giovedì 14 maggio 2009

Lo Stato protettore


Lo Stato prima l'ha usato poi l'ha gettato via. Come si fa con un rotolo di carta igienica. Ci si è pulito il deretano e poi ha tirato lo sciacquone.

Pino Màsciari (con l'accento sulla prima "a") è uno dei più importanti "testimoni di giustizia" ancora viventi in Italia. Il termine "testimoni di giustizia" si riferisce a quei cittadini che, non volendo cedere ai ricatti della mafia, decidono di denunciare i propri estorsori facendo nomi e cognomi e aiutando lo Stato a smantellare pezzi di criminalità organizzata.

Pino Masciari ha osato mettersi contro la più potente organizzazione mafiosa italiana, la 'Ndrangheta. Ha denunciato connivenze, pressioni, ricatti, racket. Ha fatto nomi e cognomi. Ha fatto andare in galera fior di delinquenti. Ha scelto di rinunciare per sempre alla propria vita in cambio di un bene supremo: la dignità della giustizia.

Pino Masciari non è un eroe. Non è nemmeno un martire, visto che non l'hanno ancora fatto fuori (anche se le minacce arrivano a getto continuo). Pino Masciari è semplicemente pazzo.

Un pazzo che ha donato la propria vita, quella di sua moglie e quella dei suoi due figli allo Stato. Un pazzo che, nonostante tutto, ha creduto (e crede ancora) nelle Istituzioni. Da quando ha denunciato i propri estorsori, Pino e la sua famiglia sono entrati in un tunnel senza fine. Sono stati trasferiti in una località segreta, hanno perso la loro identità, sorvegliati ventiquattro ore su ventiquattro. Una non-vita.

Al termine del programma speciale di protezione, quando sono terminati i processi a carico dei suoi estorsori, la Stato l'ha ringraziato: tanti saluti e arrivederci.

A Pino Masciari e alla sua famiglia è stata tolta la scorta. Non serve più. Ora possono pure arrangiarsi. Lui e la sua famiglia sono stati lasciati soli di fronte al pericolo. Non hanno più protezione. La località in cui vive la sua famiglia è tutt'altro che segreta. La 'Ndragheta potrebbe colpirli in ogni momento. Se non l'ha ancora fatto è perchè una fetta della società civile si è mossa e si è stretta fisicamente attorno a loro. Sono normali cittadini, ragazzi, ragazze, si fanno chiamare "gli amici di Pino Masciari". Lo seguono dappertutto. Sono i suoi angeli custodi, le sue guardie del corpo, la sua assicurazione sulla vita.

Pino Masciari è da mesi che chiede giustizia. Non può sopportare, prima per la sua famiglia che per , di vivere in una situazione atroce di esposizione totale al pericolo. E' qualcosa di insostenibile. C'è una sentenza del Tar del Lazio che gli dà ragione e riconosce l'importanza dei testimoni di giustizia e la necessità di garantirne l'incolumità sempre. Sempre. Non solo quando fa comodo.

Nonostante la sentenza del Tar, Pino non ha ricevuto alcuna risposta dalle Istituzioni. Ha allora deciso di compiere un gesto estremo. Ha annunciato, col consenso della moglie, di voler iniziare lo sciopero della fame e della sete e di lasciarsi morire nel caso in cui non gli venisse riproposta la scorta e non venisse reinserito in un programma di protezione speciale. Ha deciso di restituire alla sua famiglia quella vita che le è stata tolta. Con l'estremo sacrificio. Ha iniziato lo sciopero ieri davanti al Quirinale. Ha aspettato ore. Napolitano non si è fatto vivo. A tarda sera è arrivato un laconico comunicato in cui si diceva che sarebbe stato ricevuto nei giorni a seguire dal Viminale.

Pino oggi si è recato al Viminale. Ore e ore di colloqui con il Ministro dell'Interno Maroni, quello a cui piace tanto essere cattivo con gli extracomunitari. Stando agli ultimi aggiornamenti, il colloquio si sarebbe concluso in un nulla di fatto.

Lo Stato non ha i soldi l'interesse di proteggere uno dei suoi uomini migliori. Lo Stato ha invece i soldi per garantire la scorta, con tanto di auto blu lampeggiante, a Bruno Vespa ed Emilio Fede: lo Stato protettore, nel senso delle prostitute.


Dal blog www.pinomasciari.org:

Giuseppe Masciari è un imprenditore edile calabrese, nato a Catanzaro nel 1959, sottoposto a programma speciale di protezione dal 18 ottobre 1997, insieme a sua moglie (medico odontoiatra) e ai loro due bambini.

Pino ha denunciato la ‘ndrangheta e le sue collusioni con il mondo della politica. La criminalità organizzata ha distrutto le sue imprese di costruzioni edili, bloccandone le attività sia nelle opere pubbliche che nel settore privato, rallentando le pratiche nella pubblica amministrazione dove essa è infiltrata, intralciando i rapporti con le banche con cui operava. Tutto ciò dal giorno in cui ha detto basta alle pressioni mafiose dei politici ed al racket della ‘ndrangheta.

Il sei per cento ai politici e il tre per cento ai mafiosi, ma anche angherie, assunzioni pilotate, forniture di materiali e di manodopera imposta da qualche capo-cosca o da qualche amministratore, nonché costruzioni di fabbricati e di uffici senza percepire alcun compenso, regali di appartamenti, e acquisto di autovetture: questo fu il prezzo che si rifiutò di pagare.

Fu allontanato dalla sua terra per l’imminente pericolo di vita a cui si è trovato esposto lui e la sua famiglia.

Da quando operava nella sua attività con le sue aziende, Pino Masciari non si arrese mai ai soprusi della ‘ndrangheta, si ribella, riferisce all’Autorità Giudiziaria e denuncia, fino al punto di decidere la chiusura delle sue imprese licenziando nel settembre 1994 gli ultimi 58 operai rimasti.

Ingresso nel Programma Speciale di Protezione

Il 18 Ottobre 1997 Pino, Marisa e i due figli appena nati entrano nel programma speciale di protezione e scompaiono dalla notte al giorno: niente più famiglia, lavoro, affetti, niente più Calabria. Pino testimonia nei principali processi contro la ‘ndrangheta e il sistema di collusione, quale parte offesa e costituito parte civile. Diventa “il principale testimone di giustizia italiano”, così lo definisce il procuratore generale Pier Luigi Vigna. Inizia il CALVARIO: accompagnamenti con veicoli non blindati, con la targa della località protetta, fatto sedere in mezzo ai numerosi imputati denunciati, intimidito, lasciato senza scorta in diverse occasioni relative ai processi in Calabria, registrato negli alberghi con suo vero nome e cognome, senza documenti di copertura. Troppi episodi svelano le falle del sistema di protezione che dovrebbe garantire sicurezza per lui e la famiglia.

