domenica 28 giugno 2009

Ho un legittimo sospetto

Luigi Mazzella, giudice della Corte Costituzionale

Il 5 novembre 2002 entrava in vigore la legge n.248, detta legge Cirami, dal nome del suo ideatore, il senatore Melchiorre Cirami. Divenne immediatamente il fiore all'occhiello delle famosi leggi-vergogna, approvate in serie e a tappe forzate dal governo Berlusconi II per tentare in tutti modi di fermare i due procedimenti giudiziari più pericolosi a carico dello stesso presidente del consiglio, il processo Imi-Sir e il lodo-Mondadori, in cui Silvio Berlusconi era indagato per aver comprato delle sentenze a lui favorevoli corrompendo tre magistrati romani, il capo dei gip Renato Squillante, i giudici Vittorio Metta e Filippo Verde, grazie alla mediazione di due avvocati-faccendieri, Attilio Pacifico e Cesare Previti.

La legge Cirami andava a modificare l'articolo 45 del codice di procedura penale rendendo possibile il trasferimento di un processo ad altra sede "quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo...o determinano motivi di legittimo sospetto". Tradotto: se esiste il ragionevole sospetto che la corte giudicante possa non essere del tutto imparziale, la Corte di Cassazione, su richiesta o del pm o degli avvocati della difesa, può decidere di "rimettere il processo ad altro giudice". Per questo fu battezzata anche col nome di "legge sul legittimo sospetto".

Per la cronaca, quella legge, in relazione ai processi a carico di Silvio Berlusconi, fu completamente inutile visto che fu poi superata dal Lodo Schifani, che regalava l'immunità alle cinque più alte cariche dello stato. I procedimenti non venivano semplicemente rallentati: venivano bloccati del tutto. Ma si sa: quando c'è il fondato pericolo di finire in galera, melius abundare. Fa niente se poi il Lodo Schifani venne polverizzato dalla Corte Costituzionale: la posizione di Silvio Berlusconi era ormai stata stralciata. In compenso la legge Cirami continuò a far danni e da allora venne usata e abusata in altri ambiti per mettere i bastoni tra le ruote alla già lentissima macchina della giustizia italiana.

Sei anni dopo, il cavaliere si insediava per la quarta volta a Palazzo Chigi e, nonostante i peana della stampa che prefiguravano l'avvento di un nuovo messia, di uno statista illuminato che aveva finalmente risolto (?) i suoi problemi con la giustizia e che quindi si sarebbe dedicato anima e corpo ai problemi del paese, la prima mossa fu quella di ripresentare una versione (non troppo) riveduta e corretta del Lodo Schifani, il cosiddetto Lodo Alfano, che aveva sempre un unico scopo: bloccare l'ennesimo processo per corruzione a carico di Silvio Berlusconi. Sappiamo tutti come andò a finire. Giorgio Napolitano appose la propria firma dalla sera alla mattina senza fiatare e come per incanto il premier si trovò d'un balzo al di sopra della legge, al riparo dalle odiate toghe rosse. Fu così che la posizione di Silvio Berlusconi nel processo Mills fu stralciata, in attesa della decisione della Consulta che stabilirà se il Lodo Alfano violi o meno la Carta Costituzionale. Nel frattempo, l'avvocato londinese David Mills, a cui, sfortunatamente per lui, il Lodo Alfano non è applicabile, è stato giudicato colpevole: ricevette da Berlusconi 600 mila dollari in nero per aver testimoniato il falso in un paio di processi a carico dello stesso Berlusconi, riuscendo così a tenerlo fuori dai guai.

La notizia della condanna di David Mills, che dimostrava, di riflesso, la colpevolezza del nostro presidente del consiglio, fu più o meno oscurata dalla stampa, che riuscì nell'impresa titanica di parlare del corrotto (Mills) senza mai nominare il corruttore (Berlusconi), fino ad arrivare a punte di comicità assoluta quando un inviato di Studio Aperto annunciò estasiato la notizia della piena assoluzione del presidente del consiglio. Il poveraccio ignorava probabilmente che il processo a Berlusconi non era nemmeno stato portato a termine, perchè congelato appunto dal Lodo Alfano. Il risultato fu che milioni di Italiani si domandarono disorientati perchè mai i telegiornali italiani si occupassero della condanna di uno sconosciuto avvocato inglese. E quei pochi che capirono la taciuta connessione con il nostro presidente del consiglio ebbero l'idea di trovarsi di fronte all'ennesimo attacco ad orologeria di una magistratura politicizzata. L'immagine radiosa del premier, riconoscito ufficilmente corruttore in atti giudiziari, non venne scalfita di un millimetro.

Il 6 ottobre 2009 la Consulta si riunirà per stabilire se il Lodo Alfano, che protegge il nostro presidente del consiglio da ogni tipo di processo penale, sia incostituzionale o meno. Nell'attesa, l'Italia dei Valori, con l'aiuto di qualche simpatizzante e senza l'appoggio del PD, è riuscita a raccogliere un milione di firme per indire un referendum che spazzi via l'ultima legge-vergogna. Un referendum che non si terrà prima del 2010 e che potrebbe comunque essere inutile nel caso in cui la Consulta cancellasse il Lodo Alfano così come aveva fatto con quello Schifani. O forse no.

Fino a poco tempo fa era dato quasi per certo tra esimi costituzionalisti che il Lodo Alfano non potesse superare lo scoglio della Consulta, intriso com'è di norme che calpestano allegramente i più disparati articoli della Carta Costituzionale. A partire dall'articolo 3, che stabilisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Uno scoop dell'Espresso, a firma di quel grande giornalista d'inchiesta che è Peter Gomez, ha ribaltato però gli scenari futuri. Uno scoop esplosivo che avrebbe dovuto suscitare un moto di indignazione popolare, almeno tra coloro che ancora hanno a cuore il principio illuministico della divisione dei poteri, che sta alla base di ogni compiuta democrazia. Che avrebbe dovuto avere risonanza almeno sui quei giornali che in questi tempi si stanno facendo paladini della libertà di informazione e della moralità della politica. E invece nulla. Il silenzio tombale. Uno scoop giornalistico destinato a rimanere rigorosamente entro i confini dei lettori dell'Espresso e che i tv-dipendenti e i lettori dei vari quotidiani non conosceranno mai. A testimonianza del fatto che le campagne portate avanti da Repubblica e il Corriere sull'inchiesta di Bari non sono tanto fatte in nome della libertà di stampa, quanto per una mera questione economica: più dettagli pruriginosi, più lettori assicurati. Quando si tratta di impegnarsi su faccende delicate che vanno a toccare problemi più alti, legati a palesi conflitti di interessi, tutti tacciono.

Ciò che Peter Gomez ha scoperto e che nessuno fino ad ora ha osato smentire è che, circa un mesetto fa, "in una tiepida sera di maggio", a casa del giudice Luigi Mazzella in via Cortina d'Ampezzo a Roma si sono presentati in gran segreto il premier Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini e un altro giudice, collega di Mazzella, Paolo Maria Napolitano.

Il caso vuole che sia Luigi Mazzella che Paolo Maria Napolitano sono due membri della Consulta e che tra tre mesi esatti si dovranno esprimere sulla costituzionalità del Lodo Alfano. La ricostruzione di Peter Gomez parla di una cena in cui si è discusso delle prossime riforme costituzionali in materia di giustizia che il governo vuole attuare. Una bozza di riforma costituzionale in nove punti che andrebbe a stravolgere il sistema giustizia secondo i dettami ormai noti dai tempi di Licio Gelli e del suo Piano di Rinascita Democratica: separazione delle carriere, riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, addio all'obbligatorietà dell'azione penale e abolizione della figura degli odiati pubblici ministeri, ridotti a semplici avvocati dell'accusa e costretti a lavorare solo sui reati che il Ministero dell'Interno riterrà di volta in volta rilevanti, garantendo così di fatto l'assoluta impunità dei colletti bianchi.

Ora, che questo fosse il pallino di Silvio Berlusconi, degno erede del suo maestro venerabile Licio Gelli, non era certo un mistero. La cosa che dovrebbe lasciare un tantino perplessi è che queste proposte di riforma costituzionale (che furono considerate eversive ai tempi dello scandalo della P2: altri tempi) sono state avanzate durante la cena proprio da parte dei due giudici costituzionali, con l'avallo del ministro della Giustizia in carica.

Ora io mi chiedo: è normale che due toghe appartenenti alla Consulta, il più alto organo della magistratura italiana, garante della Carta Costituzionale, al di sopra persino del Capo dello Stato, tramino in gran segreto, all'oscuro degli altri membri della Consulta e in via del tutto privata, con dei pezzi dello stato per coordinare un piano che metta mano alla riforma della Costituzione? E' normale che due magistrati, assolutamente indipendenti, sia chiaro, invitino a cena il presidente del Consiglio e il suo entourage per parlare del Lodo Alfano che scherma il presidente del Consiglio stesso e su cui gli stessi dovranno esprimersi di qui ad Ottobre? Esiste forse una leggerissima questione di opportunità che è stata sottovalutata? Esiste forse un leggerissimo conflitto di interessi che è stato bellamente calpestato?

Una notizia, come detto, mai smentita dagli stessi interessati, anzi confermata. La linea di difesa adottata questa volta non è stata quella di negare, negare e negare ancora, anche di fronte all'evidenza (come per esempio ha fatto Berlusconi con l'inchiesta di Bari sul giro di prostitute, appalti truccati, favori, candidature, ricatti e cocaina), ma quella di minimizzare: "Sì, è vero, la cena c'è stata. E allora?". Si è passati dal comportamento fanciullesco di chi viene beccato con le mani nella marmellata e dice di non essere stato lui, al comportamento impudente di chi, beccato con le mani nella marmellata, vuol far passare la cosa come assolutamente normale.

