lunedì 30 marzo 2009

Il populismo delle libertà



Gianfranco Fini è un caso di dissociazione mentale da analizzare attentamente. Porta in i segni di una lucida follia, come quelli di una folle razionalità.

Non più di un anno e mezzo fa aveva recitato il requiem dell'alleato Berlusconi. Se l'era tolto dai piedi come ci si libera a calcetti di un barboncino fastidioso. Con una certa compassione. Quando Berlusconi, ormai completamente allo sbando, era salito sul predellino della propria Mercedes e aveva annunciato davanti a quattro gatti che sarebbe nato il partito unico del centro-destra col quale Forza Italia avrebbe di fatto inglobato Alleanza Nazionale, Fini aveva fatto un mezzo sorrisino di commiserazione e l'aveva fulminato con un perentorio: "Siamo alle comiche finali. Berlusconi non diventerà mai più premier con il sostegno di An. Noi non torniamo all'ovile perchè non siamo delle pecore". L'altro giorno, lo stesso Gianfranco Fini, quello delle "comiche finali", è salito sul palco del congresso del Pdl, ha incoronato Berlusconi imperatore supremo cospargendosi il capo di cenere e ha decretato con aria trionfante e soddisfatta la morte del suo partito.

Ora, cos'è successo in questo anno e mezzo perchè si registrasse l'inimmaginabile? Beh, lo sapete tutti. Mastella, d'accordo con Berlusconi, ha preso a pretesto l'indagine sulla moglie per far cadere il governo Prodi, Berlusconi ha stravinto le elezioni e Fini è assiso magicamente alla poltrona di Presidente della Camera. Dalla quale ha assistito allo scempio di un anno di governo che a colpi di decreti leggi ha varato norme populistiche (vedi l'azzeramento dell'Ici per tutti, la schedatura dei bambini rom, le ronde padane, l'esercito per le strade, la patacca della social card), norme incostituzionali e contro lo stato di diritto (vedi il lodo Alfano), norme che attentano alla salute pubblica (vedi la possibilità dei medici di denunciare i clandestini malati, l'accensione del mega inceneritore di Acerra, la creazione di discariche eccezionali presidiate dall'esercito), norme che attentano alla sicurezza pubblica (vedi il divieto dell'uso delle intercettazioni), norme liberticide (vedi il carcere per i giornalisti che raccontano indagini non coperte da segreto), norme che attentano alla dignità della persona (vedi l'impossibilità di rinunciare all'accanimento terapeutico).

Da quella poltrona Fini ha visto Berlusconi fare il bello e il cattivo tempo, dire tutto e il contrario di tutto, lanciare sparate e ritrattarle il giorno dopo, irridere il nuovo presidente degli Stati Uniti, operare una campagna feroce di delegittimazione e denigrazione della magistratura, svendere Alitalia ad AirFrance e ad un gruppetto di imprenditori sui amici in stupefacente conflitto di interessi, trattare la CGIL a pesci in faccia tramando in gran segreto con CISL e UIL, prendere per il culo i disoccupati invitandoli a darsi da fare, stipulare contratti milionari sottobanco con il dittatore libico Gheddafi, negare l'esistenza della crisi economica più spaventosa dal '29 fino ad oggi, mettere il presidente della Repubblica con le spalle al muro sulla pelle di una povera ragazza morente per arrivare ad un preordinato scontro istituzionale, forzare i paletti democratici, calpestare quel parlamento che Fini rappresenta imponendo la fiducia a raffica su una serie di disegni di legge, umiliare quel parlamento che Fini rappresenta proponendo di far votare solo quattro o cinque capigruppo, definire bolscevica la Carta Costituente e rimettere il proprio mandato al popolo nel caso in cui non gli permettano di modificarla a sua immagine e somiglianza.

Lo stesso Gianfranco Fini, quello del "Berlusconi non diventerà mai più premier con il sostegno di An", l'altro giorno era seduto in platea ad applaudire Berlusconi che nel suo show populistico agitava di nuovo (ma ancora con 'sta storia?) i fantasmi del comunismo, rivendicava il ruolo di rivoluzionario liberale (?), omaggiava l'amico nonchè artefice della sua ascesa politica nonchè noto ladro tangentaro nonchè morto latitante Bettino Craxi, reclamava in un crescendo dai tratti altamente comici più poteri per il primo ministro, cioè per se stesso (come se non ne avesse abbastanza) e annunciava lo stravolgimento della Costituzione per spianarsi la strada verso una sorta di "monarchia illuminata", dove lui, si intende, farebbe la parte del monarca.

Poi, il giorno dopo, lo stesso Gianfranco Fini, quello del "Noi non torniamo all'ovile perchè non siamo delle pecore", è salito sul palco e ha tenuto un discorso imbarazzante. In cui si vedeva che si vergognava profondamente con se stesso e con il proprio elettorato di quello che stava per dire. Un'umiliazione in diretta di fronte a sei mila persone (tra cui molte comparse) e decine di televisioni per spiegare l'inspiegabile e cioè che in realtà Alleanza Nazionale finisce ma non muore, manterrà la sua identità ma senza creare correnti interne, si fonderà in un partito unitario ma non a pensiero unico, un contenitore unico ma ampio, plurale, arioso, inclusivo e non di destra (!), che ciò non è frutto del tempismo di una scelta ma di una strategia autonoma, che Berlusconi è il leader indiscusso ma senza il culto della personalità.

Fini è pericoloso. E' l'unico politico di destra ben visto dalla sinistra. A parole ha fatto più opposizione lui che non Veltroni in un anno e mezzo. Ha la faccia e la fedina penale pulita. Parla da saggio. Da ex fascista ha detto cose più di sinistra di quelli di sinistra (vi ricordate il voto agli immigrati?). Nei fatti invece ha sempre avallato lo scempio di tutti i governi berlusconiani che si sono succeduti fin qui. E' stato il più fedele alleato di colui che oggi si appresta ad ottenere il consenso assoluto degli italiani (l'obiettivo dichiarato è il 51%) grazie al controllo pressoché totale di tutti gli organi di informazione, stampa, televisioni, radio, editoria, grazie alla corruzione sistematica di giudici, senatori, avvocati, guardia di finanza, grazie all'appoggio dichiarato (da molteplici pentiti) e certificato (da sentenze dei Tribunali) di Cosa Nostra.

E' lo stesso Fini che oggi è andato a parlare a Bagheria, il cuore della mafia siciliana, di fronte ai ragazzi a conclusione dell'anno accademico del Parlamento della Legalità. Un gruppo di giustizialisti scalmanati, par di capire. Ha ribadito che "la mafia è una dittatura, può togliere la vita, la libertà, e può cancellare la dignità delle persone e dei popoli". Con grande enfasi ed originalità ha anche annunciato che "bisogna ribellarsi contro la mafia".

Poi, probabilmente vedendo le mani alzate di alcuni ragazzi che volevano intervenire, si è affrettato a precisare: "Non ci sono mafiosi alla Camera, non ci sono coloro che la difendono, non ci sono coloro che hanno compiacenze".

Nemmeno la vergogna di trovarsi di fronte a dei ragazzi. Fini ha fatto bene a specificare "alla Camera". Perchè se solo guardasse chi sta nell'altro ramo del Parlamento incontrerebbe personaggi come Vladimiro Crisafulli, colto in atteggiamenti intimi con il noto boss mafioso di Enna Raffaele Bevilacqua, oppure addirittura il Presidente del senato Renato Schifani che vanta prestigiose amicizie nel comune di Villabate più volte sciolto per mafia e vere e proprie società d'affari con il mafioso Nino Mandalà, oppure, perchè no, quel Marcello Dell'Utri, condannato a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa, fondatore materiale di quel partito, Forza Italia, nato anche grazie ai voti della mafia, che sarebbe diventato il Polo delle Libertà fino ad inglobare oggi Alleanza Nazionale all'interno del Popolo delle Libertà.

Fini, al congresso dell'altro giorno, ha trovato pure il tempo per citare il nome di Paolo Borsellino. Non perde mai occasione, giocando sul fatto che il giudice in gioventù aveva dichiarato di votare Msi. Chissà cosa avrebbe detto, se solo avesse visto il suo nome speso gratuitamente in una sala di fronte a colui che ha inneggiato all'eroe Vittorio Mangano, lui che un paio di settimane prima di saltare in aria aveva parlato nella sua ultima intervista proprio dei rapporti tra Dell'Utri e Mangano, che costituiva la "testa di ponte della mafia al nord, quell'anello di congiunzione tra Cosa Nostra e gli interessi imprenditoriali milanesi". Chissà cosa avrebbe detto.

Probabilmente nulla. Perchè le sue parole sarebbero state soffocate dall'Inno di Mameli sguaiatamente cantato a squarcia gola da Gasparri, Bondi, Cicchitto, la Carfagna, Alfano, Formigoni, la Gelmini, Frattini, Lupi, Rotondi, la Prestigiacomo, tutti raccolti attorno al premier sorridente, che al fatidico "Siam pronti alla morte" fa un gesto della mano come per dire: "Pronti? Mica tanto".

sabato 28 marzo 2009

Silenzio! Non disturbate la mafia


Stanno arrivando in questi giorni molteplici segnali inquietanti riguardo alla percezione che le Istituzioni hanno del fenomeno mafioso. A leggere le interviste e i comunicati ufficiali sembra di essere tornati a vent'anni fa, quando ancora la mafia era considerata una realtà immateriale, impalpabile, praticamente inesistente. Ci sono voluti gli sforzi di grandissimi uomini, di eroi con la E maiuscola, ci è voluto il loro impegno al limite del martirio, c'è voluto soprattutto il loro sangue rosso ben visibile alle telecamere, per convincere l'opinione pubblica che la mafia è qualcosa di estremamente reale, qualcosa di profondamente radicato nella società, che non è un'idea astratta, ma un virus terribile e violento che tiene in scacco e distrugge nella sua folle furia migliaia di vite.

