Chissà cosa starà pensando in questo momento Vittorio Sgarbi.
Vittorio Sgarbi è attualmente sindaco del paesino di Salemi, in provincia di Trapani. E' stato eletto da poco. E' sceso dal nord a raccontare cialtronate tipo "comune artistico", "città futurista", "repubblica degli artisti", "comune illuminato". La gente se l'è bevuta e l'ha votato con il 61% delle preferenze. Ora si ritrovano con il celebre fotografo Oliviero Toscani nei panni di assessore con delega ai diritti umani, comunicazione, creatività e ambiente e con Graziano Cecchini, quello che ha riversato le palline colorate sulla scalinata di piazza di Spagna, nominato assessore al Nulla.
Un gruppo di buontemponi strampalati alla guida di un paese con seri problemi di criminalità ed infiltrazioni mafiose. Ma di mafia a Salemi Sgarbi non ha mai voluto sentir parlare. Ha sdoganato il problema mafia e l'ha reso materia frivola, accademica, una questione di maniera, puramente artistica. Oliviero Toscani, per dire, è colui che si è inventato l'idea geniale di depositare il marchio "M.A.F.I.A.". Cosa ne voglia fare non si sa. Stamparlo su delle magliette? Appiccicarlo sul culo di qualche jeans alla moda? Ma Toscani è un artista e se l'ha fatto ci sarà un motivo: c'è del genio sotto.
Sgarbi ha sdoganato la mafia a Salemi. L'ha fatta diventare leggero fenomeno di costume da cui trarne pubblicità e da vendere come marchio doc. Una sparata di una testa matta? In realtà c'è molto di più.
A fine dicembre a Salemi è stato organizzato un incontro per la presentazione del nuovo libro di Lino Jannuzzi, giornalista e senatore del PDL, intitolato "Lo Stato e lo sbirro", dedicato alla vicenda giudiziaria di Bruno Contrada. Ora, non so quanti di voi conoscano questo fenomeno da baraccone. Lino Jannuzzi, 81 anni, è assurto agli onori della cronaca per aver scritto un libro sul processo Andreotti in cui rivisita la sentenza sostenendo l'assoluzione completa del senatore a vita (in realtà ritenuto colpevole di associazione mafiosa fino almeno al 1980) e un altro libro in cui attacca pesantemente il procuratore Giancarlo Caselli, capo del pool antimafia di Palermo, reo di aver istruito un processo farsa ai danni di Andreotti. Non solo. Lino Jannuzzi ha fatto scalpore anche quando nel 2001 su Panorama descrisse i dettagli di un presunto complotto ai danni di Silvio Berlusconi, ad opera di Ilda Boccassini ed altri tre magistrati che si sarebbero incontrati in gran segreto in un albergo di Lugano per definire delle strategie per arrestare Berlusconi. Tutte fandonie inventate di sana pianta. Jannelli, Panorama e la Mondadori sono stati condannati pesantemente per calunnia in tre processi differenti.
Questo Lino Jannuzzi compare addirittura in una conversazione tra il boss mafioso Giuseppe Guttadauro e l'amico mafioso Salavatore Aragona. Viene indicato come "un tizio buono" e "in intimissimi rapporti con Dell'Utri". Ora, da un personaggio del genere, un pataccaro di professione, calunniatore e ben voluto dai mafiosi, cosa ci si può aspettare che dica sul caso Contrada, condannato definitivamente in Cassazione a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa? E infatti nel suo nuovo libro scrive: "quindici anni di persecuzioni e di processi basati soltanto sulle calunnie dei pentiti, senza riscontri e senza prove". E te pareva.
