Ieri, a sorpresa (?), si è consumato l'ultimo strappo democratico voluto della banda bassotti del Pdl che, quando si tratta dell'opposizione, predica dialogo e senso di responsabilità, quando si tratta di se stessa, non ci pensa su due volte ad agire di sotterfugio con mente diabolicamente astuta e metodi al limite dell'illegalità.
Ancora non si era spenta l'eco dell'incontro clandestino voluto da Berlusconi con i sindacati collusi facenti capo a Bonanni e ad Angeletti, che sui mezzi di informazioni rimbalzava la notizia che da mesi si attendeva: l'elezione del Presidente di Vigilanza RAI. Si era parlato di "vulnus democratico" assolutamente da sanare, di una situazione anomala che non mancava di suscitare l'irritazione e l'insofferenza dei due presidenti di Camera e Senato. Anche Napolitano, come è solito fare, aveva auspicato che la questione si risolvesse in tempi brevi.
Bene. Ieri, finalmente, è arrivata la tanto sospirata nomina.
Peccato che il nome del noe-eletto fosse quello sbagliato: Riccardo Villari.
Da tempo, il nome proposto dall'opposizione era uno e soltanto uno, quello di Leoluca Orlando (Idv). Come è noto, è una prassi che (per questioni "di pesi e contrappesi" direbbe D'Alema) il Presidente della Commissione di Vigilanza RAI sia espressione della minoranza. E per una volta, anche se con molti tentennamenti iniziali, PD e Idv si erano dimostrati uniti nella scelta. Il problema è che, essendo appunto in minoranza, l'accoppiata Veltroni-Di Pietro non avrebbe mai avuto i numeri per eleggerlo direttamente senza il consenso del Pdl, che invece, da parte sua, stravolgendo ogni prassi politica, aveva posto su Orlando un veto assoluto.
A questo punto la situazione di stallo era divenuta più che altro una questione di principio. Il Pdl ha disertato per mesi tutte le sedute in cui si sarebbe dovuto procedere all'elezione in modo da far mancare il numero legale. La tattica era quella di costringere la minoranza ad un lento logorio interno affinchè cedesse e proponesse un nome diverso da Leoluca Orlando. Sorprendentemente però Veltroni e il PD si sono rivelati inamovibili e coerenti con la propria scelta iniziale: o l'ex sindaco di Palermo o niente. E' chiaro che sul tavolo ci si giocava molto di più che una semplice poltrona: era in atto una vera e propria guerra fredda silenziosa.
Una volta che la vicenda è divenuta insopportabile perfino ai presidenti di Camera e Senato, il Pdl non ha più potuto nascondersi dietro il giochino del numero legale e qualche giorno fa è tornato a presenziare, votando compatto "scheda bianca". La prima votazione, dunque, non ha avuto alcun esito poichè Orlando, senza i voti del Pdl, nemmeno si era avvicinato al numero minimo di voti necessario per essere eletto. La legge però prevede che le sedute per l'elezione del Presidente di Vigilanza si ripetano ad libitum fino a che non si arrivi ad eleggere un candidato. A questo punto sarebbero sorte le rogne per il Pdl, perchè nelle successive sedute il numero minimo di voti sarebbe andato a scendere progressivamente e quindi, prima o poi, Orlando sarebbe inevitabilmente stato eletto con i soli voti della minoranza.
Che fare? Semplice: un blitz a sorpresa che stravolge le regole basilari della democrazia.
Il Pdl si accorda per votare in massa un personaggio dell'opposizione diverso dal candidato ufficiale in modo da tagliare fuori Orlando definitivamente. Il nome ricade appunto, come detto, su Riccardo Villari, deputato del PD, napoletano verace, democristiano fino all'osso, "invenzione politica" di Clemente Mastella. La cosa sconcertante è che, oltre ai voti del Pdl, Villari raccoglie anche le preferenze di due franchi tiratori all'interno del PD. Un quadretto deprimente di favori, ricatti, astuzie, tradimenti.
Se il PD fosse stato un partito coeso (cosa che non è) e se Villari fosse stata una persona seria (cosa da verificare), non avrebbero fatto passare nemmeno un minuto dalla formale presentazione di dimissioni immediate. Non si capisce perchè Villari, non candidato ed eletto a sorpresa dal partito a lui avverso solo per fare uno sgarbo al partito a cui lui appartiene, debba mantenere una carica a lui estranea. E invece Villari non dice nulla. Anzi, prima annuncia che si atterrà a ciò che il partito gli comunicherà, poi, quando il partito glielo comunica (Veltroni gli ha intimato di dimettersi immediatamente), frena, dice che ci penserà: prima deve parlare con i Presidenti di Camera e Senato. Una figuraccia vergognosa, una situazione paradossale in cui un candidato dell'opposizione è osteggiato del capo dell'opposzione stessa e difeso invece a spada tratta dalla maggioranza.
