sabato 30 agosto 2008

Allo schifo non c'è mai fine


E' passata l'estate.

Gli italiani sono andati ad arrostirsi le chiappe al sole. Studio Aperto l'ha fatta da padrona con tutto quel ben di Dio da mostrare in prima serata. Gli assassini più efferati scatenati dal caldo hanno rubato la scena dei telegiornali. La telenovela Ronaldinho ha finalmente trovato una degna conclusione: dopo anni di tira e molla Silvio ha finalmente deciso di sganciare il grano. Le Olimpiadi ci hanno visto soffrire tutti insieme per connazionali impegnati in sport di cui ignoravamo bellamente l'esistenza fino a un minuto prima.

Insomma: belli rilassati è ora di tornare ad occuparsi delle solite cose noiose della politica italiana. E non c'è da perdere un secondo! Che qui, appena ti distrai, ti parte tra capo e collo un'emergenza dietro l'altra, che se non ci stai attento rischi di rimanere tramortito. Ogni giorno, in un frullare impazzito di emergenze, in questo gioco malato e perverso di "priorità" in cui , se non si ha un minimo di senso critico, si rischia di finire dentro fino ai capelli ed annegare, al cittadino italiano viene fatto credere una volta che la priorità è la riforma della giustizia, un'altra volta che invece c'è una priorità più prioritaria che riguarda il federalismo fiscale, un'altra ancora che c'è però un'emergenza che le batte tutte: quella di Alitalia, anzi no: lo sbarco dei clandestini richiede la proclamazione dello stato di emergenza, ma che dici: la vera emergenza è la fiumana di intercettazioni pubblicate che ledono nel profondo la privacy del cittadino stesso.

Non c'è che dire: se non hai gli anticorpi, ne esci a pezzi. Non sai più dove voltarti. E' come essere preso a scazzottate da Tyson. Dovunque giri la faccia ti vedi il suo guantone stampartisi in fronte. E poi, quando la giostra impazzita delle emergenze è conclusa (perchè non è infinita e prima o poi termina il suo giro), come ogni giostra che si rispetti, ricomincia daccapo. E tu lì , che non ti ricordi più nemmeno della prima emergenza, quella che aveva scatenato il putiferio, avevi creduto che da un momento all'altro l'Italia si sarebbe sfasciata se non si fosse risolta e invece ti ritrovi a non rammentarne nemmeno più l'esistenza. Perchè in effetti c'è da dire che ad ogni giro, poi, una delle tante, a turno, viene magicamente risolta. E si fa presto a perdere il conto.

E' capitato con i rifiuti della Campania, che ancora brucia, ma la gente crede che ora nei bidoni crescano i fiori. Sta capitando oggi. La penultima emergenza in ordine di tempo, ovvero il salvataggio di Alitalia, l'ha annunciato lo stesso Presidente del Consiglio, è stata brillantemente affrontata e risolta. La cordata italiana non era un'invenzione. Lui l'aveva sempre detto che ce l'aveva in tasca. E non ce ne è stato uno, dico un solo giornalista, che abbia fatto notare come a fare gli imprenditori così è capace anche mio nonno. I debiti multimilionari se li sobbarca lo stato, ovvero il cittadino (ma questo al cittadino è meglio non dirlo), il gruppetto dei "capitani coraggiosi" proclama di aver agito sotto la spinta di un non ben definito senso del dovere e del sacrificio per la patria, salvo scoprire che la nuova compagnia che risorge dalle ceneri di Alitalia con Alitalia non ha niente a che fare. La vera Alitalia è morta e sepolta dai debiti. Quella che Berlusconi e Colaninno hanno fatto finta di salvare è una nuova compagnia, con lo stesso nome, solo ridimensionata, ma nel complesso sana e potenzialmente con ampi margini di crescita.

Ma non c'è stato nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo. E' apparsa da un giorno con l'altro questa fantomatica cordata salvatrice. Berlusconi ha proclamato la fine dell'emergenza. Tremonti ha rassicurato i piccoli risparmiatori su cui sono crollati i dissesti finanziari della compagnia senza specificare in che modo verranno tutelati. Le televisioni e i giornali hanno riportato pari pari. La gente ci ha creduto. L'emergenza è finita. Alitalia è salva. Non parlateci più di Alitalia per favore. C'è qualcosa di ben più importante da fronteggiare ora: il pericolo intercettazioni.

Ma come? E sì. Questa è una di quelle emergenze che ritornano ciclicamente. Purtroppo Berlusconi non è riuscito ha far passare un decreto legge che le fermasse e si sa: un disegno di legge è lungo e laborioso e i tempi si dilatano. Poi c'erano di mezzo le vacanze. Ed ecco qua che è risaltata fuori, puntuale come un cucù. Belpietro, lo zerbino argentato dal sorriso indisponente, il direttore della rivista di famiglia, Panorama, pubblica delle intercettazioni riguardanti dei presunti favori che Prodi avrebbe fatto a suoi famigliari. Roba penalmente rilevante? I giudici lo decideranno. Roba che risale al '93? E chissenefrega. Se c'è del dolo, che venga tirato fuori, e se qualcuno deve pagare, che paghi.

Berlusconi, evidentemente, dopo aver sfogliato la sua propria rivista, rimane scandalizzato. Grida e bercia che così non si può più andare avanti. E' una vergogna che i giornali ormai pubblichino tutto quello che gli passa per le mani. Si dimentica forse che il giornale in questione è di sua proprietà. Poi annuncia che qui ci vuole immediatamente una legge che metta fine allo scempio delle intercettazioni.

Ora: anche un bambino un po' scemotto capirebbe l'infantile giochino orchestrato ad arte. Voglio dire. Non c'è bisogno di un impeccabile D'Avanzo che ce lo spieghi e ce lo sveli per filo e per segno come se stesse facendo lo scoop del secolo. O forse sì? In un paese normale, dopo una figuraccia del genere, la fiducia del premier crollerebbe all'istante. Invece no.

Su quello che ormai è diventato il giornale di regime, Il Corriere della Sera, un ingenuo e fanciullesco Sergio Romano, cavalca l'onda dello scandalo. Sostiene a spada tratta tutte le balle di Berlusconi (a cui lo stesso Berlusconi ormai non crede più), si chiede infervorato come mai dei magistrati passino il tempo ad indagare su vicende "del secolo scorso". Dimenticando che il secolo scorso è terminato da soli 8 anni. Sentenzia che la "pubblicazione di intercettazioni segrete è una patologia tutta italiana": ma se sono segrete come fanno a pubblicarle? Ne deduce che ci vuole immediatamente una legge "che non è difficile immaginare": e infatti è talmente facile immaginarla che c'è già: è vietato pubblicare intercettazioni sottoposte al segreto istruttorio. Si scandalizza della conseguente strumentalizzazione politica atta a "colpire l'avversario". Si congratula con Berlusconi per non essere caduto in un tale vile giochino. Accusa la sinistra di essere troppo sospettosa.

La conclusione è commovente. "Lo stesso Prodi, dicendosi indifferente alla pubblicazione delle intercettazioni, ha dato la sensazione di volere svalutare i sentimenti di solidarietà offerti da Berlusconi".

Ora la mia domanda è questa. Sergio Romano è uno scrittore e un giornalista di chiara fama internazionale. Ha ricevuto onorificenze a tutti i livelli. Ha insegnato nelle più importanti università americane. Ha pubblicato decine e decine di libri.

Cosa lo spinge a leccare, oggi, all'età che si ritrova, col sorriso sulle labbra, il deretano fetido di Berlusconi?