Ancora ai tempi dei due magistrati antimafia per eccellenza Falcone e Borsellino, c'era un certo freno, una sorta di ritrosia ad associare esplicitamente il nome "mafia" a certi delitti. Ci sono voluti decine di anni per riconoscere che tanti di quegli assassinii perpetrati nella Sicilia dagli anni sessanta in poi erano effettivamente di matrice mafiosa. Borsellino ammoniva: "Parlate di mafia ovunque vi capiti. Alla televisione, alla radio, sui giornali. Dove volete, ma, vi prego, parlatene". Lui l'aveva già capito. Il più grande regalo che si possa fare alla mafia è quello di far finta che non esista. E' quello di negarne l'esistenza. E' quello di voltarsi dall'altra parte per non voler vedere. Il più grande regalo che si possa fare alla mafia è il silenzio.

La mafia nasce nel silenzio. Si nutre del silenzio. Cresce ed opera nel silenzio. E nel silenzio devasta e distrugge. Le bombe di Capaci e Via D'Amelio sono state un'eccezione e non la regola. Qualcuno non l'ha ancora capito. La mafia è stata costretta a mettere le bombe per salvarsi. Se la mafia mette le bombe è perchè sa di star per morire. Di essere in fin di vita. Quando saltarono in aria, nel giro di cinquattaquattro giorni, prima Falcone e poi Borsellino, la mafia era allo sbando, sull'orlo del collasso, con tutti i principali capi delle famiglie siciliane condannati all'ergastolo nel maxiprocesso. Con altre centinaia di manovali in cella.

Della mafia bisogna aver paura quando tace, non quando grida.

Ora, quando io leggo sui giornali quello che ho letto in questi giorni, mi prende un grande sconforto. Sembra che la lezione non sia servita a nulla. Si stanno facendo giganteschi passi all'indietro. Non tanto nel contrasto sul territorio. La polizia e carabinieri dell'antimafia cercano di fare il possibile, compatibilmente con le scarse risorse messe a disposizione e fanno miracoli ad assestare ad intervalli regolari pesanti colpi alla criminalità organizzata. Ma si tratta pur sempre di pesci piccoli. La mafia, ormai, ce lo spiegano fior fiore di magistrati a cui nessun dà ascolto, non ha più le sembianze del paesano un po' rozzo, alla Totò Riina per intenderci, dal carisma travolgente e del grilletto facile. La mafia si è infiltrata nei piani più alti del potere. Si è infiltrata nella finanza, nelle istituzioni, nel governo, nella magistratura. E' quella mafia in doppiopetto che non ha più alcun interesse ad uccidere e versare sangue. E' quella mafia che ha come unico interesse quello di espandere i propri confini, di decuplicare i propri affari, di riciclare il denaro sporco, di mettere le mani su appalti, opere e cantieri.

E' davvero labile il confine che oggi separa il mafioso dall'imprenditore corrotto, dal politico colluso. Sono in realtà una stessa entità, le tre gambe di uno stesso tavolino, per usare un'immagine ricorrente. E' una mafia più subdola, più difficile da vedere, ma potenzialmente più devastante di quella delle bombe. E la cosa peggiore da fare è quella di negare questa realtà. Mettere la testa sotto terra e far finta di credere che non esista. Purtroppo, è quello che sta accadendo sempre più frequentemente.

Voglio portare quattro esempi che ritengo più di altri significativi.

La scorsa settimana un giudice della DDA di Milano fotografava così la penetrazione della realtà mafiosa nel nord Italia, in particolare nel Lodigiano: “La criminalità organizzata è presente anche nel Lodigiano, senza dubbi: non c’è area della Lombardia che si salvi. Si sono evolute anche le modalità di indagine: troppe volte fatti indicativi di azioni della grande criminalità organizzata sono andati a giudizio come danneggiamenti o altri reati minori. Abbiamo capito che invece molto spesso sono espressione di organizzazioni che al Sud spargono sangue, al Nord invece investono e non vogliono farsi notare se non quando è indispensabile dare un segnale".

La penetrazione mafiosa nel Lodigiano risale già agli anni '70, come emerge da varie indagini, e ha visto l’alternarsi della presenza di Cosa Nostra e della ‘Ndrangheta sul territorio in un clima di assoluta omertà. A ventiquattro ore di distanza dalle dichiarazioni del giudice, arrivavano le parole sconcertanti del Tenente Colonnello Fabrizio Clementi, comandante provinciale dei carabinieri di Lodi dall’estate del 2007, che affermava: “In riva all’Adda, oggi, il fenomeno delle grandi organizzazioni malavitose quali mafia, ‘ndrangheta e camorra non ha attecchito. La realtà sociale lodigiana, peraltro, è moralmente sana, forte, difficile da penetrare per una cultura criminale".

Insomma, la mafia al nord non esiste. Che il traffico di droga in Lombardia sia per esempio letteralmente in mano alla 'Ndrangheta è solo un dettaglio. Che il mercato delle carni sia gestito da Cosa Nostra è un altro dettaglio. Che la costruzione del Ponte dell'Alta Velocità o la centrale termoelettrica di Tavazzano con Villavesco vicino a Lodi con un appalto da 4 milioni di euro siano nelle mani di famiglie strettamente legate a Bernardo Provenzano è probabilmente solo una coincidenza. Così pure il racket di 200 milioni di lire chiesto all'imprenditore Daniele Polenghi nel Lodigiano o l'arresto del mafioso Domenico Brusaferri, latitante proprio a Lodi.

Il secondo esempio riguarda da vicino Milano e la provincia. Il procuratore antimafia di Palermo Antonio Ingroia, erede di Paolo Borsellino, che ora sta indagando sulla trattativa tra mafia e stato che portò alle stragi del '92, in un'intervista di qualche giorno fa ammoniva di una possibilità molto concreta di infiltrazioni mafiose nell'ambito degli appalti per l'Expo 2015. Ora, non ci vuole certo un pm antimafia per immaginare che Cosa Nostra abbia brindato alla notizia che Milano si era assicurata l'Expo, ma se quel magistrato, per di più della caratura di Ingroia, lancia esplicitamente l'allarme, significa che il rischio è altissimo e dovrebbe essere preso nella massima considerazione dalle istituzioni interessate.

Risposta del presidente della regione Lombardia Formigoni e del sindaco di Milano Moratti? "Sono parole offensive e calunniose". Eccolo servito. Ingroia apparentemente è un pazzo farneticante che sta attentando alla credibilità di un'intera regione. Probabilmente per farsi un po' di pubblicità. Come si permette di insinuare che nell'evolutissima Lombardia Cosa Nostra possa fare il bello e il cattivo tempo? La mafia al nord non esiste, ma che, scherziamo?

Esempio numero tre. Sul blog di Beppe Grillo è apparsa una bellissima intervista a Petra Reski, una giornalista del settimanale tedesco Die Zeit. Ha scritto il libro: "Mafia. Von Paten, pizzerien und falschen priestern”, cioè "Mafia. Di padrini, pizzerie e falsi sacerdoti". Profonda conoscitrice e studiosa della mafia italiana, la Reski in questo libro racconta come la 'Ndrangheta si sia evoluta nel tempo e ora stia tentando allungare i suoi tentacoli al di fuori dei confini italici, in particolare in Germania, dove trova terreno fertile visto che lì non esiste il reato di associazione a delinquere. Cioè la mafia, in Germania, non è riconosciuta. Non può esistere, per statuto. La Reski si è già beccata diverse querele per calunnia, ma la sua ricostruzione combacia perfettamente con le indagini che la polizia tedesca sta portando avanti e con i buchi neri che sta scoprendo, a partire dalla strage di Duisburg.

E' buffo notare come il libro, che sta facendo furore in Germania, (è stata definita la Gomorra tedesca) sarà tradotto in cinque lingue, tra cui casualmente non compare quella italiana. Per l'editoria italiana la mafia è un argomento ormai noioso, non vale la pena spenderci soldi. E poi non è quella la mafia a cui è interessata l'opinione pubblica. Non è quella che spara, non è quella che mette le teste di cavallo nel letto. E' un po' noiosa e non fa audience.

Ultimo esempio. Roberto Saviano è comparso negli studi di Fazio. Ha tenuto un monologo forte, incisivo, a tratti commovente. Ha raccontato la sua non-vita, ha lanciato accuse pesanti, ha denunciato la delegittimazione a cui è stato sottoposto prima di tutto dalla stampa, ha esaltato la potenza della parola "che può cambiare il mondo" e la necessità di parlare di camorra, perchè la notorietà è ciò che più temono i camorristi. Ha fatto esempi specifici, ha citato gli interessi dei Casalesi a Parma, la città al centro delle inchieste del magistrato Raffaele Cantone, dove si è registrata la prima condanna in primo grado per associazione di stampo camorristico nel nord Italia. Un'altra voce, autorevolissima, che grida all'allarme: le mafie stanno uscendo dal proprio recinto, come lupi affamati in cerca di cibo, state vigili, non vi girate dall'altra parte.