Così si è difeso il diretto interessato, il padrone di casa, Luigi Mazzella, che ha dichiarato: "A cena invito chi voglio e parlo di quello che voglio. A casa mia vengono tutti, dall'estrema sinistra all'estrema destra". Sembra di sentire tali e quali le parole patetiche di Pairetto quando tentava di giustificare le sue telefonate imbarazzanti con Luciano Moggi per decidere quale arbitro avrebbe dovuto dirigere quale partita: "Che male c'è? Mi telefonavano tutti". Solo che qui la partita è ben più importante. Non c'è di mezzo il pallone, ma la stabilità democratica della nostra repubblica. Forse certi personaggi non se ne rendono nemmeno conto e continuano a confondere (o far finta di confondere) il pubblico con il privato. Sentenzia Mazzella: "Non credo che io, da individuo privato, debba dar conto delle cene che faccio". Se però da quelle cene derivano accordi più o meno segreti che andranno a stravolgere la Carta Costituzionale, a rivoluzionare la giustizia in Italia e a decidere le sorti di un governo o di un'intera legislatura (crollando il Lodo Alfano, Berlusconi sarebbe nudo di fronte alle proprie vergogne), questo mi sembra un fatto con una leggerissima valenza pubblica. Che ne dice, Mazzella?

Calpestato il conflitto di interessi, svanisce d'incanto anche la vergogna. Così l'avvocato parlamentare Niccolò Ghedini, difensore d'ufficio del premier e di tutti coloro che gli girano attorno, emblema fulgido e monumento vivente al conflitto di interessi (non si capisce mai se parla come avvocato personale di Silvio Berlusconi per difendere gli interessi del proprio assistito o come parlamentare della repubblica italiana per difendere gli interessi del popolo), non prova il minimo imbarazzo ad affermare: "Non vedo nulla di strano, perchè i giudici non vivono sul monte Athos ed è normale che frequentino le alte cariche".

Forse gli sfugge il fatto che quello svoltosi a casa del giudice Mazzella non è stato un ritrovo tra buontemponi o amici di vecchia data che volevano passare la serata giocando a briscola, ma un incontro segreto tra due fra le più alte personalità della magistratura italiana e una vera e propria delegazione del governo, rappresentato degnamente in tutte le sue forme: presidente del consiglio, sottosegretario, ministro della Giustizia e presidente della commissione affari costituzionali (quest'ultimo, per inciso, è indagato per mafia). Un incontro dal sapore "carbonaro", come l'ha definito l'Espresso.

Sia bene inteso. Nessuno vieta ad un giudice di coltivare tutte le amicizie che vuole, fossero anche con le più alte cariche dello stato. Il problema sorge nel momento in cui quei giudici sono chiamati a giudicare fatti che riguardano quelle alte cariche a loro amiche. Il problema si acuisce se quei giudici sono sorpresi a cospirare in gran segreto con quelle alte cariche a loro amiche. La decenza, prima ancora che la serietà professionale, imporrebbero come minimo l'astensione. Cosa a cui nè Luigi Mazzella, nè Paolo Maria Napolitano pensano minimamente. Il 6 ottobre, come se niente fosse, si pronunceranno in merito alla costituzionalità del Lodo Alfano. Dopo la cenetta segreta con l'ideatore della legge (Alfano) e il beneficiario della legge (Berlusconi), avete voi dei dubbi su che tipo di parere forniranno? A meno di non pensare che essi fossero lì veramente per un torneo di briscola chiamata o, visto l'andazzo, di scopone scientifico.

Perchè poi, se uno va a scavare nel passato delle due toghe, il quadro d'un tratto si chiarisce.

Il giudice Paolo Maria Napolitano venne eletto alla Consulta nel 2006 dopo essere stato capo dell'ufficio del personale del Senato, capo gabinetto di Gianfranco Fini nel secondo governo Berlusconi e consigliere di Stato. Non propriamente un tecnico, quindi. Il giudice Luigi Mazzella, invece, antico militante del Psi di Craxi, fu scelto espressamente da Berlusconi, prima come avvocato generale dello Stato e poi, nel 2003, come ministro della Funzione pubblica del governo Berlusconi II, in sostituzione di Franco Frattini, volato a Bruxelles come commissario europeo. Tutto questo senza che Mazzella desse le dimissioni dal primo incarico. Unico caso dal dopoguerra in poi di un avvocato dello Stato facente anche funzioni di ministro. Precursore ante litteram del conflitto di interessi. Un uomo che avrebbe dovuto difendere gli interessi dello Stato anche quando non coincidevano con quelli del governo. E viceversa. Tutt'altro che imbarazzato, Mazzella svolse le sue due funzioni con solerzia e per questo fu ripagato, sempre da Berlusconi, nel 2005, con una poltrona alla Consulta.

La sua elezione è un pezzo di storia repubblicana da ricordare. Fu un compromesso, un inciucio diremmo oggi, tra maggioranza e opposizione, le quali si misero d'accordo sui nomi da votare per i due posti rimasti vacanti alla Consulta. Forza Italia propose Luigi Mazzella, spacciato per "tecnico", ma cresciuto, come abbiamo visto, sotto l'ala protettrice di Berlusconi. I Ds e Margherita proposero un certo Gaetano Silvestri. Prima si votò per Mazzella che ottenne voti bipartisan e ottenne la poltrona. Il giorno dopo si votò per Silvestri e, incredibilmente, nonostante l'accordo, il candidato del centrosinistra non ottenne abbastanza voti. Incidente di percorso, dissero. Il giorno successivo si sarebbe sistemato tutto. Infatti: la seconda votazione fu ancora più disastrosa, con la maggioranza e anche parti dell'opposizione che tradirono e remarono contro. Piccolo quadretto da incorniciare per chi, a intervalli più o meno regolari, auspica un dialogo sereno con il cavaliere.

Sullo scandalo della cena segreta l'opposizione tace. I giornali tacciono. Le televisioni tacciono. Di Pietro sul suo piccolo blog, unico nel panorama politico, ha chiesto le dimissioni delle due toghe, evidentemente rosse e antropologicamente diverse, ma che non disdegnano la compagnia privata del premier. Forse perchè Di Pietro è stato da sempre l'unico a battersi per l'abolizione del Lodo Alfano. Fatto sta che non è certo per un post sul suo blog che Mazzella e Napolitano faranno un passo indietro. Cosa può fare un blog contro il silenzio di tutta la stampa? Niente, appunto.

E' possibile avere il legittimo sospetto che questi due giudici saranno tutt'altro che sereni nel giudicare il Lodo Alfano? E' possibile avere il legittimo sospetto che, quando si tratterà di giudicare le prossime leggi di riforma costituzionale che il governo ha già annunciato di proporre, i due non saranno del tutto imparziali?

So bene che la legge Cirami sul legittimo sospetto si applica solo ai procedimenti penali e non tocca i membri della Corte Costituzionale. Ma non dovrebbe essere automatico, secondo i più basilari dettami della deontologia professionale, che dei giudici si astengano dal dare giudizi su leggi fatte da e per coloro con cui si intrattengono in modo conviviale allo stesso tavolo? E non dovrebbe essere auspicabile che il governo rispetti, se non le leggi da lui stesso votate (sarebbe chiedere troppo), almeno i dettami che le hanno ispirate?

E Napolitano non ha niente da dire in proposito? Napolitano Giorgio, intendo. Non Paolo Maria.

martedì 23 giugno 2009

Quei paurosi silenzi


Alzi la mano chi pensava che il Tg1 potesse peggiorare dopo la dipartita di Gianni Riotta, l'ammericano de noartri, quello che si era laureato in giornalismo alla Columbia University, aveva insegnato a Princeton ed era infine approdato in Italia alla più modesta direzione del telegiornale della rete ammiraglia RAI per dispensare a noi pubblico italiano tutto il suo sapere e illuminarci con tutta l'esperienza acquisita in materia.

Riotta poi passò alla storia come colui che ritoccò la platea vuota di fronte a cui parlava Silvio Berlusconi facendola sembrare piena di persone entusiastiche e plaudenti. Passò alla storia come colui che riuscì a dire che il New York Times, in un editoriale di fuoco contro la politica italiana piena di personaggi corrotti e condannati, "criticava anche lo stesso Beppe Grillo", organizzatore del primo Vday, quando in realtà Grillo veniva citato come unica voce libera e fuori dal coro. Passò alla storia come colui che permise a Silvio Berlusconi, seduto in diretta nello studio del Tg1 accanto a lui, di insultare e calunniare la figura di Enzo Biagi, che Riotta mai si è stancato di definire "suo maestro". Biagi all'epoca, per sfortuna di Riotta, era già morto e non potè replicare al vile attacco. Il suo fantomatico "allievo", invece, non corse in suo aiuto, ma tacque, lasciando che lo scempio delle menzogne volassero attraverso l'etere. Senza fiatare.

Ma questa ormai è storia. Ripeto: alzi la mano chi pensava che il Tg1 potesse peggiorare dopo cotanto schifo. Obiettivamente non credevo che si potesse fare peggio in termini di servilismo e asservimento al potere. Mi sbagliavo. Augusto Minzolini, neodirettore fresco di nomina, proveniente dalla direzione della Stampa, con cui ha collaborato per quasi vent'anni, è riuscito nell'immane impresa di far impallidire perfino il suo predecessore.

Mentre sui principali giornali infuriava la polemica sull'ultimo scandalo che coinvolgeva il presidente del consiglio, mentre sulla rete rimbalzavano le interviste delle mignotte che raccontavano nel dettaglio i particolari più intimi dei loro incontri con Silvio Berlusconi nella residenza di Stato di Palazzo Grazioli, mentre un'inchiesta ufficiale veniva aperta e confermata dai magistrati di Bari sull'ipotesi di vari tipi di reato che vanno dall'induzione alla prostituzione, alla corruzione, al traffico di droga, l'80% della televisione italiana decideva di oscurare completamente la notizia. Qualche accenno trapelava solo grazie al Tg3.

Un silenzio pauroso, irreale, grottesco. E a capitanare lo stuolo dei telegiornali omertosi troviamo il Tg1 di Augusto Minzolini. Perchè non è che la notizia è stata spostata in decima posizione e relegata ad un trafiletto, come si usa fare quando si vuole nascondere qualcosa di troppo compromettente (vedi condanna dell'avvocato David Mills). No. Questa volta la notizia proprio è scomparsa dai media. Volatilizzata. Cancellata. Ridotta a realtà virtuale. Perciò inesistente. Non un accenno, non una parola. Nemmeno di sfuggita. Buio totale. Per giorni e giorni. Roba da far apparire le veline del Min.Cul.Pop. giochini per dilettanti.