2001. Con la legge 45/2001 si istituisce la figura del testimone di giustizia, cittadino esemplare che sente il senso civico di testimoniare quale servizio allo Stato e alla Società.Il 28 Luglio 2004, la Commissione Centrale del Ministero degli Interni gli notifica “che sussistono gravi ed attuali profili di rischio, che non consentono di poter autorizzare il ritorno del Masciari e del suo nucleo familiare nella località di origine; Ritenuto che il rientro non autorizzato nella località di origine potrebbe configurare violazione suscettibile di revoca del programma speciale di protezione”.

Il 27 Ottobre 2004, tre mesi dopo, la stessa Commissione Centrale del Ministero degli Interni gli notifica il temine del programma speciale di protezione. Tra le motivazioni si indica che i processi erano terminati. Cosa non vera: i processi erano in corso e la D.D.A. di Catanzaro emetteva in data , 6 febbraio 2006 successiva alla delibera, attestato che i processi era in corso di trattazione.

19 Gennaio 2005, Pino fa ricorso al TAR del Lazio contro la revoca, azione che gli permette di rimanere sotto programma di protezione in attesa di sentenza.

1 Febbraio 2005, senza tenere conto del ricorso già in atto, la Commissione Centrale del Ministero dell’Interno delibera ancora una volta di “ invitare il testimone di giustizia Masciari Giuseppe ad esprimere la formale accettazione della precedente delibera ricordando che alla mancata accettazione da parte del Masciari, seguirà comunque la cessazione del programma speciale di protezione”.

Il 19 Maggio 2006, il legale di Masciari invia una nota alle Autorità competenti per segnalare che i Tribunali erano stati notiziati della fuoriuscita del Masciari dal programma di protezione per cui lo stesso non risultava essere più soggetto a scorta per accompagnamento nelle sedi di Giustizia. Pino Masciari si è recato ugualmente nei processi con senso di DOVERE, accompagnato dalla società civile.

Gennaio 2009, dopo 50 mesi a fronte dei 6 mesi stabiliti dalla legge 45/2001 art.10 comma 2 sexies-, il TAR del Lazio pronuncia la sentenza riguardo il ricorso e stabilisce l’inalienabilità del diritto alla sicurezza, l’impossibilità di sistemi di protezione o programmi a scadenza temporale predeterminata e ordina al Ministero di attuare le delibere su sicurezza, reinserimento sociale, lavorativo, risarcimento dei danni. Pino Masciari per tramite del suo legale fa richiesta formale dell’ottemperanza della sentenza.

Aprile 2009 Non avendo ricevuto nessuna risposta dalla Commissione Centrale del Ministero dell’Interno, Pino annuncia la volontà di cominciare il 7 aprile lo sciopero della fame e della sete, fintanto che non vedrà rispettati i diritti della sua famiglia ancor prima che i propri. Lo sciopero della fame è l’ultima risorsa, noi la supportiamo vista l’urgente necessità di tornare a vivere. Grazie a pino Masciari abbiamo imparato ad amare lo STATO. Dodici anni di sofferenza e esilio sono un prezzo altissimo che i Masciari hanno pagato con dignità, senza mai rinnegare la scelta fatta. E’ ora che questo STATO riconosca loro quanto dovuto. Noi, Società Civile, non possiamo accettare questa scelta senza lottare fino all’ultimo istante al fine di evitare l’ ennesimo estremo sacrificio della famiglia Masciari. Basta una firma, e la volontà di apporla. Per i cittadini, lo STATO e la Costituzione. Per la Famiglia Masciari.

sabato 9 maggio 2009

Sono loro che sono negri


Sarà che sono stati umiliati giorno dopo giorno in questo primo anno di governo, sarà che ogni volta che aprono bocca vengono presi a schiaffoni dai propri alleati, sarà che ogni loro proposta è stata sempre rigorosamente bocciata, prima di tutto dalla stessa maggioranza a cui appartengono, sarà che abbaiano abbaiano, ma nessuno alla fine gli dà retta, sarà un po' per tutto questo che i Leghisti al governo sono ormai costretti a spararne sempre di più grosse e mostruose per cercare di coprire davanti ai propri elettori i devastanti fallimenti di un anno passato a scodinzolare sotto il deretano dell'imperatore, a cui hanno concesso tutto in cambio di un federalismo fantoccio.

Si sono giocati la faccia sulla lotta all'immigrazione clandestina e tutti sappiamo come è andata a finire: con una proposta di legge farsa, per cui il clandestino può essere di fatto tratto in carcere solo se viene colto nell'istante esatto in cui sta per varcare illegalmente il confine; una volta che è dentro è chiaro che può dire di esserci entrato da tempo, quando la legge ancora non era in vigore, e la farà franca. Si sono giocati la faccia sulla questione sicurezza e tutti sappiamo come è andata a finire: con una proposta farsa prima di ronde fai da te, poi di ronde guidate, poi di ronde scelte, poi di ronde di pensionati, poi di ronde fantasma nel senso che ormai l'idea è stata accantonata e non ne parla più nessuno, tanto grande era l'idiozia della cosa. Si sono giocati la faccia sulla lotta agli stupri e tutti sappiamo come è andata a finire: con la proposta farsa di spargere militari per le strade; non solo non si è registrato un solo stupro sventato per opera dei nostri soldatini, ma anzi i casi, a sentir la stampa, si sono impennati.

Si sono giocati la faccia con la lotta agli sprechi di Roma ladrona che succhia il sangue padano e tutti sappiamo come è andata a finire: Berlusconi ha elargito 140 milioni di euro a fondo perduto attingendo dalle tasche padane per risollevare le sorti del comune di Catania, portato alla bancarotta e al collasso (non avevano più nemmeno i soldi per illuminare le strade) proprio dal suo medico personale, Umberto Scapagnini, per questo promosso a parlamentare del Pdl. Si sono giocati la faccia sulla tassazione abnorme dell'immigrato regolare e sappiamo tutti come è andata a finire: con la proposta farsa di aumentare a dismisura i costi e la burocrazia anche per un semplice rinnovo di permesso di soggiorno. Dopo la levata di scudi persino del Vaticano, Berlusconi è stato costretto a intervenire direttamente e far votare contro la sua stessa maggioranza. Si sono giocati la faccia sulla caccia senza quartiere al clandestino e tutti sappiamo come è andata a finire: con la proposta farsa di imporre ai medici l'obbligo di denuncia. Dopo un'insurrezione dello stesso ordine dei medici, declassati a meschini delatori, hanno dovuto fare marcia indietro con la coda tra le gambe. Ci hanno riprovato con la proposta farsa di imporre alle scuole l'obbligo di denuncia dei bambini non in regola. Fini li ha zittiti e la norma è stata cancellata dal decreto. Si sono giocati la faccia sulla permanenza degli immigrati nei centri di accoglienza di Lampedusa e tutti sappiamo come è andata a finire: con la proposta farsa di allungare a sei mesi il periodo di detenzione in condizioni sanitarie devastanti. Proposta sonoramente bocciata da tutto il Parlamento.

