venerdì 12 dicembre 2008

Buone feste a tutti


Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera


Il blog si prende una pausa di riflessione (si dice così?) e va in vacanza. Riaprirà i battenti dopo le feste, sempre che i miei sfaticati collaboratori non si decidano a scrivere qualcosa anche loro :D
Ma si sa, so' ragazzi, e poi devono pensare agli esami...

Vi lascio con questa letterina. Non è per Babbo Natale.
E' il grido di denuncia di uno dei pochi giornalisti liberi che sono rimasti in Italia.
Carlo Vulpio.
Era stato mandato in missione in Calabria per conto del Corriere per informare in tempo reale di come evolvessero le indagini condotte da De Magistris. Ora che De Magistris è stato trasferito, ora che le indagini strappate a De Magistris sono in mano a chi lo ha calunniato e gli ha messo i bastoni tra le ruote, ora che la procura di Salerno che tentava di far luce su quegli scandalosi avvenimenti è stata messa a tacere e praticamente trasferita in toto, ora che Carlo Vulpio avrebbe voluto continuare a fare il suo mestiere, cioè quello di informare sulla vergognosa vicenda della cosiddetta "guerra tra procure", Carlo Vulpio è stato gentilmente consigliato dal suo direttore Paolo Mieli di togliere il disturbo e, se possibile, chiudere la bocca.

Licenziato in tronco per avere pubblicato sul proprio sito le 1700 pagine del decreto di perquisizione con cui Salerno decideva di sequestrare a Catanzaro gli atti delle inchieste Why not e Poseidone. Decreto non più sottoposto a segreto. La sua colpa è evidentemente quella di aver informato un po' troppo.

Un po' va bene, troppo no.

Basterebbe questo episodio per far capire a che livello è precipitata l'informazione in Italia. Per far capire quanto facciano paura gli ex-incartamenti di De Magistris, che tirano in ballo nuove logge massoniche di potere occulto infiltrate in tutti i più alti ambiti della politica, dell'imprenditoria, della magistratura, della finanza e delle istituzioni.

Carlo Vulpio non scriverà più sul Corriere della Sera.
Un'altra voce libera soffocata.
La repubblica sta esalando il suo ultimo respiro.

Notizia dell'ultim'ora. Sono state rese note le motivazioni con cui il Csm ha deciso il trasferimento di Jannelli e Apicella. I due, non raggiungendo un accordo sulle inchieste Why not e Poseidone (ma che accordo avrebbero dovuto raggiungere? da quando l'indagato deve arrivare ad un accordo con l'indagatore?) avrebbero "gettato discredito sulla magistratura" e avrebbero "violato i doveri di indipendenza e terzietà offrendo l'immagine di un'azione giudiziaria non meditata e orientata a finalità di giustizia, ma strumentalizzata da ragioni di reazione e rivalsa".

Esattamente. Reazione e rivalsa. Ciò che ha messo in atto Catanzaro in modo selvaggio e spropositato. Cosa c'entra Salerno? Non si capisce.

Sembra invece averlo capito benissimo il deputato del Pdl Amedeo Laboccetta, che è arrivato addirittura ad insinuare in aula che tra De Magistris e il pm Gabriella Nuzzi, che ha firmato il decreto di sequestro, ci sia una sorta di "feeling sconvolgente, un rapporto particolare di grande intimità". Non si spiegherebbe altrimenti - argomenta Laboccetta - perchè De Magistrtis si sia rivolto a lei per ben 65 volte per denunciare la situazione di accerchiamento e delegittimazione ai suoi danni. Evidentemente ci deve essere qualche rapporto morboso sotto.

Siamo arrivati all'intimidazione personale con tanto di incursioni fantasiosamente scandalose nella sfera privata. Ricorda tanto il comportamento di quei mafiosi che, per screditare i pentiti che parlavano troppo, li accusavano di essere omosessuali.

Buon Natale e buone feste a tutti.


"Avevo fatto una battuta: avevo detto: i giornalisti, a differenza dei magistrati, non possono essere trasferiti. Avrei fatto meglio a stare zitto. Da lì a poco sarei stato “trasferito” anch’io.

E’ stato la sera del 3 dicembre, dopo che sul mio giornale era uscito un mio servizio da Catanzaro sulle perquisizioni e i sequestri ordinati dalla procura di Salerno nei confronti di otto magistrati calabresi e di altri politici e imprenditori.
http://www.carlovulpio.it/Lists/Roba%20Nostra/DispForm.aspx?ID=12

Come sempre, non solo durante questa inchiesta, ma perché questo è il mio modo di lavorare, avevo “fatto i nomi”. E cioè, non avevo omesso di scrivere i nomi di chi compariva negli atti giudiziari (il decreto di perquisizione dei magistrati di Salerno, che trovate su questo blog in versione integrale) non più coperti da segreto istruttorio. Tutto qui. Nomi noti, per lo più. Accompagnati però da qualche “new entry”: per esempio, Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, Mario Delli Priscoli, procuratore generale della Corte di Cassazione, Simone Luerti, presidente dell’Associazione nazionale magistrati.

Con una telefonata, il giorno stesso dell’uscita del mio articolo, la sera del 3 dicembre appunto, invece di sostenermi nel continuare a lavorare sul “caso Catanzaro” (non chiamiamolo più “caso de Magistris”, per favore, altrimenti sembra che il problema sia l’ex pm calabrese e non ciò che stanno combinando a lui, a noi, alla giustizia e alla società italiana), invece di farmi continuare a lavorare – dicevo –, come sarebbe stato giusto e naturale, sono stato sollevato dall’incarico.

Esonerato. Rimosso. Congedato. Trasferito.

Con una telefonata, il mio direttore, Paolo Mieli, ha dichiarato concluso il mio viaggio fra Catanzaro e Salerno, Potenza e San Marino, Roma e Lamezia Terme. Un viaggio cominciato il 27 febbraio 2007, quando scoppiò “Toghe Lucane” (la terza inchiesta di de Magistris, con “Poseidone” e “Why Not”). Un viaggio che mi fece subito capire che da quel momento in poi nulla sarebbe stato più come prima all’interno della magistratura e in Italia.

Tanto è vero che successivamente ho avvertito la necessità di scrivere un libro (“Roba Nostra”, Il Saggiatore), che, dicevo mentre lo consegnavo alle stampe, “è un libro al futuro”. Una battuta anche questa, certo, perché come si fa a prevedere il futuro? In un libro, poi, che si occupa di incroci pericolosi tra politica, giustizia e affari sporchi… Ma si vede che negli ultimi tempi le battute mi riescono piuttosto bene, visto che anche questa, come quella sul “trasferimento” dei giornalisti, si è avverata.

Avevo detto – e lo racconto in “Roba Nostra” – che in Basilicata l’anno scorso è stato avviato un esperimento, che, se nessuno fosse intervenuto, sarebbe stato riprodotto da qualche altra parte in maniera più ampia e più disastrosa.

E’ accaduto che mentre la procura di Catanzaro (c’era ancora de Magistris) stava indagando su un bel numero di magistrati lucani, di Potenza e di Matera, la procura di Matera (gli indagati) si è messa a indagare sugli indagatori (de Magistris). Come? Surrettiziamente. E cioè? Si è inventato il reato di “associazione a delinquere finalizzato alla diffamazione a mezzo stampa” e ha messo sotto controllo i telefoni di cinque giornalisti (me compreso) e un ufficiale dei carabinieri (quello delegato da de Magistris per le indagini sui magistrati lucani). Così facendo, i magistrati indagati hanno potuto conoscere cosa si dicevano gli indagatori (de Magistris e l’ufficiale delegato a indagare).

Avvertivo: guardate che così va a finire male.
Chiedevo: caro Csm, caro Capo dello Stato, intervenite subito.

