sabato 28 marzo 2009

Silenzio! Non disturbate la mafia


Stanno arrivando in questi giorni molteplici segnali inquietanti riguardo alla percezione che le Istituzioni hanno del fenomeno mafioso. A leggere le interviste e i comunicati ufficiali sembra di essere tornati a vent'anni fa, quando ancora la mafia era considerata una realtà immateriale, impalpabile, praticamente inesistente. Ci sono voluti gli sforzi di grandissimi uomini, di eroi con la E maiuscola, ci è voluto il loro impegno al limite del martirio, c'è voluto soprattutto il loro sangue rosso ben visibile alle telecamere, per convincere l'opinione pubblica che la mafia è qualcosa di estremamente reale, qualcosa di profondamente radicato nella società, che non è un'idea astratta, ma un virus terribile e violento che tiene in scacco e distrugge nella sua folle furia migliaia di vite.

Ancora ai tempi dei due magistrati antimafia per eccellenza Falcone e Borsellino, c'era un certo freno, una sorta di ritrosia ad associare esplicitamente il nome "mafia" a certi delitti. Ci sono voluti decine di anni per riconoscere che tanti di quegli assassinii perpetrati nella Sicilia dagli anni sessanta in poi erano effettivamente di matrice mafiosa. Borsellino ammoniva: "Parlate di mafia ovunque vi capiti. Alla televisione, alla radio, sui giornali. Dove volete, ma, vi prego, parlatene". Lui l'aveva già capito. Il più grande regalo che si possa fare alla mafia è quello di far finta che non esista. E' quello di negarne l'esistenza. E' quello di voltarsi dall'altra parte per non voler vedere. Il più grande regalo che si possa fare alla mafia è il silenzio.

La mafia nasce nel silenzio. Si nutre del silenzio. Cresce ed opera nel silenzio. E nel silenzio devasta e distrugge. Le bombe di Capaci e Via D'Amelio sono state un'eccezione e non la regola. Qualcuno non l'ha ancora capito. La mafia è stata costretta a mettere le bombe per salvarsi. Se la mafia mette le bombe è perchè sa di star per morire. Di essere in fin di vita. Quando saltarono in aria, nel giro di cinquattaquattro giorni, prima Falcone e poi Borsellino, la mafia era allo sbando, sull'orlo del collasso, con tutti i principali capi delle famiglie siciliane condannati all'ergastolo nel maxiprocesso. Con altre centinaia di manovali in cella.

Della mafia bisogna aver paura quando tace, non quando grida.

Ora, quando io leggo sui giornali quello che ho letto in questi giorni, mi prende un grande sconforto. Sembra che la lezione non sia servita a nulla. Si stanno facendo giganteschi passi all'indietro. Non tanto nel contrasto sul territorio. La polizia e carabinieri dell'antimafia cercano di fare il possibile, compatibilmente con le scarse risorse messe a disposizione e fanno miracoli ad assestare ad intervalli regolari pesanti colpi alla criminalità organizzata. Ma si tratta pur sempre di pesci piccoli. La mafia, ormai, ce lo spiegano fior fiore di magistrati a cui nessun dà ascolto, non ha più le sembianze del paesano un po' rozzo, alla Totò Riina per intenderci, dal carisma travolgente e del grilletto facile. La mafia si è infiltrata nei piani più alti del potere. Si è infiltrata nella finanza, nelle istituzioni, nel governo, nella magistratura. E' quella mafia in doppiopetto che non ha più alcun interesse ad uccidere e versare sangue. E' quella mafia che ha come unico interesse quello di espandere i propri confini, di decuplicare i propri affari, di riciclare il denaro sporco, di mettere le mani su appalti, opere e cantieri.

E' davvero labile il confine che oggi separa il mafioso dall'imprenditore corrotto, dal politico colluso. Sono in realtà una stessa entità, le tre gambe di uno stesso tavolino, per usare un'immagine ricorrente. E' una mafia più subdola, più difficile da vedere, ma potenzialmente più devastante di quella delle bombe. E la cosa peggiore da fare è quella di negare questa realtà. Mettere la testa sotto terra e far finta di credere che non esista. Purtroppo, è quello che sta accadendo sempre più frequentemente.

Voglio portare quattro esempi che ritengo più di altri significativi.