Basterebbe questo per spiegare la frustrazione di un partito, nato sull'onda della protesta alla corruzione e al malaffare e ridòttosi ormai al partito più populista che l'Italia abbia mai conosciuto, costretto a far leva sugli istinti più bassi e più beceri dei propri elettori per mantenere il consenso tra le proprie valli e magari estenderlo al di sotto del Po.

Sono sostanzialmente due le situazioni imbarazzanti che mi sono balzate all'occhio in quest'ultimo periodo. Innanzitutto la gioia e l'esultanza da stadio del nostro ministro dell'Interno Maroni alla notizia che un carico di disperati raccattati da tre barconi nel Canale di Sicilia è stato restituito al mittente: "E' una svolta storica", ha affermato in tripudio. La notizia ha immediatamente infuocato i cuori padani, che per la prima volta vedono realizzato il sogno di cacciare indietro l'invasore. Sui siti di informazione online, commenti del tipo: "Sono proprio contento di aver votato Lega", si sprecano. Saltellano, i poveretti, con le braccia alzate e i pugni in segno di vittoria. Li vedo già brindare nelle loro case alla sventata minaccia.

Se solo sapessero che c'è ben poco da rallegrarsi. E non tanto perchè la Chiesa ha immediatamente stigmatizzato l'accaduto, l'Onu si è detta preoccupata e Fini ha dovuto di nuovo tuonare contro gli alleati, quanto perchè, se solo si informassero un po', scoprirebbero qualcosa che li lascerebbe di sasso. In questo primo anno di governo, in cui la Lega ha preso in mano le redini della lotta all'immigrazione clandestina, gli sbarchi sulle coste Italiane sono raddoppiati rispetto all'anno precedente, quando in carica c'era ancora un derelitto governo Prodi. I dati del Viminale sono impietosi: al 22 aprile, nei primi mesi del 2009, sono sbarcati in Italia circa 6000 clandestini contro i circa 3000 dei primi mesi del 2008. Se si vanno a guardare poi le statistiche annuali complessive, si scoprirà che nel 2007 gli sbarchi accertati sono stati 20.455, a fronte di 36.952 nel 2008. Un aumento esponenziale di circa il 90%.

Basterebbero questi dati per far capire quanto la situazione immigrazione sia critica e rappresenti qualcosa da studiare ed affrontare in modo serio. C'è ben poco da ridere e ben poco di cui essere soddisfatti per quel carico di disgraziati partiti da chissà dove e risbattutto a casaccio sulle coste libiche. Si perchè, mano a mano che la vicenda si fa più chiara, si scopre che in tutta questa trionfale operazione sono stati violati i più elementari diritti umani. Lo spiega molto bene Gian Antonio Stella, sempre molto puntuale, sul Corriere di oggi: circa un terzo dei poveracci ripescati, secondo il Consiglio dei Rifugiati, avrebbe avuto diritto all'asilo politico. Avrebbe avuto, perchè invece non si è andati per il sottile e senza sapere nemmeno chi fossero e da dove venissero si è deciso di buttarli nelle mani del nostro amicone Gheddafi.

Siamo veramente sicuri che questo è il modo per garantire la sicurezza del nostro paese? Siamo veramente sicuri che la sicurezza del nostro paese sia minacciata da un branco di disperati pronti a sfidare un viaggio assurdo in mare aperto per giorni e giorni con minime probabilità di sopravvivenza pur di sfuggire ai loro paesi? Siamo sicuri che sia veramente questo ciò da cui dobbiamo difenderci? Ci sentiamo veramente tutti più sicuri ora che sono stati cacciati con un calcio nel culo e abbandonati al loro destino?

Conosco già la risposta: l'Italia non è il paese del Bengodi, ha già tanti problemi di per , non ha bisogno di andarsene a cercare altri accogliendo disgraziati senza nome che ben che vada finiranno nelle mani della criminalità organizzata, non è questione di insensibilità, è questione di buon senso, non si può accogliere tutti indiscriminatamente senza essere in grado di offrire loro la certezza di un lavoro e di un riscatto sociale.

E' un discorso che può avere una sua logica. E' innegabile che sia fuori luogo ogni paragone con l'emigrazione Italiana in America tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, non foss'altro perchè gli Stati Uniti erano e sono tuttora un paese molto giovane, con potenzialità di sviluppo enormi e interi territori letteralmente ancora da popolare. L'Italia è un paese, per sua conformazione fisica, angusto e montuoso, con un mercato del lavoro altamente saturato dove è di per molto difficile l'inserimento di popolazione straniera. E non sto parlando di integrazione culturale. Sto parlando di difficoltà o quasi impossibilità di trovare un lavoro, specialmente in questo periodo di crisi. Non è un caso che i nuovi morti di fame che vanno a chiedere un tozzo di pane alla Caritas siano famiglie italianissime, in cui i genitori hanno ricevuto una lettera di licenziamento senza preavviso. Il problema è innegabile e serio.

Il punto è capire come far fronte ad una situazione di questo tipo. Lo dico chiaramente. Sono schifato dal finto pugno duro di un Maroni che dice apertamente di voler essere "cattivo con gli immigrati", che gioisce per essere riuscito nell'immane intento di cacciar via tre barconi di poveracci e che poi si trova impotente di fronte alla condizione delle coste italiane, su cui gli sbarchi aumentano in maniera incontrollata. Così come sono schifato del finto buonismo di una sinistra che al grido "siamo tutti fratelli", nei suoi anni di governi, non ha mosso un dito per risolvere il problema. Sono entrambi modi populistici per lavarsene le mani. Siccome nessuno sa come poter mettere una pezza al fenomeno, la destra, per farsi bella davanti al proprio elettorato, fa la voce grossa e mostra i pugni senza per altro combinare nulla, la sinistra invece si trincera pilatescamente dietro al mito dell'Italia generosa e solidale. In entrambi i casi il risultato è lo stesso: il problema rimane ed aumenta di giorno in giorno. E, a guardare le cifre, c'è da immaginare che prima o poi esploderà in tutta la sua gravità.

E' fuori di dubbio che questo governo che grida "all'immigrato! all'immigrato!" è quanto di più inadatto per poter pensare non di arrivare ad una soluzione della questione, ma quantomeno di arginarne la portata. Non è agitando lo spettro dell'immigrato assassino e stupratore, non è ricacciando indietro i barconi senza assicurare loro nemmeno un minimo soccorso e cure mediche, non è costruendo autostrade milionarie a Gheddaffi che l'Italia può sperare di fare un passo avanti. Il problema immigrazione deve essere portato in Europa, perchè non è non può essere un problema solamente italiano. Altrimenti cosa ci stiamo a fare in Europa? Servono trattati a livello internazionale, serve diplomazia, serve collaborazione tra gli stati membri. Purtroppo, per poter mettere in atto tutto ciò, gioverebbe che l'Italia avesse un minimo di reputazione all'interno dell'UE. Mi verrebbe da dire che le sceneggiate e le pagliacciate del nostro premier in trasferta non aiutino un granchè. Chiedere alla Merkel, alla regina Elisabetta, a Obama per conferma.