Niente. Nemmeno una parola, un singulto, un cenno. Nemmeno quando era chiaro a tutti che quei magistrati lucani, al di là di ogni altra considerazione, vedevano ormai compromessa la loro terzietà. Un magistrato - si dice sempre, e a ragione -, come la moglie di Cesare, deve non soltanto “essere”, ma anche “apparire” imparziale, terzo, non sospettabile di alcunché. Per i magistrati lucani, invece, non è così. Nonostante siano parti in causa, essi continuano a indagare sugli indagatori, chiedono e ottengono proroghe di indagini (siamo alla quarta) perché, dicono, il reato che si sono inventati, l’associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa, è complicatissimo. E rimangono al proprio posto nonostante le associazioni regionali degli avvocati ne chiedano il trasferimento, per consentire un funzionamento appena credibile della giustizia.

Niente. Si è lasciato incancrenire il problema ed ecco replicato l’esperimento a Catanzaro. La “guerra” fra procure non è altro che la riproduzione di quel corto circuito messo in atto da indagati che indagano sui loro indagatori, affinché, rovesciato il tavolo e saltate per aria le carte, non si sappia più chi ha torto e chi ha ragione perché, appunto, “c’è la guerra”. E dopo la “guerra”, ecco la “tregua” o, se preferite, “l’armistizio” (così, banalmente ma non meno consapevolmente, tutti i giornali, salvo rarissime eccezioni di singoli commentatori).

Guerra e tregua. E’ questo il titolo dell’ultima, penosa sceneggiata italiana su una vicenda, scrivo in “Roba Nostra”, che è la “nuova Tangentopoli” italiana. Quando, sei mesi fa, è uscito il libro, qualcuno mi ha chiesto se non esagerassi. Adesso, l’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dichiara: “Ciò che sta accadendo oggi è peggio di Tangentopoli”. E Primo Greganti, uno che se ne intende, ammette anche lui, che “sì, oggi è peggio di Tangentopoli”.


Infine, una curiosità, o una coincidenza, o un suggerimento per una puntata al gioco del Lotto, fate voi.


Mi hanno rimosso dal servizio che stavo seguendo a Catanzaro il 3 dicembre 2008. Esattamente un anno prima, il 3 dicembre 2007, Letizia Vacca, membro del Csm, anticipava “urbi et orbi” la decisione che poi il Csm avrebbe preso su Clementina Forleo e Luigi de Magistris. “Sono due cattivi magistrati, due figure negative”, disse la Vacca. E Forleo e De Magistris sono stati trasferiti. Per me, più modestamente, è bastata una telefonata. Ma diceva più o meno la stessa cosa. Diceva che sono un cattivo giornalista".


Carlo Vulpio

martedì 9 dicembre 2008

La balla dell'antiberlusconismo


Toh!
Guarda un po' cosa mi tocca leggere su Repubblica questa mattina! I risultati dei primi sondaggi in vista delle Europee del 2009 mettono in luce un dato inimmaginabile. Il partito di Berlusconi sta sfondando quota 40% (lo scorso aprile aveva ottenuto il 37,3%) mentre il partito di Veltroni è crollato al 28% (lo scorso aprile aveva ottenuto il 31,1%).

Ma come è possibile? Una forza "moderna, moderata, intellettuale, responsabile e riformista" come il Pd, sempre disposta al dialogo con il Pdl per il bene e l'interesse del paese, che non viene capita dal proprio elettorato. C'è qualcosa che non va, ovviamente. Dove avrà sbagliato Veltroni? Perchè tutta quella fiumana di gente "moderna, moderata, intellettuale, responsabile e riformista" sta pian piano voltando le spalle al leader della sinistra? Eppure lui si è impegnato tanto a costruire un sereno clima di dialogo tra le parti!

La risposta è subito trovata. Dove sono andati a finire tutti quei voti persi per strada? Semplice. Se li è accaparrati l'Idv di quel "giustizialista, manettaro, eversivo, amico dei giudici" di Antonio Di Pietro. Il suo partito, stando al sondaggio, starebbe sfondando quota 8% (alle ultime politiche aveva ottenuto il 4,4%), cioè avrebbe quasi raddoppiato in qualche mese il numero dei consensi, con punte vicine al 10% nel Nordest.

Ma che fine ha fatto la storia dell'antiberlusconismo che non paga?
Ma dove sono ora tutti quei bravi intellettuali di sinistra che si sforzavano, e si sforzano tuttora, di spiegarci che quello che loro chiamano "antiberlusconismo" altro non fa, paradossalmente, che alimentare i consensi nei confronti di Berlusconi?
Dove è finita la teoria masochista del "complotto interno", secondo cui i veri artefici della vittoria di Berlusconi non furono altro che la banda dei quattro, Travaglio, Santoro, Di Pietro e Grillo, che sparano a zero sulle porcate del piduista?

Ve lo spiego io. Si è sgretolata e sciolta nella sua stessa inconsistenza.

Ma se gli attacchi continui a Berlusconi da parte di Di Pietro facessero tanto bene all'immagine del premier, perchè ogni due per tre salta su il Cecchitto di turno, il Gasparri, il Ghedini, il Bocchino, il Cossiga ad intimare a Veltroni di rompere ogni legame con l'Idv? Perchè si affannano tanto a delegittimarla e metterla in minoranza (vedi caso Villari)? Perchè la destra si dà così pena per distruggere mediaticamente (vedi Tg4) l'ex magistrato di mani pulite, il paladino di quell'antiberlusconismo che così tanto bene farebbe all'immagine del presidente del consiglio?

Non sarà che, forse forse, lo dico sottovoce, in qualche modo, ne hanno paura?
Non sarà forse che sono gli unici ad aver capito che il continuare a martellare sul conflitto di interessi di Berlusconi, il continuare a smascherare tutte le sue porcate, il continuare a chiamare con il proprio nome tutte le leggi-vergogna "ad personas" che il premier si fa e fa per i suoi amichetti, forse, dico forse, un minimo di credibilità, al premier, la fa perdere?

Come mai, nei giorni di più grandi proteste contro il governo per la riforma della scuola (legge 133) che distruggerà il futuro dell'università, la maggioranza ha perso in un sol colpo 3 punti di fiducia? Non sarà che, l'opinione pubblica, assopita, dormiente e imbambolata davanti all'Isola dei famosi, abbia in qualche modo ricevuto l'eco della protesta e, quasi per osmosi, non certo per propria autonoma volontà, sia stata costretta a chiedersi: "Ma questi, perchè protestano così duramente contro il governo? Forse che il governo ha fatto qualcosa di sbagliato?". Ecco, è bastato il dubbio, insinuato a forza di cortei, scioperi e striscioni, a far sì che l'esecutivo avesse un crollo nella credibilità degli elettori.

Perchè l'opinione pubblica è tanto ottusa quanto malleabile. Berlusconi lo sa benissimo e per questo teme qualunque tipo di voce fuori dal coro che possa incrinare, che possa mettere, per così dire, una pulce nell'orecchio della gente, indottrinata e cotta a puntino dai suoi giornali e telegiornali. Non si vede altrimenti il perchè il Pdl abbia fatto uno strenuo ostruzionismo all'elezione di Orlando alla Vigilanza Rai. Non si vede il perchè Berlusconi continui un giorno sì e l'altro pure a lanciare anatemi contro i direttori dei giornali che, secondo lui, non si allineano al suo pensiero (sono evidentemente troppo poco "appecoronati"). Non si vede il perchè vengano continuamente messe nel mirino le trasmissioni "faziose" di Santoro e Floris. Non si vede il perchè Gasparri oggi berci e sputacchi chiedendo un immediato intervento del supergarante Villari contro quel covo di comunisti che è diventato il programma di Fabio Fazio (per la cronaca, Villari ha subito risposto che si attiverà per controllare).