Bene. In quell'incontro a Salemi del dicembre scorso, oltre al sindaco Vittorio Sgarbi erano presenti nell'ordine: l'assessore Oliviero Toscani, la collaboratrice Maria Giovanna Maglie, e l'avvocato personale di Bruno Contrada Giuseppe Lipera, noto per aver difeso decine di mafiosi e per aver tentato nel '93 di costituire un movimento indipendentista chiamato "Sicilia libera", un partito fantoccio ad uso e consumo della mafia, voluto espressamente da Leoluca Bagarella. Ospite d'onore: Marcello Dell'Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa a nove anni di reclusione. Ci mancavano solo Riina e Provenzano e il quadretto era ricomposto.
Durante quello squallido incontro Sgarbi non ha perso occasione per scherzare con Dell'Utri e gli ha chiesto con il sorriso sotto i baffi di dire una volta per tutte la verità su quella famosa storia di Mangano, al che Dell'Utri, molto divertito, ha preso a raccontare la favoletta del fattore chiamato ad Arcore da Silvio Berlusconi per curare i cavalli. La scenetta si è conclusa tra i sorrisi soddisfatti dei presenti e uno Sgarbi che assicurava che nel Trapanese la mafia non esiste più, è scomparsa da tempo e chi crede ancora alla mafia è un sognatore che cerca solo delle scuse per giustificare il fatto che il turismo non decolla e altre buffonate del genere.
Immaginate: Sgarbi, attorniato da collaboratori di mafiosi, amici di mafiosi, difensori d'ufficio di mafiosi, in un incontro in cui si tenta di riabilitare la figura di un favoreggiatore di mafiosi per mezzo di un libro scritto da un tizio nelle grazie di mafiosi, che annuncia che la mafia a Trapani è scomparsa, è pura invenzione, un gioco stilistico su cui si può scherzare e da cui perfino trarre visibilità. Uno spettacolo sinceramente indecente e inverecondo.
Se non altro perchè Vittorio Sgarbi è lo stesso che è stato condannato in via definitiva per diffamazione nei confronti di Giancarlo Caselli. Una furia calunniatrice senza precedenti e senza apparente giustificazione che portava Sgarbi, nel '95, in diretta dagli studi del TG5, ad accusare Caselli di essere il mandante dell'omicidio di Don Pino Puglisi. Il killer sarebbe stato Leoluca Orlanso. Don Puglisi, per la cronaca, è uno dei tanti eroi uccisi barbaramente per mano della mafia a causa del suo coraggio e della sua libertà. Lo freddarono Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli nella sua chiesa con un colpo alla nuca. I mandanti, i fratelli Graviano, sono stati condannati all'ergastolo.
Non contento di queste deliranti farneticazioni, nel '98, dopo il suicidio del procuratore della repubblica di Cagliari, Luigi Lombardini, implicato nel sequestro di Silvia Melis, torna a lanciare accuse infuocate a Giancarlo Caselli, considerato il responsabile morale del suicidio di Lombardini (Caselli l'aveva appena interrogato). Sgarbi, in un'intervista rilasciata a Renato Farina sul Gioranle, arrivò a chiedere l'arresto di Caselli e la sua sospensione dal servizio e dallo stipendio. Uno dei passaggi dell'intervista: "A Palermo Caselli e' un contropotere che si e' distinto solo per un'attività politica, per inchieste politiche...ha dato credito a mafiosi, assassini e finti pentiti, ridicolizzando gli onesti...non al servizio ma contro lo Stato".
Per aver pubblicato queste infamanti dichiarazioni Renato Farina e il direttore del Giornale Mario Cervi patteggiano la pena. Sgarbi invece decide di andare a processo. In realtà, il giorno dell'udienza al Tribunale di Desio non si presenta facendo sapere di essere a Bologna per un altro processo. Quando il giudice di Desio telefona a Bologna per avere notizie si scoprirà che Sgarbi a Bologna aveva fatto lo stesso dicendo di essere impegnato in un processo a Desio. Geniale. Verrà condannato definitivamente dalla Cassazione per diffamazione aggravata sulle indagini del pool antimafia di Palermo, guidato da Giancarlo Caselli.