Non ricordo, pur nello scempio di un'informazione totalmente manipolata e deformata, che si sia mai osato tanto. Che si sia addirittura arrivati a cancellare dall'etere una notizia intera. Minzolini (e i suoi compari, direttori di Tg2, Tg4, Tg5 e Studio Aperto) l'ha fatto. Con spavalderia. Senza provare un minimo di vergogna. Con il risultato che milioni di Italiani si sono recati alle urne in questo ultimo weekend completamente ignari delle scandalose rivelazioni che arrivavano da Bari e che inguaiavano pesantemente il presidente del consiglio. Una tornata elettorale, dunque, palesemente falsata da un'informazione reticente e mutilata. Se consideriamo che uno studio recente ha mostrato come circa il 75% degli Italiani utilizzino esclusivamente la televisione come fonte di informazione e se consideriamo che l'80% della televisione è in mano a Silvio Berlusconi, si può a buon diritto parlare in questo caso di "circonvenzione di incapaci". Una massa di elettori italiani gaudenti che credono di andare ad esprimere il proprio voto libero e non si accorgono invece di vivere in un grande Truman Show in cui gli vengono fatte sapere e credere solo certe determinate cose.

Poi, dopo aver taciuto per giorni, Minzolini, ieri sera, ha deciso di parlare. Per raccontare la sua verità. Probabilmente gli saranno arrivate all'orecchio le lamentele di migliaia di internauti scandalizzati dal comportamento omertoso e francamente inconcepibile che il Tg1, telegiornale di punta del servizio pubblico, ha mantenuto su questo argomento. Con una coda di paglia discretamente voluminosa e una faccia tosta mica da ridere, è apparso sui teleschermi della Rai e ha rubato ai telespettatori la bellezza di 1 minuto e 35 secondi per spiegare il perchè della sua scelta editoriale. Il perchè del suo silenzio.

Ascoltiamo la sua lezione di giornalismo. Che nemmeno Riotta si sarebbe sognato.

Non fa tempo ad aprire bocca che si sbugiarda da solo. Apre infatti dicendo: "Ad urne chiuse, ...". Come a dire: il Tg1 non ha voluto influenzare il voto degli Italiani. Ora che le urne sono chiuse, si può parlare dello scandalo. Basterebbero queste tre parole ("Ad urne chiuse") per capire cosa intenda il neodirettore del Tg1 per libertà di informazione: la libertà di non scalfire il consenso del padrone. Da quando in qua un giornalista libero deve preoccuparsi dell'effetto che una certa notizia farà sull'elettorato? Da quando in qua un direttore di telegiornale libero mostra degli interessi sui risultati politici delle elezioni? Da quando in qua la concomitanza di elezioni costituisce un discrimine per la pubblicazione di una notizia? Non dovrebbe l'unico metro di giudizio essere l'interesse che quella determinata notizia suscita nell'opinione pubblica? E' una notizia interessante per l'opinione pubblica? Sì? Bene: la notizia si pubblica. No? Bene: la notizia è scartata. Evidentemente Minzolini ha ritenuto che gli Italiani non fossero interessati a sapere che esistono delle indagini in corso per accertare se il presidente del consiglio è implicato nella compravendita di ragazzine, in un giro di corruzione e appalti truccati. Evidentemente Minzolini ha ritenuto che gli Italiani non fossero interessati a sapere che il loro presidente del consiglio è sotto ricatto da parte di una mignotta, che Berlusconi ha invitato a Palazzo Grazioli sotto lauto compenso, che ha portato a letto e a cui aveva promesso aiuti per le sue imprese e perfino una candidatura alle Europee.

Minzolini continua spiegando che il "Tg1 ha assunto una posizione prudente sull'ultimo gossip, sull'ultimo pettegolezzo del momento, le famose cene, feste o chiamatele come vi pare, nelle dimore private di Silvio Berlusconi". Notate la finezza del linguaggio che, con poche parole, riesce a stravolgere completamente la realtà dei fatti. Il silenzio più totale è definito atteggiamento "prudente", l'inchiesta della procura di Bari è definita "gossip, pettegolezzo", il giro di mignotte pagate a botte di 2000 euro alla volta vengono trasformate in innocenti "cene o feste, o chiamatele come vi pare". Ecco Minzolini, io infatti le chiamo come mi pare. Con il loro nome: bordelli di Stato.

Minzolini continua la sua lezione con una cantilena che sa di stantio. Sembra quasi una voce robotizzata. Recita. E molto male, per giunta. Non fa le pause giuste, spezza le frasi a metà. Dà l'impressione di stare leggendo un comunicato non scritto da lui e di cui non capisce neanche bene il senso. E forse è così. Mi piace pensare che sia così. Farebbe di certo più bella figura.

Dice che il motivo del silenzio del Tg1 è "semplice" da capire. Questa è infatti una storia "piena di allusioni, testimoni più o meno attendibili e rancori personali: non esiste ancora una notizia certa, nè un'ipotesi di reato che coinvolga il presidente del consiglio o i suoi collaboratori". Da quando in qua i giornalisti sono tenuti a decidere sull'attendibilità dei testimoni che compaiono in un inchiesta? Non dovrebbe essere quello un compito che spetta ai magistrati? Non dovrebbe bastare ad un giornalista sapere semplicemente che l'autorità giudiziaria ha aperto un'inchiesta sulla base di quelle testimonianze ritenendole evidentemente credibili? Non capisce Minzolini che il fatto che esistano dei "rancori personali" dietro quelle testimonianze non significhi necessariamente che quelle testimonianze siano fasulle, ma anzi dimostrano verosimilmente la posizione indecente di un premier ricattabile e ricattato? Cosa intende Minzolini per "notizia certa"? Forse che sono degne di pubblicazione solo notizie certificate dalla Cassazione? E ancora. Cosa intende Minzolini per "collaboratori" del presidente del consiglio? Quelli che gli gestivano il giro di mignotte? Perchè se è così, Minzolini, forse tu non te ne sei accorto, ma quelli, sì, sono sotto indagine.

Appunto: le indagini. Che ne pensa Minzolini? Per lui sono solo "semplici ipotesi", puri "chiacchiericci". Da quando in qua un giornalista libero ha il diritto di nascondere l'apertura di un indagine che coinvolge pesantemente il primo ministro italiano semplicemente perchè, a sua personale discrezione, trattasi di "chiacchiericcio"? Aggiunge che molto spesso questi chiacchiericci vengono poi usati per "strumentalizzazioni politiche o interessi economici". Verissimo. Ma cosa c'entra? Perchè mai un giornalista libero dovrebbe preoccuparsi delle possibili strumentalizzazioni che la politica farà della notizia? Perchè, ancora una volta, Minzolini è così preoccupato degli effetti politici che la notizia può suscitare? E' compito del giornalista libero autocensurarsi per paura che le notizie da lui fornite vengano strumentalizzate?

Con aria da maestrino Minzolini esemplifica il problema proponendoci il paragone con il "tentativo di colpire il presidente del consiglio di allora Romano Prodi con una foto che ritraeva un suo collaboratore in una situazione definita scabrosa". Si riferisce alla foto di Silvio Sircana, seduto nella sua macchina intento ad abbordare un travone sul marciapiede. Bene. Dunque, secondo il ragionamento di Minzolini, quelle foto non si sarebbero dovute pubblicare, perchè si prestavano a strumentalizzazioni politiche. Da quando in qua un giornalista libero censura del materiale che potrebbe ledere l'immagine di un uomo politico? E' questo allora ciò che intendeva Minzolini quando parlava di atteggiamento "prudente"? Essere prudenti significa evitare di far passare informazioni che in qualche modo possano far perdere consensi al potente di turno?

Parla di "un improvviso moralismo che ha messo sotto i riflettori la vita privata del premier". Da quando in qua un giornalista libero basa la decisione di pubblicare o meno una notizia sulle implicazioni di carattere morale che ne derivano? Da quando in qua compete al giornalista decidere se un comportamento di un uomo pubblico sia morale o meno, e in base a ciò tacere o meno il caso? Non dovrebbe semplicemente limitarsi ad offrire un'informazione all'opinione pubblica, che poi autonomamente deciderà se tale comportamento è morale o no e ne trarrà le dovute conseguenze?

Con un strano sorrisino beffardo Minzolini prosegue la sua lezioncina di giornalismo spiegandoci che "queste strumentalizzazioni, questi processi mediatici non hanno nulla a che vedere con l'informazione del servizio pubblico". Conosce Minzolini la differenza tra il portare avanti un "processo mediatico" (espressione di cui Bettino Craxi ha il copyright) e il cancellare completamente una notizia? Non crede il beffardo Minzolini che possa esistere un giornalismo serio che sappia stare nel mezzo e fare informazione onesta, senza censure nè accanimento? Evidentemente no. Alla scuola di giornalismo deve aver saltato quella lezione.

Sempre con quel sorrisino strafottente stampato sulla faccia, conclude parlando degli eventi a cui invece giustamente il suo Tg1 ha preferito dar risalto. Sono: il piano economico di Obama, il "caso-Iran" (sic) e la vigilia del G8. Con cotanto materiale "sarebbe stato incomprensibile privilegiare polemiche sul gossip nazionale". Ricordo solamente allo strafottente Minzolini di cosa il Tg1 è riuscito a trovar tempo di parlare. Nell'ordine: la tromba d'aria abbattutasi sul litorale a nord di Roma, il pericolo dei pirati nel porto di Napoli, la visita del Papa a Porto Rotondo, la terribile afa che attanaglia il centro Italia, il megaconcerto per l'Abruzzo, i problemi interni della Somalia, gli arresti per pedofilia, la tremenda piaga della creduloneria e della superstizione, il costo delle vacanze in Sardegna, la rinata moda dei viaggi in pullman, l'aumento della coscienza culinaria degli Italiani, la ripresa della caccia alle balene in Islanda, il cartone animato di Obama, le prove di Formula1, la conferenza stampa di Lippi prima della partita con il Brasile. Effettivamente, con questo po' po' di argomenti, sarebbe stato proprio "incomprensibile" parlare dell'indagine di Bari.

