In questi ultimi giorni sembrano aver avuto grande risonanza le rivelazioni rilasciate da Antonio Di Pietro nell'ultima puntato di Annozero, durante la quale il leader dell'Italia dei Valori ha raccontato un dettaglio assolutamente nuovo: subito dopo la strage di via D'Amelio, il 4 agosto 1992, ricevette un passaporto di copertura (sotto il falso nome di Marco Canale), fornitogli dalle autorità competenti per espatriare in Costa Rica insieme alla moglie, a seguito di un'informativa dei Carabinieri del Ros di Milano, datata 16 luglio 1992, in cui si faceva esplicito riferimento al pericolo imminente di un possibile attentato ai suoi danni. Nella stessa informativa si indicava anche il nome del giudice Paolo Borsellino come probabile bersaglio di Cosa Nostra. Successe però che, se Di Pietro fu immediatamente informato, il giorno stesso, di questo pericolo, Paolo Borsellino ne rimase all'oscuro: la busta con l'informativa, spedita da Milano con posta ordinaria, arriverà a Palermo troppo tardi, quando ormai il giudice è saltato in aria insieme ai suoi ragazzi in via D'Amelio.
La notizia della “fuga” in Costa Rica dell'allora pm Antonio Di Pietro è stata ripresa da molti giornali, che hanno preferito concentrarsi su questo episodio, oggettivamente del tutto marginale, e tralasciare le ben più importanti rivelazioni dell'allora ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli che, sempre nella stessa puntata di Annozero, ha raccontato quello che Salvatore Borsellino aveva sempre sospettato, cioè che Paolo Borsellino fosse stato messo a conoscenza della trattativa in corso tra i vertici di Cosa Nostra e i più alti esponenti del Ros, nella figura del generale Mario Mori e del capitano Giuseppe De Donno, per tramite dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Cinacimino.
La notizia è di quelle sconvolgenti, visto che una delle ipotesi fin qui al vaglio dei magistrati è che il giudice Paolo Borsellino sia stato eliminato (ed eliminato anche in fretta) poiché avrebbe costituito un ostacolo insormontabile allo sviluppo della trattativa. Anche se De Donno si è affrettato a smentire che nell'incontro avuto il 25 giugno con Paolo Borsellino si sia mai parlato di “trattativa”, ma solo di indagini “mafia-appalti”, le parole di Martelli aprono degli scenari decisamente inquietanti.
L'attenzione dei giornali però si è concentrata principalmente su Antonio Di Pietro e sul ruolo da lui svolto in quelle concitate giornate dell'estate 1992. In successione, sabato 10 e domenica 11 ottobre, sono apparsi su Il Secolo XIX due articoli a tutta pagina a firma del giornalista Manlio Di Salvo dal titolo “La verità su Di Pietro, 17 anni dopo” e “Borsellino non volle espatriare”. Entrambi gli articoli partono da spunti autentici per arrivare, attraverso un accumulo di notizie distorte o addirittura inventate di sana pianta, a conclusioni, se non false, assolutamente discutibili. Il succo del discorso è riuscire a dimostrare, o comunque insinuare nel lettore, l'idea che Di Pietro sapesse cose sconosciute ai più e che solo ora, dopo 17 anni, si sia deciso a vuotare il sacco. Non solo. La tesi successiva è che Di Pietro, a differenza dell'atteggiamento eroico (e anche un po' masochista) di Paolo Borsellino che, informato dai Ros di un attentato ai suoi danni, si sarebbe rifiutato categoricamente di lasciare Palermo, avrebbe vigliaccamente fatto in fretta e furia le valigie per il Costa Rica senza dire niente a nessuno e senza nemmeno informare il suo “compagno di sventure” Paolo Borsellino.
Cerchiamo di vedere perché questa ricostruzione fa acqua da tutte le parti.
Nel primo articolo del 10 ottobre, Manlio Di Salvo accusa Antonio Di Pietro di aver aspettato addirittura 17 anni per confermare quello che il suo giornale aveva scritto il 23 luglio 1992, solo quattro giorni dopo la strage di via D'Amelio, e cioè l'esistenza di quella famosa informativa dei Carabinieri in cui si diceva che la mafia voleva uccidere l'ex pm di Mani Pulite. Peccato che questa informativa fosse nota da tempo e che dunque, quando Di Pietro l'ha ricordata ad Anno Zero, ha solo raccontato qualcosa che era già noto e stranoto. La notizia dell'informativa compare, per esempio, come dato accertato e mai smentito, nel libro di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, “L'agenda rossa di Paolo Borsellino”.