A poche ore di distanza arriva la replica. Non di uno qualunque. Addirittura del prefetto di Parma, Paolo Scarpis: "Camorra a Parma? Quelle di Saviano sono solo sparate! Non mi risultano indagini di alcun tipo che riguardino mafia, camorra e n'drangheta". Dichiarazioni, da parte di un rappresentante del governo, che lasciano esterrefatti. Non fosse altro perchè è noto da tempo che su Parma si sono incentrati gli interessi economici dei fratelli Zagaria, Pasquale e Michele. Non fosse altro perchè l'assalto della camorra sulla città tramite un patto del cemento tra imprenditori del nord e i casalesi è stato oggetto anche di una recente conferenza di Raffaele Cantone, magistrato che coordinò le indagini su Pasquale Zagaria e scoperchiò gli interessi di Gomorra sulla città ducale. Non fosse altro perchè pochi giorni fa la polizia ha arrestato a Colorno, "Michè lo Svizzero", del clan degli Orefice, residente nel parmense con obbligo di firma, che lo scorso giugno approfittò di un permesso di cinque giorni per tornare ad Acerra e tentare un'estorsione da 100.000 euro ai danni di un imprenditore edile. Non fosse altro perchè sulla 'Ndrangheta c'è anche l'ultima relazione della Dia in cui si parla delle infiltrazioni dei clan calabresi nel territorio provinciale.

Toglietevelo dalla testa.
La mafia non esiste.

Soprattutto al nord.

giovedì 19 marzo 2009

Ronde si, ronde no

In questi ultimi mesi come è ben noto l’emergenza stupri è stata sulla bocca di tutti. Tv, giornali, telegiornali a descrivere minuziosamente i dettagli di ogni singola violenza sessuale. L’obiettivo come al solito era quello di creare il caso mediatico , scatenare la paura, trovare il nemico contro cui sfogarsi.

Ve li ricordate i due rumeni sbattuti in prima pagina come mostri per lo stupro della Caffarella, salvo poi scoprire che il dna non corrispondeva? E i garantisti della domenica (quelli che urlano contro la magistratura corrotta, quelli che se ti prescrivono o depenalizzano il reato gridano ASSOLTO come ossessi) che volevano che i due rumeni fossero chiusi a marcire in galera, che fine hanno fatto?

L’ obiettivo di tutto il can-can mediatico attorno alle violenze sulle donne, furti, rapine o reati generici rigorosamente commessi da extracomunitari secondo i mezzi di informazione ha fatto sì che il governo abbia partorito come soluzione al problema la creazione delle ormai famigerate ronde padane.

E’ buffo oggi ripensare a come i media sotto dettatura della politica, ci abbiano fatto il lavaggio del cervello sull’importanza delle ronde. Non voglio nemmeno soffermarmi sulla caterva di dichiarazioni di onorevoli di matrice leghista e forzista che benedicevano le ronde come mezzo a tutela dei cittadini e nemmeno ribadire i tagli vergognosi introdotti nella finanziaria alle forze dell’ordine.

Quello che fa veramente sorridere è come oggi ci sia stata un’inversione di tendenza radicale. Berlusconi si è rimangiato tutto, nel giro di una rapida dichiarazione ha pressoché distrutto totalmente il pacchetto sicurezza presentato dalla sua coalizione. Sia chiaro che non ci stiamo trovando di fronte ad una grande novità. Basterebbe pensare a come il governo abbia agito fino ad oggi. Il genio della finanza Tremonti ha compiuto delle vere opere d’arte.

Il nostro audace ministro dell’economia, lo stesso ministro che si vanta di aver capito in anticipo che ci sarebbe stata la crisi, ad inizio mandato si pavoneggiava per aver introdotto la robin hood tax ,salvo poi emettere in questi giorni i Tremonti Bond (che semplificando il concetto sono obbligazioni emesse dalle banche che il Tessoro è disposto a comprare), e detassava gli straordinari salvo poi scoprire che la cassa integrazione a marzo del 2009 aveva avuto un’impennata del 500%. Il capolavoro poi è stato ultimato con l’introduzione della social card su cui conviene stendere un velo pietoso. Ma torniamo ad oggi, a quello che accade e sta accadendo in queste ore relativamente al pacchetto sicurezza.

I punti essenziali su cui verte tale pacchetto, sono essenzialmente l’introduzione delle ronde e la possibilità da parte dei medici di denunciare l’immigrato clandestino. Su questi temi specifici si è già detto tanto nei giorni scorsi, la novità sta nel fatto che 101 deputati del pdl ieri hanno inviato una lettera al premier chiedendo che non fosse imposta la fiducia sul decreto sicurezza. Il fatto che improvvisamente nel “partito delle libertà” , il cui nome alla luce dei fatti è già di per un ossimoro, ci potessero essere effettivamente delle persone dotate di cervello e pensiero autonomo devo ammetterlo mi aveva lasciato piuttosto sorpreso. Oggi scopro che avevo ragione.

Siccome Berlusconi non fa mai nulla per nulla è logico ritenere che l’uscita spavalda dei 101 deputati fosse stata decisa a tavolino in modo tale da aprire la strada alle dichiarazioni odierne del premier, che clamorosamente dichiara di essere contrario alle ronde e alla norma che dà la possibilità ai medici di denunciare gli immigrati irregolari. Il perchè di tali tensioni interne è presto detto. La lega nonostante le continue sparate propagandistiche sul tema dell’ immigrazione e sul tema della sicurezza sta aumentando il bacino dei propri elettori.

Berlusconi pochi giorni fa ha ammesso candidamente di voler fare arrivare il pdl al 51% e ha avanzato la proposta di far votare solamente i capigruppo alla Camera e Senato, si aggiunga poi lo spinoso problema delle candidature alle province in particolare Monza e Brianza. Il risultato di questo pietoso siparietto è che per l’ennesima volta vengono fatte promesse populistiche volte a gettare fumo negli occhi e all’ottenimento del consenso delle masse, salvo poi al lato pratico cancellare il tutto con un rapido battito di ciglio.

La gente grazie al rimbambimento mediatico ha già maturato la convinzione che la sicurezza sia aumentata e il governo sia finalmente un governo decisionista. Se poi non dovessero esserci più le ronde, potete giurare che degli stupri e rumeni non si sentirà più parlare. Rimarrà tutto tale e quale, anzi peggio visto la riduzione dei finanziamenti alle forze dell’ordine, ma saremo tutti più tranquilli e sicuri...fino alla prossima emergenza.

giovedì 12 marzo 2009

E' tutto sotto controllo


Abbiamo discusso del recente intensificarsi delle turbolenze sui mercati finanziari e verificato un livello straordinariamente alto di incertezza. Una situazione mai vista prima
Jean-Claude Trichet, presidente della BCE, 2 ottobre 2008

E' a questo punto fin troppo chiaro che quello che stiamo osservando è lo shock sui mercati finanziari maturi più pericoloso dagli anni '30, che sta ponendo una minaccia fondamentale alla crescita globale
Charles Collins, vice direttore del dipartimento di ricerca del Fmi, 2 ottobre 2008

Consapevoli che non siamo in una situazione come quella del '29, dobbiamo essere ottimisti perché il sistema bancario è sano
Silvio Berlusconi, 5 ottobre 2008

La recente intensificazione della crisi finanziaria ha aumentato i rischi al ribasso per la crescita e ha così ridotto ulteriori rischi al rialzo per la stabilità dei prezzi
Comunicato della BCE, 8 ottobre 2008

Nessun risparmiatore italiano perderà un euro
Silvio Berlusconi, 8 ottobre 2008

Il Consiglio direttivo ritiene che le prospettive economiche siano soggette a maggiori rischi al ribasso, connessi principalmente a uno scenario di perduranti tensioni nei mercati finanziari con ricadute sull'economia reale più negative di quanto previsto al momento. E' probabile che le recenti pressioni sul sistema bancario statunitense e le turbolenze finanziarie ad esse connesse si ripercuotano sull'economia mondiale. Negli ultimi dati trova chiaro riscontro l'indebolimento dell'attività economica dell'area dell'euro
Bollettino della BCE, 9 ottobre 2008

Non c'è da scandalizzarsi se le nostre imprese verranno aiutate, ove necessario, anche se non so ancora come
Silvio Berlusconi, 16 ottobre 2008

Il problema dell'Italia non è congiunturale, ma strutturale, e cioè una produttività molto bassa. E se la produttività non migliorerà, c'è preoccupazione per il lungo periodo
Alessandro Leipold, direttore del dipartimento per l'Europa dell'Fmi, 21 ottobre 2008

Abbiamo un grande merito, abbiamo frenato il panico dei risparmiatori ed evitato il fallimento anche di una sola piccola banca, attraverso misure coordinate a livello europeo
Silvio Berlusconi, 21 ottobre 2009

L'Europa si avvita nel nuovo venerdì nero. Nella mattinata sfiorano perdite del 10% piazze importanti come Parigi e Madrid, quest'ultima penalizzata dalle voci di bancarotta dell'Argentina dove le imprese spagnole hanno investito molto. Milano e Francoforte chiudono a meno 5% ma nel frattempo in Italia sono stati più volte sospesi per eccesso di ribasso gli scambi sui titoli delle grandi banche: se le nostre sono le più solide del mondo, gli investitori non se ne sono accorti. Il fuggi fuggi travolge anche Eni, Telecom, Fiat”.
La Repubblica, 25 ottobre 2008