Propongo a Minzolini di rileggersi le parole di un grande giornalista del passato che così parlava nell'ottobre del '94: "Abbiamo una classe politica nuova che non ha ancora assimilato il fatto che un politico è un uomo pubblico in ogni momento della sua giornata e che deve comportarsi e parlare come tale. Il rinnovamento del Parlamento italiano è un fenomeno anche sociologico di cui la stampa deve dare conto: io non dimentico mai che il mio referente è il lettore e non il politico e che il mio compito è quello di rappresentarlo come è senza mediazioni. Rappresentarlo anche nei suoi aspetti privati? E' giusto frugare nella vita intima di chi ci governa, è utile? Quattro anni fa, e cioè in tempi non sospetti, scrissi che la nomina di Giampaolo Sodano alla Rai nasceva dai salotti di Gbr, la televisione di Anja Pieroni. Oggi penso che se noi avessimo raccontato di più la vita privata dei leader politici forse non saremmo arrivati a Tangentopoli, forse li avremmo costretti a cambiare oppure ad andarsene. Non è stato un buon servizio per il paese il nostro fair play: abbiamo semplicemente peccato di ipocrisia. Di Anja Pieroni sapevamo tutto da sempre e non era solo un personaggio della vita intima di Craxi. La distinzione fra pubblico e privato è manichea: ripeto, un politico deve sapere che ogni aspetto della sua vita è pubblico. Se non accetta questa regola rinunci a fare il politico".

Volete sapere chi era questo grande giornalista del passato che osò ai tempi pronunciare queste illuminanti parole? Biagi? Montanelli? Manco per sogno.

Tenetevi forti: si chiamava Augusto Minzolini.

sabato 20 giugno 2009

Nel lettone di papi


Ho pena per lui. Una pena mista a schifo.

Un vecchietto che ha avuto tutto e di più dalla vita, che in mano "tiene un premio ch'era follia sperar" e che ora vede liquefarsi di fronte a la sua immagine, costruita con tanta accuratezza e minuziosa attenzione nel corso di tutti questi anni. Vuoi con spalmate di fard, vuoi con trapianti piliferi, vuoi con bombardamenti mediatici ventiquattr'ore su ventiquattro. Proprio come ne Il ritratto di Dorian Gray, l'aver venduto l'anima al diavolo non lo dispenserà da una fine rovinosa. Il trucco si disfa, i capelli cadono, le rughe riaffiorano, la grancassa della propaganda nulla può di fronte al diavolo che torna a reclamare il suo tributo. Quasi fosse un novello Faust.

Ma di letterario c'è ben poco in questo personaggio da operetta, o meglio, da commedia scollacciata. Tutto il marcio che ha tentato di coprire e sotterrare sta riaffiorando e lo sommergerà in un fiume di melma. C'è da giurarci. E' stato così con chiunque. E' stato così con tutti i più grandi despoti della storia. Osannati e incensati fin che la barca va. Ripudiati e costretti ad una fine infame quando la barca affonda. Fosse solo perchè, come diceva quel tale, "si può pensare di ingannare qualcuno per sempre, si può pensare di ingannare tutti per un po', ma non si può pensare di ingannare tutti per sempre". Prima o poi arriva il diavolo che ti chiede indietro il conto. E per te è la fine.

E' quel che sta succedendo in questi ultimi tempi al nostro presidente del consiglio. E non credo ci sia bisogno di tirare in ballo complotti internazionali, intrighi di palazzo, intelligence americana, per giustificarne la rovinosa disfatta che si prospetta all'orizzonte. Molto spesso la soluzione più semplice è anche quella che si avvicina maggiormente alla realtà. Abbiamo di fronte a noi l'immagine del fallimento di un'illusione. L'illusione di poter comandare in eterno comprando, se non il consenso, almeno il complice silenzio.

Succede sempre così. A un certo punto arriva la botta che non ti aspetti, magari proprio da chi ti è sempre stato più vicino. La botta inizia a delineare una crepa nel castello che ti sei costruito attorno. Poi quella crepa inizia a crescere, ad allungarsi, a zigzagare paurosamente, creando fondati timori tra i cortigiani all'interno del castello. Qualcuno comincia a domandarsi se non è il caso di levare le tende, qualcuno se ne è già andato a servire qualche altro padrone in qualche altro castello più grande e più solido. La fiducia nel sovrano vacilla, e con lui le mura del castello. Finchè, quando gli scricchiolii si fanno intensi e sempre più frequenti, tutti si danno alla fuga.

Ci sarà un fuggi fuggi generale al grido "Si salvi chi può!". Ci sarà una mandria impaurita di servi, nani, menestrelli, ballerine, cuochi e dame di corte che, per paura di rimanere schiacciati dal crollo del castello, si precipiterà verso il ponte levatoio cercando una via di fuga, ma in realtà contribuendo con le loro urla e la loro corsa a rendere la struttura ancora più instabile. Poi un'ala del castello crollerà per davvero. E farà morti e feriti tra i sudditi più fedeli, quelli che non hanno abbandonato il sovrano, ma gli si sono stretti attorno nella sala del trono. Una volta crollato tutto il castello, torneranno i fuggiaschi a reclamare il loro debito. Se troveranno il sovrano ancora in vita, assiso su di un trono circondato da macerie, con in testa una corona impolverata, in mano uno scettro spezzato, lo sguardo perso nel vuoto, lo incolperanno del loro misero destino e procederanno ad un linciaggio cruento. Se lo troveranno morto, getteranno il suo cadavere in un fosso in modo che nessun ricordo rimanga di lui.

La botta, o, se preferite, chiamatela scossa, è arrivata con le esternazioni di Veronica Lario poco prima delle elezioni europee. E' stata lei a tracciare la rotta. E' stata lei a creare la prima crepa. Non tanto per le accuse infamanti rivolte a suo marito (ne ha ricevute molte di più e di gran lunga più infamanti nel corso degli anni), quanto perchè quelle accuse arrivavano da un'insospettabile, addirittura dalla propria moglie, colei con cui ha diviso vent'anni di vita e tre figli. E a poco sono serviti gli sgangherati tentativi di farla passare come una donna incapace di intendere e di volere, manipolata dalla sinistra. Il dubbio si è insinuato. Se lo dice perfino sua moglie forse qualcosa di vero ci sarà. Quella moglie che il premier aveva sempre ostentato in tanti quadretti idilliaci, per dimostrare quanto la sua famiglia fosse unita, sana: il prototipo della perfetta famiglia italiana, da sbattere in faccia all'elettorato cattolico.

Da quel giorno la crepa si è allungata, si è intensificata, ha aperto squarci paurosi. Veronica ha minato per la prima volta il mito dell'inattaccabilità del premier. E da quel giorno è cominciato il declino. E' come fosse stata una sorta di legittimazione. Tutti coloro, o tutte coloro, che fino ad allora non avevano osato aprire bocca per un giusto timore di ritorsione si sono sentiti incoraggiati ad uscire allo scoperto. Il merito, se così vogliamo chiamarlo, di Veronica è stato quello di offrire, per la prima volta, l'immagine di un presidente del consiglio debole, attaccabile e anche ricattabile. La Repubblica e perfino il Corriere, che finora aveva perdonato tutto al cavaliere, si sono lanciati in una campagna di stampa feroce, senza sconti. Come se Veroncia avesse dato il segnale, il via libera.

E da quel giorno gli scandali non hanno smesso di susseguirsi sui giornali, quelli che il presidente del consiglio definisce "spazzatura". Non solo italiani, ma anche e soprattutto esteri. Un'opera di accerchiamento che mai si era vista prima. Una congiuntura internazionale che il premier si è affrettato a definire come "complotto eversivo ai miei danni". La realtà è molto più semplice: la sua immagine è stata ridotta in frantumi dall'emergere incalzante di verità inconfessabili. E, come lui stesso sa perfettamente, quando un uomo perde la sua immagine, quell'uomo è finito, è morto.

Papi che va con le minorenni, papi che "non sta bene", papi che si circonda di "ciarpame senza pudore", papi che riempie le liste elettorali di veline, papi che trasporta su aerei di stato cantanti, ballerine e donnine di bell'aspetto, papi che alla faccia degli italiani che vanno in cassaintegrazione organizza mega feste a Villa Certosa circondato da sirenette ignude, papi che invita capi di governo esteri alla sue mega feste libertine a Villa Certosa. Ora perfino papi che si fa arrivare direttamente a palazzo Grazioli "escort di alto bordo", tradotto in italiano: mignottoni che passano le notti con lui. Alla faccia del difensore dei valori della famiglia, sbandierati in faccia all'elettorato cattolico.

Gli outing recentissimi di due di queste ragazze, Patriza D'Addario, in arte Patrizia Brummel, e Barbara Montereale stanno dando le picconate finali. Storie torbide di sesso a pagamento (si parla di 2000 euro per trascorrere una notte nel "letto grande" di Silvio Berlusconi), compravendita di ragazzine poco più che maggiorenni, induzione alla prostituzione in cambio di favori, giri di squillo che si intrecciano a giri di affari e di appalti truccati, con il tocco chic del consumo abbondante di cocaina.

Lo ripeto. Ho pena per lui. Una pena mista a schifo.

Il proprio legale di fiducia, l'avvocato nonchè parlamentare Niccolò Ghedini, ha un gran da fare nel cercare di coprire questa ondata di melma che ha rotto gli argini e che rischia di travolgere non solo il suo cliente, ma lui stesso. Nei giorni scorsi ha rilasciato dichiarazioni sconcertanti. Probabilmente in preda a attacchi di delirio dovuti all'eccessivo stress psicofisico, ha affermato che Silvio Berlusconi, anche se fossero vere le storie delle due ragazze, non sarebbe legalmente perseguibile perchè sarebbe comunque solo "l'utilizzatore finale".