Il blitz del Pdl ha ottenuto due piccioni con una fava: bruciare la candidatura di Orlando, che, in ogni caso, anche se Villari dovesse dimettersi, non sarà più riproposto, e spaccare al suo interno il PD, in cui navigano personaggi che sostengono apertamente la candidatura di Villari e gli consigliano di non dimettersi. Primo fra tutti quell'anima cheta di Follini, voltagabbana di professione, che annuncia addolorato che "questo è il prezzo che il PD deve pagare per un'alleanza troppo onerosa con Di Pietro".
Questa vicenda, nel suo vergognoso dipanarsi e nella sua ancor più vergognosa conclusione, è però stata d'aiuto, se ancora ce ne fosse bisogno, a mettere in luce come il PD altro non sia che un grande carrozzone troppo pesante, dispersivo e farraginoso, in cui si alimentano correnti profondamente contrarie le une alle altre e, soprattutto, molto più propense a fare affari con Berlusconi che a costruire un'opposizione seria.
Molti hanno tirato in ballo la similitudine con il caso Pecorella. Lì, apparentemente, il governo ha dovuto cedere e accettare di proporre un nome diverso da candidare alla Corte Costituzionale. Peccato che il paragone non abbia alcun senso.
Gaetano Pecorella, per i suoi trascorsi di avvocato personale di Berlusconi, autore e ideatore di svariate leggi-vergogna, e ora indagato per favoreggiamento di un presunto stragista, si sarebbe trovato in leggerissimo conflitto di interessi ad occupare una poltrona così importante come quella della Corte Costituzionale, che, per altro, avrebbe dovuto pronunciarsi sulla costituzionalità del lodo-Alfano, che prevede l'immunità per il suo ex assistito.
D'altro canto, non si capisce perchè Leoluca Orlando avrebbe dovuto essere incompatibile con la presidenza dalla Viglanza RAI. L'unica colpa dell'ex sindaco di Palermo è quella di stare prepotentemente sulle palle al premier Silvio Berlusconi, che, tra l'altro, sulla vicenda del blitz-Villari, si dice completamente all'oscuro di tutto. La vigliaccheria fatta persona.
Leoluca Orlando è una delle poche persone che nella sua vita ha combattuto veramente la mafia sul territorio dove la mafia imperava negli anni ottanta. E' stato fatto oggetto di minacce più meno velate di morte da parte di Cosa Nostra. Ai tempi del maxiprocesso era considerato da Riina uno dei massimi avversari da eliminare assolutamente, insieme a Falcone e Borsellino. Orlando ha dunque l'unica colpa di rappresentare la lotta per la legalità in tutte le sue forme più estreme.
Ma si sa, al nostro premier, questa gente che prende la legge un po' troppo sul serio, non è mai andata a genio.
Ancora non si era spenta l'eco dell'incontro clandestino voluto da Berlusconi con i sindacati collusi facenti capo a Bonanni e ad Angeletti, che sui mezzi di informazioni rimbalzava la notizia che da mesi si attendeva: l'elezione del Presidente di Vigilanza RAI. Si era parlato di "vulnus democratico" assolutamente da sanare, di una situazione anomala che non mancava di suscitare l'irritazione e l'insofferenza dei due presidenti di Camera e Senato. Anche Napolitano, come è solito fare, aveva auspicato che la questione si risolvesse in tempi brevi.
Bene. Ieri, finalmente, è arrivata la tanto sospirata nomina.
Peccato che il nome del noe-eletto fosse quello sbagliato: Riccardo Villari.
Da tempo, il nome proposto dall'opposizione era uno e soltanto uno, quello di Leoluca Orlando (Idv). Come è noto, è una prassi che (per questioni "di pesi e contrappesi" direbbe D'Alema) il Presidente della Commissione di Vigilanza RAI sia espressione della minoranza. E per una volta, anche se con molti tentennamenti iniziali, PD e Idv si erano dimostrati uniti nella scelta. Il problema è che, essendo appunto in minoranza, l'accoppiata Veltroni-Di Pietro non avrebbe mai avuto i numeri per eleggerlo direttamente senza il consenso del Pdl, che invece, da parte sua, stravolgendo ogni prassi politica, aveva posto su Orlando un veto assoluto.