So bene che la situazione è quella che è, ma facciamo tutto il possibile
Silvio Berlusconi, 27 ottobre 2008

L'Fmi ha diffuso le nuove stime sull'economia mondiale. Ritoccate al ribasso le previsioni per l'Italia, che va incontro alla recessione già da quest'anno. A deprimere le prospettive di crescita del nostro Paese infatti non c'è solo la crisi economica internazionale, ma anche il fatto che in Italia c'è meno potenziale di crescita rispetto ad altri Paesi per ragioni demografiche e strutturali
La Repubblica, 6 novembre 2008

I 30 paesi più industrializzati sono entrati in recessione e ci rimarranno per un prolungato periodo di tempo
Rapporto OCSE, 13 novembre 2008

La recessione in Italia è in linea con il resto d'Europa
Silvio Berlusconi, 14 novembre 2008

I paesi con i conti pubblici più sani potranno spendere di più, mentre quelli più indebitati, come l'Italia, avranno meno margini di manovra. Il patto di stabilità esiste e non è tra parentesi. Avvieremo procedure per deficit eccessivo, laddove i deficit non sono né vicini al 3% né temporanei, ossia se dureranno per più di un anno
Joaquim Almunia, commissario Ue agli Affari Economici, 26 novembre 2008

Bisogna fermare questa spirale negativa che porta al calo dei consumi. Il ceto medio può mantenere le stesse abitudini di vita. L'estensione temporale della crisi economica dipende da tutti noi, dalla nostra capacità di fiducia e di guardare al futuro con speranza. Serve buona volontà da parte di tutti. Mi sto sgolando al telefono con i miei colleghi europei affinché rappresentino la realtà, ma invitino anche i cittadini a comportamenti consapevoli. Tutto quello che potevamo fare, compatibilmente con le risorse pubbliche, l'abbiamo fatto: ora tocca agli altri
Silvio Berlusconi, 28 novembre 2008

Le misure annunciate dai governi per affrontare le turbolenze finanziarie devono essere attuate rapidamente per riportare la fiducia nei mercati e prevenire una stretta nella fornitura di credito. La crisi finanziaria si è ampliata e intensificata
Jean-Claude Trichet, 8 dicembre 2008

Bisognerà intervenire sulla Rai al più presto, basta con questi programmi che diffondono pessimismo sulla crisi finanziaria
Silvio Berlusconi, 21 dicembre 2008

Spostare nel tempo i problemi rischia di peggiorarli. Se avessimo utilizzato il tesoretto per ridurre il disavanzo di questi ultimi due anni oggi avremmo lo spazio per riformare quegli ammortizzatori sui cui, in tempi migliori, sono forse stati fatti degli errori
Lorenzo Bini Smaghi, membro italiano del Comitato esecutivo della BCE, 23 dicembre 2008

Non c'è stato un calo dei consumi, l'unica cosa che può produrre un calo di produzione e una crisi delle aziende è un calo dei consumi, è il cane che si morde la coda
Silvio Berlusconi, 28 dicembre 2008

Allarme rosso della Banca centrale europea sulla crisi economica e finanziaria internazionale: i tassi centrali dell'euro, quindi il costo del denaro in Italia e in tutti gli altri Paesi aderenti alla moneta unica, sono stati tagliati oggi di mezzo punto dal 2,50 al 2 per cento, il minimo storico. Altri tagli sono imminenti
La Repubblica, 15 gennaio 2009

La crisi non è così drammatica come tutti vogliono pensare e il -2% del Pil previsto significa che torneremo indietro di due anni e due anni fa non stavamo così male
Silvio Berlusconi, 20 gennaio 2009

L'economia mondiale sta attraversando una fase di recessione grave e sincronizzata, mentre l'acuirsi e del diffondersi delle turbolenze dei mercati finanziari freneranno probabilmente la domanda su scala mondiale e nell'area dell'euro per un periodo di tempo prolungato
Bollettino della BCE, 22 gennaio 2009

Per contrastare la crisi il governo ha messo a disposizione del sistema 40 miliardi di euro per i prossimi tre anni, una cifra che è compatibile con il debito pubblico e che potrà arrivare anche fino a 80 miliardi di euro grazie ai fondi europei
Silvio Berlusconi, 2 febbraio 2009

Questa crisi che ha delle dimensioni che non sono ancora del tutto definite e la dobbiamo guardare e la guardiamo con preoccupazione
Silvio Berlusconi, 13 febbraio 2009

Tra le diverse ipotesi sul tavolo per contrastare la crisi economica c'è anche quella della nazionalizzazione delle banche. Ma la cosa non riguarda le banche italiane”.
Silvio Berlusconi, 19 febbraio 2009

Se l'Europa è in grado oggi di rispondere con efficacia agli effetti della crisi finanziaria attraverso piani nazionali anti-crisi, è grazie alla ritrovata flessibilità di bilancio e alla stabilità dell'euro
Silvio Berlusconi, 22 febbraio 2009

Nelle ultime settimane sono iniziati a diminuire i flussi netti del credito. Se un simile comportamento diventasse diffuso comprometterebbe la stessa ragion d'essere del sistema nel suo insieme. L'intero sistema finanziario è a rischio".
Jean-Claude Trichet, 23 febbraio 2009

Il nostro sistema è solido, il nostro è un popolo di risparmiatori, non ci sono titoli tossici e abbiamo messo a disposizione 10-12 miliardi di euro per incrementare la patrimonializzazione delle banche ma nessuna banca ha chiesto questi fondi perchè si presume la solidità del sistema bancario
Silvio Berlusconi, 24 febbraio 2009

La BCE ha rilevato un grave rallentamento dell'attività economica, sia a livello globale sia nell'area euro, che ha trovato conferme nei dati delle indagini preliminari dei primi mesi del 2009. Per quest'anno, infatti, si attende una recessione del Pil che si attesterà tra il 3,2 per cento e il 2,2 per cento
La Repubblica, 5 marzo 2009

I media continuino a presentare la crisi come qualcosa di definitivo e tragico. E' pesante, ma l'aggettivo tragico è esagerato
Silvio Berlusconi, 6 marzo 2009

Quale Paese fallirà per primo? L'Italia è in cima alle scommesse. E' lo Stato più a rischio nell'Eurozona
Rapporto J.P.Morgan, 6 marzo 2009

Non è che sono ottimista, bisogna essere ottimisti! E' importante perché se seguiamo tutti i catastrofisti e i profeti di sciagura andiamo tutti a fare il nostro male
Silvio Berlusconi, 7 marzo 2009

L’economia mondiale sta attraversando la più grave recessione da molti decenni. Le prospettive per la domanda estera di beni e servizi dell’area euro restano fosche”.
Bollettino BCE, 12 marzo 2009

La crisi economica è particolarmente grave ma tra la popolazione italiana non ci saranno situazioni di miseria e acute di crisi
Silvio Berlusconi, 9 marzo 2009

lunedì 9 marzo 2009

L'imperatore, Pasolini e quella pillola rossa


Racconta lo scrittore danese Hans Christian Andersen in una delle sue più celebri fiabe che, un giorno, un grande imperatore di un grande regno ricevette a corte due forestieri che dicevano di essere dei tessitori e di saper tessere la stoffa più incredibile mai vista. Non solo i disegni e i colori erano meravigliosi, ma gli abiti prodotti con quella stoffa avevano un curioso potere: essi diventavano invisibili agli occhi degli uomini che non erano all'altezza della loro carica o che erano semplicemente molto stupidi. L'imperatore credette alle loro parole e ordinò loro di confezionargli, con quella stoffa portentosa, un vestito nuovo per la Grande Parata. Pensava infatti che in questo modo avrebbe potuto riconoscere con facilità gli incapaci che lavoravano nel suo impero e avrebbe potuto distinguere gli stupidi dagli intelligenti! Immaginatevi lo sconcerto dei funzionari di palazzo che, inviati dall'imperatore a visionare i lavori di tessitura, si trovavano di fronte ad un telaio vuoto e, per non voler apparire stupidi o incompetenti, si mettevano ad elogiare le fattezze di una stoffa inesistente. E immaginatevi pure la faccia dell'imperatore quando, il giorno della Grande Parata, andò di persona a provare il magnifico vestito ma, per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a vedere nulla. Anch'egli, per non apparire da meno, si mise a lodare la precisione del taglio e la lucentezza dei colori. E immaginatevi soprattutto la reazione delle persone del popolo che, ammassate sulle strade per accogliere l'arrivo del proprio imperatore, si accorsero immediatamente che, in realtà, il loro sovrano stava sfilando completamente nudo. Ma, non osando ovviamente confessare la propria stupidità, si misero tutti ad acclamare lui e il suo fantastico vestito nuovo. Solo un bambino, a un certo punto, non credendo ai propri occhi, esclamò: “Ma l'imperatore è nudo!”. Allora la voce si sparse e dopo un po' tutti si convinsero che effettivamente l'imperatore non aveva nulla addosso. Racconta Andersen che il sovrano rabbrividì perché capì che il bambino aveva ragione. Ma, essendo un tipo molto orgoglioso, decise di concludere lo stesso la Grande Parata drizzandosi ancora più fiero.