L'utilizzatore finale. Un'espressione che rimarrà nella storia, c'è da giurarci. Probabilmente gliela incideranno sulla lapide nella villa di Arcore. Qui giace l'utilizzatore finale. Come ha fatto notare qualcuno, a questo punto bisognerebbe capire chi è l'utilizzatore iniziale. Un linguaggio, quello di Ghedini, da lasciare esterrefatti. Da lasciare esterrefatto persino lui, che si è affrettato a scusarsi. E nello scusarsi ha precisato che il premier non ha certo bisogno di pagare per andare con delle donne, visto che può averne "ingenti quantitativi gratis". Un'altra bella espressione, molto fine e delicata, che probabilmente ha disorientato un tantino l'elettorato cattolico, come scrivono sull'Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Ma solo un tantino: Silvio saprà ancora una volta spiegare tutto. Meglio di come abbia fatto il suo avvocato, vien da sperare.

Cosa rimane di tutto ciò? Cosa ne sarà nel futuro?

Probabilmente verrà costretto a dimettersi. Probabilmente verrà deposto come Napoleone e costretto all'esilio a Villa Certosa. Probabilmente verrà prelevato da Palazzo Grazioli e portato via con una camicia di forza. Probabilmente lo vedremo con uno scolapasta in testa e un mestolo di legno in mano gridare al proprio avvocato: "Sei uno sporco......(pausa teatrale).....comunistaaaaa!!!". Le avvisaglie ci sono tutte. Guardate il video in alto per conferma.

Qualunque cosa ne sarà di lui, rimane l'interrogativo irrisolto. E' mai possibile che in questi lunghissimi quindici anni l'Italia non abbia saputo produrre nulla di meglio di Silvio Berlusconi? E' mai possibile che in questi lunghissimi quindici anni gli Italiani non abbiano trovato di meglio che affidarsi, per sperare di risolvere i propri problemi, ad un personaggio squallido e dalla mediocre moralità come Silvio Berlusconi, con la patente ufficiale di pluri-corruttore impunito, puttaniere impasticcato di viagra, evasore fiscale incallito, di matrice piduista, amico e protettore di mafiosi? E' mai possibile che l'Italia non riesca a farsi rappresentare da qualcuno con un curriculum solo leggermente migliore? Eppure non dovrebbe essere molto difficile trovarne uno.

Questo è un quesito che va al di là della figura, obiettivamente indecente e impresentabile di Silvio Berlusconi. E' un quesito che va a toccare l'anima di un popolo intero, che non sembra essere in grado di svegliarsi da questo terribile incubo.

Ma succederà. Prima o poi succederà.

E saremo qui a domandarci come è stato possibile tutto questo.

mercoledì 17 giugno 2009

La scossa


E' da qualche giorno che non scrivo più. Un po' per gli impegni di lavoro, un po' perchè assisto senza parole e con sincero sconcerto agli avvenimenti che si susseguono in rapida successione, quasi accavallandosi, nel nostro paese. Un paese che tutto accetta, tutto sopporta. Tutto macina, tutto digerisce, tutto dimentica.

Sembra un mese fa, ma in realtà sono passati solo pochi giorni, che la controfigura del dittatore libico (obiettivamente: non poteva essere quello l'originale) piantava le tende in un parco di Roma protetto da un folto gruppo, ben agguerrito, di Amazzoni. Un carrozzone che assomigliava più al circo di Mangiafuoco che ad una delegazione di uno stato estero. Gheddafi, con copricapo calato sugli occhi, capelli lunghi e unti, occhiali da sole in pieno giorno, barba sfatta, una cartolina anti-italiana spillata sul petto, faceva il suo ingresso trionfale sul suolo italiano, accolto con tutti gli onori dal suo caro amico Berlusconi, che poco tempo fa gli aveva regalato qualche miliardo di euro cash, come "risarcimento" per la presenza coloniale italiana in Libia. Perfino Napolitano si è fatto immortalare mentre stringeva la mano del dittatore-terrorista.

Invitato non si sa bene da chi e a qual fine, ha tenuto un discorso sconclusionato in cui ha condannato pesantemente lo stato italiano per i torti perpetrati al suo popolo, ha insultato l'America paragonando Obama a Bin Laden, ha legittimato e giustificato l'attacco terroristico in come forma estrema di ribellione. Lui che di attacchi terroristici se ne intende, avendo fatto abbattere nell' '88 in Scozia un areo con a bordo 259 vittime innocenti. Poi avrebbe dovuto parlare anche al Senato. Avrebbe. Perchè, a causa inspiegabili motivi, un ritardo di un paio d'ore ha fatto saltare il sermone tanto atteso. Berlusconi gli ha fatto visita nella tenda per assicurarsi che stesse bene. Gheddafi gli ha risposto di non disturbarlo chè stava pregando. Fine della sceneggiata. Gheddafi ha fatto armi e bagagli ed è ritornato in patria con il suo carrozzone.

Poi è stata la volta delle ronde nere. Sono usciti dei video agghiaccianti in cui dei militanti neo-fascisti avevano già preparato le divise con cui avrebbero pattugliato le città italiane, una volta avuto il via-libera dal governo. Divise che assomigliavano paurosamente a quelle indossate dalle SS, con tanto di copricapo stile nazista e tutta una serie di simboli chiaramente di stampo nazi-fascista come l'aquila imperiale, il sole nero con le svastiche incrociate e l'acronimo SPQR. In questi video, che potete facilmente reperire su Youtube, si assiste alle elucubrazioni deliranti di individui che proclamano la fondazione di "milizie per la sicurezza nazionale", sullo sfondo di tante fiamme tricolori, con il braccio teso nel saluto romano. Un certo Gaetano Saya, presidente del partito nazionalista italiano, già cacciato da Fini dall'Msi, probabilmente perchè troppo esaltato perfino per lui, gran maestro di una loggia massonica riservata, noto alla giustizia per aver propagandato idee fondate sulla superiorità e l'odio razziale, in un'intervista surreale annuncia la nascita della Guardia Nazionale Italiana, che "dovrà difendere il suolo italiano". Un discorso grottesco, con punte di lucida follia, che incute ribrezzo e timore.

Questi sono i risultati, prevedibili e ampiamente previsti, di scelte di governo scriteriate, che non seguono una minima logica, bensì l'onda del populismo e puntano a soddisfare i bisogni più biechi di una parte di elettorato, soprattutto leghista, ma non solo, in cui si avvinghiano, in un'orgia di istinti, nostalgici del ventennio fascista, razzisti, sciovinisti, ignoranti ed esaltati. Non ci voleva un genio per capire che il giocattolino delle ronde, voluto fortissimamente dal ministro dell'Interno Maroni, che ne rivendica orgoglioso la paternità, sarebbe facilmente degenerato in qualcosa di osceno. Un provvedimento, quello delle ronde, assolutamente inutile, propagandistico e potenzialmente molto pericoloso. Ma forse gli Italiani dovranno provare sulla loro pelle, prima di poter capire. Mussolini e il suo partito sono affossati nella notte dei tempi. Nessuno si ricorda più che gli spettri del fascismo e del nazismo non si sono affermati da un giorno con l'altro. Ma si sono fatti largo piano piano, creando consensi tra la gente, creando l'assuefazione, facendosi accettare, facendo credere che mai sarebbero degenerati, salvo poi alzare ogni giorno la soglia della loro aberrazione. E' pericoloso lasciar passare tutto in questo modo. E' pericoloso voltarsi dall'altra parte, lasciando fare. Il fascismo si è imposto perchè l'hanno "lasciato fare" e poi il giocattolo gli è sfuggito dalle mani. E' sempre bene ricordarlo.

E, per rimanere in tema, leggo oggi che la neo-ministra del turismo Michela Vittoria Brambilla è stata immortalata in quel di Lecco ad una festa dei carabinieri con il braccio teso nell'inequivocabile gesto del saluto romano. Lei si è difesa scherzandoci su: "Non sanno più a cosa attaccarsi. Adesso si preoccupano anche dell'angolazione del mio gomito quando saluto la gente". Peccato che il video la inchiodi. Sta cantando a squarcia gola l'inno italiano e, dopo aver gridato "...l'Italia chiamò! Sì!", accompagna la strofa con un repentino quanto deciso braccio teso. A fugare ogni dubbio, il padre della Brambilla, alla sua destra, che in un inspiegabile tic nervoso di riflesso, accompagna la figlia con un altrettanto deciso e repentino saluto romano. Per usare le stesse parole che Travaglio ha dedicato alla Bignardi per aver prima promesso di trasmettere e poi censurato l'intervista a Vauro: "Vergognamoci per lei". Michela Brambilla: ministro della Repubblica italiana.

Poi c'è stata l'archiviazione da parte dei giudici di Roma sul caso voli di stato. Berlusconi ha usato gli aerei della Repubblica italiana per andare a far festa nella sua mega villa in Sardegna, aviotrasportando al contempo menestrelli, ballerine e comparse. Non è reato. Lo era quando Prodi aveva modificato la legge in materia, stringendo la cinghia e riducendo drasticamente i permessi, tagliando costi esorbitanti. Non lo è più ora che al governo c'è Berlusconi, che, come prima cosa, ha di nuovo allentato le restrizioni sull'uso degli arei di stato. Pochi lo sanno, ma è una delle prime norme varate dal cavaliere appena insediatosi a Palazzo Chigi l'anno scorso. Quando si dice il governo del fare. Il tribunale di Roma è lo stesso che si era arrampicato sui vetri per archiviare pure il caso-Saccà, cercando di dimostrare come non ci fosse tentativo di corruzione, visto che il presidente del consiglio è in una posizione di tale forza da potersi permettere di chiedere favori senza concedere qualcosa in cambio. Anche se lo fa intendere palesemente. E' il famoso trucco con cui Berlusconi l'ha sfangata più e più volte. O è innocente: e allora si archivia. O è colpevole: ma, essendo impossibile che lo sia, si archivia lo stesso.

E terminato con un sospiro di sollievo questo procedimento, gli capitano subito tra capo e collo altre due mazzate. La prima. Il fotografo Zappadu rivela che ci sono in giro addirittura 5000 foto. Un intero reportage su tutta l'attività "ludica e amatoria" svolta dal cavaliere a villa Certosa negli ultimi anni. Ragazze e ragazzi seminudi che si aggirano per la villa e scattano foto in pose equivoche. Ghedini è subito schizzato per cercare di tappare questo ennesimo buco chiedendo il sequestro immediato delle foto. Peccato che, a quanto pare, le foto siano state vendute da Zappadu ad una società colombiana, che potrebbe decidere in qualsiasi momento di farle circolare. Non c'è Ghedini che tenga (purtroppo per lui non ha molti poteri in Colombia) e quelle foto, prima o poi, usciranno.