La verità è che la favola dell'antiberlusconismo che favorisce Berlusconi è solo un patetico espediente in mano alla sinistra per coprire la propria incapacità di fare opposizione. O meglio, la propria impossibilità. No, we can't.

Una sinistra che naviga nel conflitto di interessi (vedi il figlio di Colaninno, vedi D'Alema, vedi La Torre...) non può fare battaglie contro il conflitto di interessi della destra.

Una sinistra che elegge in parlamento indagati, inquisiti, condannati (vedi Vladimiro Crisafulli...) non può fare battaglie di legalità con la destra.

Una sinistra che a livello regionale sprofonda invischiata in vergognosi giri di appalti truccati e corruzione (vedi Del Turco in Abruzzo, vedi la giunta di Firenze guidata da Dominici, vedi Bassolino in Campania...) non può fare battaglie di moralità con la destra.

Una sinistra che ha non ha esitato a mettere il bavaglio agli unici due magistrati coraggiosi che indagavano sui sporchi affari dei suoi massimi esponenti (vedi Forleo, vedi De Magistris) non può fare battaglie sull'indipendenza della magistratura contro la destra. E infatti non la farà. Anzi, ha già annunciato che si siederà al tavolo con colui che la giustizia la sta sfregiando da almeno 30 anni per discutere su "una condivisa riforma della giustizia".

No, they can't.

In realtà l'antiberlusconismo non esiste.
Esiste solo un forma di resistenza istintiva, rudimentale, contro i soprusi e l'arroganza di un uomo che governa il paese sull'onda del consenso popolare, aggiustando il suo operato in base ai propri problemi giudiziari e all'umore dell'opinione pubblica che i suoi esperti sondaggisti fotografano in tempo reale.

Ieri, quella mummia di Gianni Letta, ciambellano di corte da tempi immemori, è stato contestato a suon di uova, pomodori e cori "Buffone, buffone" mentre si recava all'università di Siena per ritirare il premio Frajese. Erano i ricercatori precari che protestavano contro la legge 133 ammazza-università.

Evidentemente bisogna organizzarsi come si può.
Ma, in mancanza di un'opposizione seria, vanno bene anche le uova.

domenica 7 dicembre 2008

E' tornata l'Inquisizione


Ieri, 6 dicembre 2008, è stato uno dei giorni più neri e nefasti della "seconda repubblica".

Bene ha fatto il Vicepresidente del Consiglio Superiore della magistratura Nicola Mancino a dire che sono avvenuti "fatti sconcertanti". Perchè di questo si tratta: fatti sconcertanti. Peccato che Mancino si riferisse a tutt'altra cosa, e cioè alle perquisizioni disposte dalla procura di Salerno nei confronti dei magistrati di Catanzaro.

Sconcertante è che un personaggio come Nicola Mancino, che nasconde volontariamente uno degli episodi più oscuri della storia italiana, occupi una posizione tanto rilevante all'interno del sistema giudiziario italiano: di fatto il garante del funzionamento e dell'indipendenza della magistratura. Mancino tiene dentro di e si rifiuta di ricordare l'incontro avuto con Paolo Borsellino la sera del 1 luglio 1992, un paio di settimane prima che il giudice venisse fatto a pezzi.

Quell'incontro è sicuramente avvenuto. Lo testimonia il pentito Gaspare Mutolo, che Borsellino stava interrogando proprio quel giorno. Mutolo stava facendo rivelazioni sulla collusione del numero tre del Sisde Bruno Contrada e del giudice Signorino con Cosa Nostra. Mutolo ricorda che Borsellino dovette sospendere l'interrogatorio perchè chiamato d'urgenza dal ministro dell'interno Nicola Mancino. Quando il giudice tornò, dopo l'incontro col ministro, l'interrogatorio non fu più ripreso: Borsellino, racconta Mutolo, era talmente sconvolto che si fumava due sigarette alla volta. Tornato a casa, vomiterà, testimone la moglie.

Non solo. C'è anche la testimonianza del sostituto procuratore Vincenzo Aliquò che, insieme a Borsellino, stava interrogando Mutolo. Aliquò riferisce di avere accompagnato il giudice sino sulla porta del ministro Mancino. Ma c'è soprattutto la testimonianza di Paolo Borsellino stesso che quella sera, dopo l'incontro, annota sulla sua agenda grigia: ore 19:00 Mancino.

Cosa si sono detti in quell'incontro? Intanto, insieme al ministro, Borsellino si trova di fronte il capo della polizia Vincenzo Parisi e proprio quel Bruno Contrada che Mutolo qualche minuto prima gli aveva rivelato essere un burattino nelle mani di Cosa Nostra. In quell'incontro è stato prospettato a Borsellino di accettare e non ostacolare la sciagurata trattativa in corso tra lo Stato e Cosa Nostra. Riina da una parte, il Colonnello Mori dall'altra. Nel mezzo, l'intermediario Vito Ciancimino con tanto di "papello" firmato in calce da Totò Riina in persona. Dodici richieste indecenti (tra cui l'abolizione del 41 bis e la revisione del maxiprocesso), a cui lo Stato avrebbe dovuto inchinarsi per mettere fine alla stagione delle stragi. Borsellino opposte uno sdegnato rifiuto. Diciotto giorni dopo, del giudice, furono trovati solo dei brandelli di carne.

Mancino non ha mai negato, ma nemmeno confermato, che quell'incontro ci sia stato. Ha dichiarato più volte con grande sobrietà: "Non ricordo se, tra gli altri giudici che venivano ad omaggiarmi per la mia recente nomina a ministro, ci fosse stato anche Paolo Borsellino". Il neoministro dell'Interno che non ricorda di aver incontrato il magistrato allora più importante e famoso d'Italia, dopo la morte di Giovanni Falcone, in quel momento storico una sorta di icona nazionale. Questo sì è davvero sconcertante.

Ma a quali fatti fa riferimento il nostro Mancino, quando parla di "fatti sconcertanti"? Lo rivelano oggi tutti i giornali con quel malsano gusto morboso proprio della stampa italiana: le perquisizioni disposte dalla procura di Salerno si sarebbero spinte fino al punto di far alzare la maglia ed abbassare i pantaloni del pigiama alle 6 del mattino al pm Slavatore Curcio. I carabinieri avrebbero addirittura armeggiato negli zainetti dei figli. Questa sì che un'insolenza! Questo sì che va stigmatizzato! Gli zainetti dei figli mai! Ma siamo impazziti?!

Il delirio ha ormai contagiato tutto e tutti. Il Corriere parla di pm (al plurale) "perquisiti e denudati". Repubblica accusa: "Ecco il blitz scandalo: agli atti la sessualità dei pm". Un concerto aberrante di voci impazzite e faziose da cui è assolutamente impossibile difendersi. E' iniziata una manovra di accerchiamento evidente e spudorata per sputtanare l'operato della magistratura di Salerno, il cui procuratore generale Apicella ora, sulle pagine di tutti i giornali, è dipinto come un esaltato irresponsabile fuori di testa con chiari deliri di onnipotenza. Non solo dunque abbiamo assistito in un paio di giorni all'equiparazione delle colpe tra Salerno e Catanzaro. Ora ci tocca pure sorbirci il sorpasso di Catanzaro, che ne esce come una procura vittima di un pericoloso atto eversivo.

E' davvero troppo. La misura è colma da un pezzo.

Verderami e Panebianco dalle pagine del Corriere sputacchiato su Apicella e chiedono a gran voce una riforma immediata della giustizia, a partire dall'abolizione delle intercettazioni (cosa c'entra?). D'Avanzo dalle pagine di Repubblica rincara la dose e oggi se la prende addirittura con il consulente tecnico di De Magistris, Gioacchino Genchi. Sentite qua: "A dir la verità, il lavoro di De Magistris - anche prima dell'interruzione - è apparso inadeguato a dimostrare accuse costruite soprattutto e quasi esclusivamente con i tabulati telefonici raccolti dal suo misterioso e discusso consulente tecnico, Gioacchino Genchi, forse il vero dominus delle inchieste calabresi". Non c'è più in minimo di ritegno di vergogna.