Questo personaggio, condannato anche tra l'altro per truffa ai Beni Culturali, il 29 dicembre scorso si trovava nella biblioteca Agrigento, ospite d'onore, al fianco del sindaco di Agrigento Marco Zambuto. Non aveva ancora preso la parola e già Sgarbi era riuscito a fare una battutaccia volgare sulla pessima condizione delle strade della zona. Nella platea si trovava un ragazzo di nome Giuseppe Gatì. Con un gruppetto di amici si era armato di telecamera e aveva voluto essere presente all'incontro per contestare il sindaco di Salemi e far sapere alla gente che razza di personaggio avevano di fronte.
Giuseppe Gatì, tra lo sconcerto generale, ha interrotto Sgarbi e ha incominciato a ricordargli le sue numerose condanne per truffa e diffamazione. E' stato immediatamente braccato dalle forze dell'ordine presenti in sala, strattonato, spintonato, gente che tentava di tirargli calci e pugni, Sgarbi che gli inveiva contro ogni sorta di improperio, la telecamera strappata con forza dalle mani di una sua amica che stava riprendendo l'accaduto. Nella concitazione generale Giuseppe riesce a gridare in faccia a Sgarbi per ben tre volte: "Viva Caselli! Viva il pool antimafia!", prima che venga portato via di peso, rinchiuso per ore in una stanzetta laterale, identificato, minacciato e lasciato lì senza poter vedere nessuno. Sarà rilasciato a notte fonda con queste parole: "Devi capire che ti sei messo contro Sgarbi, che è stato ministro..."
Giuseppe Gatì non è un pazzo esaltato in cerca di visibilità. Giuseppe Gatì è un ragazzo di 24 anni con nobilissimi ideali, che da tempo è impegnato nel suo piccolo in una lotta contro l'omertà e la mafia in Sicilia. Ha aperto un blog da qualche mese, La mia terra la difendo. "Questo blog nasce dall’esigenza di dire basta al clima di illegalita’ e ingiustizia che si respira nel nostro Paese, e soprattutto in Sicilia", scrive. "Organizzero’ azione di informazione e formazione dei cittadini attraverso volantinaggi, incontri di dibattito e approfondimento, pubblicazione di filmati e interviste di propria produzione. E’ arrivato il nostro momento, il momento dei siciliani onesti, che vogliono lottare per un cambiamento vero, contro chi ha ridotto e continua a ridurre la nostra terra in un deserto, abbiamo l’obbligo morale di ribellarci".
Giuseppe Gatì ha le idee ben precise: "Quando ero più giovane me ne volevo andare da questa terra. Ma riflettendoci, ho capito che non sono io che me ne devo andare ma loro. Io la mia terra la difendo e tu?"
Giuseppe Gatì è morto due giorni fa mentre lavorava nel caseificio del padre, folgorato da una scarica elettrica. Destino infame.
Fa impressione, ora che non c'è più, rivedere quel video di un mese fa in cui, con occhi sinceri e coraggio non comune, trattenuto a stento dalle forze dell'ordine, urla in faccia a Sgarbi la sua più grande vergogna: "Viva Caselli! Viva il pool antimafia!".
Questo è un piccolo omaggio a Giuseppe Gatì, un ragazzo libero.
Chissà cosa starà pensando in questo momento Vittorio Sgarbi.
Vittorio Sgarbi è attualmente sindaco del paesino di Salemi, in provincia di Trapani. E' stato eletto da poco. E' sceso dal nord a raccontare cialtronate tipo "comune artistico", "città futurista", "repubblica degli artisti", "comune illuminato". La gente se l'è bevuta e l'ha votato con il 61% delle preferenze. Ora si ritrovano con il celebre fotografo Oliviero Toscani nei panni di assessore con delega ai diritti umani, comunicazione, creatività e ambiente e con Graziano Cecchini, quello che ha riversato le palline colorate sulla scalinata di piazza di Spagna, nominato assessore al Nulla.