La seconda. Fresca fresca. Oggi il Corriere ha svelato che ci sarebbe in corso a Bari un'indagine che sta facendo luce su una vicenda di compravendita di ragazze da far entrare nel "circolo di papi". Starlette e veline tirate su dal nulla a cui venivano offerti compensi sostanziosi per "allietare" con la loro presenza le camere di palazzo Grazioli, la residenza romana del nostro presidente del consiglio. Il premier si è affrettato a definire "spazzatura" la notizia apparsa sul Corriere. Peccato che i magistrati di Bari abbiano confermato che l'indagine è in corso. Il reato ipotizzato è induzione alla prostituzione. A confermare i rumors, che, a quanto pare, a Bari già circolano da anni, è una certa Patrizia D'Addario che rivela per filo e per segno il meccanismo. Lei fu una di quelle che venne approcciata ed inserita nel "circolo di papi". Gli furono offerti 1000 euro per presenziare un pomeriggio ad una festa a Roma. Gliene avrebbero dati molti di più se si fosse fermata anche per la notte. Dopo altri due incontri ravvicinati a palazzo Grazioli, Berlusconi le propone una candidatura per il Parlamento europeo. Quando però scoppia il caso veline, con la denuncia di Veronica Lario, non se ne fa più niente e la D'Addario viene scaricata in tronco.

C'è chi assicura che sia questa la "scossa" che vaticinava qualche giorno fa D'Alema. Il Pdl compatto è andato subito all'attacco: "Come faceva D'Alema a sapere?". Altri ritengono che la scossa arriverà dalla Consulta che boccerà il Lodo Alfano a settembre e renderà il premier indifeso contro i procedimenti giudiziari a suo carico, che tra l'altro, si moltiplicano come funghi. Altri ancora, quelli più complottisti, azzardano che la scossa arriverà dall'interno. Una congiura di palazzo per rovesciare il sovrano. C'è chi dice Fini. C'è chi dice addirittura Tremonti.

Illusi. Ipocriti. Di che scossa va cianciando D'Alema? Dopo tutto quello che è stato fatto passare, di che altra scossa ha bisogno l'opposizione per alzare la voce? Dopo tutti gli scandali che si sono susseguiti in questi ultimi mesi, la condanna per corruzione di Mills, le feste libertine a Villa Certosa, le accuse di pedofilia della moglie, le menzogne sparate dagli studi di Porta a Porta sul caso-Noemi, la vergogna delle candidature alle Europee di veline, condannati e riciclati, l'approvazione della legge salva-criminali che abolisce di fatto l'uso delle intercettazioni e fa a pezzi la libertà di informazione. Dopo tutto questo D'Alema dice di attendere ancora una scossa. Non sarà dunque l'opposizione ad opporsi. Sarà il governo che, a parer suo, si dovrebbe sgretolare al suo interno. Questa è la strategia di D'Alema.

Dopo tutto, come lui stesso ha dichiarato, si sente come Aiace Telamonio, l'eroe greco che combatteva in sordina, "un passo dietro agli eroi". Non è uno scherzo, sono parole sue.

Verrebbe da rispondergli con una pernacchia. Ma siccome siamo signori, gli ricordiamo solamente la fine che ha fatto Aiace. In preda a un attacco di pazzia fece strage di buoi e montoni, poi rinsavì e per la vergogna si suicidò sulla sua stessa spada. Auguri.

martedì 9 giugno 2009

Strane coincidenze


L'11 gennaio 2008 scoppia l'emergenza rifiuti in Campania. Napoli è sommersa dal pattume. I motorini devono fare lo slalom tra i sacchi di immondizia. Le immagini fanno il giro del mondo. L'ormai decrepito governo Prodi, in procinto di esalare gli ultimi respiri, decide di nominare in tutta fretta l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro commissario straordinario per l'emergenza. Guido Bertolaso e Alessandro Pansa, che si erano alternati in quello stesso ruolo nei due anni precedenti, avevano fallito miseramente. La situazione sembra migliorare leggermente. I treni carichi di monnezza fanno la spola tra la Campania e la Germania. Viene messa in conto la costruzione di tre nuovi inceneritori. Vengono individuate due aree, quella di Pianura e quella di Chiaiano, dove aprire nuove discariche e sversare le montagne di rifiuti. Monta la protesta dei comitati cittadini inferociti. Nel frattempo cade il governo Prodi e la situazione degenera definitivamente.

Il 14 aprile 2008 Silvio Berlusconi si insedia a palazzo Chigi per la quarta volta. Il 12 maggio si forma il governo. Nicola Cosentino, coordinatore regionale di Forza Italia in Campania, viene nominato sottosegretario all'Economia. Coincidenza: Cosentino è parente acquisito del boss del clan dei casalesi Giuseppe Russo, detto Peppe O' Padrino. Ma, come si sa, i parenti, uno non è che può sceglierseli. Al suo posto, in Campania, come coordinatore vicario del Pdl, viene scelto l'ex ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi III, Mario Landolfi, appartenente ad Alleanza Nazionale. Coincidenza: sia il nome di Cosentino che quello di Landolfi sono apparsi nelle confessioni del collaboratore di giustizia Michele Orsi, che li ha accusati apertamente di scambiarsi favori con la Camorra nell'ambito degli appalti per lo smaltimento dell'immondizia. Michele Orsi è un importante imprenditore campano, arrestato l'anno prima insieme al fratello per lo scandalo del Consorzio Eco4 attivo nello smaltimento dei rifiuti. Da qualche mese ha cominciato a parlare e fare nomi di politici in forte odore di Camorra. Tra questi, appunto, Cosentino e Landolfi.

Il 21 maggio Berlusconi tiene il primo consiglio dei ministri a Napoli e approva un decreto legge per far fronte all'emergenza. Guido Bertolaso, quello che aveva fallito miseramente un anno prima, viene nominato sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega ai rifiuti. Il decreto prevede la progettazione di quattro inceneritori, uno in più di quanto stabilito dal governo Prodi, e, in barba a tutte le norme vigenti in materia, persino quelle comunitarie, si decide di sversare nelle nuove discariche ogni tipo di rifiuti, anche quelli più pericolosi. Per superare la resistenza dei comuni locali Berlusconi decide di militarizzare le discariche e le fa presidiare da soldati in divisa con tanto di mitra.

Dieci giorni dopo, domenica 1 giugno 2008, a Casal di Principe, regno incontrastato del clan camorristico dei Casalesi, cade ammazzato brutalmente sotto i colpi di mitra il collaboratore di giustizia Michele Orsi, quello che aveva da poco iniziato a parlare. Coincidenza: quattro giorni più tardi, giovedì 5 giugno, avrebbe dovuto deporre in un'udienza di un altro processo, sempre sulle irregolarità dello smaltimento dei rifiuti, tra i cui imputati figurava anche Mario Landolfi, accusato di corruzione, aggravata dall'avere agevolato l'organizzazione mafiosa. Da tempo l'autorità giudiziaria aveva chiesto che Orsi venisse messo sotto un programma di protezione speciale, ma la scorta non era mai arrivata. Roberto Saviano usa parole pesanti per commentare l'accaduto. Parla di analogie tra l'omicidio di Michele Orsi e l'omicidio di Salvo Lima del '92, sottintendendo come la Camorra abbia alzato il tiro e voglia mandare messaggi diretti alla politica. Nessuno pare raccogliere la denuncia. Fan tutti finta di non capire. D'Avanzo, addirittura, su Repubblica, accusa Saviano di essere imprudente e semplicistico.

Il 16 luglio 2008 Berlusconi annuncia ufficialmente la fine dell'emergenza rifiuti in Campania. Gli elicotteri del TG5 ronzano nei cieli per mostrare le vie del centro storico di Napoli completamente pulite. Tanto basta per gridare al miracolo e perchè le telecamere abbandonino completamente le zone incriminate. Non importa che la monnezza è stata spostata qualche chilometro più in là, ad ammorbare le periferie, dove si susseguono giorno e notte roghi a cielo aperto. La terra dei fuochi, come l'ha battezzata Saviano. L'emergenza rifiuti è mediaticamente terminata. E si sa: quando le telecamere si spengono, ogni cosa prima inquadrata smette di istantaneamente di esistere.

Il 28 agosto 2008, a poco più di un mese di distanza dall'annuncio della fine dell'emergenza rifiuti, quando gli Italiani stanno tornando dalle spiagge, cominciano a trapelare le rivelazioni del boss della Camorra Gaetano Vassallo, che in realtà aveva iniziato a collaborare con i magistrati in tutta segretezza qualche mese prima, il primo aprile 2008: "Temo per la mia vita e per questo ho deciso di collaborare con la giustizia e dire tutto quello che mi riguarda, anche reati da me commessi. In particolare, intendo riferire sullo smaltimento illegale dei rifiuti speciali, tossici e nocivi, a partire dal 1987-88 fino all'anno 2005. Smaltimenti realizzati in cave, in terreni vergini, in discariche non autorizzate e in siti che posso materialmente indicare, avendo anche io contribuito..."

Un racconto sconvolgente che narra per filo e per segno vent'anni di scempi che hanno ridotto il territorio campano ad uno sversatoio abusivo a cielo aperto. Vassallo è impietoso. Sa tutto del meccanismo perverso che ha permesso di creare l'emergenza rifiuti in Campania. Lo sa, perchè è stato lui l'inventore materiale del business del traffico dei rifiuti, al soldo di Francesco Bidognetti, colui che insieme a Sandokan, Francesco Schiavone, domina il clan dei Casalesi. E' lui che ha curato direttamente i rapporti con i politici compiacenti. E' lui che ha gestito fondi e investimenti. Coincidenza: prima di buttarsi nel business Vassallo prese la tessera di Forza Italia e puntò tutto sul partito di Berlusconi.