Infangare anche la figura di Gioacchino Genchi è davvero inammissibile. Genchi risulta essere uno dei massimi esperti di intercettazioni telefoniche, un vero mago dei tabulati telefonici, ha lavorato per anni per i giudici dell'antimafia di Palermo, uomo di fiducia del procuratore generale Luca Tescaroli, quello dei processi per la stragi di Capaci e Via d'Amelio. Genchi è stato una delle figure più preziose per la ricostruzione delle responsabilità materiali di Cosa Nostra nella strage Borsellino. E' colui, tanto per dire, che ha dimostrato che l'utenza telefonica della madre del giudice era tenuta sotto controllo abusivo poco giorni prima della mattanza. E' colui che ha permesso di rintracciare la telefonata, partite 140 secondo dopo la deflagrazione, dal Castel Utveggio, centro dei Servizi segreti sotto copertura, verso una barca ormeggiata al largo del porto di Palermo dove stava ad attendere notizie Bruno Contrada, aprendo così scenari inquietanti su probabili infiltrazioni di servizi segreti deviati nella morte del giudice Borsellino.

D'Avanzo dovrebbe sciacquarsi la bocca prima di pronunciare il nome di Gioacchino Genchi. Invece, lo disintegra, senza per altro portare uno straccio di motivazione, con un "misterioso e discusso". Gli fa eco il compare Eugenio Scalfari, che pur dicendosi ignorante in materia, propone il suo collega d'ufficio D'Avanzo come fonte libera e attendibile sull'argomento. Se la cantano e se la suonano da soli. E poi osano parlare di conflitti di interesse.

Non ho ancora finito, ce n'è anche per altri, perchè la rabbia che suscitano questi avvenimenti supera davvero ogni tolleranza ammissibile.

Ce n'è per il poveraccio che si fa chiamare Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e che auspica a gran voce una riforma della giustizia condivisa con il PD. Notizia di oggi: "Tra i personaggi in contatto con Antonio Saladino, principale indagato dell'inchiesta Why Not, ci sarebbe anche Settembrino Nebbioso, capo di gabinetto del Ministro della Giustizia Angelino Alfano". No comment.

Ce n'è per il Csm che, con una nuova indebita ingerenza, ha deciso all'unanimità il trasferimento per incompatibilità ambientale di Appicella e Iannelli, procuratori di Salerno e Catanzaro. Ci ha messo un paio di giorni per intervenire ed arrivare ad una decisione pilatesca. Una fulmineità imbarazzante e mai vista. Spiegabile solo con la volontà assoluta di insabbiare tutto nel più breve tempo possibile. Ha sanzionato in egual misura i due contendenti. Tutti uguali, tutti colpevoli. Come una mamma che, esasperata dai figli che litigano, li prende a schiaffoni tutti e due senza sentir ragioni, senza nemmeno voler sapere chi ha torto e chi no. Una decisione indecorosa, presa in fretta e furia su inammissibili spinte politiche. Un processo sommario, come ai tempi della Santa Inquisizione.

Erano riusciti con enormi sforzi a bloccare le indagini di De Magistris.
Ieri sono riusciti a bloccare anche chi indagava sulle indagini di De Magistrtis.
Un decreto di perquisizione di 1700 pagine ridicolizzato dal Csm come vaneggiamenti di un pazzo.

Ce n'è anche per l'Associazione Nazionale Magistrati guidata da Palamara, che si è affrettato a plaudire l'intervento repentino del Csm che, secondo lui, rimetterebbe immediatamente ordine nella giustizia, conferendole nuova credibilità. Nella migliore delle ipotesi, un viscido lecchino di palazzo.

Ma ce n'è soprattutto per il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, uno dei "re travicello" più inetti che la nostra disgraziata Repubblica abbia avuto il dispiacere di vedere. E' lui il vero mandante dell'abominio giuridico perpetrato ieri dal Csm. Non ha speso parola su quella indecenza che prende il nome di Lodo Alfano. Non ha fiatato. L'ha fatta passare firmandola in fretta e furia sfregiando la Costituzione che lui stesso dovrebbe difendere e rappresentare. E' stato assolutamente zitto e muto nel momento in cui De Magistris veniva calunniato e trasferito d'ufficio per capriccio di Mastella. Ora si è svegliato per intimare che quelle indagini troppo scottanti siano immediatamente rimesse entro i binari dell'insabbiamento. Ha urlato, sì è sbracciato, ha accusato.

Il Csm, ieri, ha eseguito.

P.S. Su facebook stanno organizzando una manisfestazione a favore di Luigi De Magistris. Iscrivetevi.

venerdì 5 dicembre 2008

Il finto tonto


Ci risiamo. La potente macchina della (dis)informazione di massa si è rimessa in moto. Anche se, sarebbe meglio dire, non si è mai arrestata. In queste ore sta dando smagliante prova di nel proporre, nello spiegare, nell'esporre la scottante questione esplosa intorno all'operato di Luigi De Magistris, che perfino il Presidente della Repubblica, risvegliandosi improvvisamente da sonno letargico, ha definito come "una cosa di gravità inaudita e senza precedenti".

Senza che sia stato ancora chiarito dal Quirinale a chi si riferissero quelle parole, se alla condotta di De Magistris, o alla condotta dei calunniatori di De Magistris, o alla condotta della Procura di Salerno che indaga sulla condotta della Procura di Catanzaro che indaga sulla inchieste sottratte a De Magistris, o infine alla condotta della Procura di Catanzaro che ha definito la condotta della Procura di Salerno un '"atto eversivo", bene, senza che sia stata chiarita la richiesta, decisamente irrituale, di Napolitano di venire a conoscenza di atti sottoposti a segreto, oggi, su tutte le prime pagine dei principali quotidiani nazionali, campeggiavano espressioni del tipo: "Guerra tra procure" (La Repubblica), "Rissa tra procure" (Il Corriere), "Guerra tra magistrati" (La Stampa) e via dicendo sulla stessa falsa riga.

Come se non bastasse, La Repubblica oggi propone un saggio di giornalismo del suo ormai famoso Vicedirettore Giuseppe D'Avanzo, il difensore d'ufficio di Schifani. Ve lo ricordate? Quello che per sputtanare Travaglio ad ogni costo tirò fuori una storia meschina di alberghi pagati da presunti mafiosi, storia poi rivelatasi una montatura architettata dallo stesso D'Avanzo, che prima lanciava il sasso e poi ritraeva la mano facendo il finto tonto. Bene. E' sempre lui. Il suo editoriale di oggi si intitola "Il prestigio infranto della giustizia italiana".

Leggetelo, vi prego. E' un'accozzaglia di banalità e menzogne infarcite di ragionamenti fumosi e devianti. Parte col dire che ieri è stato un giorno trionfante per Silvio Berlusconi, un giorno di "piena, gratificante gioia". E' vero, sono d'accordo. Ma il finto tonto finge di non capire che sono proprio articoli come i suoi quelli che permettono a Berlusconi di gridare vittoria. Quale migliore assist si poteva offrire al premier per dire ancora una volta che i magistrati sono una metastasi del paese e che, invece di lavorare, passano il loro tempo a farsi la guerra a vicenda per sporchi giochi di potere?

E' a questo punto che una stampa seria, libera e onesta avrebbe dovuto intervenire immediatamente a spiegare per filo e per segno cosa sta succedendo attorno alla vicenda De Magistris. Avrebbe dovuto intervenire con precisione chirurgica per sbrogliare la matassa, per fare dei distinguo, delle precisazioni doverose. In punta di penna, con la massima accuratezza e delicatezza possibile. Perchè la situazione è talmente complessa che basta poco, un niente per confondere la gente, per deviarne le opinioni da una parte o dall'altra.