Questa, che sembra essere solo una simpatica storiella, contiene invece un messaggio fortissimo ed attuale e ci pone di fronte ad una domanda molto scomoda: le opinioni che noi abbiamo della realtà che ci circonda sono frutto di una interpretazione libera e critica della nostra intelligenza o sono invece solamente frutto di un auto-convincimento indotto? Siamo veramente liberi di avere un'opinione oppure inconsciamente siamo spinti a credere ciò che, per vari motivi (superficialità, pigrizia, passività, ignoranza, fragilità, ipocrisia...) vogliamo credere? La domanda è ostica perché mette in discussione un caposaldo del nostro vivere quotidiano: se le nostre azioni e il nostro modo di comportarci sono una conseguenza diretta delle nostre idee e del nostro modo di pensare e, qualora si scoprisse che queste idee sono in realtà tutt'altro che spontanee, ma suggerite e in qualche modo a noi imposte inconsapevolmente, chi potrebbe ancora dire con certezza che le proprie azioni sono frutto di scelte libere? Chi avrebbe ancora il coraggio di definirsi libero?

La questione è molto delicata e per niente banale. Che cosa significa veramente essere liberi? E' chiaro, per quanto appena detto, che il primo passo per poter affermare senza dubbio di agire e prendere decisioni in modo critico e indipendente da qualunque tipo di condizionamento esterno è riuscire ad avere opinioni il più possibile oggettive e vere sulla realtà che ci circonda. E chi ci fornisce gli strumenti necessari per poterci fare un'opinione? I mezzi di informazioni di massa, i cosiddetti mass media: giornali, radio e televisioni.

Uno studio recente ha mostrato come più dell'80% degli Italiani utilizzi la televisione come principale fonte di informazione. E' una percentuale talmente elevata che impone un'analisi profonda ed accurata della correttezza con cui le notizie vengono filtrate attraverso il tubo catodico. Lo schermo del televisore è uno specchio fedele della realtà o, in qualche modo, la realtà che passa attraverso di esso ne esce mutilata e deformata?

Un grande aiuto alla comprensione di questo problema ci viene fornito dalle riflessioni di uno dei più grandi intellettuali italiani del ventesimo secolo, Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta e regista, ma soprattutto attento osservatore degli ingranaggi che fanno muovere il potere e l'informazione. Pasolini, all'inizio degli anni Settanta, quando ancora la televisione era agli albori, già aveva di essa un'idea modernissima e ben precisa, che ancora oggi, anzi oggi più che mai, conserva intatta la sua forza e la sua validità.

Scriveva Pasolini: “Secondo me la televisione diventerà più forte di tutto e la sua mediazione ho paura che finirà per essere tutto”. Mai profezia fu più azzeccata. La statistica appena citata ne è la conferma. Oggi la televisione ha assunto un ruolo talmente determinante e invasivo nella percezione della realtà da parte del telespettatore che, per definizione, si è portati ad accettare e a dare per scontato che tutto ciò che viene detto attraverso lo schermo debba necessariamente essere vero.

E' vero perché l'ho sentito alla televisione”.

Quante volte sentiamo ripetere questa frase! L'ottica in cui siamo nati e cresciuti è questa: la televisione ti informa, la televisione ti accudisce, la televisione ti rallegra, la televisione ti svaga, la televisione ti occupa i tempi morti, la televisione ti dà tutto ciò di cui hai bisogno. Siamo arrivati ad un punto per cui la realtà vera è senza ombra di dubbio quella che passa in televisione. Una televisione che non solo filtra la realtà, ma in qualche modo la scompone e la ricrea a proprio uso e consumo. E se poi usciamo di casa e i nostri occhi vedono qualcosa di diverso da quello che ci è appena stato raccontato in televisione, se vediamo l'imperatore nudo, beh, è chiaro che sono i nostri occhi ad aver preso un abbaglio. La televisione non può mentire. Questo è il senso comune.

Ed è tanto radicato in noi questo modo di pensare che risulta assolutamente improponibile o ridicolo sospettare o semplicemente avere il dubbio che l'informazione televisiva sia distorta, manipolata e confezionata ad arte. Da cosa deriva questa sorta di riverenza, a pensarci bene incomprensibile e ingiustificata, nei confronti del piccolo schermo?

Pasolini ha la risposta. Pasolini aveva già capito tutto quarant'anni fa. In una memorabile trasmissione RAI dei primordi (1971), un giovanissimo Enzo Biagi, attorniato da altri intellettuali e filosofi, discute con Pasolini del ruolo della televisione, che si era imposta in quel periodo come mezzo di comunicazione di massa all'avanguardia. E' interessante seguire le poche battute dell'intervento, perché sono di una lucidità disarmante e forniscono una risposta chiara ai nostri quesiti.

Pasolini attacca: “La tv è un medium di massa e un medium di massa non può che massificarci e alienarci”. Biagi, un po' disorientato, gli fa notare come la loro discussione si stia svolgendo però con grande libertà e senza alcuna inibizione. Pasolini risponde che in realtà questo è solo apparentemente vero. Innanzitutto perché in televisione non si può dire tutto ciò che si vuole, non fosse altro che per una sorta di autocensura inconscia, che chiunque parli in televisione sperimenta. Ma soprattutto, ed è questo il punto fondamentale, perché “nel momento in cui qualcuno ci ascolta nel video” - dice Pasolini - “ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico. Le parole che cadono dal video cadono sempre dall'alto. Anche le più democratiche, anche le più vere, le più sincere”.

E' un'analisi spietata quella di Pasolini. Della televisione salva poco o nulla, perché ha compreso con lucidità quanto sia terribile il divario che separa i personaggi televisivi dallo spettatore. Non è e non può essere, per come la televisione è concepita, un rapporto democratico, alla pari. E' in realtà una relazione rigorosamente e pericolosamente univoca, a senso unico, dallo schermo al salotto, dall'alto al basso e mai viceversa.

Lo spettatore è per definizione ricettore passivo di presunte verità. Non può far altro che assorbire, assorbire e ancora assorbire senza avere i mezzi per poter rielaborare le informazioni ricevute. E perché dovrebbe farlo? La visione della tv si basa nella maggior parte dei casi su un atto di fede per cui ciò che viene detto all'interno di essa assume immediatamente una connotazione autorevole, inattaccabile, vera. Non c'è bisogno di alcuna conferma, di alcun riscontro.

Dice ancora Pasolini: “Ammettiamo che ci sia una persona assolutamente umile, un analfabeta, un ignorante, interrogato da un intervistatore. L'insieme della cosa, vista dal video, acquista sempre, fatalmente, un'aria autoritaria, perché viene sempre data da una cattedra. Parlare dal video è parlare sempre ex cathedra. Anche quando questo è mascherato da democraticità”.

Quanto siano vere ed attuali queste parole è dimostrato da molteplici programmi televisivi di oggi. La televisione del 2000 è monopolizzata, per fare un esempio, dai reality show, che propongono come modelli personaggi tipicamente molto ignoranti, volgari e che non mostrano nessuna particolare qualità. Una volta usciti dalla Casa o tornati dall'Isola diventano immediatamente icone nazionali, i più disparati programmi fanno a gara ad accaparrarsi la loro presenza, i giornali ne pubblicano interviste sui temi più disparati. Ecco la televisione che crea dal nulla e impone una realtà che non esiste grazie semplicemente alla propria posizione sopraelevata e “spaventosamente antidemocratica” di cui parla Pasolini.

E la cosa peggiore è che, secondo questa logica, anche “le cose più vere, le cose più sincere” diventano in qualche modo inaccettabili, semplicemente perché imposte senza possibilità di replica. Come è possibile, senza una propria rielaborazione personale, essere sicuri della giustezza e della validità delle informazioni che riceviamo? Se ci si pensa seriamente, non c'è alcun motivo per fidarsi ciecamente di ciò che i telegiornali ci propinano. Il nostro crederci sempre e comunque è un atto di buona fede che può trasformarsi in un atto altamente irresponsabile.

Nel film capolavoro di Peter Weir, L'attimo fuggente, il professor Keating, interpretato magistralmente da Robin Williams, incita i propri allievi a strappare le pagine di un testo scolastico che pretende di insegnare loro a misurare la bellezza di una poesia. L'atto è talmente scandaloso e rivoluzionario che crea inizialmente molto imbarazzo nella classe. Mai nessuno, prima di allora, aveva osato mettere in discussione la validità e le giustezza delle informazioni contenute in un libro. Un libro, per sua natura, costituisce qualcosa di alto, di perfetto, di completo, e qualunque cosa sia scritta sotto forma di libro riceve da essa immediato prestigio. E' esattamente quello che succede con la televisione. E' esattamente quello che succede con i giornali.

Ma cosa accade se, ad un certo punto, il professor Keating di turno viene a scombussolare le nostre granitiche certezze? Cosa accade se qualcuno viene a prospettarci l'ipotesi che i giornali e le televisioni siano tutt'altro che uno specchio fedele della realtà, ma anzi uno strumento di manipolazione di massa che risponde a logiche affaristiche di potere che nulla hanno a che fare con il rispetto per la verità dei fatti?

Rimaniamo giustamente scossi, come gli alunni di Robin Williams. Non ci sembra verosimile e tendiamo a rifiutare l'idea. Ma è a questo punto che tocca a noi. Siamo davvero disposti a rivedere le nostre convinzioni, anche quelle di cui non abbiamo mai minimamente dubitato? Abbiamo la forza di andare davvero a verificare come stanno le cose, anche se questo significa minare le nostre certezze? Abbiamo il coraggio, come il bambino di Andersen, di gridare che l'imperatore è nudo? Tutto ciò dipende dalla nostra coscienza critica, dalla nostra buona volontà e soprattutto dalla nostra onestà intellettuale. Dopo tutto, essere un cittadino libero significa innanzitutto essere un cittadino informato. E un cittadino è informato nel momento in cui può avere accesso alle fonti dell'informazione, senza inutili mediatori che possano alterare più o meno consapevolmente la verità.