Un gruppo di buontemponi strampalati alla guida di un paese con seri problemi di criminalità ed infiltrazioni mafiose. Ma di mafia a Salemi Sgarbi non ha mai voluto sentir parlare. Ha sdoganato il problema mafia e l'ha reso materia frivola, accademica, una questione di maniera, puramente artistica. Oliviero Toscani, per dire, è colui che si è inventato l'idea geniale di depositare il marchio "M.A.F.I.A.". Cosa ne voglia fare non si sa. Stamparlo su delle magliette? Appiccicarlo sul culo di qualche jeans alla moda? Ma Toscani è un artista e se l'ha fatto ci sarà un motivo: c'è del genio sotto.
Sgarbi ha sdoganato la mafia a Salemi. L'ha fatta diventare leggero fenomeno di costume da cui trarne pubblicità e da vendere come marchio doc. Una sparata di una testa matta? In realtà c'è molto di più.
A fine dicembre a Salemi è stato organizzato un incontro per la presentazione del nuovo libro di Lino Jannuzzi, giornalista e senatore del PDL, intitolato "Lo Stato e lo sbirro", dedicato alla vicenda giudiziaria di Bruno Contrada. Ora, non so quanti di voi conoscano questo fenomeno da baraccone. Lino Jannuzzi, 81 anni, è assurto agli onori della cronaca per aver scritto un libro sul processo Andreotti in cui rivisita la sentenza sostenendo l'assoluzione completa del senatore a vita (in realtà ritenuto colpevole di associazione mafiosa fino almeno al 1980) e un altro libro in cui attacca pesantemente il procuratore Giancarlo Caselli, capo del pool antimafia di Palermo, reo di aver istruito un processo farsa ai danni di Andreotti. Non solo. Lino Jannuzzi ha fatto scalpore anche quando nel 2001 su Panorama descrisse i dettagli di un presunto complotto ai danni di Silvio Berlusconi, ad opera di Ilda Boccassini ed altri tre magistrati che si sarebbero incontrati in gran segreto in un albergo di Lugano per definire delle strategie per arrestare Berlusconi. Tutte fandonie inventate di sana pianta. Jannelli, Panorama e la Mondadori sono stati condannati pesantemente per calunnia in tre processi differenti.
Questo Lino Jannuzzi compare addirittura in una conversazione tra il boss mafioso Giuseppe Guttadauro e l'amico mafioso Salavatore Aragona. Viene indicato come "un tizio buono" e "in intimissimi rapporti con Dell'Utri". Ora, da un personaggio del genere, un pataccaro di professione, calunniatore e ben voluto dai mafiosi, cosa ci si può aspettare che dica sul caso Contrada, condannato definitivamente in Cassazione a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa? E infatti nel suo nuovo libro scrive: "quindici anni di persecuzioni e di processi basati soltanto sulle calunnie dei pentiti, senza riscontri e senza prove". E te pareva.
Bene. In quell'incontro a Salemi del dicembre scorso, oltre al sindaco Vittorio Sgarbi erano presenti nell'ordine: l'assessore Oliviero Toscani, la collaboratrice Maria Giovanna Maglie, e l'avvocato personale di Bruno Contrada Giuseppe Lipera, noto per aver difeso decine di mafiosi e per aver tentato nel '93 di costituire un movimento indipendentista chiamato "Sicilia libera", un partito fantoccio ad uso e consumo della mafia, voluto espressamente da Leoluca Bagarella. Ospite d'onore: Marcello Dell'Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa a nove anni di reclusione. Ci mancavano solo Riina e Provenzano e il quadretto era ricomposto.
Durante quello squallido incontro Sgarbi non ha perso occasione per scherzare con Dell'Utri e gli ha chiesto con il sorriso sotto i baffi di dire una volta per tutte la verità su quella famosa storia di Mangano, al che Dell'Utri, molto divertito, ha preso a raccontare la favoletta del fattore chiamato ad Arcore da Silvio Berlusconi per curare i cavalli. La scenetta si è conclusa tra i sorrisi soddisfatti dei presenti e uno Sgarbi che assicurava che nel Trapanese la mafia non esiste più, è scomparsa da tempo e chi crede ancora alla mafia è un sognatore che cerca solo delle scuse per giustificare il fatto che il turismo non decolla e altre buffonate del genere.