Il secondo punto (e ci dedico solo due righe) è la proposta provocatoria del leghista Salvini di riservare i posti della metropolitana solo ai Milanesi. Come possa una mente umana partorire un'idea tanto schifosa non è dato sapersi. Gronda di razzismo strisciante, di putrida demonizzazione non del "diverso" in , ma del diverso in quanto forestiero. Secondo questa logica una madre incinta senegalese dovrebbe cedere il posto a una madre incinta milanese. E' una logica aberrante, il cui rifiuto va al di là di ogni buonismo. Questa è semplicemente ignoranza, ignoranza grassa allo stato puro. Un'ignoranza talmente povera che non fa difficoltà ad attecchire.

Volete un esempio? Per quanto possa valere, nel sondaggio del Corriere, più di un utente su quattro si è detto d'accordo con Salvini. Sarebbe stato orrendo anche se fosse stato solo uno su dieci. Ma sentite cosa ha il coraggio di scrivere oggi Giovanni Giacalone su Libero: "I trasporti pubblici sono, effettivamente, sovraffollati, con pochi posti a sedere rispetto alle necessità, insicuri ed utilizzati da quanti sono esclusi dalla fiera delle macchine con autista a spese della collettività. Pieni di gente infastidita dal contatto sempre più stretto con immigrati meno adusi alle cortesie ed alle docce".

Se la facesse lui una bella doccia, ma ghiacciata. Nella speranza che rinsavisca e smetta di scrivere oscenità sul giornale più finanziato dai soldi pubblici che esista in Italia.

mercoledì 6 maggio 2009

Il terremoto? Un terno al Lotto


E' passato esattamente un mese da quel maledetto 6 aprile che si è portato via una regione intera, case, ospedali, chiese, scuole e con anche centinaia di anime disgraziate, col solo torto di trovarsi a dormire nel posto sbagliato al momento sbagliato. E' passato solo un mese e, come prevedibile, i riflettori sulle macerie si sono completamente spenti. La schiera di giornalisti con la bava alla bocca, assatanati, alla ricerca estenuante del sangue, della lacrima, dell'orsacchiotto impolverato si sono improvvisamente ritirati su ordine dei propri editori. Non c'è più lacrima che si possa spremere, ne c'è più goccia di sangue che si possa versare per soddisfare la morbosità del pubblico. Il terremoto, lasciato alla sua squallida normalità di disastro e vite distrutte, ormai non fa più notizia: la "normalizzazione" fa calare il sipario. Le decine di migliaia di sfollati che si arrabattano tra una tenda e una macchina, sottoposti al freddo e alle intemperie, sono tornati ad essere come d'incanto parte integrante della schiera dei "vinti", delle cui storie l'Italia è piena e a cui va ogni tanto, ma sempre più sporadicamente, il nostro pensiero, compassionevole, ormai distaccato.

Nel frattempo sono scoppiate altre due emergenze molto più gravi. Che poi è una sola, declinata in due modi differenti: la febbre suina, intesa nel senso del maiale, e la febbre suina, intesa nel senso delle "pulsioni irrefrenabili" del nostro presidente del consiglio. Cosa che, per inciso, ha fatto sbroccare la Veronica e ha fatto andare in estasi il nostro Vespa, che aveva già pronto il plastico della discoteca dove si sarebbe svolta la festa incriminata della neodiciottenne e che ha utilizzato il servizio pubblico per lasciar sfogare un marito contro la propria moglie. Che quel marito fosse anche il presidente del consiglio è un dettaglio del tutto trascurabile. Ma tant'è. Il 33% di share gli ha dato ragione. Un Italiano su tre inebetito davanti al one man show.

Mentre dunque l'Italia dibatte sul fatto che il divorzio tra i due sia da considerarsi o meno un evento di dominio pubblico e mentre Berlusconi, dopo aver spiattellato davanti a 60 milioni di Italiani le proprie beghe famigliari facendo un uso quanto meno imbarazzante del servizio pubblico e dopo aver venduto alla stampa scandalistica foto taroccate della festa napoletana, afferma soddisfatto di aver "gestito con classe la separazione", passano via, colpevolmente trascurate dall'opposizione, notizie di fondamentale importanza. Come, ad esempio, il decreto legge numero 39 in materia di norme eccezionali per far fronte all'emergenza Abruzzo e alla sua ricostruzione. Berlusconi ci ha speso la faccia, e non solo, su una pronta ricostruzione della regione. Come a Napoli, sommersa dai rifiuti, aveva detto che sarebbero tornati a spuntare i fiori dai cassonetti, così, ballando allegramente sui morti, tra una battuta oscena e l'altra, tra un tentativo di palpata e l'altro, fantasticava di new town e L'Aquila 2 la vendetta, sul modello della sua Milano2, "la città dei numeri uno".

Peccato che, dopo aver letto attentamente il decreto, ai terremotati è dapprima venuto un tuffo al cuore, poi ha cominciato a montare la rabbia. Perchè l'ennesima truffa, l'ennesimo spot pubblicitario si è materializzato davanti ai loro occhi. A tutti, più o meno, era chiaro che in Italia non ci fosse una lira per la ricostruzione: non c'era una lira prima del terremoto, figuriamoci dopo. Ma un conto è prospettare agli sfollati una realtà inevitabilmente dura, ma obiettiva, un conto è prenderli bellamente per il culo, sfruttando la loro debolezza, la loro condizione di bisogno disperato e la loro buona fede per accalappiare voti e poi lasciarli lì, nella loro miseria, ad arrangiarsi.

Perchè questo è quello che sta succedendo. Se nei prossimi giorni il testo del decreto non verrà modificato da opportuni emendamenti, per l'Abruzzo sarà un disastro. Forse più grande di quello lasciato dalle scosse di terremoto. Ci sono tanti punti oscuri nel decreto. Vorrei soffermarmi su quattro in particolare.

Il primo riguarda i soldi freschi messi a disposizione da Tremonti per la costruzione delle prime abitazioni di emergenza. Si tratta di 700 milioni di euro. Saranno impiegati un due tranches: 400 entro la fine del 2009 e 300 nella primavera del 2010. Il decreto definisce queste dimore provvisorie "a durevole utilizzazione". Cosa significa, si chiedono allarmati gli sfollati? E' più che concreto lo spettro di doversi abituare a vivere in queste casette di legno per anni e anni a venire. La prospettiva di tornare nelle proprie case, quelle vere, di vedere L'Aquila risorgere dalle proprie ceneri, si sta definendo in queste ore sempre più come una chimera.