In che modo è possibile accedere a tali fonti di “informazione pura”? Esiste qualche altro mezzo, oltre ai mass media tradizionali, attraverso i quali è possibile costruirsi una coscienza critica? Questo mezzo esiste e possiede delle potenzialità enormi. Si tratta della rete, del web, di Internet. Paradossalmente, però, l'Italia è uno dei pochi paesi in Europa in cui lo sviluppo della connessione al web è lenta e anzi, secondo le ultime statistiche, tende addirittura a regredire. L'Italia è uno degli ultimi paesi in Europa in quanto a connettività. Peggio di noi solo Grecia e Bulgaria. Secondo uno studio recente dell'Eurostat (dicembre 2008) solo un misero 31% di Italiani può accedere alla banda larga. Cifre imbarazzanti se confrontate con la media europea, a fronte di paesi come Olanda, Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Germania e Inghilterra in cui la percentuale è ben al di sopra del 70% con punte dell'86%.

E pensare che la rete costituisce un bagaglio inestimabile di informazioni, da cui di fatto restano esclusi due Italiani su tre. Perchè Internet è così potente? Perchè su Internet si può trovare tutto e il contrario di tutto. Non c'è notizia, non c'è evento, non c'è parola che non si possa trovare facendo una semplice ricerca in Google o su Youtube. Tutto e il contrario di tutto: questo offre Internet. Un baraccone sicuramente sgangherato, confuso, pieno di insidie, ostico, in cui ci si può perdere, ma che, a saperlo utilizzare nel modo corretto, si trasforma in una fonte indispensabile per la ricerca della verità. E' evidente che niente di tutto ciò, per banali motivi di tempo e di spazio, può essere offerto da una televisione né tanto meno da un giornale. Come è possibile allora, nel mare magnum delle informazioni che Internet mette a disposizione, riuscire a discernere il vero dal falso, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato? Non diventa Internet, nel suo offrire tutto e il contrario di tutto, un mezzo che semplicemente confonde le idee invece di chiarirle?

E' a questo punto che entra in gioco lo sforzo personale di ricerca della verità. Armati di una buona dose di onestà intellettuale è necessario addentrarsi nei meandri della rete per scovare il numero maggiori di informazioni possibili riguardo ad un certo argomento e, dopo averle passate al vaglio sotto una lente critica, farsi finalmente un'idea di come stanno realmente le cose. Il metodo è arduo e presuppone fatica, ma il risultato è tutt'altro che banale. E dopo tutto, non sta scritto da nessuna parte che essere cittadini liberi sia qualcosa di semplice. La libertà è qualcosa per cui si deve sudare, non cala certo dall'alto per volere divino.

Ricordate il film più di successo dei fratelli Wachowsky, The matrix? Ricordate la scena in cui il protagonista Neo è messo di fronte ad una scelta drastica? Pillola blu o pillola rossa? Ovvero: continuare a vivere come se niente fosse credendo di essere libero oppure svegliarsi dall'incubo e aprire gli occhi alla verità? Una verità dolorosa, che mostra un'umanità controllata da una mente superiore, che la condiziona anche nelle azioni più insignificanti. Internet costituisce oggi la pillola rossa, il mezzo con cui ogni cittadino può prendere coscienza della realtà e confrontarla poi con quella che gli viene propinata dalla televisione e dai giornali, che invece ci invitano subdolamente ad ingerire la pillola blu.

E' un esercizio molto divertente e istruttivo. La rete smaschera in un attimo tutte le bugie o le mezze verità che passano attraverso i media ufficiali. Ma perché i media ufficiali dovrebbero mentire? Ce lo spiega ancora una volta Pasolini: “Oltre alla vecchia ferocia dei campi di concentramento, della schiavitù, ecc..., c'è la nuova ferocia, quella che consiste nei nuovi strumenti del potere. Una ferocia così ambigua, ineffabile, abile, da far sì che ben poco di buono resti in ciò che cade sotto la sua sfera. Lo dico sinceramente. Non considero niente di più feroce della banalissima televisione. Il video è una terribile gabbia che tiene prigioniera l'opinione pubblica servilmente servita per ottenere il totale servilismo. Tutto viene presentato come dentro un involucro protettore col distacco e il tono didascalico con cui si discute di qualcosa che è già accaduto. Tutto ciò esclude i telespettatori da ogni partecipazione politica”.

Sono parole di denuncia fortissime: la televisione come mezzo per mantenere il controllo e il potere.Tutti sanno che in un regime il primo passo del dittatore è quello di assoggettare l'informazione e costruire una propaganda del consenso. Ma cosa succede negli stati cosiddetti democratici? Cosa succede, in particolare, in Italia? Succede, come è sempre accaduto, che la televisione diventa uno strumento nelle mani dei governi in grado di plagiare le coscienze, ma in modo soft, rassicurante. Il primo passo è quello di prendere coscienza di questa situazione. E per prenderne coscienza basta navigare in Internet.

Mi vengono in mente esempi recenti molto chiari ed evidenti. Da mesi in Italia impazza l'emergenza sicurezza, non passa giorno che un telegiornale ci informi dei dettagli più morbosi di un qualche stupro, di una qualche violenza, di un qualche omicidio. Negli ultimi tempi la situazione sembra alquanto peggiorata. La generica “emergenza sicurezza” si è trasformata in una vera e propria emergenza stupri. Sembra che l'Italia sia diventata improvvisamente un grande bordello a cielo aperto in cui tutti stuprano tutti. Anzi no. I Rumeni stuprano tutti. Il messaggio con cui i media ci bombardano da tempo è che sono loro la causa principale degli stupri in Italia: i Rumeni. Sull'onda emotiva alimentata dalle televisioni, la paura monta nella popolazione che tende ad essere sempre più insofferente verso questa etnia. Fateci caso. Ogni volta che c'è uno stupro, ancora prima di conoscere il colpevole, i sospettati sono sempre dei Rumeni. Tipico titolo di giornale: “Stuprata una donna all'uscita della stazione. Gli aggressori probabilmente sono due Rumeni”.

Domando: a chi giova sapere la nazionalità di un delinquente? Forse che uno stupro commesso da un Rumeno sia più grave di uno commesso da un Italiano o da un Francese? Perché insistere volontariamente in quel modo sull'etnia? A chi giova questo clima di paura? A chi interessa creare questa diffidenza nei confronti degli immigrati, e in particolare dei Rumeni?

La cosa interessante è che, se solo uno fa un breve giro in Intenet, alla voce “stupri in Italia” troverà probabilmente delle risposte sconcertanti. Innanzitutto, stando alle statistiche del Ministero dell'Interno, è chiaro che non esiste nessuna emergenza stupri. O meglio: la situazione odierna non è più preoccupante di quella che era per esempio qualche anno fa. Anzi. Il numero degli stupri nel 2008 è in calo in tutte le maggiori città italiane. A Roma, per esempio, c'è stata una riduzione significativa del 6,5%, a Bologna del 22%, a Milano addirittura del 27% rispetto al 2006. Ma c'è di più. Se si vanno a guardare le statistiche per etnia, si vedrà che incredibilmente il 61% di coloro che commettono violenze sessuali sono Italiani. La percentuale di Rumeni è attorno al 7%, seguiti dai Marocchini al 6%. Come la mettiamo allora?

Un altro esempio che mi viene in mente è il modo in cui i media stanno trattando la crisi economica attuale. Mentre l'America crolla e il suo crollo si ripercuote sull'intera Europa con fenomeni mai visti di licenziamenti di massa, mentre intere fabbriche chiudono mandando letteralmente sul lastrico migliaia di famiglie che si ritrovano “povere” da un giorno con l'altro, in Italia sembra che il problema si risolva in paio di fredde cifre astratte. La crisi è sostanzialmente riassunta nel concetto: “Il Prodotto Interno Lordo nel 2009 scenderà del 2%”. Pochi riferimenti o quasi alle disastrose conseguenze di un tale scenario. Quasi mai viene data la parola alle migliaia di persone che si ritrovano disoccupate dalla sera alla mattina. E la tendenza che viene fortemente suggerita dal governo è quella di “sdrammatizzare e non far apparire le cose più gravi di quel che sono”. Così ci appare che effettivamente la crisi sia qualcosa di impalpabile, che quasi non esista, finché non ci tocca in prima persona. Fa parte di quella “politica della rassicurazione” che i media tendono sempre ad imporre su impulso dei governanti.

E a ben vedere ce se ne sarebbe di spazio in tv per approfondire i risvolti più tragici di questa crisi che sta distruggendo migliaia di famiglie. Invece, si preferisce parlare di altro, specialmente di cronaca nera o, in generale di fatti che siano il più possibile morbosi e possano incollare il telespettatore allo schermo. Sappiamo tutto dei delitti di Cogne, conosciamo a memoria la pianta della casa in cui si è perpetrato il delitto, conosciamo i più intimi particolari della vita dei due fidanzatini killer Erika e Omar, per non parlare dei coniugi Olindo e Rosa. Sono diventati parte della nostra vita, ormai. Se ne discute nei bar, per strada, dal macellaio. Non sappiamo nulla invece, perché nulla ci viene detto, tanto per fare degli esempi, sulle cifre della corruzione dilagante in Italia, sulle spaventose cifre dell'evasione fiscale, sui processi che riguardano da vicino importanti uomini delle istituzioni, sui più o meno sporchi maneggi che si perpetrano nelle sale del potere.