Immaginate: Sgarbi, attorniato da collaboratori di mafiosi, amici di mafiosi, difensori d'ufficio di mafiosi, in un incontro in cui si tenta di riabilitare la figura di un favoreggiatore di mafiosi per mezzo di un libro scritto da un tizio nelle grazie di mafiosi, che annuncia che la mafia a Trapani è scomparsa, è pura invenzione, un gioco stilistico su cui si può scherzare e da cui perfino trarre visibilità. Uno spettacolo sinceramente indecente e inverecondo.
Se non altro perchè Vittorio Sgarbi è lo stesso che è stato condannato in via definitiva per diffamazione nei confronti di Giancarlo Caselli. Una furia calunniatrice senza precedenti e senza apparente giustificazione che portava Sgarbi, nel '95, in diretta dagli studi del TG5, ad accusare Caselli di essere il mandante dell'omicidio di Don Pino Puglisi. Il killer sarebbe stato Leoluca Orlanso. Don Puglisi, per la cronaca, è uno dei tanti eroi uccisi barbaramente per mano della mafia a causa del suo coraggio e della sua libertà. Lo freddarono Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli nella sua chiesa con un colpo alla nuca. I mandanti, i fratelli Graviano, sono stati condannati all'ergastolo.
Non contento di queste deliranti farneticazioni, nel '98, dopo il suicidio del procuratore della repubblica di Cagliari, Luigi Lombardini, implicato nel sequestro di Silvia Melis, torna a lanciare accuse infuocate a Giancarlo Caselli, considerato il responsabile morale del suicidio di Lombardini (Caselli l'aveva appena interrogato). Sgarbi, in un'intervista rilasciata a Renato Farina sul Gioranle, arrivò a chiedere l'arresto di Caselli e la sua sospensione dal servizio e dallo stipendio. Uno dei passaggi dell'intervista: "A Palermo Caselli e' un contropotere che si e' distinto solo per un'attività politica, per inchieste politiche...ha dato credito a mafiosi, assassini e finti pentiti, ridicolizzando gli onesti...non al servizio ma contro lo Stato".
Per aver pubblicato queste infamanti dichiarazioni Renato Farina e il direttore del Giornale Mario Cervi patteggiano la pena. Sgarbi invece decide di andare a processo. In realtà, il giorno dell'udienza al Tribunale di Desio non si presenta facendo sapere di essere a Bologna per un altro processo. Quando il giudice di Desio telefona a Bologna per avere notizie si scoprirà che Sgarbi a Bologna aveva fatto lo stesso dicendo di essere impegnato in un processo a Desio. Geniale. Verrà condannato definitivamente dalla Cassazione per diffamazione aggravata sulle indagini del pool antimafia di Palermo, guidato da Giancarlo Caselli.
Questo personaggio, condannato anche tra l'altro per truffa ai Beni Culturali, il 29 dicembre scorso si trovava nella biblioteca Agrigento, ospite d'onore, al fianco del sindaco di Agrigento Marco Zambuto. Non aveva ancora preso la parola e già Sgarbi era riuscito a fare una battutaccia volgare sulla pessima condizione delle strade della zona. Nella platea si trovava un ragazzo di nome Giuseppe Gatì. Con un gruppetto di amici si era armato di telecamera e aveva voluto essere presente all'incontro per contestare il sindaco di Salemi e far sapere alla gente che razza di personaggio avevano di fronte.