Tanto più che qui finiscono i soldi veri. Tutte le fantasmagoriche promesse recitate a favore di telecamera si sono ridotte a questo misero provvedimento che, lungi dall'essere provvisorio, stiamone certi, formalizzerà lo status quo da sfollati ad aeternum. E qui arriviamo al secondo punto. Dove sono finiti tutti quei miliardi di euro che erano stati annunciati? Si era parlato di qualcosa come 13 miliardi di euro per la ricostruzione completa. Erano evidentemente soldi finti. E il governo non prova vergogna nel metterlo nero su bianco. Se si va a guardare l'articolo 18 del decreto alla voce "Copertura finanziaria" e si fanno le somme con una semplice calcolatrice si scoprirà che l'ammontare dei finanziamenti statali si aggira attorno a poco meno di 5 miliardi di euro. Ma la beffa più atroce è che quei soldi verranno spalmati nell'arco di 25 anni! Avete capito bene: i terremotati finiranno di ricevere i finanziamenti nel 2033. Una data francamente ridicola, a fronte delle dichiarazioni di un presidente del consiglio, che giocando come al solito con le parole, prometteva un ritorno alla normalità nel giro di qualche mese.

Il terzo punto è che questi fantomatici miliardi di euro non esistono. C'è scritto nel decreto. Ora come ora, non ci sono. Per recuperarli, il governo si impegnerà ad indire giochi a premi e lotterie. Non sto scherzando. Tutta la copertura finanziaria è basata su ricavi aleatori provenienti da Lotto, Enalotto, estrazioni e slot machines. Sembra una pagliacciata inconcepibile, invece è l'unica soluzione che questo governo ha trovato. Il futuro dei terremotati è letteralmente nelle mani di una roulette, che assomiglia sempre di più ad una roulette russa. Per non perderci completamente la faccia, il governo ha anche inserito un comma in cui si dice che parte dei soldi verranno recuperati dalla lotta all'evasione fiscale. Un ritornello ormai stantio, buono per ogni occasione. Quando non si sa dove recuperare la moneta, si parla di una non ben definita lotta all'evasore. Peccato che non ci sia una, dico una spiegazione di come tale contrasto all'evasione verrà messo in atto.

I cittadini abruzzesi sono giustamente in allarme e sul piede di guerra. Leggete la lettera che questa donna ha recapitato al Messaggero per farvi un'idea dell'inganno mostruoso e del raggiro a cui sono stati sottoposti i terremotati, che solo ora cominciano a prenderne coscienza. Hanno capito benissimo che questo decreto è un chiaro segnale alla popolazione disagiata: noi vi diamo soccorso per i primi aiuti, al resto dovrete pensare voi, perchè qui "nun c'è 'na lira". Si sentono abbandonati dallo Stato e ne hanno tutte le ragioni. Tanto più che sta montando lo spettro del vortice infinito dei mutui.

E qui arriviamo al quarto e ultimo punto. Per la ricostruzione vera, quella delle case in muratura, non in legno, il governo ha stabilito che il tetto massimo di spesa per ogni abitazione sarà di 150 mila euro. Ora, anche un non addetto ai lavori capisce che 150 mila euro bastano giusto giusto per tirar su una casa popolare e non certo per rimettere in piedi le più di 1000 case del centro storico de L'Aquila, dal valore elevatissimo. Come risponde lo Stato di fronte a questo problema? Ti dice: arrangiati. Se ti bastano quei soldi buon per te, se non ti bastano accenditi un mutuo, a tasso agevolato si intende! Ma la beffa più atroce è che di quei 150 mila euro lo Stato è disposto a metterne solo un terzo a fondo perduto. I restanti due terzi ce li dovranno mettere i privati cittadini, sempre grazie a dei mutui a tasso agevolato si intende!

Gli Aquilani sono allibiti di fronte ad una tale prospettiva. Temono giustamente di doversi vendere l'anima alle banche, in particolare ad una società, la Fintecna (tenete bene a mente questo nome), che compare come unica società autorizzata dal governo ad offrire dei mutui. Il sindaco de L'Aquila, Massimo Caliente, quello che prima del terremoto aveva mandato una lettera alla Presidenza del Consiglio dei Ministri informandolo sullo stato di emergenza della zona e chiedendo l'immediato intervento dello Stato, senza per altro ricevere alcuna risposta, ha già definito "sempre più oscuro" il ruolo di questa Fintecna, che di fatto, "rilevando gli immobili diventerà il primo azionista del Comune".

Che vantaggio ne trae il governo a svendere un'intera regione ad una società finanziaria? Chi controlla Fintecna? Quali interessi ci stanno dietro? Perchè gli Abruzzaesi sono stati messi nelle condizioni di buttarsi nelle grinfie delle banche? Interrogativi che probabilmente non avranno mai una risposta.

Nel frattempo, se fossi un Abruzzese, comincerei a comprarmi un bel po' di biglietti per la Lotteria di Capodanno.

domenica 3 maggio 2009

Grazie a Dio è anche pedofilo


All'album delle figurine mancava l'ultimo tassello. Dopo il presidente operaio, il presidente ferroviere, il presidente partigiano, il presidente pompiere, il presidente panettiere, il presidente cowboy, il presidente Al Capone, il presidente pirata, eccovi serviti l'ultima perla: il presidente pedofilo.

Lo rivela a chiare lettere non una spia del KGB, ma semplicemente la sua adorata "Signora", che a quanto pare si è stancata di fare la parte della cornuta silenziosa e ha iniziato a sparare a zero sul nostro grande presidente del consiglio svelandone le perverse abitudini amorose, fatte di incontri galanti e segreti, di costosi regali, di messaggini furtivi con "ragazzine minorenni". Non usa mezze misure la ormai ex First Lady Miriam Raffaella Bartolini, in arte Veronica Lario, che ha già dato disposizione al proprio avvocato di iniziare le pratiche per il divorzio e ha tratteggiato il marito come un vero e proprio caso clinico, un uomo malato, un inguaribile puttaniere: "Io ho fatto del mio meglio, tutto ciò che ho creduto possibile. Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. È stato tutto inutile".

Lungi da me ogni intento moralizzatore e ogni tipo di compassione per "la Veronica", che ai tempi conosceva benissimo il personaggio che si stava portando in casa. Sposato da quindici anni con Carla Elvira Lucia Dall'Oglio, padre di due figli (Marina e Pier Silvio), perde la testa per lei agli inizi degli anni Ottanta quando la vede recitare al Teatro Manzoni di Milano nella commedia di Fernand Crommelynck intitolata, ironia della sorte, "Il magnifico cornuto". La mette incinta salvo poi concordare con lei un aborto al settimo mese di gravidanza perchè il bimbo sarebbe nato malformato. Dopo cinque anni da questo episodio ufficializza il divorzio dalla moglie e dopo altri cinque anni, nel 1990, la sposa civilmente aprendole le porte del suo impero di Arcore. Dalla loro relazione nascono Barbara, Eleonora e Luigi.