E invece, la stampa, come un bulldozer in una cristalleria, ha buttato tutto nello stesso calderone. Con una superficialità disarmante ha ridotto tutta la vicenda a una squallida lotta tra bande. Ha di nuovo, consapevolmente, mistificato la realtà senza rendere giustizia alla verità dei fatti.

Qui non c'è nessuna guerra in corso. Non ci sono bande, non ci sono eserciti. C'è solo l'ennesimo, dirompente, mastodontico scandalo italiano scoperchiato dalla Procura di Salerno. Un magistrato che ha osato toccare le più alte personalità della politica, della finanza, della giustizia e dell'imprenditoria, ucciso e disintegrato professionalmente per impedirgli di arrivare a concludere le proprie indagini. Gliele hanno fatte sparire da sotto gli occhi, sul più bello, quando si accingeva a mettere la parola fine. Non una. Ben due volte. Calunniato, denigrato, trasferito. Con il silenzio complice delle istituzioni tutte. Con il silenzio complice dell'informazione tutta.

Scrive D'Avanzo: "La magistratura si infligge da sola, come in preda a una follia autodistruttiva, un'umiliazione che lascerà tracce durevoli. Coinvolge nella mischia, ingaggiata irresponsabilmente da due procure (Salerno, Catanzaro) anche il capo dello Stato". Eccolo qui il teorema deviato: le due procure (messe rigorosamente sullo stesso piano) sono soltanto dei bambini capricciosi, irresponsabili ed egoisti che per fame di potere non esitano a far fare alla magistratura una figura di palta.

Purtroppo il finto tonto fa finta di non capire che la figura di palta, alla magistratura, gliel'hanno voluta far fare i giornalisti come lui che, senza entrare nel merito della vergognosa storia di accerchiamento ai danni di De Magistrtis, senza voler capire che cosa effettivamente sta succedendo, offre alla gente una visione distorta della realtà.

Bacchetta tutto e tutti, D'Avanzo. Butta tutti nello stesso pentolone. De Magistris, Catanzaro, Salerno. Tutti uguali, tutti colpevoli. Perchè così fa comodo. Perchè così è più semplice. Una bella mano di palta e la gente non ha bisogno di capire chi ha ragione e chi ha torto. Hanno torto tutti, sono tutti colpevoli, vittime della loro arroganza. Il populismo fatto giornalismo.

D'Avanzo argomenta la sua tesi sostenendo che 1700 pagine per un decreto di perquisizione siano decisamente troppe. Ci mette pure il punto esclamativo: 1700! Per il finto tonto si tratta solo di una trovata pubblicitaria, una sparata per fare un po' di casino ed attirare sulla Procura di Salerno un po' di narcisistica attenzione. Senza nemmeno aver letto una riga di quelle 1700 pagine, D'Avanzo ha già fatto calare il suo giudizio: "Il magistrato che firma un decreto come quello, alto due spanne, di migliaia di pagine, non vuole chiudere davvero l'inchiesta. Pretende solo che si sappia di quali ingredienti, ancora tutti da accertare, sia fatta l'inchiesta. Vuole un'eco pubblica ingrassata dalle suggestioni e non da fatti accertati e documentati. Chiede soltanto pubblicità e, al di fuori del processo, prima di un processo, una condanna pubblica per i coinvolti, quale che sia il loro coinvolgimento".

Ma cosa ne sa D'Avanzo se ci sono fatti accertati o meno? Cosa ne sa? E in fatti non sa nulla, il finto tonto, di cosa ci sia scritto in quelle due spanne, ma tanto gli basta per additare i magistrati che le hanno scritte come meschini individui assetati di facile pubblicità. Dice che invece di un perquisizione dal sapore sensazionalistico sarebbe stato più opportuno che Salerno semplicemente richiedesse gli atti a Catanzaro. Il finto tonto, se avesse letto solo l'introduzione di quelle 1700 pagine, si sarebbe accorto che è da febbraio che è in sospeso una richiesta da parte di Salerno. Catanzaro ha sempre cincischiato e opposto un comportamento ostruzionistico. Conseguenza ovvia: Salerno ha deciso di rompere gli indugi e muoversi "in modo più fattivo". Ma il finto tonto fa finta di non saperlo. Non una parola invece sul contenuto esplosivo che quelle due spanne contengono. Non una.

Anzi. D'Avanzo ne ha anche per De Magistrtis. Imbracciando la toga, da esperto e fine conoscitore della legge, pontifica sull'operato del magistrato partenopeo. Con un po' di compassione lo definisce "un generoso magistrato lasciato colpevolmente isolato in un opaco ufficio giudiziario". Insomma, un povero sfigato, che si era montato la testa con queste inchieste più grandi lui. Lo fa intendere espressamente.

Ricorda che le inchieste su cui De Magistris lavorava sono state valutate poi da altri organi competenti e sono state tutte rigorosamente archiviate. Come dire: De Magistris era un visionario, ci metteva sì tanta buona volontà, ma proprio la legge non era il suo mestiere. Lo dice senza vergogna: "Sempre De Magistris ha avuto torto. Circostanza sufficiente per concludere, come in passato, che le sue inchieste sono eccellenti e attendibili ricostruzioni "giornalistiche" di un sistema di potere, ma un fragile quadro penale".

Sta qui il geniale ribaltamento del problema. De Magistris ha sempre avuto torto perchè le sue inchieste poi sono state archiviate. Quindi De Magistris era più un giornalista che un magistrato. Si basava su prove fragili e aleatorie.

Il finto tonto fa finta di non capire che, forse, quelle inchieste gli sono state sottratte proprio perchè arrivassero nelle mani di chi poi le avrebbe potute archiviare nel silenzio totale. Il finto tonto fa finta di non capire che il problema non sta nel sapere se le indagini di De Magistrtis avrebbero poi, in futuro, portato a condanna o assoluzione gli imputati, ma nel meccanismo perverso che si è messo in moto per impedirgli, quelle indagini, addirittura di portarle a termine. Il finto tonto nemmeno si chiede, come mai, se quelle indagini fossero state solo "invenzioni giornalistiche", si sia mosso compatto un fronte istituzionale-imprenditoriale-giuridico per stroncargli la carriera e chiudergli la bocca.

Il finto tonto, come al solito, rigira il problema come gli pare a lui, per un fine a noi sconosciuto, ma dai risvolti chiari ed immediati: il depistaggio mediatico dell'opinione pubblica.

E' grazie a personaggi come D'Avanzo, che si professano liberi pensatori, che questo paese vive in una sorta di narcosi e necrosi collettiva. E' grazie ai finti tonti come lui che il Regime, che apparentemente D'Avanzo vuol far credere di combattere, invece si irrobustisce, cresce e prolifera indisturbato.

mercoledì 3 dicembre 2008

Why not? Because we can


"Una volta per togliere di mezzo un magistrato scomodo si usava il tritolo. Oggi non serve più. Basta trasferirlo d'ufficio, calunniarlo, infamarlo, delegittimarlo e soprattutto togliergli dalle mani le inchieste su cui sta lavorando".

Lo va ripetendo instancabilmente Salvatore Borsellino in giro per l'Italia. Lui un magistrato scomodo, tolto di mezzo con un bel po' di tritolo, ce l'aveva in famiglia: il fratello Paolo. Ora, a sedici anni di distanza dal botto di via D'Amelio, ogni volta che sente pronunciare il nome di De Magistris gli si illuminano gli occhi e gli sale una rabbia dentro, così forte da farlo gridare . In De Magistris rivede l'abnegazione del fratello, la sua forza, la sua onestà morale. "Se Paolo oggi fosse qui - dice - sarebbe già stato, come minimo, trasferito da Palermo".