La scorsa settimana un giudice della DDA di Milano fotografava così la penetrazione della realtà mafiosa nel nord Italia, in particolare nel Lodigiano: “La criminalità organizzata è presente anche nel Lodigiano, senza dubbi: non c’è area della Lombardia che si salvi. Si sono evolute anche le modalità di indagine: troppe volte fatti indicativi di azioni della grande criminalità organizzata sono andati a giudizio come danneggiamenti o altri reati minori. Abbiamo capito che invece molto spesso sono espressione di organizzazioni che al Sud spargono sangue, al Nord invece investono e non vogliono farsi notare se non quando è indispensabile dare un segnale".

La penetrazione mafiosa nel Lodigiano risale già agli anni '70, come emerge da varie indagini, e ha visto l’alternarsi della presenza di Cosa Nostra e della ‘Ndrangheta sul territorio in un clima di assoluta omertà. A ventiquattro ore di distanza dalle dichiarazioni del giudice, arrivavano le parole sconcertanti del Tenente Colonnello Fabrizio Clementi, comandante provinciale dei carabinieri di Lodi dall’estate del 2007, che affermava: “In riva all’Adda, oggi, il fenomeno delle grandi organizzazioni malavitose quali mafia, ‘ndrangheta e camorra non ha attecchito. La realtà sociale lodigiana, peraltro, è moralmente sana, forte, difficile da penetrare per una cultura criminale".

Insomma, la mafia al nord non esiste. Che il traffico di droga in Lombardia sia per esempio letteralmente in mano alla 'Ndrangheta è solo un dettaglio. Che il mercato delle carni sia gestito da Cosa Nostra è un altro dettaglio. Che la costruzione del Ponte dell'Alta Velocità o la centrale termoelettrica di Tavazzano con Villavesco vicino a Lodi con un appalto da 4 milioni di euro siano nelle mani di famiglie strettamente legate a Bernardo Provenzano è probabilmente solo una coincidenza. Così pure il racket di 200 milioni di lire chiesto all'imprenditore Daniele Polenghi nel Lodigiano o l'arresto del mafioso Domenico Brusaferri, latitante proprio a Lodi.

Il secondo esempio riguarda da vicino Milano e la provincia. Il procuratore antimafia di Palermo Antonio Ingroia, erede di Paolo Borsellino, che ora sta indagando sulla trattativa tra mafia e stato che portò alle stragi del '92, in un'intervista di qualche giorno fa ammoniva di una possibilità molto concreta di infiltrazioni mafiose nell'ambito degli appalti per l'Expo 2015. Ora, non ci vuole certo un pm antimafia per immaginare che Cosa Nostra abbia brindato alla notizia che Milano si era assicurata l'Expo, ma se quel magistrato, per di più della caratura di Ingroia, lancia esplicitamente l'allarme, significa che il rischio è altissimo e dovrebbe essere preso nella massima considerazione dalle istituzioni interessate.

Risposta del presidente della regione Lombardia Formigoni e del sindaco di Milano Moratti? "Sono parole offensive e calunniose". Eccolo servito. Ingroia apparentemente è un pazzo farneticante che sta attentando alla credibilità di un'intera regione. Probabilmente per farsi un po' di pubblicità. Come si permette di insinuare che nell'evolutissima Lombardia Cosa Nostra possa fare il bello e il cattivo tempo? La mafia al nord non esiste, ma che, scherziamo?

Esempio numero tre. Sul blog di Beppe Grillo è apparsa una bellissima intervista a Petra Reski, una giornalista del settimanale tedesco Die Zeit. Ha scritto il libro: "Mafia. Von Paten, pizzerien und falschen priestern”, cioè "Mafia. Di padrini, pizzerie e falsi sacerdoti". Profonda conoscitrice e studiosa della mafia italiana, la Reski in questo libro racconta come la 'Ndrangheta si sia evoluta nel tempo e ora stia tentando allungare i suoi tentacoli al di fuori dei confini italici, in particolare in Germania, dove trova terreno fertile visto che lì non esiste il reato di associazione a delinquere. Cioè la mafia, in Germania, non è riconosciuta. Non può esistere, per statuto. La Reski si è già beccata diverse querele per calunnia, ma la sua ricostruzione combacia perfettamente con le indagini che la polizia tedesca sta portando avanti e con i buchi neri che sta scoprendo, a partire dalla strage di Duisburg.