Pasolini non riusciva a scorgere sostanziali differenze tra questo tipo di informazione, apparentemente democratica, ma di fatto fuorviante e deviante, e l'analoga propaganda fascista: “L'importante è una sola cosa: che non trapeli nulla mai che non sia rassicurante. L'ideale piccolo borghese di vita tranquilla e perbene si proietta come una specie di furia implacabile in tutti i programmi televisivi e in ogni piega di essi”.

La verità è che, se solo uno ha il coraggio di addentrarsi nella giungla di Internet per ottenere da sé le informazioni, scoprirà una realtà che molto spesso è radicalmente diversa da quella che ci viene proposta sul teleschermo o sui giornali. Ciò deriva dal fatto che i media tradizionali, per come sono concepiti, devono rispondere agli interessi di poteri forti che hanno tutto l'interesse a manipolare l'informazione in modo che certe notizie non vengano allo scoperto o vengano propinate in maniera distorta. Tutte le principali televisioni private sono gestite da grossi gruppi imprenditoriali, che hanno di solito interessi molto più estesi. E' chiaro che ogni notizia scomoda verrà limata, smussata, distorta e nei casi più estremi censurata per tutelare gli interessi dell'editore. Anche la televisione pubblica, che dovrebbe essere al servizio dei cittadini, non è immune da queste logiche, ma anzi è mantenuta sotto lo stretto potere dei partiti politici che controllano con meticolosità che nessuno sgarbo venga fatto alla propria parte. Stesso discorso per i giornali, i cui direttori, lontani dall'essere indipendenti, ma che si sforzano con ogni mezzo di apparire tali, devono rispondere a logiche politiche di spartizione del potere, essendo essi nominati da grandi gruppi editoriali che fanno a gara per apparire graditi a questo o a quel partito.

Una volta che si è compreso questo fenomeno ci si trova dapprima disorientati, ma subito dopo si torna a respirare un'aria nuova, di vera libertà. Non c'è niente di più gratificante che ricercare ed arrivare alla verità con le proprie forze, ragionando con la propria testa e facendo i conti con la propria onestà intellettuale. E' una piccola rivoluzione mentale che può stravolgere il proprio modo di vedere la realtà. Ma che è necessario affrontare nel momento in cui vogliamo definirci cittadini veramente liberi.

Citando ancora una volta Pasolini: “In televisione c'è chi pensa per voi. Da tutto ciò nasce un clima di terrore. Io vedo chiaramente il terrore negli occhi degli annunciatori, degli intervistati ufficiali. Non va pronunciata una parola di scandalo. Praticamente non può essere pronunciata una parola, in qualche modo, vera”.

sabato 7 marzo 2009

Un paese fallito


Mentre divampa la polemica sulle ronde, i sindacati di polizia stanno da tempo tentando di far sentire la propria voce per denunciare lo stato disastroso in cui versano le forze dell'ordine italiane che dovrebbero in teoria garantire la sicurezza del territorio, ma che sempre più spesso si vedono impossibilitate persino ad accendere un'autovettura: semplicemente manca la benzina oppure non ci sono i soldi per le necessarie riparazioni.

Ora, tra tutte le emergenze presunte sventolate dal governo in questi mesi, emergenza sicurezza, emergenza stupri, emergenza clandestini, emergenza rifiuti, emergenza Alitalia, emergenza giustizia e chi più ne ha più ne metta, mi pare che questa emergenza che riguarda una polizia ridotta sul lastrico sia davvero da considerare tale e meriterebbe un'attenzione prioritaria. Ma siccome non serve a nessuno sottolineare l'insufficienza dei mezzi che lo Stato mette a disposizione per contrastare la criminalità, semplicemente non se ne parla o addirittura si mistifica la realtà dichiarando, come hanno fatto in più occasioni sia La Russa che Maroni, che "le forze dell'ordine sono contentissime dei provvedimenti adottati dal governo".

Niente di più bugiardo. Sono mesi ormai che tutti i sindacati di polizia tentano di urlare il loro disappunto e il loro imbarazzo nel dover far fronte al tanto invocato "bisogno di sicurezza" senza avere in tasca il becco di un quattrino. La denuncia che sale dalla base è pesante e meriterebbe le prime pagine dei giornali.

Uno stato che non riesce a trovare i soldi per finanziare a livello almeno decente l'operato delle proprie forze dell'ordine è uno stato clinicamente fallito.

Uno stato che lascia la polizia allo sbando, senza fondi, senza mezzi e che la umilia continuamente con l'introduzione sempre maggiore di forze armate nelle strade è uno stato oggettivamente fallito.

Uno stato che rinuncia per manifesta incapacità ad assicurare la protezione istituzionale del territorio e dei cittadini e che non trova niente di meglio che delegare ai cittadini stessi la tutela della loro incolumità è uno stato che si dichiara fallito.

L'introduzione delle ronde, indipendentemente dal fatto che esse saranno composte da bravi cittadini con uno spiccato senso civico animati da buone intenzioni o da esaltati nostalgici del ventennio, è il marchio di fallimento di uno stato.

E sarebbe ora che gli Italiani e il governo in primis ne prendessero coscienza e lo ammettessero. L'Italia, in balia della delinquenza e della criminalità organizzata, è fallita. Punto.

E i sono i numeri a dirlo. I freddi numeri.

I tagli imposti da Tremonti, anche per finanziare il famigerato Ponte-fantasma, prevedono una riduzione di 254 milioni di euro per il 2009, 270 milioni per il 2010 e 480 milioni per 2011. Un totale di più di un miliardo di euro in tre anni sottratti al finanziamento dell'ordine e della sicurezza pubblica.

Ma di che sicurezza parlano allora questi cialtroni?

In particolare sono stati tagliati 16 milioni per gli straordinari, 2 milioni per le trasferte, 13 milioni per le spese telefoniche (non riusciranno più nemmeno a pagare le bollette del telefono), 5,5 milioni per l'informatica (addio computer e stampanti) e 6 milioni per l'armamento (nella fondina metteranno probabilmente le pistole giocattolo).

I risultati di questi tagli indiscriminati sono devastanti e paradossali. Fa male elencarli, ma è necessario per capire fino a che punto l'Italia si sia ridotta. I trenta poliziotti che hanno catturato qualche mese fa il boss Lo Piccolo, capo di Cosa Nostra dopo l'arresto di Provenzano, è da un anno che attendono di vedersi pagare gli straordinari. Quelli che arrestarono nel 2006 Provenzano, giustamente esaltati e osannati da tutta Italia, hanno dovuto scendere in piazza per vederseli riconosciuti. A Rimini i poliziotti che hanno preso parte a missioni di polizia giudiziaria per conto della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna stanno vedendo gli anticipi ottenuti tagliati dalle proprie buste paga. A Genova il comune ha dovuto intervenire direttamente e metterci di tasca propria 300 mila euro per dotare la polizia delle minime attrezzature necessarie, come torce, moto e computer. A Palermo, il questore si è visto costretto a porre un tetto mensile di 33 mila euro per le indagini antimafia.

A Verona, il capoluogo che sarebbe dovute fungere da esperimento per la sicurezza, il gioiello della legalità padana, il prototipo della città a rischio zero, in cui il sindaco leghista Flavio Tosi continua a richiamare militari da tutta Italia (ne sono arrivati 75 più 12 agenti di polizia di altre regioni), si contano la miseria di tre, dicansi tre, volanti di polizia, di cui una è ferma in piantonamento stabile al tribunale. Le altre due servono per scortare i 12 agenti esterni che non hanno la minima idea di come orientarsi tra il centro storico e i quartieri industriali della periferia.

Ma di che sicurezza parlano allora questi cialtroni?

Il 30 dicembre scorso la Direzione centrale dei Servizi Tecnico-logistici e della Gestione patrimoniale del Dipartimento di Polizia ha inviato un fax inquietante alle sedi della polizia di tutta Italia raccomandando di "circoscrivere le spese ai soli rifornimenti di carburante posto che gli stanziamenti per la gestione e manutenzione dei veicoli risultano di gran lunga insufficienti". Giusto un po' di benzina, ma non troppa, per far andare avanti le auto che ci sono. Quelle da riparare rimarranno per sempre in garage.

A Napoli e a Roma ce ne sono 250 di volanti ferme in officina, a Milano 257, a Bari la metà esatta di quelle funzionanti. A Palermo 140 sono in attesa di riparazione e sul territorio ce ne sono attive 12, che si riducono a 6 nei turni di notte. I mafiosi staranno tremando.

Ma non preoccupatevi, ci saranno le ronde a difendervi. Armate solo di cellulare, si intende! Così, appena avvisteranno un possibile criminale, chiameranno immediatamente la polizia.

C'è solo da sperare che nel frattempo la Telecom non gli abbia staccato la linea.

giovedì 5 marzo 2009

La giustizia a due velocità


Nel mondo perfetto immaginato dal presidente del consiglio esiste una giustizia snella e veloce che punisce con mano ferma e pesante i poveracci e una giustizia pachidermica e con piaghe da decubito che non riesce nemmeno a muovere un dito contro i potenti.