Luigi De Magistris è uno di quei magistrati la cui unica colpa è stata quella di aver toccato i fili mortali dell'alta tensione, quelli che legano le realtà mafiose locali con i salotti più esclusivi della politica e delle istituzioni. Gli stessi che stava seguendo il giudice Paolo prima di saltare in aria.

All'inizio del 2005, in seguito alla segnalazione di molti turisti che si lamentavano delle condizioni di devastante inquinamento delle coste calabresi, la Corte dei Conti scoprì che nella gestione dei fondi per i depuratori vi erano state gravi irregolarità, tangenti pagate, appalti concessi con superficialità, lavori iniziati e mai terminati, collaudi certificati ma in realtà mai avvenuti. De Magistris inizia ad indagare, l'inchiesta è denominata con fine ironia "Poseidon", il dio del mare. Il magistrato scopre un intreccio sporco di collusioni e corruzione che permette alla politica di gestire in modo affaristico e clientelare un giro d'affari milionario costituito dai fondi che piovono a valanga dall'Unione Europea, dalla Regione e dallo Stato.

Nella rete finiscono importanti personalità del mondo politico, tra cui Giuseppe Chiaravallotti, ex Procuratore Generale a Catanzaro prima e Reggio Calabria poi, dal 2001 al 2005 Presidente della Regione Calabria nel partito di Forza Italia. Nei confronti di De Magistris inizia una campagna mediatica di delegittimazione, il fronte affaristico-politico-giudiziario si fa compatto nell'additare il magistrato come un esaltato mitomane che opera al di fuori della legge. Una vera e propria opera di accerchiamento. Chiaravallotti, divenuto nel frattempo Vicepresidente dell'Autorità Garante della Privacy, in alcune intercettazioni definisce De Magistris "un poverino", "un pagliaccio" e lancia su di lui un agghiacciante anatema: "Questa gliela facciamo pagare. Lo dobbiamo ammazzare. No gli facciamo cause civili per risarcimento danni e ne affidiamo la gestione alla camorra napoletana. Vedrai, passerà gli anni suoi a difendersi".

La profezia di Chiaravallotti si avvera immediatamente. Contro De Magistris si intensificano le interpellanze parlamentari (saranno un centinaio in un paio d'anni) e le ispezioni ministeriali, partite con il ministro Castelli e proseguite con il ministro Mastella. Il 29 marzo, dopo che nella rete di De Magistris cade pure Gianfranco Pittelli, avvocato e senatore di Forza Italia, difensore di tutti gli indagati dell'inchiesta Poseidon, Mariano Lombardi, suo capo e procuratore di Catanzaro, lo accusa apertamente di violazioni procedurali e gli sottrae l'indagine.

Nell'ottobre 2007 De Magistris viene convocato dal CSM per spiegare la propria condotta. Difende la correttezza del proprio operato e spiega come siano emersi riscontri, in base ad intercettazioni telefoniche, della presenza in procura di "talpe" che danneggiavano le sue indagini: i nomi sono proprio quelli di Pittelli e Lombardi.

Privato dell'inchiesta Poseidon, De Magistris continua a lavorare su un altro filone di indagine, che riguarda la gestione dei fondi per l'informatizzazione della Calabria. Stando alla quantità di finanziamenti piovuti dall'Unione Europea la Calabria dovrebbe essere la regione più informatizzata d'Europa. E invece tutti quei soldi sono spariti magicamente. Il 5 settembre 2006 viene inviato un avviso di garanzia al vicepresidente DS della giunta regionale Nicola Adamo per reato di associazione per delinquere, truffa e abuso d'ufficio. L'inchiesta, denominata "Why not", scoperchia un sistema di tangenti, favori, raccomandazioni e appalti truccati. Una melma che ricopre in modo bipartisan tutto lo schieramento politico, da destra a sinistra.

Vengono coinvolti subito personaggi di spicco come Antonio Saladino, leader calabrese della Compagnia delle Opere. E tramite lui, De Magistris arriva a toccare i piani alti della politica. Prima il Ministro della Giustizia Clemente Mastella, poi addirittura il capo del governo Romano Prodi, che risultano avere intrattenuto rapporti precisi e non saltuari con il Saladino, una sorta di boss calabrese dotato di poteri politico-istituzionali abnormi, che gli permettono di fare il bello e il cattivo tempo nella gestione degli appalti in Calabria. Sia Prodi che Mastella vengono iscritti nel registro degli indagati.

Mastella reagisce come un indemoniato. Ministro delle Giustiza da poco più di un mese, sguinzaglia ispettori ministeriali alla ricerca di scorrettezze procedurali da parte di De Magistris, che viene pubblicamente accusato di avere dimostrato "scarsa riservatezza" e "disinvolti rapporti con la stampa". Sulla base delle relazioni degli ispettori Mastella si arroga il diritto di chiedere al Csm il trasferimento cautelare di De Magistris, che si vedrà sottrarre, dopo Poseidon, anche l'inchiesta Why not, insieme con il suo consulente di fiducia Gioacchino Genchi, mago dei tabulati telefonici, che aveva evidentemente messo il naso in cose che non gli riguardavano.

Ieri, siccome la Giustizia è lenta ma prima o poi arriva, sono scattate le perquisizioni negli uffici della procura di Catanzaro. Sono state messe sotto sequestro e congelate, a seguito della richiesta della procura Campana, proprio le inchieste Poseidon e Why not, che erano state strappate con forza dalle mani di Luigi De Magistris. Sarebbero state gestite "con la finalità di favorire indagati e danneggiare l'originario titolare dott. De Magistris, le persone informate sui fatti e i consulenti tecnici nominati dall'originario pm".

Al Presidente della sezione del Tribunale di Catanzaro Bruno Arcuri, al Procuratore Generale di Catanzaro Enzo Iannelli, al procuratore aggiunto Salvatore Murone vengono contestati i reati di abuso d'ufficio, falso ideologico, calunnia e diffamazione. Secondo i pm campani costoro "effettuavano attivita' illegale tesa a disintegrare professionalmente il dott. De Magistris ostacolando anche la sua progressione in carriera e procurandogli danni anche di natura economica. Attivita' che si inseriva in quella tesa al trasferimento d'ufficio del dott. De Magistris poi ottenuto".

E' emerso che "corretta e doverosa era l'indagine del dott. De Magistris nei confronti dell'allora ministro della Giustizia Clemente Mastella e che l'avocazione del fascicolo ha impedito la prosecuzione della stessa anche nei confronti di Mastella. Vi è stata una patologica attivita' di interferenza in un disegno corruttivo teso a favorire, tra gli altri, Antonio Saladino, Giancarlo Pittelli, ed il ministro della Giustizia Mastella".

Rileggete bene queste parole, perchè testimoniano il degrado democratico in cui è crollato questo paese. Nel frattempo, Nicola Mancino ha commentato così alcune indiscrezioni che lo vedrebbero indagato dalla procura di Salerno per i suoi rapporti con Saladino: "Non ne so nulla".

Così come dice di non sapere nulla dell'incontro a Roma del 1 luglio 1992 con Paolo Borsellino, in cui il magistrato si trovò di fronte, a sorpresa, Bruno Contrada e l'allora Capo della Polizia Parisi. Proprio quel Contrada che qualche minuto prima il pentito Gaspare Mutolo gli aveva riferito essere un burattino nelle mani di Cosa Nostra.

Mancino allora era Ministro dell'Interno.
Oggi è vicepresidente del Csm.

Paolo Borsellino allora venne fatto esplodere.
Oggi Luigi De Magistris inizia, forse, ad avere giustizia.

domenica 30 novembre 2008

Silvio, sono ottimista!


