martedì 10 novembre 2009

La soluzione finale

"Sono in discussione in parlamento disegni di legge come quello sulle intercettazioni telefoniche, come quelli che pensano di accorciare ancora i tempi di prescrizione del reato, come quelli che prevedono uno stravolgimento del processo penale e l'indipendenza e l'autonomia della magistratura attraverso una espropriazione al pubblico ministero dei poteri di indagini, dei poteri di iniziativa nelle indagini – mi riferisco al disegno di legge che tende ad attribuire alla sola polizia giudiziaria il compito dell'iniziativa nelle indagini, polizia giudiziaria che, come noto, al contrario del pubblico ministero, è sottoposta al controllo diretto dell'esecutivo – beh, credo che di fronte a questo quadro, direi all'avvicinarsi di una sorta di baratro dello stato di diritto... ché siamo ahimè a pochi metri... in questa fase estremamente delicata di alcune indagini e inchieste (…) forse un magistrato il diritto di dire qualcosa ce l'ha e lo rivendico tutto.

La situazione presenta aspetti di drammaticità tale per cui credo sia difficile non usare termini che talvolta rischiano di apparire esagerati o enfatici. (…) io credo che siamo in una situazione di emergenza. Un'emergenza vera, effettiva. Non le emergenze fittizie, le emergenze create ad hoc per deviare l'attenzione dell'opinione pubblica, non l'emergenza immigrazione, non l'emergenza magistratura, non l'emergenza intercettazioni: noi in Italia abbiamo un'emergenza democratica. E l'emergenza democratica che abbiamo nel nostro paese nasce da una situazione attuale, contingente, che ha a che fare con un attacco sistematico che si avvia verso una sorta di - passate il termine, riconosco, un po' enfatico - di soluzione finale, ma questa sensazione mi dà quello che sta accadendo negli ultimi mesi.

Gli unici presidi di controllo rimasti in piedi sono la magistratura e la libera informazione. Su questi snodi, in modo lucido e sistematico, si muovono le iniziative legislative attuali all'orizzonte, quella sulle intercettazioni ad esempio, che costituisce soltanto l'ultimo anello. (…) Ma quel che sta accadendo in Italia, che è accaduto negli ultimi dieci anni (…) e che rende non enfatica, anzi direi quasi un eufemismo, l'espressione che ho usato prima di emergenza democratica, è che noi non ci troviamo tanto o soltanto di fronte a una sistematica demolizione dei pilastri dello stato di diritto. Noi ci troviamo di fronte a una sistematica demolizione dello Stato. Quello che è accaduto negli ultimi anni è una progressiva e radicale rimodulazione del modello istituzionale nel quale la differenza tra quella che in Italia chiamiamo cosiddetta prima e seconda repubblica è che nella prima repubblica vi era una politica che svolgeva un ruolo di mediazione talvolta inquinata da interessi privati e talvolta inquinata anche da interessi criminali, ruolo di mediazione svolto dalla politica che nella seconda repubblica semplicemente non esiste più.

Noi abbiamo detto spesso nel passato che è errata l'immagine “scontro politica-giustizia” anche perché c'era solo una parte che picchiava contro l'altra, e cioè la politica contro la giustizia. Ma io dire un'altra cosa. Noi invece non abbiamo avuto un assedio della politica contro la giustizia. Noi abbiamo semplicemente perso la politica, perché le istituzioni e la politica sono state occupate dagli affari e dagli interessi privati. E quindi è il privato che ha sostituito il pubblico. La differenza quindi tra la prima repubblica e la seconda è che è saltato qualsiasi ruolo di mediazione che la politica svolgeva nella cosiddetta prima repubblica. Questo è quello che mi allarma e mi preoccupa.

Siccome, come ci ricordavano uomini come Falcone e Borsellino, la lotta alla mafia non la puoi fare soltanto dentro i palazzi di giustizia con le indagini e coi processi. Dentro i palazzi di giustizia devi fare appunto le indagini e i processi. Con le prove, se ci sono e se non ci sono le prove non fai né l'uno né l'altro. Ma per affrontare la mafia, che non è soltanto un'organizzazione criminale, ma che è un sistema di potere criminale, la magistratura da sola non può vincere questo scontro. Occorre un movimento ampio, di opinione, della società ed è quello che Paolo Borsellino diceva con una frase, che se noi dicessimo oggi saremmo accusati naturalmente di essere politicamente schierati, che il nodo - diceva Paolo Borsellino – della lotta alla mafia è essenzialmente politico, perché prima di una magistratura antimafia occorre una politica antimafia.