Vassallo racconta tutto. Racconta di amministrazioni corrotte, di sindaci collusi, di forze dell'ordine a disposizione della camorra. Tutti uniti in questo folle gioco che frutta miliardi su miliardi. Dieci centesimi per ogni chilo di rifiuti sversati illegalmente. Il richiamo è talmente forte che le imprese di tutta Italia, soprattutto del nord, iniziano a fare affari con la Camorra e a spedire giù in Campania tonnellate di immondizia. Ovviamente sorvolando ogni tipo di burocrazia e ogni tipo di controllo sulla tossicità di tali rifiuti. Vassallo non si perde in storielle. Va subito al sodo. Indica tutte le imprese campane che hanno usufruito del traffico criminale. Svela che sarebbero state coperte da logge massoniche segrete. Fa il nome di Licio Gelli. Ma soprattutto fa i nomi dei referenti politici che hanno permesso tutto questo.

Sono parole sconvolgenti che gettano una luce sinistra sull'omicidio Orsi: "Confesso che ho agito per conto della famiglia Bidognetti quale loro referente nel controllo della società Eco4 gestita dai fratelli Orsi. Ai fratelli Michele e Sergio Orsi era stata fissata una tangente mensile di 50 mila euro. Posso dire che la società Eco4 era controllata dall'onorevole Nicola Cosentino e anche l'onorevole Mario Landolfi vi aveva svariati interessi. Presenziai personalmente alla consegna di 50 mila euro in contanti da parte di Sergio Orsi a Cosentino, incontro avvenuto a casa di quest'ultimo a Casal di Principe. Ricordo che Cosentino ebbe a ricevere la somma in una busta gialla e Sergio mi informò del suo contenuto".

Vassallo racconta nei minimi particolari tutti gli incontri tra Cosentino e i boss camorristici e gli impegni presi da quest'ultimo per la costruzione dell'inceneritore di Santa Maria La Fossa. Cosentino fece in modo che l'appalto finisse nelle mani del boss Schiavone tenendo fuori il gruppo del boss Bidognetti.

Il 19 settembre 2008 a Castelvolturno si consuma l'ennesima strage di Camorra. Sei nordafricani vengono trucidati a bruciapelo in un raid teso a riaffermare il predominio sulla zona del boss Giuseppe Setola, al cui clan sono affiliati i Letizia. Appena dieci giorni dopo, il 30 settembre, i Carabinieri del comando di Caserta arrestano gli artefici dell’eccidio. Sono Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo ed il ventottenne Giovanni Letizia, già ricercato per l'omicidio di Michele Orsi. Il 14 gennaio 2009, in un edificio diroccato di Trentula Ducenta, al confine con il Lazio, finisce anche la latitanza di Giuseppe Setola.

Il 22 marzo il Milan è impegnato in trasferta contro il Napoli. Per la prima volta, vengono accuratamente evitati i lussuosi hotel sul lungomare partenopeo. Kaka e compagni vengono dirottati sul più modesto Hotel Olimpia in località Sant'Antimo, un paesino sperduto nel desolato hinterland. L’Hotel Olimpia rientra nell’impero economico della famiglia Cesaro. Coincidenza: il leader della famiglia è Luigi Cesaro, deputato Pdl. Sui suoi pregressi legami coi clan della zona si soffermava a lungo la relazione di fuoco redatta dai commissari prefettizi inviati a Sant’Antimo dopo lo scioglimento per camorra del 1991.

Luigi Cesaro. Questo nome non è nuovo. Anche il boss pentito Gaetano Vassallo ha da poco fatto il suo nome, oltre a quelli di Cosentino e Landolfi, nell'ambito della collusione tra mafia e politica che investe lo scandalo rifiuti. Vassallo non usa mezze parole: "Luigi Cesaro è un fiduciario del clan di Bidognetti". Insomma, Cesaro sarebbe un uomo dei boss. Tra le altre cose, racconta di un incontro a cui assistette personalmente tra Cesaro e Luigi Guida, detto 'o ndrink, un camorrista pregiudicato trafficante di armi per la famiglia Bidognetti. Racconta delle mazzette che Cesaro versava ai clan. Racconta degli affari che Cesaro siglava con i boss della zona.

Quattro giorni dopo la partita Napoli-Milan, il 26 marzo, Berlusconi torna a Napoli per presenziare personalmente all'accensione dell'inceneritore di Acerra, quello che dovrà bruciare le tonnellate di rifiuti giacenti nelle discariche campane. E' solo un'operazione di facciata, l'inceneritore non inizierà a bruciare prima della fine dell'anno.

Domenica 26 aprile Berlusconi torna a Napoli per la quattordicesima volta da quando è primo ministro. Però lo fa in incognito. Viene "pizzicato" ad una festa di compleanno nei pressi di Casoria. Coincidenza: Casoria è una delle roccaforti dei Casalesi. La festeggiata è una ragazzina di 18 anni, Noemi Letizia, che chiama il premier col nomignolo affettuoso di "papi". Berlusconi giustificherà l'accaduto dicendo che il padre della ragazza, Benedetto-Elio Letizia, l'ha convinto a tutti i costi a passare di lì per il compleanno della figlia. Dice di aver conosciuto Letizia dai tempi del PSI: "Era l'autista di Craxi". Bobo Craxi lo smentisce e Berlusconi giura di non aver mai pronunciato quelle parole. Nessuno dei vecchi del PSI ha mai sentito nominare Elio Letizia. Berlusconi dice che Letizia gli aveva parlato al telefono di possibili candidati per le amministrative. Gli interessati negano di averlo mai conosciuto. Berlusconi prima dice di conoscere da poco Noemi, poi fa arretrare la conoscenza alla morte tragica del fratello di lei, dice di non averla mai incontrata da sola, ma poi si viene a sapere che frequenta da tempo tutte le feste mondane che il cavaliere organizza. Pressato dai cronisti Elio Letizia dirà che sotto il legame tra la sua famiglia e Berlusconi "c'è un segreto". C'è chi giura che Elio Letizia abbia avvicinato Berlusconi solo qualche mese fa, in occasione della presenza a Napoli del premier per risolvere la questione rifiuti.

Coincidenza: Elio Letizia aveva già avuto dei guai con la giustizia nel lontano 1993 per una storia di corruzione. Venne definito "il dominus di quell’organizzazione criminale che aveva il controllo del mercato delle compravendite di licenze commerciali". Viene indagato e rinviato a giudizio, ma il processo non parte mai. Misteriosamente insabbiato per 16 lunghi anni. Da semplice impiegato comunale ha subito tre sospensioni dal lavoro. Solo nel 2007 è stato riammesso a palazzo San Giacomo. Nel 2005 ha dichiarato 12.376 euro di redditi. La moglie invece gestisce un'edicola. Coincidenza: nonostante l'apparente ristrettezza economica della famiglia Letizia, la figlia Noemi risulta avere vari appartamenti intestati a suo nome, gira in Mercedes con l'autista, organizza feste sfavillanti nei locali più in di Casoria con decine e decine di invitati. Coincidenza: la security del premier era stata avvistata già in mattinata nel locale dove si sarebbe svolta la festa per bonificare il territorio. Coincidenza: stando alla ricostruzione di Berlusconi, una perturbazione atmosferica improvvisa avrebbe anticipato la partenza in elicottero da Milano. Coincidenza: il premier si presenta alla festa di cui non sapeva nulla fino a pochi momenti prima con un collier dal valore di 6 mila euro. Rimane chiuso in aereo all'aeroporto di Capodichino per più di un'ora aspettando l'inizio della festa. Coincidenza: ad attenderlo nel locale di Casoria una troupe di fotografi di Chi che lo immortaleranno nelle famose foto. Coincidenza: Chi è un settimanale italiano di gossip e cronaca rosa di proprietà Mondadori, ovvero del gruppo Berlusconi.

La notte del 9 maggio, poco prima dell'annunciata presenza di Berlusconi, a Marcianise, in provincia di Caserta, compaiono manifesti senza parole, listati a lutto: al centro sei bare ed una croce. E' una chiara minaccia di morte. Libero pubblica in prima pagina la foto dei manifesti con tanto di titolo: "Berlusconi minacciato dalla Camorra". Berlusconi annulla all'ultimo momento la visita.

Il 19 maggio, dopo la cattura in Spagna del boss Raffaele Amato, a Secondigliano un blitz porta in manette quasi cento persone ritenute affiliate agli Scissionisti. In nottata arriva l’arresto a San Cipriano d’Aversa del boss Franco Letizia, uno fra i cento latitanti più ricercati d’Italia. Siamo nei giorni in cui infuria la polemica tra Veronica Lario e il marito per il "ciarpame senza pudore". Coincidenza: alle 12:18 in punto nelle redazioni arriva un lancio Ansa. E’ firmato dalla giovane corrispondente casertana Rosanna Pugliese: "Nessuna parentela tra l’arrestato Franco Letizia ed il papà di Noemi, lo affermano “gli inquirenti che operano nel casertano". Nessuno l'aveva mai sospettato. Che bisogno c'è di dare un non-notizia?

L'8 giugno arrivano i risultati delle elezioni amministrative. Il Pdl sfonda a Napoli, un feudo da tempo in mano alla sinistra. Se si confrontano i dati con le passate elezioni i rapporti di forza paiono completamente ribaltati. Il Pdl e la sua coalizione passano dal 37% al 58%. Il nuovo presidente della provincia di Napoli può finalmente liberare la sua gioia.

Ultima coincidenza: sapete chi è costui? E' Luigi Cesaro. Vi dice niente?

Se volete sapere che faccia abbia e quali siano i suoi programmi, guardatevi il video. E piangete.

lunedì 8 giugno 2009

E il bauscia abbassò le orecchie


Il risveglio non è stato così doloroso come ci si aspettava. Sondaggi impazziti (commissionati chissà da chi) ed exit pool arrangiati in fretta e furia pochi minuti dopo la chiusura delle urne sparavano cifre allarmanti di un Pdl lanciato verso quota 43%. Un plebiscito annunciato da far tremar le vene e i polsi. Poi fortunatamente, col passare del tempo e con lo spoglio dei primi dati reali, si è capito subito che era stata tutta una bufala e che il tronfio trionfo dell'imperatore assoluto si sarebbe ridimensionato in una più compassata "vittorietta", facile facile, più per pochezza dell'avversario che per merito proprio.