Il Consiglio dei Ministri ha finalmente varato il cosiddetto decreto "salva-crisi". Dopo i vari decreti "salva-Previti", "salva-ladri", "slava-rete4", "salva-premier" e chi più ne ha più ne metta, c'è da dire che si è fatto un passo avanti, se non altro nel nome, che sembra rimandare ad un fattivo intervento a favore di un (per altro non ben precisato) benessere comune a seguito della gravissima crisi economica che si sta espandendo a macchia d'olio su tutto il pianeta.

Ovviamente, in perfetta sintonia con la politica berlusconiana basata sulla più becera marchetta pubblicitaria e come spiega dettagliatamente Eugenio Scalfari oggi su Repubblica, la bontà di un tale decreto si esaurisce giusto giusto nel nome. Questa manovra è talmente risicata, ristretta, condizionata dai tagli all'Ici e dalla vergognosa gestione della vicenda Alitalia, che non avrà alcun impatto sulla ripresa economica visto che i soldi immessi nel mercato saranno talmente pochi che gli Italiani semplicemente se li prenderanno (come un accattone prende la mancia del passante) e li metteranno via, ma certo non si sogneranno di reinvestirli (considerata la loro pochezza). La conseguenza sarà una sensazione di piccolo beneficio, breve e passeggero, che si esaurirà in poco tempo e che non avrà dato alcun spunto all'economia, ma avrà mangiato nel frattempo la bellezza di 16 miliardi di euro, il costo dell'intera manovra.

L'esempio lampante è la famigerata "Social card", la "tessera del pane" dei poveracci, sbandierata con tanta soddisfazione dal ministro Tremonti. Non ci vuole un genio per capire che 40 euro al mese diviso 30 fanno 1 euro e 30 centesimi al giorno, il costo di un caffè. Non ci vuole una mente eccelsa per porsi la fatidica domanda: "Ma vale veramente la pena investire milioni di euro per garantire che le famiglie più povere che non arrivano alla terza settimana del mese abbiano la possibilità di bersi un caffè al bar?" Uno schiaffo alla miseria, un affronto alla dignità della povertà.

Come sarà possibile spiegare ai destinatari di un così grande beneficio economico (1,30 euro al giorno) che il Parlamento compatto pochi giorni fa ha respinto un emendamento dell'Idv che prevedeva di togliere la vergogna del doppio stipendio ai parlamentari che fanno pure i ministri? Come sarà possibile spiegare ai poveracci che proprio quei ministri, che lanciano loro le molliche del pane dal tavolo imbandito della politica, sono i primi ad essere restii a mettere fine ai propri privilegi?

E intanto Berlusconi, senza avvertire un minimo di imbarazzo, invita la gente a spendere (magari utilizzando i proventi della Social card) e a guardare con ottimismo al futuro. Ricorda tanto la storia di Maria Antonietta e delle brioches. Non sono sicuro che il premier abbia ben chiaro che fine abbia poi fatto la regina e tutta la sua corte. Credo avesse più in mente Tonino Guerra e il suo spot che ha tormentato per mesi milioni di Italiani.

Ma c'è un'altra parte del decreto che ha suscitato immediatamente scandalo e stupore, perfino tra le fila dell'opposizione. Se il Parlamento convertirà in legge il decreto, Sky, la piattaforma televisiva che è ormai entrata nella case di 5 milioni di famiglie italiane, si vedrà costretta a far fronte di punto in bianco ad un raddoppio dell'iva: dal 10% al 20%, tutto d'un botto. E chi l'ha deciso? Berlusconi, proprietario di Mediaset, ossia il principale concorrente di Sky. Ma come? Il paladino del libero mercato, il profeta della libertà, il messia del liberalismo che affonda un colpo sotto la cintura alla prima azienda concorrente di Mediaset in Italia?

Un leggerissimo conflitto di interessi? Parrebbe di sì. Ma non ditelo troppo ad alta voce. Potrebbero additarvi per antiberlusconiani-giustizialisti-populisti (e vari altri insulti a caso). Bonaiuti, il portavoce del premier, ha già commentato: "La sinistra sa solo dire di no!". Fantastico e disarmate al tempo stesso. La Russa ha dichiarato: "Era ora che, in un periodo di ristrettezze economiche, si mettesse fine ai privilegi di Sky!". Senza notare che da quindici anni a questa parte nessuno si è mai sognato di metter fine ai macroscopici privilegi di Mediaset che, tanto per dirne una, detiene tre reti televisive quando ne potrebbe avere al massimo due e occupa abusivamente l'etere pubblico. E scusate se è poco.

Murdoch, responsabile di Sky in Italia, ha già fatto sapere che il raddoppio dell'iva per la sua azienda sarà interamente fatto ricadere sul costo dell'abbonamento, che lieviterà indiscriminatamente per la gioia di cinque milioni di famiglie italiane.

Oggi Berlusconi è intervenuto sulla vicenda chiarendo che anche Mediaset sarà colpita da questo provvedimento. Peccato che il decreto legge si riferisca alle reti via satellite come Sky, e non certo a Mediaset, che sul satellite ha proprio ben poco. Non solo fa le porcate, ma poi ha pure il coraggio di sparare una raffica di balle per giustificarle, con aria offesa. Nessuno spiega come stanno le cose. I giornalisti "appecoronati" danno la parola ora all'uno ora all'altro, ma nessuno dice dove stia la verità.

Lo chiamano pluralismo. Si legge depistaggio.

venerdì 28 novembre 2008

Alitaglia


Parte o non parte?
Ceeerrrrrrrrrrto
che parte!
Ezio Greggio commenterebbe così la tragic(omic)a situazione in cui versano i rimasugli dell'ormai defunta compagnia di bandiera italiana. Il rigor mortis ne è stato già più volte accertato, ma c'è sempre qualcuno che non vuole farsene una ragione.

Roberto Colaninno e Rocco Sabelli hanno appena terminato di spedire le 17.500 lettere di mobilità agli ex-dipendenti Alitalia. A breve inizieranno le nuove assunzioni in Cai: la più grande campagna di assunzioni mai vista nella storia. Migliaia di loro (nessuno sa precisarne il numero effettivo) perderanno definitivamente il lavoro, coloro che presentano oggettive problematiche (handicappati, madri in gravidanza, ecc...) non avranno alcuna speranza di assunzione, una buona percentuale dei restanti "fortunati" sarà messa in cassaintegrazione. Ma a rotazione: così, giusto per non sentirsi soli nella grande famiglia del Cai.

Già, ma 'sto Cai, quand'è che parte?
Bella domanda. Che parte, è sicuro. Quando, resta un mistero.
Circolano voci incontrollate secondo cui il primo aereo Cai dovrebbe decollare addirittura fra tre giorni: lunedì 1 dicembre. Tempi da record. Ma è già arrivata la smentita. C'è chi dice, invece, prima di Natale. C'è chi, più prudentemente, abbozza gennaio, dopo la pausa delle festività.

Il problema non è da poco. Anzi, proprio il fatto che ci siano di mezzo le vacanze di Natale, rende il decollo di Cai una priorità assoluta. Sì perchè, nel frattempo, la nostra cara compagnia di bandiera Alitalia, anche da morta, continua a succhiarsi soldi su soldi, che vanno ad accumularsi di giorno in giorno al debito mostruoso che gli Italiani si accolleranno sulle proprie spalle da qui per le prossime due o tre generazioni, se va bene. Non passa giorno che spunti un nuovo creditore a reclamare milioni di euro. Ci si è messa pura l'Enac a chiedere alla morta Alitalia di estinguere un debito di 1,7 milioni di euro. Ma come potrebbe un morto pagare una cifra del genere? Infatti, non può: pagheremo noi anche questa.