Appare immediatamente evidente che le cause dell'annunciato divorzio non sono tanto da ricercare in una forma di gelosia per le "ragazzine avvenenti", quanto soprattutto nel timore di Veronica che i propri tre figli vengano penalizzati rispetto ai primi due avuti con la prima moglie, in termini di eredità. E quando si parla di eredità-Berlusconi non si parla di bruscolini. Mediaset è ovviamente il vero nodo al centro della contesa. Nel 2006 venne assegnato a ognuno dei suoi tre figli il 7,6% dell’azienda. A chi andrà il restante 63% delle azioni ancora in mano al premier e chi, veramente, prenderà il comando tra i cinque figli? Il minore, Luigi, è da poco entrato nel consiglio di amministrazione della Holding Quattordicesima e ha messo gli occhi sul fondo Sator della banca di Matteo Arpe. Barbara, che si sta laureando in Economia, ambisce apertamente alla Mondadori. La sorella minore, Eleonora, si sta facendo le ossa a New York e tornerà sicuramente a batter cassa.

Tralasciando dunque le beghe familiari, a cui sinceramente non sono per nulla interessato, ci sono tre considerazioni che vorrei fare. La prima riguarda lo squallido spaccato che ne esce di un uomo, prima ancora che di un presidente del consiglio, ammalato di potere, ammalato di egocentrismo, ammalato di auto adulazione, che crede che tutto gli sia dovuto e che possa fare ogni cosa al di qua e al di là della legge, al di qua e al di là di ogni freno morale. Questa ostentata volgarità, che è stata un po' il filo conduttore di tutta la sua vita, che ha portato prepotentemente nelle sue reti (ricordate la rivoluzione di Drive in) e che ha trasformato in valore portante e irrinunciabile in tutta la televisione di oggi, è lo specchio di un personaggio che, volente o nolente, incarna gli istinti più bassi e più gretti dell'Italiano medio con il sogno del denaro facile, della villa in Sardegna, dello yacht in Costa Smeralda, dell'elicottero in giardino e delle giovani amanti sparse un po' qua e là.

Non a caso Montanelli aveva sentito puzza di marcio e descriveva il fenomeno del "berlusconismo" come "veramente la feccia che risale il pozzo". Qui non c'entra tanto più l'uomo Berlusconi quanto l'ideale che egli rappresenta. E' per questo che gli Italiani lo amano tanto, perchè in fondo gli Italiani sono abbastanza ignoranti e un bel po' volgarotti e nella volgarità ci sguazzano contenti. Leggere l'intervista a quella povera ragazzina appena diciottenne che dice di chiamare il nostro presidente del Consiglio con l'affettuoso vezzeggiativo di "papi", credete, mi ha fatto una tristezza immensa. Non tanto per lei e per le sue parole così frivole e disarmanti: non ha colpe, è dentro un reality show più grande di lei. Quanto per i suoi genitori, che permettono alla loro bambina di flirtare con l'imperatore che ha messo gli occhi su di lei. Non so se vi rendete conto, ma siamo arrivati a dei livelli di tipo feudale, per cui lo ius primae noctis è non solo accettato, ma incoraggiato in vista di una futura carriera e visibilità.

Il comportamento libertino del nostro presidente del Consiglio, che di notte in gran segreto muove tutta la scorta e gli apparati di stato per atterrare alla festa di compleanno di una delle sue bambine, come le chiama lui, e si intrattiene con lei tutta la notte ricoprendola di regali e carinerie, prima ancora che mettere in luce un discutibile tratto depravato del personaggio, fotografa la degenerazione di una società, soprattutto giovane, giovanissima, cresciuta con il mito del Grande Fratello, della celebrità facile ad ogni costo, pronta a vendersi tutto pur di ottenere il posto che conta. La Noemi appena diciottenne ne è solo l'emblema. Le starlette del Grande Fratello fotografate sulle ginocchia del premier a Villa Certosa, le veline che popolano il suo harem in attesa di un cenno del maschio dominante sono le stesse che sgomitano per ottenere i favori del sultano e un seggio al parlamento Europeo.

Nessun telegiornale ne ha parlato, ma in seguito al dietro front di Berlusconi che ha ritirato tutte le candidature delle cosiddette veline, si sono riscontrate scene di disperazione di massa, attacchi di isteria collettiva di ragazzine a cui era stato promesso uno scranno in Europa. C'è chi dice di aver già messo la firma alla presenza di un notaio e si lamenta di essere stata buggerata. C'è chi se la prende con l'unica letteronza inserita in lista, la Barbara Matera, che "era l'unica che non faceva domande" allo stage di tre giorni organizzato da La Russa. C'è stato addirittura un padre che si è dato fuoco davanti a Montecitorio perchè alla figlia era stata promessa una candidatura ritirata all'ultimo momento. E' un chiaro segnale del delirio in cui la società, prima ancora che la politica, sta sprofondando. Il solo fatto che un presidente del consiglio possa pensare di pescare nel suo harem quattro o cinque predilette e metterle a correre al parlamento europeo rappresenta il disprezzo che quest'uomo nutre per le istituzioni democratiche e soprattutto per i suoi elettori, trattati come tanti bambini deficienti che lui è certo sarebbero pronti a votare persino il suo cavallo, se lo mettesse in lista.

La seconda considerazione riguarda l'ipocrisia di un uomo che dice di voler attrarre a il popolo cattolico, che afferma che "non dovrebbero esistere cattolici di sinistra", che lecca continuamente il Vaticano, che si fa paladino della difesa delle radici cristiane, che scende in piazza nel 2007 al Family Day a braccetto con Casini, entrambi pluri-divorziati, pluri-ammogliati e con figli e figliastri sparsi un po' ovunque. E qui mi fermo.

L'ultima considerazione riguarda le ripercussioni politiche che questo divorzio necessariamente avrà. Il colpo che Veronica ha oggi inflitto al Cavaliere è di quelli che lasciano il segno, tanto che lui non ha ancora osato rilasciare alcuna dichiarazione in merito. Starà confabulando con Ghedini la linea da seguire per non uscire con le ossa rotte da una vicenda decisamente imbarazzante. Quello che è certo è che Veronica con un paio di frasi al veleno che hanno fotografato fin troppo bene la degenerata situazione italiana ("Per una strana alchimia il paese tutto concede e tutto giustifica al suo imperatore") ha fatto più opposizione lei che Veltroni e Franceschini messi assieme in un anno di governo ombra. Sembra comico, ma probabilmente Veronica riuscirà nell'intento più arduo e sempre fallito da decine e decine di pm: portare Berlusconi davanti a un giudice.