E sì, perchè a guardare i freddi numeri, il Cavaliere ha ben poco da rallegrarsi. Il suo Popolo della Libertà, contrariamente a tutte le previsioni altisonanti, strombazzate da ogni pulpito possibile e immaginabile, persino dalle macerie fumanti dell'Abruzzo, che fantasticavano di un consenso "quasi imbarazzante" al 75%, ha ridotto i ranghi e ha dato segni di smottamento. A poco più di un anno dalle elezioni politiche del 2008 e a pochi mesi dalla fusione ufficiale di An con Forza Italia, il Pdl è sceso dal 37,4% al 35,2%, con un calo di più di due punti percentuali. Una piccola sconfitta, a ben vedere, che già suscita malumori e nervosismi all'interno del partito. A fronte soprattutto delle aspettative ultra-ottimistiche del nostro premier, che, da buon bauscia milanese, aveva fatto credere agli Italiani di essere lì lì per ottenere la maggioranza assoluta nel paese. "L'obiettivo è il 51%", aveva dichiarato. Beh, per ora, nemmeno con il binocolo. Una bella ridimensionata del tutto salutare, che non può che far bene alla democrazia.

Significa che il paese non è ancora rincoglionito del tutto. Qualche flebile speranza esiste ancora. Ad analizzare le cifre, si scopre che a tradire il premier è stato soprattutto il sud, in cui l'affluenza è stata scarsissima, ben al di sotto del 50%. Ma non può essere semplicemente l'astensionismo del sud, in cui comunque il Pdl ha sfondato quota 40%, a giustificare il passo indietro del cavaliere. La verità è che la sua Sicilia, dove l'anno scorso aveva ottenuto un altisonante 46%, ha deciso di voltargli le spalle e l'ha punito sonoramente facendogli perdere qualcosa come 13 punti percentuali a favore del Movimento per l'Autonomia di Raffaele Lombardo. Un travaso di voti non certo casuale dopo gli scontri interni dei giorni scorsi, che hanno portato l'MPA a gareggiare da solo e anzi contro coloro che fino a un giorno prima erano stati fedeli alleati. Berlusconi ha sbagliato completamente le mosse, ha creduto di essere padrone della Sicilia e ha rotto con Lombardo come se niente fosse, dimenticando forse chi comanda in quelle zone. E non aggiungo altro.

A rendere ancora più amara la vittorietta del Pdl e a turbare i sonni di Berlusconi è l'affermazione straordinaria della Lega Nord. Un partito che ha saputo attrarre a sempre più consensi, rubati ora all'alleato Pdl, ora all'avversario Pd. La quota raggiunta del 10,2% con un aumento di due punti rispetto alle politiche del 2008 è un segnale fortissimo. La Lega spadroneggia al Nord, in cui ottiene consensi unanimi lungo tutto l'arco alpino attorno al 19-20%, con punte vicine al 30% nel Veneto. Al di sotto del Po invece scompare miseramente, racimolando un 3% al centro e praticamente nulla al sud e nelle isole. E' un dato che fa riflettere. Si dice che i consensi siano una conseguenza della linea dura (almeno a parole) contro i clandestini e i rom e una richiesta forte di sicurezza urbana. Ci sarebbe da dedurre allora che solamente nelle valli padane viene percepito questo senso di insicurezza e questo bisogno di farla finita "con i clandestini che rubano e stuprano". Eppure la stampa ci ha raccontato nei dettagli numerosi episodi di violenze ben al di fuori dei confini nordici e di sbarchi continui sulle coste della Sicilia e della Puglia. Forse che in quelle zone gli sta bene vivere a contatto con i clandestini e accettano di buon grado gli stupri "alle loro donne"? Non credo.

E' che nel nord bauscia e ricco e nelle valli padane abbastanza ignorantotte ma incredibilmente morbose della loro identità si insinua sempre più convinta l'idea che l'essere "cattivo" faccia figo e che il buonismo sia per poveri sfigati. La moda del "politically incorrect" tira di brutto, soprattutto tra i figli di papà (sia di destra che di sinistra, si intende), che gongolano al pensiero di giocare alle secessione dai terroni e a guardie e ladri con gli extracomunitari. La cosa che dovrebbe far più scalpore è come il voto alla Lega venga percepito ancora (anzi, oggi più che mai), come un voto di protesta. Sembrerebbe incredibile, ma dopo aver passato quindici anni a banchettare abbarbicati alle poltrone di Roma ladrona, i leghisti sanno mantenere ancora un'aurea di innocenza rivoluzionaria.

La maggior parte di coloro che aderiscono a questo partito lo fanno soprattutto per una forma di delusione nei confronti di una politica (sia berlusconinana, sia sinistroide) che vedono troppo ingabbiata, immobile, burocratica. La Lega dà invece al proprio elettorato l'idea di essere un partito dinamico, fuori dagli schemi, che parla in dialetto come la gente del popolo, che chiacchiera poco e che agisce molto. Fa niente se poi la realtà è completamente opposta. Questo è il messaggio che passa e che attira sempre più persone, deluse e disilluse. Per Berlusconi sarà un bel grattacapo tenere assieme l'alleanza con un partito che verrà a batter cassa sempre più insistentemente e che su molte questioni di fondo ha visioni diametralmente opposte (vedi Turchia). E avrà anche un bel grattacapo a tener a bada la fronda interna di Alleanza Nazionale, che ha accettato con il mal di pancia di sparire e sciogliersi nel Pdl e che ora potrebbe temere di essere trascinata in basso da una caduta di popolarità del premier a favore degli odiati alleati leghisti.

Proprio per questo, come immaginavo, il miglior modo che gli elettori disorientati del PD avevano per mettere in difficoltà Berlusconi era votare Lega. Non sto scherzando. E credo che un po' sia successo veramente.

Due parole sul partito democratico. C'è una cauta soddisfazione al quartier generale. La parola d'ordine è: "Berlusconi non ha sfondato. Abbiamo tenuto. ". Bisognerebbe capire che cosa hanno tenuto. Perchè sono dichiarazioni decisamente ridicole. Il crollo rispetto a un anno fa è stato di 7 punti percentuali tondi tondi. Se non è una disfatta rovinosa questa. Se hanno tirato un bel sospiro di sollievo ad aver ottenuto un misero 26%, c'è da immaginare allora che i vecchi marpioni del Pd si aspettavano addirittura qualcosa di molto peggio. Non so, probabilmente pensavano di scomparire del tutto. Una bella coda di paglia. E dire che, a quanto pare, Franceschini negli ultimi mesi ha recuperato consensi. Non oso immaginare a che livelli infimi di popolarità l'avesse portato Veltroni attorno a dicembre-gennaio. Questo per chi rimpiange o giustifica ancora il nostro Walter, che in pochi mesi è riuscito nell'ardua impresa di dilapidare milioni di consensi. A futura memoria di chi auspica ancora un dialogo con lo statista.

Ma la vera vincitrice morale di queste elezioni è senza dubbio l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Il suo partito ha praticamente raddoppiato le preferenze rispetto a qualche mese fa, schizzando ad un incredibile 8%. Tutto come da copione. Voti in gran parte rubati al Pd con qualche frangia di sinistra più estrema e addirittura di cani sciolti provenienti da Alleanza Nazionale. Il dato che mi sembra più importante constatare è il fatto che l'Idv sia un partito senza frontiere, nel senso che è distribuito in modo omogeneo sul territorio con punte del 10% nel sud. Evidentemente le idee che lo sostengono non sono legate a "nazionalismi interni", al contrario per esempio della Lega, ma parlano al cittadino italiano in generale. I temi della giustizia, della legalità, della lotta alla mafia, conditi da un sano antiberlusconismo come forma mentis, sono un mix che viene apprezzato da nord a sud, da est a ovest. Questo mi fa pensare che l'Idv ha una base molto più concreta e solida su cui costruire, rispetto ad altri partiti che cavalcano le onde emozionali del momento (vedi la Lega con i clandestini).

E' ancora più straordinario il risultato dell'Idv se si pensa all'oscuramento mediatico a cui è sottoposto. Senza aver alcuna visibilità sui giornali, dove anzi è stato spesso fatto oggetto di attacchi denigratori e campagne feroci sia da destra che da sinistra, e con una minima visibilità televisiva (qualche comparsa a Ballarò e Annozero), il partito di Di Pietro ha raddoppiato i consensi. La spiegazione è subito trovata. Il popolo che vota Di Pietro è principalmente giovane e informatizzato. Ha maturato il suo appoggio all'Idv spegnendo la televisione e informandosi in rete, dove la propaganda berlusconiana è nuda e sbugiardata nella sua falsità.

Ora sta a Di Pietro mettere a frutto questo patrimonio di consensi. La strada è tracciata e non può più tornare indietro. L'annuncio che alla prossima tornata elettorale verrà tolto il suo nome dal simbolo del partito è, credo, un segnale incoraggiante. Questo partito, se veramente vuole crescere e creare qualcosa di nuovo, deve assumere al più presto una dimensione più ampia. E per farlo è necessario un passo indietro proprio di colui che ne è stato l'ispiratore. Non credo che l'uomo Di Pietro, con tutti i suoi limiti, possa ottenere più di quanto ottenuto in queste ultime elezioni. Perchè, intendiamoci, finora il partito Idv è coinciso esattamente con l'uomo Di Pietro. Ora io credo, e credo che l'abbia capito lo stesso Di Pietro, che il partito è maturo per fare il salto di qualità e diventare veramente la piattaforma su cui la società civile, quella migliore, quella onesta, quella dalla parte della legalità, quella informata e attenta che ha voglia di scardinare il sistema corrotto e clientelare, possa salire e ottenere visibilità e forza.

Il compito di Di Pietro nel futuro sarà quello di ripulire le basi del proprio partito dagli arruffoni e dai furbastri, riciclatisi e saliti a tempo sul carrozzone. Deve avere il coraggio di rinnovare mano a mano comitati e consiglieri comunali attraverso un monitoraggio attento e selettivo alla radice. Il giocattolo che ha in mano è delicato e importantissimo. Di Pietro ha il dovere di non tradire la fiducia di quella che io ritengo la parte più sana della società.

Noi saremo qui a vigilare. Non ci si può permettere più alcun errore.