Giuseppe Gatì, tra lo sconcerto generale, ha interrotto Sgarbi e ha incominciato a ricordargli le sue numerose condanne per truffa e diffamazione. E' stato immediatamente braccato dalle forze dell'ordine presenti in sala, strattonato, spintonato, gente che tentava di tirargli calci e pugni, Sgarbi che gli inveiva contro ogni sorta di improperio, la telecamera strappata con forza dalle mani di una sua amica che stava riprendendo l'accaduto. Nella concitazione generale Giuseppe riesce a gridare in faccia a Sgarbi per ben tre volte: "Viva Caselli! Viva il pool antimafia!", prima che venga portato via di peso, rinchiuso per ore in una stanzetta laterale, identificato, minacciato e lasciato lì senza poter vedere nessuno. Sarà rilasciato a notte fonda con queste parole: "Devi capire che ti sei messo contro Sgarbi, che è stato ministro..."
Giuseppe Gatì non è un pazzo esaltato in cerca di visibilità. Giuseppe Gatì è un ragazzo di 24 anni con nobilissimi ideali, che da tempo è impegnato nel suo piccolo in una lotta contro l'omertà e la mafia in Sicilia. Ha aperto un blog da qualche mese, La mia terra la difendo. "Questo blog nasce dall’esigenza di dire basta al clima di illegalita’ e ingiustizia che si respira nel nostro Paese, e soprattutto in Sicilia", scrive. "Organizzero’ azione di informazione e formazione dei cittadini attraverso volantinaggi, incontri di dibattito e approfondimento, pubblicazione di filmati e interviste di propria produzione. E’ arrivato il nostro momento, il momento dei siciliani onesti, che vogliono lottare per un cambiamento vero, contro chi ha ridotto e continua a ridurre la nostra terra in un deserto, abbiamo l’obbligo morale di ribellarci".
Giuseppe Gatì ha le idee ben precise: "Quando ero più giovane me ne volevo andare da questa terra. Ma riflettendoci, ho capito che non sono io che me ne devo andare ma loro. Io la mia terra la difendo e tu?"
Giuseppe Gatì è morto due giorni fa mentre lavorava nel caseificio del padre, folgorato da una scarica elettrica. Destino infame.
Fa impressione, ora che non c'è più, rivedere quel video di un mese fa in cui, con occhi sinceri e coraggio non comune, trattenuto a stento dalle forze dell'ordine, urla in faccia a Sgarbi la sua più grande vergogna: "Viva Caselli! Viva il pool antimafia!".
Questo è un piccolo omaggio a Giuseppe Gatì, un ragazzo libero.
Chissà cosa starà pensando in questo momento Vittorio Sgarbi.
2 commenti:
"Giuseppe Gatì è morto due giorni fa mentre lavorava nel caseificio del padre, folgorato da una scarica elettrica. Destino infame."
esistono già versioni contrastanti della sua morte:
versione 1 (corsera)
UN FILO SCOPERTO - L’incidente è avvenuto nel caseificio di proprietà del padre, coordinatore cittadino del Pd. Il ragazzo, che lavorava con il padre, non si è accorto che c’era un filo scoperto, inavvertitamente l’ha toccato ed è morto folgorato. I carabinieri hanno aperto una inchiesta. Nelle settimane scorse Giuseppe Gatì si era reso protagonista di una accesa contestazione al sindaco di Salemi, Vittorio Sgarbi durante la presentazione dell’ultimo libro del critico d’arte ad Agrigento.
versione 2 (amici di giuseppe)
Giuseppe è morto mentre lavorava: era andato a prendere il latte da un pastore ed è morto fulminato mentre apriva il rubinetto della vasca refrigerante del latte. E’ morto dentro una bettola di legno, sporca.
versione 3 (la sicila.it)
Il giovane, che lavorava col padre in un'impresa di latticini, si era recato nel primo pomeriggio da un fornitore, alla periferia di Campobello di Licata e senza accorgersene avrebbe camminato su un filo scoperto della corrente elettrica che attraversava l'azienda agricola.
dal sito dell'agi la notizia è stata addirittura rimossa...
ma hai tolto l'ultimo articolo???
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