, quello che sul Corriere scrive di essere un liberale, di sentirsi un liberale e che comunque lui in fondo è stato sempre un liberale, e pure Sansonetti, direttore de L'Altro, il quotidiano della sinistra, che pensa in modo diverso dalla sinistra, talmente diverso che sembra quasi berlusconiano. Uno spettacolo obiettivamente indecente: una trasmissione che avrebbe dovuto patrocinare la manifestazione in difesa della libertà di stampa usata per prendere per il culo i partecipanti, al grido: "Ma voi pensate veramente che in Italia non ci sia libertà di informazione?"

Il disgusto è grande. E pensare che esistano cosiddetti giornalisti che si offrono da complici ai giochini un po' infantili di Fede che si diverte a tampinare da studio "le signore col cappello bianco" è veramente mortificante. E poi. Perchè mai un giornalista dovrebbe essere contrario ad una manifestazione in difesa dei propri diritti? Essere a favore della libertà di stampa significa essere contro il governo? E, se sì, non ci si dovrebbe allora porre qualche domanda?

E' quanto sostenuto infatti dall'esimio direttore del Tg1 che, in prima serata, dopo l'editoriale di qualche mese fa in cui spiegava i propri silenzi sul caso D'Addario definendo assolutamente incomprensibile la scelta delle altre testate di dare spazio al gossip, si è preso un altro minuto e mezzo della televisione pubblica per spiegare come fosse per lui incomprensibile una manifestazione per la libertà di stampa in Italia, che chi pensa che davvero ci sia un bavaglio all'informazione è un comunista e che i comunisti non hanno mosso un dito quando venivano querelati i giornali di Berlusconi. Sempre con lo stesso sorrisino beffardo dell'altra volta. Sempre con quella parlata robotizzata che incute un certo terrore. Come un automa programmato per uccidere. Mai si era assistito, sul telegiornale della rete ammiraglia del servizio pubblico, a una scesa in campo così sfacciata per difendere le ragioni di una ben precisa parte politica. Neanche si trattasse del Tg4 di Emilio Fede.

Ma io in fondo non mi sento di dar loro torto. Fanno benone a fare quello che fanno. Fa benone Vespa a insultare Santoro dicendogli che è un privilegiato in Rai mica come lui che quando è stato rimosso dal Tg1 dopo averlo portato ad ascolti fantasmagorici nessuno si è mosso in sua difesa, anzi la stampa si dovrebbe vergognare di non aver preso allora le difese di un paladino così integerrimo della neutralità e dell'imparzialità. Fa benone Fede a prendere per il culo i partecipanti alla manifestazione dicendo che se c'è la Dandini e Floris e Santoro e Di Bella e Crozza e Le Iene e Glob e Blob allora l'Italia non può che essere un paese libero e chi la pensa diversamente non può essere altro che uno di loro, dei comunisti, anzi dei "comunisti dei comunisti". Fa Benone Minzolini a materializzarsi nel suo Tg per spiegare alle casalinghe che manifestare per la libertà di informazione significa voler imporre un odioso regime (sic) e poi potrebbe confondersi per una manifestazione contro il governo, e questo proprio è incomprensibile visto che questo governo è uno tra i più liberali degli ultimi 150 anni.

Hanno ragione loro. E soprattutto ha ragione il nostro presidente del consiglio quando dice che questa manifestazione è una farsa. Sono d'accordo. Al cento per cento. Non fosse altro per quei pochi che vi hanno aderito credendoci veramente. Roberto Saviano su tutti. Questa manifestazione, tutto sommato, è una farsa. Una farsa perchè nessuno dei partecipanti sa esattamente perchè è sceso in piazza. Perchè la piazza è piena di bandiere del PD? Cosa c'entra il PD con la libertà di stampa? E che faccia può aver il PD di lamentarsi del regime berlusconiano quando, nel momento in cui c'era la possibilità di incenerire una delle leggi più criminose degli ultimi anni e di far cadere il governo, si è liquefatto in massa? Che faccia può avere il PD di lamentarsi del bavaglio quando un anno fa a piazza Navona una manifestazione analoga è stata disertata perchè bisognava ancora "dialogare" con Berlusconi? E, soprattutto, che faccia ha Repubblica, ad indire tale manifestazione solo dopo che Berlusconi gli ha fatto una causa milionaria per una decina di domande sulle sue frequentazioni private?