Poi Di Salvo si dilunga ad elogiare la propria testata giornalistica, che fu la prima ed unica, come abbiamo visto, a pubblicare la notizia riservata, ottenuta, a suo dire, da un misterioso agente dei Servizi Segreti in un bar di Milano proprio la mattina del 19 luglio, poche ore prima della strage. Agente di cui il giornalista si guarda bene da fare il nome (pur dando varie indicazioni molto specifiche) e che ha la particolarità di non aver più la possibilità di dare la propria versione dei fatti, visto che “negli anni scorsi è stato stroncato da un male incurabile” (il vizio di far parlare i morti è molto contagioso). Di Salvo autocita il suo scoop di diciassette anni prima facendo riferimento ad un coinvolgimento del clan mafioso dei fratelli Fidanzati e rivelando che “Giovanni Falcone, pochi giorni prima di saltare in aria con la moglie, a Capaci, s’era incontrato con il collega Di Pietro”. Sono le stesse notizie che Di Salvo aveva pubblicato proprio nell'articolo del 23 luglio 1992. Peccato che si erano rivelate assolutamente false: l'indiscrezione del pentimento del boss Tanino Fidanzati non aveva alcun fondamento, così come il presunto incontro tra Di Pietro e Falcone, subito smentito dallo stesso Di Pietro e anche dal procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli. Ma Di Salvo le ripropone senza porsi troppi problemi, come se si trattasse di verità accertate. Servono evidentemente per dimostrare una certa tesi.
Quali sono dunque queste “verità su Di Pietro” anticipate nel titolo e confermate dal diretto interessato solo 17 anni dopo? Nessuna. Che Di Pietro fosse nel mirino della mafia era già noto, come detto, da tempo, era stato confermato dal Ros e Di Pietro stesso non si è mai sognato di nascondere o di smentire la notizia. Tutta la ricostruzione basata sulla soffiata di un confidente dei Servizi Segreti, che potrebbe pure avere un qualche fondamento, non ha mai avuto riscontri attendibili e soprattutto contiene informazioni false, come l'incontro tra Di Pietro e Falcone, che ne minano alla base l'attendibilità.
L'articolo del giorno successivo contiene un'accozzaglia di informazioni se possibile ancora più deformate, se non addirittura irreali. Il testo si apre con la prima menzogna: “Quella mattina del 16 luglio 1992, Borsellino aveva letto l’informativa degli investigatori dell’Arma. E all’invito pressante a spostarsi più che velocemente da un territorio che scottava, avrebbe detto: «Questa è la sede dove svolgo regolarmente il mio lavoro. Io da questo ufficio non ho nessuna intenzione di muovermi». Una decisione che ha pagato con la vita”. Notare la locuzione “avrebbe detto”, che sottintende una incertezza nella notizia, spacciata poi per vera e su cui è costruito tutto l'articolo. In realtà questa prima frase non è una menzogna: sono due menzogne messe insieme. E' falso che la mattina del 16 luglio 1992 Borsellino abbia letto l'informativa dei Carabinieri e dunque viene da sé che è pure falso che possa aver pronunciato quella frase.
Se solo Di Salvo si fosse premurato di leggere la pagina dell'agenda grigia del giudice Paolo Borsellino alla data 16 luglio 1992, si sarebbe risparmiato una figuraccia. Rivela infatti Di Salvo: “Il mattino del 16 luglio di 17anni fa, Paolo Borsellino viene scortato,come sempre, nel suo ufficio. Poco dopo lo raggiungono i carabinieri del Ros. Le facce sono più cupe del solito. D’altronde, l’allarme è più grave e serio del solito. Borsellino inforca gli occhiali e legge. Con attenzione. (...) Gli investigatori del Raggruppamento operazioni speciali tentano di convincere Borsellino che stavolta la situazione è davvero grave, più del solito. La minaccia arriva da nomi di spicco della malavita organizzata. Ma Borsellino non recede. Scuotendo il capo, dice che lui da lì non si muove. Tanto meno ha intenzione di cambiare ufficio o di sottostare a ulteriori misure di sicurezza: quelle che ha, già gli bastano.”
E' veramente ammirevole la fantasia di questo giornalista, che riesce a ricostruire in modo apparentemente verosimile un avvenimento mai accaduto. Sì, perché l'agenda grigia non lascia dubbi. Alle 6:00 del mattino Paolo Borsellino è nella sua abitazione a Palermo. Alle 6:30 parte con l'aereo da Punta Raisi per arrivare a Fiumicino alle 8:00 circa. Rimarrà alla Dia di Roma tutto il giorno fino a sera tardi. Tornerà a Palermo soltanto il pomeriggio seguente dopo aver interrogato per ore il pentito Gaspare Mutolo, ma nemmeno allora passerà dal suo ufficio, andando invece direttamente a Villagrazia di Carini insieme alla moglie Agnese. Quindi è assolutamente falso che quella mattina Borsellino si rechi nel suo ufficio (essendo in aereo alla volta di Roma) ed è assolutamente falso, evidentemente, che i Ros possano averlo raggiunto lì. E' falso dunque che Borsellino “inforca gli occhiali” per leggere con attenzione un'informativa che abbiamo visto arriverà a Palermo solo vari giorni dopo. Di conseguenza è falso che i Ros possano aver cercato di convincere il giudice a espatriare ed è falso che Borsellino abbia pronunciato una frase di rifiuto. Intendiamoci: molto probabilmente Paolo avrebbe reagito davvero in quel modo, se solo l'avessero avvisato. Peccato che quell'avviso non arrivò mai.