Prevedo che ci saranno per il Pdl ripercussioni negative (anche se lievi) in termini di consensi, se non altro perchè gli Italiani sono i maestri del gossip e del pettegolezzo e questa storia non potrà essere messa a tacere tanto facilmente. Comincio anche a provare un po' di sincera compassione per lui. In questo ultimo periodo non gliene sta andando bene una. Prima il terremoto, ora persino la moglie che lo sbatte in prima pagina accusandolo di pedofilia. E come se non bastasse, sembra un vizio, all'uscita di ogni prefettura c'è sempre un drappello di facinorosi che lo contesta, lo fischia e gli urla "Vattene! Vattene!". E' successo due volte a Napoli e una volta Roma nel giro di una settimana.

Che sfiga. Ha il 75% dei consensi e lui chi si ritrova sempre davanti? Il 25%.

sabato 2 maggio 2009

Il silenzio dello stato


Esattamente sette mesi fa, il 2 ottobre 2008, alle 8:30 del mattino, il professor Adolfo Parmaliana esce di casa, sale sulla sua BMW 320 e imbocca l'autostrada Palermo-Messina. Giunto in prossimità di un viadotto all'altezza di Patti Marina, ferma la macchina e si butta di sotto. Si sfracellerà dopo un salto di 35 metri nel vuoto. A casa, nel suo studio, aveva lasciato una lettera d'addio.

Comincia così: "La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi, mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito di servitore dello Stato e docente universitario. Non posso consentire a questi soggetti di farsi gioco di me e di sporcare la mia immagine, non posso consentire che il mio nome appaia sul giornale alla stessa stregua di quello di un delinquente. Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi. Non glielo consentirò, rivendico con forza la mia storia, il mio coraggio e la mia indipendenza. Sono un uomo libero che in maniera determinata si sottrae al massacro ed agli agguati che il sistema sopraindicato vorrebbe tendergli".

Adolfo Parmaliana, poco più che cinquantenne, padre di due figli, professore di chimica industriale all'università di Messina, stimato anche a livello internazionale, da sempre attivista politico, prima nelle file del Partito Comunista poi, di recente, nel Partito Democratico, consulente di Veltroni nel 2002 al comune di Roma, dopo una vita di battaglie passata a denunciare il malaffare e la contiguità tra la politica, la magistratura e la criminalità organizzata, decide improvvisamente di togliersi la vita: "Mi sento un uomo finito, distrutto. Vi prego di ricordarmi con un sorriso, con una preghiera, con un gesto di affetto, con un fiore. Se a qualcuno ho fatto del male chiedo umilmente di volermi perdonare. Ho avuto tanto dalla vita. Poi, a 50 anni, ho perso la serenità per scelta di una magistratura che ha deciso di gambizzarmi moralmente".

Sulla morte di Adolfo Parmaliana, uno dei figli migliori che la Sicilia abbia mai conosciuto, è calato il silenzio della stampa. In realtà, la vicenda è complessa e mette in luce quell'intricato sistema di rapporti, clientele, contiguità mafiose che hanno fatto del territorio di Messina (e non solo) una terra di nessuno, dove non esiste più alcuna distinzione tra le guardie e i ladri, perchè entrambi sono organici ad uno stesso sistema degenerato, sono amici, sono complici, hanno gli stessi interessi, si coprono e si difendono a vicenda. E' chiaro che, in una situazione del genere, la voce solitaria di un uomo "ammalato" di Giustizia e Legalità risulta troppo pericolosa, troppo inopportuna, troppo invadente.

La storia è questa. Tra il 1995 e il 1998 Parmaliana, insofferente al sistema di potere mafioso che vedeva operare indisturbato sotto i propri occhi, inizia a presentare numerose denunce nei confronti dell'amministrazione comunale del proprio paese, Terme Vigliatore, di cui era stato anche consigliere comunale. Le sue denunce riguardano in particolare il sindaco Bartolo Cipriano, rieletto tre volte di fila e che fa il bello e il cattivo tempo nell'assegnazione degli appalti, nella creazione dei piani regolatori, nella gestione degli uffici e dei tecnici comunali. Come un tarlo instancabile, Parmaliana opera come una costante spina nel fianco mettendo in luce ogni tipo di irregolarità, ogni situazione sospetta.

Questa serie di denunce finisce nelle mani della procura di Barcellona Pozzo di Gotto ed assegnate dall'allora capo Rocco Sisci al sostituto Olindo Canali. Tenete bene a mente questo nome: Olindo Canali. Vengono aperti ben sette fascicoli. Nessuno di questi avrà un seguito. Nonostante le richieste insistenti di Parmaliana di non fare morire le indagini, dalla procura non gli perviene alcuna risposta. Nel 1998 allora Parmaliana decide di rivolgersi alla procura generale per l'avocazione dei procedimenti. Per quattro lunghi anni il sostituto procuratore generale Marcello Minasi tentò di acquisire informazioni su questi procedimenti, ma nel 2002 si vide costretto, per decorrenza dei termini, ad archiviare il tutto.

Queste le parole pesantissime con cui Minasi archivia il caso: "Risulta dagli esposti del Parmaliana, un impressionante spaccato di malcostume, cattiva amministrazione, inefficienza, manipolazione dei pubblici poteri per interesse personale, impudente confusione tra la funzione pubblica ed il privilegio personale e familiare che certamente non hanno trovato una adeguata risposta né negli organi giurisdizionali né da quelli di controllo amministrativo e contabile... quei comportamenti che integrano la fattispecie dell’abuso d’ufficio e dell’omissione degli atti d’ufficio risalgono, i più recenti, al 1995, pertanto già da alcuni anni tali reati si sono prescritti senza che sia stato fatto alcun atto di interruttivo o addirittura senza alcun atto di indagine. In conclusione, dalla miriade degli atti irregolari, illegittimi ed illeciti resta la accorata ed inascoltata denuncia del Parmaliana sì che non appare eccessiva la descrizione del comportamenti degli organi preposti al controllo di legittimità ed efficienza ed alla repressione degli illeciti come silenzio dello stato".

L'accusa è durissima: nella procura di Barcellona P.G. esiterebbe una cupola giudiziaria connivente con il sistema mafioso e facente capo a Rocco Sisci e Olindo Canali, che ha sapientemente insabbiato, una per una, tutte le accurate denunce pervenutegli per mano del professor Parmaliana. In realtà, un'informativa del Capitano dei Carabinieri Domenico Cristaldi, denominata Tsunami, aveva scoperchiato nel 2005 questo intreccio di connivenze e malaffare. Nell'informativa del maggio 2005 Cristaldi rende noto alla magistratura che addirittura lo stesso Sisci era a conoscenza delle indagini nei confronti del suo sostituto Canali e aveva informato lo stesso degli elementi compromettenti emersi a suo carico.