E' buffo notare come il libro, che sta facendo furore in Germania, (è stata definita la Gomorra tedesca) sarà tradotto in cinque lingue, tra cui casualmente non compare quella italiana. Per l'editoria italiana la mafia è un argomento ormai noioso, non vale la pena spenderci soldi. E poi non è quella la mafia a cui è interessata l'opinione pubblica. Non è quella che spara, non è quella che mette le teste di cavallo nel letto. E' un po' noiosa e non fa audience.

Ultimo esempio. Roberto Saviano è comparso negli studi di Fazio. Ha tenuto un monologo forte, incisivo, a tratti commovente. Ha raccontato la sua non-vita, ha lanciato accuse pesanti, ha denunciato la delegittimazione a cui è stato sottoposto prima di tutto dalla stampa, ha esaltato la potenza della parola "che può cambiare il mondo" e la necessità di parlare di camorra, perchè la notorietà è ciò che più temono i camorristi. Ha fatto esempi specifici, ha citato gli interessi dei Casalesi a Parma, la città al centro delle inchieste del magistrato Raffaele Cantone, dove si è registrata la prima condanna in primo grado per associazione di stampo camorristico nel nord Italia. Un'altra voce, autorevolissima, che grida all'allarme: le mafie stanno uscendo dal proprio recinto, come lupi affamati in cerca di cibo, state vigili, non vi girate dall'altra parte.

A poche ore di distanza arriva la replica. Non di uno qualunque. Addirittura del prefetto di Parma, Paolo Scarpis: "Camorra a Parma? Quelle di Saviano sono solo sparate! Non mi risultano indagini di alcun tipo che riguardino mafia, camorra e n'drangheta". Dichiarazioni, da parte di un rappresentante del governo, che lasciano esterrefatti. Non fosse altro perchè è noto da tempo che su Parma si sono incentrati gli interessi economici dei fratelli Zagaria, Pasquale e Michele. Non fosse altro perchè l'assalto della camorra sulla città tramite un patto del cemento tra imprenditori del nord e i casalesi è stato oggetto anche di una recente conferenza di Raffaele Cantone, magistrato che coordinò le indagini su Pasquale Zagaria e scoperchiò gli interessi di Gomorra sulla città ducale. Non fosse altro perchè pochi giorni fa la polizia ha arrestato a Colorno, "Michè lo Svizzero", del clan degli Orefice, residente nel parmense con obbligo di firma, che lo scorso giugno approfittò di un permesso di cinque giorni per tornare ad Acerra e tentare un'estorsione da 100.000 euro ai danni di un imprenditore edile. Non fosse altro perchè sulla 'Ndrangheta c'è anche l'ultima relazione della Dia in cui si parla delle infiltrazioni dei clan calabresi nel territorio provinciale.

Toglietevelo dalla testa.
La mafia non esiste.

Soprattutto al nord.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

E pensa te che Saviano neanche ha fatto i nomi dei mandanti"! secondo te, perchè gli hanno dato tanto spazio? cosa vuole farci credere la massoneria? perchè mi sa che siamo tutti dei burattini. E' il denaro in cima ai pensieri di tutti gli amministratori, le case farmaceutiche (scusa, le metto in mezzo perchè sono stufa del diabete che ho da sette anni e nessuno sa dirmi neanche perchè), l'attività politica...tutto.
Ultimo: sui giornali non una parola sulla gente che manifestava pro Genchi, ieri.
Gemma

sR ha detto...

siamo ancora dei matti che urlano nel deserto!
ma verrà un giorno...
e quando verrà mi farò grosse-grasse risate!
e comunque io, come gemma, oltre delle MAFIE mi preoccuperei della fratellanza...i colletti sporchi li trovi lì nelle logge

Giulio Cavalli ha detto...

lucido. preciso. oggettivo. attento! sei fastidioso, comunque grazie.

Giulio Cavalli

Federico ha detto...

Ciao Giulio,
mi fa piacere che tu abbia trovato il tempo per passare sul nostro blog e lasciare un commento. Hai tutto il mio sostegno e la mia ammirazione per la coraggiosa battaglia che porti avanti a amni nude. Un grazie di cuore.