Dov'erano tutti quei giornalisti che oggi reclamano libertà e indipendenza quando entrava in vigore l'anno scorso la legge-bavaglio? Dov'erano i direttori e vicedirettori di Repubblica quando Travaglio e Di Pietro denunciavano questo sfacelo? Dov'erano quando Grillo radunava in piazza trecentomila persone per protestare contro l'asservimento della stampa al potere? Ve lo dico io dov'erano. Erano chiusi in redazione a scrivere editoriali al vetriolo contro Travaglio (vi ricordate la campagna calunniosa di D'Avanzo sulle presunte vacanze di Travaglio pagate da un boss della mafia?). Erano chiusi in redazione a scrivere editoriali al vetriolo contro Di Pietro (vi ricordate le parole schifate di Massimo Giannini dopo la manifestazione di Piazza Navona?). Erano chiusi in redazione a scrivere editoriali al vetriolo contro Grillo (vi ricordate le bordate altisonanti di Eugenio Scalfari?).

Bene. Hanno coperto per anni le porcate di Berlusconi. Hanno crocifisso con ogni insulto possibile e immaginabile (giustizialisti, qualunquisti, populisti, demagoghi, antipolitici) chiunque non si allineasse all'idea di dialogare col governo. Hanno coperto i poteri forti, dal presidente della Repubblica al presidente del Csm, mentre facevano scempio di intere procure, diffondendo notizie false e fuorvianti e avallando senza batter ciglio tutte le leggi porcata varate all'unisono dal Parlamento. Ora, d'un tratto, si sono svegliati. Rivendicano libertà. Rivendicano il loro spazio.

Per darvi un'idea, vi propongo due frasi di Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, la prima datata 29 gennaio 2009 e la seconda datata 3 ottobre 2009. Fate voi il confronto.

"Di Pietro, nella sua foga populista, sbaglia totalmente il bersaglio. Lo sbaglia sul piano istituzionale (...) e cade ancora una volta nella furia giustizialista, e a tratti un po' qualunquista, del girotondismo e del grillismo".

"Un'opposizione seria e strutturata, consapevole di questo, avrebbe fatto una battaglia campale contro questa vergognosa amnistia mascherata. Avrebbe "investito" sui mal di pancia dei diffidenti del partito del premier e dei dissidenti dell'ex partito di Fini e avrebbe fatto quadrato con l'Idv".

Avrebbe fatto quadrato con l'Idv? Ma dai? Davvero?

Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Beata ingenuità. La stessa che ha assalito quei temerari che ancora raccolgono firme per degli appelli al capo dello stato affinchè eviti di apporre la sua firma augusta sul decreto legge sulla sicurezza che include l'abominio etico e giuridico del cosiddetto "scudo fiscale". Beata ingenuità quella di uno sprovveduto cittadino che avvicinandosi a Napolitano l'ha supplicato di non firmare: "Lo faccia per la gente onesta!". A sentire quella parola (gente onesta), Napolitano si è rabbuiato e ha preso a male parole il poveretto facendogli seduta stante una lezione di diritto costituzionale e spiegandogli che è inutile che lui non firmi tanto poi quelli la votano un'altra volta tale e quale e lui la deve firmare lo stesso, quindi che me lo chiedete a fare? Lo sprovveduto cittadino è rimasto basito da cotanta spiegazione.

Un presidente della Repubblica che ammette in pubblico che i delicati sistemi di garanzia imposti dai padri costituenti altro non sono che pagliacciate che fanno perder tempo. Io non so se vi rendete conto della gravità di una tale affermazione: io firmo perchè tanto alla fine dovrei firmare lo stesso. Denota una mancanza assoluta di responsabilità civica nelle vesti del supremo garante della Costituzione. E' possibile che un capo dello stato scenda a formulare certe argomentazioni, più consone ad una discussione da bar che ad una carica istituzionale? Non sa Napolitano che l'atto formale di non firmare una legge porcata rappresenta un segnale fortissimo lanciato al Parlamento? Qualcosa che i padri costituenti avevano previsto con oculatezza? E allora cosa ci sta a fare al Quirinale? Davvero pensa di essere solo un passacarte? E' questa la considerazione che Napolitano ha della più alta carica istituzionale?

E cosa dire dello sconcertante annuncio che avrebbe firmato la legge prima ancora che il Parlamento l'aveva approvata? Forse per convincere quei pochi parlamentari dissidenti che il proprio voto contrario non sarebbe servito a niente? E' qualcosa di gravissimo, mai visto nella storia repubblicana, che fa saltare tutto quel sistema di "pesi e contrappesi", come ama definirli D'Alema, che stanno alla base del sistema democratico.

Napolitano ha dimostrato di essere pronto a firmare di tutto. Non si è mai posto problemi di sorta. Davvero qualcuno ancora crede che un appello con venti mila firme gli possa far cambiare idea?

Beata ingenuità.