E' uno spaccato inquietante quello che emerge dall'informativa del Capitano Cristaldi. In particolare, i sostituti procuratori di Barcellona P.G. e Messina, rispettivamente Olindo Canali e Antonio Franco Cassata, risultano aver intrattenuto rapporti pericolosi con esponenti di rilievo della criminalità organizzata. Canali è stato visto cenare in compagnia di Salvatore Rugolo, figlio di uno dei boss più potenti della zona, ucciso nel 1987 e cognato del capomafia barcellonese Giuseppe Gullotti, all’ergastolo per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Gullotti, tanto per dire, è quello che ha fatto pervenire a Brusca il telecomando per attuare la strage di Capaci.

Antonio Franco Cassata invece è un caso ancora peggiore. Ininterrottamente in servizio alla Procura generale di Messina, con funzioni di sostituto, dal 1989 gode di un potere pressochè incontrastato. In barba al principio di rotazione dei magistrati, lui è da più di vent'anni che gestisce la procura come fosse cosa sua. Su di lui pendono numerosissime ombre. Il boss Giuseppe Gullotti era socio e frequentatore, insieme a numerosissimi esponenti della massoneria barcellonese, del circolo "Corda Fratres", di cui Cassata era il presidente. Di questo circolo faceva parte anche il famoso Rosario Cattafi, già indagato dalla procura di Caltanissetta per le stragi di Capaci e via D'Amelio a causa dei suoi accertati legami con boss del calibro di Nitto Santapaola. Nel 1974 Cassata era stato protagonista di un viaggio in auto a Milano in compagnia del boss Giuseppe Chiofalo, confermato da quest'ultimo. Nel settembre 1994, durante la latitanza di Gullotti, Cassata viene sorpreso mentre si intrattiene a parlare con la moglie del boss. Nel 2002 fa pervenire al CSM un articolo della Gazzetta del Sud in cui il boss Gullotti dichiarerebbe di volere la morte dello stesso Cassata "perchè inavvicinabile". Un maldestro tentativo di togliersi di dosso accuse infamanti, purtroppo risultato clamorosamente falso. Nel 2003, nel museo etnografico di Barcellona P.G. fondato da Cassata, tra le proteste indignate dei parenti delle vittime, vengono esposte le lamiere contorte e carbonizzate della vettura blindata su cui viaggiavano Falcone e la moglie: non manca nemmeno il telecomando con cui è stato azionato il tritolo.

Nonostante tutto ciò, l'informativa Tsunami cade nel vuoto. Viene rimpallata tra le procure di Barcellona, Messina e Reggio Calabria fino a perdersi nelle nebbie più cupi. E' però nel 2005 che Parmaliana sembra avere la sua più grande rivincita. In seguito alle sue denunce, ci pensa il Presidente della Repubblica ad intervenire e sciogliere il consiglio comunale di Terme Vigliatore per infiltrazioni mafiose. Un'intera amministrazione collusa azzerata per opera del lavoro instancabile del professor Parmaliana. Sorprendentemente (oppure no), nessuno degli amministratori locali riceverà un avviso di garanzia da parte della procura competente di Barcellona P.G. Anzi, nel 2007, il pm Andrea De Feis che aveva coordinato l'indagine Tsunami e che aveva denunciato i tentativi intimidatori dello stesso Cassata perchè venisse archiviata, viene trasferito a Macerata. Non solo. Viene trasferito anche il Capitano dei Carabinieri Cristaldi che aveva condotto le indagini in prima persona.

Incredibilmente (oppure no), gli indagati sono invece ancora tutti al loro posto. Attorno al professore si va il vuoto. I suoi appelli a Veltroni perchè si interessasse delle collusioni mafiose all'interno della magistratura cadono nel vuoto. Parmaliana comincia a farsi nemici pure all'interno dei DS. Nel 2006 verrà minacciato e aggredito. L'allora segretario Fassino, informato dell'accaduto, non muoverà un dito. La sua colpa era quella di aver attaccato l'ex sindaco di Messina e attuale segretario del PD siciliano Francantonio Genovese, in affari con la potentissima famiglia Franza, il quale nel 2007 dichiarò che nella sua città "la mafia non esiste, al massimo qualche mela marcia".

Prima che dalla mafia, Parmaliana fu isolato dai suoi stessi compagni di partito. Fino alla beffa finale. Lo scorso ottobre la procura di Barcellona P.G., quella di Olindo Canali per intenderci, non lascia cadere una querela per diffamazione nei suoi confronti e lo rinvia a giudizio. La sua colpa, dopo che il consiglio comunale della sua città era stato sciolto, sarebbe quella di aver appeso un paio di manifesti in cui era scritto: "Abbiamo vinto! Abbiamo cacciato i mafiosi!". E' l'ultimo affronto, l'ultima provocazione di una procura che gli ha dichiarato guerra. Lui che ha combattuto tutta una vita per denunciare il sistema di potere mafioso dovrà comparire davanti a un giudice per difendersi da un'accusa ridicola.

Come non bastasse, il CSM presieduto da Nicola Mancino, nonostante le interrogazioni parlamentari di Beppe Lumia e Antonio Di Pietro, decide di promuovere Cassata, quello delle frequentazioni mafiose col boss Gullotti, a capo della procura di Messina. Nel suo paese, solo tre anni dopo lo scioglimento del consiglio comunale, tornano trionfalmente in municipio le stesse persone che Parmaliana aveva contribuito a far allontanare. Il professore non ce la fa più. Ha perso ogni fiducia nelle istituzioni. Ha capito che il sistema non è in alcun modo scalfibile. Saluta tutti, ringrazia chi gli è stato vicino e, nel silenzio, si butta da un ponte.

A sette mesi esatti dalla sua morte, Cassata presiede orgogliosamente la procura di Messina, intoccabile come da vent'anni a questa parte. Olindo Canali invece ha mandato qualche giorno fa una lettera anonima, poi da lui stesso rivendicata, per depistare un altro processo di mafia in corso, denominato "Mare magnum". Lancia strali contro l'avvocato di Parmaliana, Fabio Repici, si autoaccusa in pratica di connivenza con la mafia, dice di temere di essere arrestato da un momento all'altro, difende il boss Gullotti asserendo che non è lui il sicario di Beppe Alfano (sedici anni dopo l'omicidio), afferma di sapere la verità, ma non la dice.

Tutto questo quadro agghiacciante nel completo silenzio dello stato. Nel silenzio di un CSM troppo occupato a punire De Magistris, la Forleo e la procura di Salerno per aver fatto il loro dovere. Nel silenzio di un ministro della Giustizia che manda ispezioni per controllare che i rom (anche se non sono colpevoli) stiano in carcere e che la procura di Bari non indaghi troppo sul suo compagno di partito Raffaele Fitto.

Adolfo Parmaliana conclude così la sua lettera di addio: "Questo sistema l'ho combattuto in tutte le sedi istituzionali. Ora sono esausto, non ho più energie per farlo e me ne vado in silenzio. Alcuni dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un uomo che ha creduto ciecamente, sbagliando, nelle istituzioni. Un abbraccio forte forte da un uomo che fino ad alcuni mesi addietro sorrideva alla vita".