Questo è chiaro, anzi chiarissimo. E' da quando è salito al potere per la quarta volta che Berlusconi tenta in tutti i modi di rendere inoffensiva la magistratura che si interessa dei reati suoi e dei suoi compagni, che da destra a sinistra occupano il parlamento. E' inutile star qui a ricordare tutta la campagna di odio portata avanti in prima persona e le tonnellate di infamie riversate sui magistrati, definiti ora "metastasi della democrazia", ora "disturbati mentali"; è inutile parlare ancora del decreto legge con cui avrebbe voluto eliminare d'un colpo centomila processi solamente per bloccare il proprio; è inutile mettere di nuovo l'accento sul Lodo Alfano, che invece il processo gliel'ha bloccato solo a lui facendo rimanere male tutti gli altri novantanovemila novecento novantanove che già ci speravano. E' inutile infine star qui a ribadire l'anomalia di un disegno di legge sulle intercettazioni che, come spiegato praticamente da tutti i procuratori d'Italia e persino da tanti rappresentanti del Pdl (solo Ghedini lo difende ancora), impedirà l'utilizzo del mezzo investigativo in nome di una non ben definita privacy.

Piccola parentesi. Notizia dell'ultim'ora: in seguito alle insistenze del CSM, di tutte le varie organizzazioni di magistrati e da tanti avvocati anche in quota Pdl (la Bongiorno solo per fare un nome), sono state apportate alcune piccole modifiche al testo. E' stata abolita la follia del carcere per i giornalisti che pubblicano notizie su indagini in corso (le potranno però pubblicare solo in forma di riassunto) ed è stata sostituita la formula "gravi indizi di colpevolezza" con "rilevanti indizi di colpevolezza". Voi capite che siamo alla frutta. Giocano con il dizionario dei sinonimi per cercare di accontentare un po' tutti. E' chiaro che il testo era una porcata, e porcata rimane.

Ma c'è qualcosa di ancora più pericoloso all'orizzonte, di cui nessuno parla. Qualcosa che bolle in pentola e sta per scardinare le fondamenta stesse della giustizia italiana: la riforma del giudizio penale. E' un pallino di tutti i nuovi ministri della giustizia: riformare un codice di procedura penale folle, pantagruelico, contorto, cavilloso e a tratti contraddittorio che produce processi interminabili che non vedono quasi mai la sentenza definitiva. Bene, il problema è che poi, alla fine, tutti i vari ministri della giustizia che si sono succeduti ci hanno messo le mani, ma non per snellirlo, quanto per renderlo ancora più impenetrabile e quindi di fatto depotenziarlo.

In questi giorni Angelino Alfano, non contento di aver prestato il suo nome per una legge incostituzionale che ha da poco palesato il suo vero fine, quello cioè di impedire che Berlusconi arrivasse a sicura condanna per corruzione giudiziaria nel processo Mills, ora si è messo in testa che vuole riformare sia il codice di procedura civile che quello penale. Anzi, il testo della riforma per il primo è già stato approvato dal senato. Alfano grida vittoria. Dice che è un momento memorabile per le istituzioni democratiche. I processi civili verranno accelerati. Saranno impediti quei fastidiosi e cavillosi ricorsi in Cassazione, i giudici di pace avranno competenze maggiori. Insomma, assicura il ministro della giustizia, le beghe di condominio e le controversie stradali da oggi si risolveranno in men che non si dica.

Peccato che invece le buone intenzioni espresse fin qui siano state completamente abbandonate nel momento di ritoccare il più scottante tema del processo penale, quello che veramente sposta gli equilibri, che tocca interessi enormi, che implica scandali ad alti livelli, quello che insomma riguarda molto da vicino i poteri forti, da sempre invischiati in fenomeni di corruzione, concussione, turbativa, falso, bancarotta ecc...

Tutti, Alfano in primis, sanno che il 90% dei procedimenti penali in Italia finiscono nel nulla. Su di loro cade scandalosamente la mannaia della prescrizione. Che sembra sciacquare via d'un colpo tutti i reati. Tutti ladri all'inizio. Tutti assolti alla fine. Non perchè siano innocenti. Ma perchè non c'è più tempo per processarli. Sette anni e mezzo: questo il tempo massimo. Peccato che la media di un processo penale in Italia sia di otto anni. Il giochino è servito. Chi ha ideato questa genialata? Beh, basta andare indietro al precedente quinquennio berlusconiano: legge ex-Cirielli che dimezzò d'un colpo i tempi di prescrizione. Così Berlusconi si è salvato (e si salverà) da innumerevoli processi. Così non è possibile chiamare Andreotti con il suo vero nome: colluso con la mafia. Sarà in eterno un colluso prescritto. E via dicendo.

I punti fondamentali che ha in mente Alfano per la riforma del processo penale sono chiari e precisi. Anche perchè non li ha mica inventati lui. Sono stati scritti più di trent'anni fa dal Venerabile maestro della P2 Licio Gelli nel suo famoso Piano di Rinascita, che una volta rinvenuto fece scandalo e fece saltare innumerevoli teste. Oggi invece non ci fa più caso nessuno. L'allievo ha superato di gran lunga il maestro. Dico l'allievo perchè come tutti sanno il nostro presidente del consiglio era degnamente affiliato alla loggia massonica eversiva con tessera personale numero 1816.

I punti sono tre, ma in realtà il fine è uno solo: togliere ai magistrati la possibilità di ficcare il naso in faccende che non li riguardano.

Primo punto: la tanto sbandierata separazione delle carriere tra PM e giudici. E', come detto, una vecchia idea di Gelli, ripresa curiosamente in questi ultimi mesi da colui che era stato accusato in passato di essere addirittura a capo del partito dei giudici, Luciano Violante. Altri tempi, si capisce. L'idea è che i pubblici ministeri non potranno più fare il salto per diventare giudici. Dovranno scegliere: o fare il giudice o fare il PM. Berlusconi vorrebbe addirittura che giudici e pubblici ministeri nemmeno si parlassero e si dessero "del lei". Non si chiameranno nemmeno più pubblici ministeri. Si chiameranno "avvocati dell'accusa". Gli avvocati dei poliziotti, insomma.

Basta solo far notare che se questa proposta fosse stata in vigore ai tempi, probabilmente non avremmo mai avuto persone come Falcone e Borsellino. E forse il maxiprocesso alla mafia non si sarebbe mai celebrato. Solo questo pensiero dovrebbe fare "ribrezzo", per utilizzare un termine caro al nostro presidente del consiglio.

Secondo punto: il PM non avrà più alcun controllo sulla polizia giudiziaria. Quindi non potrà più indirizzare la polizia nelle indagini, che dipenderà in tutto e per tutto solamente dal Ministero dell'Interno. Uno svuotamento di poteri devastante. Il PM in futuro dovrà solamente starsene a poltrire in ufficio in attesa della polizia giudiziaria che, su imbeccata del Ministero, lo avvisi di una notizia di reato, magari proprio ai danni di qualche colletto bianco. Pensate un po' la follia. E se invece il PM non è un pigrone e si dà da fare, si informa, legge, ascolta, interroga e viene a scoprire, indipendentemente dalla polizia, una notizia di reato, che fa? Vedi punto tre.

Punto tre: non fa niente. Il disegno di legge prevede infatti che sia categoricamente vietato al PM di iniziare indagini in privato. Le indagini potranno partire solamente in seguito a rapporto della polizia o dei carabinieri. Non è uno scherzo. E' quello che hanno in mente questi signori che ci governano. Se un PM, leggendo i giornali o navigando su internet, avrà sentore di un reato, non potrà in nessun modo aprire un'indagine, ma dovrà aspettare, speranzoso e in rigoroso silenzio, che un poliziotto lo venga ad informare di una cosa che sa già. Lui di sua iniziativa non potrà fare più nulla. Un vero e proprio avvocato dellla polizia: "reato c'è quando polizia lo dice".

Voi vedete immediatamente che questi tre pilastri su cui si fonderà la riforma del procedimento penale non abbrevieranno di un solo secondo i processi. L'unico effetto che avranno sarà quello di ammanettare i pubblici ministeri, umiliarli e renderli dei semplici passacarte. Soprattutto se si considerano tutte quelle norme accessorie previste da Alfano volte ad ingigantire i poteri degli avvocati della difesa. Cavilli burocratici per rallentare ancora di più i processi e portarli oltre il limite della prescrizione, ricusazioni più facili dei giudici (se non mi piace il giudice me lo cambio), annullamento facile dei processi per vizi di forma, possibilità di portare a testimoniare un numero teoricamente infinito di persone col solo scopo di raggiungere l'agognata soglia della prescrizione.

Come si vede, la riforma del diritto penale contrasta in modo stridente con i proclami del governo sulla velocizzazione e l'efficienza della giustizia, ma contrasta soprattutto con la linea guida della riforma del diritto civile. Sembrano idee partorite da due menti completamente diverse. O da una sola mente dissociata. Fate voi.

Ma comunque non preoccupatevi. E' tutto sotto controllo. Le ronde inizieranno presto a battere per le strade. Vanna Marchi è tornata dietro le sbarre con gran sollievo di tutti. E a Matrix, orfano di Mentana, la ragazzina killer Erika che ha massacrato a coltellate madre e fratellino ha potuto spiegare la sua verità. Sembra di capire per esigenze di pluralità di informazione. Dopo tutto la Franzoni ha potuto farlo per anni negli studi di Vespa.

Giusto così.


Segnalazione: Paura? Why not! di Stefano Rossi