Ma perché Di Salvo allora inventa tutto questo? Per corroborare la sua tesi, molto discutibile, secondo cui i Ros avrebbero fatto di tutto per tutelare il giudice ed è stato in qualche modo Paolo Borsellino a non voler dare ascolto ai loro consigli. Quasi a scaricare le colpe della morte del giudice sul giudice stesso, che appare dunque, dall'articolo di Di Salvo, come un martire incosciente che “se l'è cercata”. Questa tesi viene supportata da un'ulteriore menzogna: “Nelle stesse ore, sempre uomini del Ros, riescono invece a convincere l’altro bersaglio della mafia: Di Pietro. Che con un passaporto falso finisce in Costarica con la moglie.” Il messaggio è chiarissimo: Borsellino quel giorno non si fa convincere dai Ros, esponendosi così a morte certa, mentre Di Pietro, sempre quel giorno (“nelle stesse ore”), accetta il passaporto di copertura e fugge all'estero. Falso. Abbiamo visto che il passaporto verrà messo a disposizione dell'ex pm di Mani Pulite solo venti giorni dopo.
Come se non bastasse, nel medesimo articolo Di Salvo si avventura in considerazioni e particolari che denotano la sua assoluta impreparazione in materia. Particolari assolutamente noti a chiunque si sia informato solo un po' sulle stragi di Capaci e via D'Amelio, fosse solo attraverso le fiction di Canale5. Di Salvo azzarda un: “E' assai probabile che, come era già successo per Giovanni Falcone (prima di saltare in aria con la moglie a Capaci), anche Paolo Borsellino fosse stato più volte minacciato di morte. Certamente quando vennero prelevati con le famiglie e trasportati quasi a forza all’Addaura, dove venne poi trovata una borsa piena di esplosivo. E dove qualcuno ipotizzò che se la fossero messa addirittura i due magistrati. Che comunque, sebbene amareggiati per quella gravissima insinuazione, erano abituati a ricevere informative che li indicavano come possibili vittime della mafia. Un po’ scuotevano la testa con fatalità, un po’ venivano costretti come per l’Addaura a spostarsi”.
C'è davvero da scuotere la testa, visto che le idee di Di Salvo appaiono molto confuse. Confonde il fallito attentato all'Addaura del 21 giugno 1989 nei confronti del giudice Falcone (e non nei confronti di tutti e due i giudici) con l'episodio del trasporto di entrambi i giudici all'isola dell'Asinara la notte del 4 agosto 1985 in seguito all'uccisione di Beppe Montana e Ninni Cassarà.
Ma c'è una chicca finale. Di Salvo conclude il suo articolo con questa frase: “La normalità finisce nella tarda mattinata di domenica 19 luglio 1992, quando il giudice Paolo Borsellino va a casa della madre per pranzare con lei. Come ogni domenica. E come non accadrà più”.
Ora, passi per l'Addaura confusa con l'Asinara, ma non sapere che la strage di via D'Amelio è avvenuta alle cinque della sera (e non “nella tarda mattinata”) e non sapere che il giudice era andato in via D'Amelio per portare la madre dal cardiologo (e non “per pranzare con lei”), da uno che dice di essere in contatto con misteriosi agenti dei Servizi Segreti, appare, come minimo, piuttosto buffo.
3 commenti:
Salve Federico, mi sono permesso di inviare il link del post che ha scritto "La disinformazia de Il Secolo XIX" all'autore degli articoli sul Secolo XIX (Di Salvo), esortandolo a leggere quello che lei scrive e a riflettere. Mi sono dovuto registrare anche al Secolo XIX per poterlo fare. Finora non hanno pubblicato il mio commento.Ciò che ha scritto è veramente interessante e mostra bene in quale giungla di mistificatori viviamo, E' sempre un piacere leggerla, è di una chiarezza quasi spaventosa! Ho acquistato e letto il suo libro su "Silvio&Macciello" e l'ho prestato a mio cognato....
Grazie Massimiliano! Bisogna davvero diffondere il più possibile certe informazioni e continuare a smascherare i mistificatori al soldo di oscuri poteri forti che vogliono imporre la loro "verità".
federico, ottimo lavoro. pregevole!
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