Intanto, siccome un morto è pur sempre un morto e più di tanto non può fare, il traffico aereo in Italia sta andando al collasso. Se Colaninno non si spiccia a partire con Cai, ci ritroveremo un paese in ginocchio (anzi, a piedi) alla vigilia delle vacanze. E poi vaglielo a spiegare ai vacanzieri inferociti con le valigie già pronte in mano. Allora sì che potremmo assistere a scene da terzo mondo.

Il commissario straordinario Fantozzi, per tentare di tenere insieme la baracca, sta apportando sforbiciate su sforbiciate. A dicembre Alitalia vedrà i propri voli ridotti del 50%: la metà esatta. Dai 550 collegamenti garantiti fino a qualche settimana fa si scenderà a poco più di 200. Rimarranno garantite le tratte più redditizie, cioè quelle intercontinentali, e verranno sacrificate quelle nazionali ed internazionali. A livello nazionale i tagli arriveranno addirittura al 75%. Intere zone Italiane completamente prive di collegamenti. Un esempio? La Puglia. Da qualche giorno è praticamente impossibile raggiungere Roma o Milano dagli aeroporti di Bari e Brindisi. Ma anche l'Emilia Romagna con Bologna che perde 3 voli giornalieri su 4 verso e da Roma. Ma anche Parma, Venezia, Trieste, Verona. E poi tutta la Sicilia, sempre più scollegata dal continente.

Un paese sull'orlo della paralisi. Una situazione davvero da terzo mondo. Gli Enti locali e i sindaci sono sul piede di guerra e contestano apertamente l'operato della compagnia di bandiera. Persino Schifani si è attivato per "scongiurare il grave depotenziamento degli scali siciliani".

Sui media nazionali non viene fatto alcun cenno di tutto questo.
Si veleggia vento in poppa con la sentenza di Olindo e Rosa, che darà da parlare per settimane e settimane a venire. E poi di nuovo il terrorismo, con Frattini che, tornato accidentalmente dalle Hawaii, si ricorda di essere ministro e torna a predicare una lotta porta a porta contro il fanatismo estremista. E poi il gran freddo, le nevicate e il gelo, che di questa stagione è davvero un evento eccezionale.

Intanto, nel gran silenzio, una voce era trapelata. Subito sopita, nascosta, cancellata.
Si vocifera che Fantozzi, il super commissario straordinario di Alitalia, una volta che avrà finito il suo mandato, cioè quello di staccare la spina al morto e consegnare tutta la sua eredità (solo quella in attivo, si intende) nelle mani di Cai, percepirà pure un compenso per la prestazione offerta.

Quindici milioni di euro.

Qunidici
milioni
di euro.

Roba che, con quei soldi, ci potrebbero assumere di nuovo tutti i futuri cassintegrati.

martedì 25 novembre 2008

La restaurazione


L'altro giorno ho letto il titolo di un articolo del Corriere e mi sono ribaltato sulla sedia.
Recitava: "Berlusconi: insulti e bugie dalle tv".
Non volevo credere ai miei occhi.
Per un attimo mi son detto: "Vai a vedere che finalmente qualcuno si è accorto che il premier spara balle a raffica".

Invece no.
Il senso di quel titolo era ovviamente l'inverso: era il premier Silvio Berlusconi che si lamentava, ancora una volta, di "essere preso per i fondelli e insultato" da tutti i comici satirici presenti su tv pubblica e privata. Sai che novità. Un consiglio: se smettesse di fare il buffone ad ogni occasione che gli capiti a tiro (per esempio giocare a "bubu-sèttete" con la Merkel o raccontare barzellette sui negri abbronzati a un attonito Medvedev), forse i "comici rossi" avrebbero meno spunti a cui attaccarsi per i loro monologhi.

Per quanto riguarda le bugie, invece, beh, non gli si può dire niente: lui parla da esperto professionista. L'altro giorno, per dire, ne ha sparata una tanto grossa, ma talmente grossa...che non ha sortito praticamente alcuna reazione da parte della stampa e dell'opinione pubblica al seguito. E' così ormai da tempo: più enormi sono le boutade, più passano sotto silenzio. E' un gioco al massacro, in cui Berlusconi palleggia con la coscienza degli Italiani spostando di volta in volta, sempre più in là, il paletto della decenza. Dice: "Vediamo se si bevono pure questa!". Lui la butta lì, gli Italiani se la bevono e lui allora ne pensa una ancora più grossa.

In questi anni ha potuto dire di tutto. Ha sdoganato il fascismo, ha sdoganato la P2, ha sdoganato la mafia. E gli Italiani in tutta risposta l'hanno votato e rivotato.

L'altro giorno ne ha sparata una che neanche lui credeva sarebbe stata lasciata passare così per così. E invece no. Gli Italiani sono riusciti a stupirlo di nuovo: nessuno ha detto beh. L'altro giorno, con nonchalance, è riuscito a sdoganare pure le mummie della prima repubblica. Ha dichiarato: "Nel ’92 la magistratura iniziò un’azione verso i cinque partiti democratici che, pur con molti errori, erano riusciti a garantire per 50 anni progresso e benessere". Badate bene, la novità non sta nell'attacco ai magistrati di Mani Pulite: questa è ormai roba vecchia, trita e ritrita. La novità sta nel revisionismo sull'operato del pentapartito, capeggiato dalla vecchia DC, che, secondo la versione berlusconiana, ha regalato "50 anni di progresso e benessere".

Chissenefrega se Andreotti se la faceva con i mafiosi. Chissenefrega se Craxi si prosciugava le casse dello stato. Chissenefrega se la politica era in mano a chi pagava più tangenti. Sono solo degli "errori", del tutto giustificabili in vista di un presunto benessere comune.

Ma ve lo ricordate voi lo sdegno di un'Italia intera che seguiva in fibrillazione davanti alla televisione i suoi politici più potenti comparire uno dopo l'altro davanti ai giudici di Milano con facce tremanti e impaurite a cercare di spiegare dove e in che modo avessero fatto sparire i soldi? Ma ve la ricordate voi la rabbia feroce di un'Italia intera che tifava a gran voce per il pool di Borrelli, che faceva cortei, che si radunava in piazza e lanciava una pioggia di monetine a uno spaurito Bettino Craxi all'uscita dall'hotel Raphael?

Dove è finito l'orgoglio di una nazione intera?
Dove è finita la coscienza di un popolo intero?

E' mai possibile che 15 anni di Berlusconi abbiano trasformato così prepotentemente le coscienze da renderle insensibili oltre ogni possibile immaginazione? Che futuro avrebbe avuto, sedici anni fa, un politico che avesse inneggiato alla partitocrazia della prima repubblica maledicendo i danni apportati da un'inchiesta come quella di Mani Pulite? Nessuno. Sarebbe stato preso a calci, se non peggio. Oggi Berlusconi, invece, lo può dire e trova di fronte un'opinione pubblica incancrenita che o lo applaude o, al massimo, non dice niente. Tutto gli scorre sopra. Abituata ormai al peggio del peggio.

E in questo clima di restaurazione perpetua, la sinistra veltroniana, "moderata e riformista", non trova di meglio che accapigliarsi per la poltrona più inutile della storia, la Presidenza della Vigilanza RAI, usata da D'Alema & friends come grimaldello per scardinare la leadership di Veltroni in vista della disfatta alle prossime elezioni amministrative.

La sinistra radicale, invece, quella che è scomparsa dal parlamento, oggi discute se sia il caso o meno di candidare alle Europee, per meriti acquisiti sul campo, Vladimir Luxuria. Il/la trans è infatti reduce da niente po' po' di meno che L'Isola dei Famosi, in cui ha ottenuto una vittoria esaltante a furor di popolo. Liberazione la celebra con un titolo in prima pagina che è tutto un programma: "Vladimir come Obama".

Beh, in effetti, se questa è la sinistra che è scomparsa dal parlamento, un motivo pure ci sarà.