E quindi io da magistrato non voglio un'assenza di politica da invadere con la mia azione giudiziaria. (…) Io voglio una Politica che sia con la P maiuscola e non la p minuscola. Una politica cioè che sia luogo dove vengono perseguiti gli interessi pubblici e non gli interessi privati e che quindi la politica antimafia sia nell'interesse dei cittadini soprattutto e quindi una politica che abbia tra le sue priorità la lotta ai poteri criminali e non ne venga invece invasa, condizionata, subendone le infiltrazioni e che abbia a cuore, perché ne costituisce un presupposto, una magistratura autonoma, indipendente, responsabile (perché la magistratura deve essere naturalmente responsabile e deve rispondere per le sue colpe, ma non per colpe inventate).

Non si tratta di assumersi sulle spalle nessun progetto politico. (…) Dalla magistratura viene una richiesta di politica alla politica (…) e non di fare la guerra alla magistratura.

Di fronte a un quadro nel quale noi abbiamo perso un'opinione pubblica critica perché sull'opinione pubblica vengono rovesciate falsità, luoghi comuni, i fatti non vengono raccontati, ogni fatto viene trasformato in opinione, abbiamo un livello di imbarbarimento del dibattito pubblico, soprattutto il dibattito sulla giustizia, che credo anche questo sia senza precedenti. L'uso della menzogna in politica che è tipico dei regimi si è in modo preoccupante particolarmente accentuato negli ultimi anni soprattutto sui temi cruciali. Raccontare delle letterali “palle” come quelle che sono state dette sul tema delle intercettazioni, sul fatto che tutti gli Italiani siano intercettati, “palle” come quelle che in altre parti del mondo la legislazione sia più garantista che quella in Italia... (…) il problema delle spese non si risolve abolendo le intercettazioni. (…) Se si eliminano le intercettazioni per ridurre le spese, forse chissà che l'obiettivo non è quello di ridurre le spese, ma è di ridurre le intercettazioni e i poteri del pubblico ministero.

C'è un obiettivo di autoconservazione della classe dirigente di cui questa classe politica è espressione, di una classe dirigente che realizza per via legislativa quello che realizzava un tempo altrimenti.

La magistratura di qualche decennio era forte con i deboli e debole con i forti. Poi la magistratura cambiò e venne invasa da un'altra generazione di magistrati che prendono come modelli Falcone e Borsellino e che applicano la legge uguale per tutti.

Ecco che allora è come se si fosse rotto un patto, un patto di non belligeranza, interno alla classe dirigente, nel quale un pezzo di classe dirigente (...) nella sua grande prevalenza ha rotto questo patto di non belligeranza e ha iniziato ad applicare la legge in modo eguale nei confronti di tutti finendo per portare sul banco degli imputati altri appartenenti alla classe dirigente e talvolta anche altri magistrati, altri uomini politici, altri imprenditori. Di qui sono scattati gli anticorpi, di qui si è avviato un progetto lucido, determinato, che viene da lontano e vuole andare lontano, di revisione della legislazione per realizzare il medesimo obiettivo: l'autoconservazione di una classe dirigente che costituisce la vera anomalia del nostro paese.

Si è realizzato in Italia quello che non un magistrato giustizialista, ma un intellettuale pacato e che per altro si occupa spesso di altro, di arte e letteratura, come Pietro Citati, disse tempo fa in un lucidissimo articolo di quel processo di “mafiosizzazione” del paese che si è realizzato negli ultimi anni. Noi, questo processo di “mafiosizzazione” lo vediamo, lo vediamo ogni giorno e quello che più ci preoccupa è quello che ha fatto sì che non solo degli interessi privati hanno invaso le istituzioni spazzando via la politica nel senso più nobile del termine e ha fatto sì che anche interessi squisitamente criminali sono entrati e hanno invaso anche le istituzioni.

Mi sento, come tutti gli Italiani, un po' figlio della trattativa tra stato e mafia perché quel che noi abbiamo intorno probabilmente è anche in qualche modo frutto di quella trattativa. E allora, se così è, noi abbiamo il diritto di sapere chi sono stati i nostri padri, cioè i padri di quella trattativa per potere sapere quale è stato il nostro passato, soltanto così possiamo fare i conti col nostro presente e il nostro futuro.

La nostra àncora di salvezza è la carta Costituzionale. La Carta Costituzionale che credo vada difesa in tutti i modi e ha costituito la bussola della parte migliore del nostro paese. E a questa ci dobbiamo attenere.

Il nostro compito è quello di contagiare l'altra Italia, l'Italia dell'indifferenza, che ha finito per dare ragione con la sua indifferenza e la sua neutralità ai poteri criminali. Io credo che non sia tempo di neutralità. Credo che sia tempo di schierarsi dalla parte della Verità e della Giustizia".


Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, 7 novembre 2009

1 commento:

Anonimo ha detto...

fede, torna tra di noi
;)