A questo punto la situazione di stallo era divenuta più che altro una questione di principio. Il Pdl ha disertato per mesi tutte le sedute in cui si sarebbe dovuto procedere all'elezione in modo da far mancare il numero legale. La tattica era quella di costringere la minoranza ad un lento logorio interno affinchè cedesse e proponesse un nome diverso da Leoluca Orlando. Sorprendentemente però Veltroni e il PD si sono rivelati inamovibili e coerenti con la propria scelta iniziale: o l'ex sindaco di Palermo o niente. E' chiaro che sul tavolo ci si giocava molto di più che una semplice poltrona: era in atto una vera e propria guerra fredda silenziosa.
Una volta che la vicenda è divenuta insopportabile perfino ai presidenti di Camera e Senato, il Pdl non ha più potuto nascondersi dietro il giochino del numero legale e qualche giorno fa è tornato a presenziare, votando compatto "scheda bianca". La prima votazione, dunque, non ha avuto alcun esito poichè Orlando, senza i voti del Pdl, nemmeno si era avvicinato al numero minimo di voti necessario per essere eletto. La legge però prevede che le sedute per l'elezione del Presidente di Vigilanza si ripetano ad libitum fino a che non si arrivi ad eleggere un candidato. A questo punto sarebbero sorte le rogne per il Pdl, perchè nelle successive sedute il numero minimo di voti sarebbe andato a scendere progressivamente e quindi, prima o poi, Orlando sarebbe inevitabilmente stato eletto con i soli voti della minoranza.
Che fare? Semplice: un blitz a sorpresa che stravolge le regole basilari della democrazia.
Il Pdl si accorda per votare in massa un personaggio dell'opposizione diverso dal candidato ufficiale in modo da tagliare fuori Orlando definitivamente. Il nome ricade appunto, come detto, su Riccardo Villari, deputato del PD, napoletano verace, democristiano fino all'osso, "invenzione politica" di Clemente Mastella. La cosa sconcertante è che, oltre ai voti del Pdl, Villari raccoglie anche le preferenze di due franchi tiratori all'interno del PD. Un quadretto deprimente di favori, ricatti, astuzie, tradimenti.
Se il PD fosse stato un partito coeso (cosa che non è) e se Villari fosse stata una persona seria (cosa da verificare), non avrebbero fatto passare nemmeno un minuto dalla formale presentazione di dimissioni immediate. Non si capisce perchè Villari, non candidato ed eletto a sorpresa dal partito a lui avverso solo per fare uno sgarbo al partito a cui lui appartiene, debba mantenere una carica a lui estranea. E invece Villari non dice nulla. Anzi, prima annuncia che si atterrà a ciò che il partito gli comunicherà, poi, quando il partito glielo comunica (Veltroni gli ha intimato di dimettersi immediatamente), frena, dice che ci penserà: prima deve parlare con i Presidenti di Camera e Senato. Una figuraccia vergognosa, una situazione paradossale in cui un candidato dell'opposizione è osteggiato del capo dell'opposzione stessa e difeso invece a spada tratta dalla maggioranza.
Il blitz del Pdl ha ottenuto due piccioni con una fava: bruciare la candidatura di Orlando, che, in ogni caso, anche se Villari dovesse dimettersi, non sarà più riproposto, e spaccare al suo interno il PD, in cui navigano personaggi che sostengono apertamente la candidatura di Villari e gli consigliano di non dimettersi. Primo fra tutti quell'anima cheta di Follini, voltagabbana di professione, che annuncia addolorato che "questo è il prezzo che il PD deve pagare per un'alleanza troppo onerosa con Di Pietro".
Questa vicenda, nel suo vergognoso dipanarsi e nella sua ancor più vergognosa conclusione, è però stata d'aiuto, se ancora ce ne fosse bisogno, a mettere in luce come il PD altro non sia che un grande carrozzone troppo pesante, dispersivo e farraginoso, in cui si alimentano correnti profondamente contrarie le une alle altre e, soprattutto, molto più propense a fare affari con Berlusconi che a costruire un'opposizione seria.
Molti hanno tirato in ballo la similitudine con il caso Pecorella. Lì, apparentemente, il governo ha dovuto cedere e accettare di proporre un nome diverso da candidare alla Corte Costituzionale. Peccato che il paragone non abbia alcun senso.
Gaetano Pecorella, per i suoi trascorsi di avvocato personale di Berlusconi, autore e ideatore di svariate leggi-vergogna, e ora indagato per favoreggiamento di un presunto stragista, si sarebbe trovato in leggerissimo conflitto di interessi ad occupare una poltrona così importante come quella della Corte Costituzionale, che, per altro, avrebbe dovuto pronunciarsi sulla costituzionalità del lodo-Alfano, che prevede l'immunità per il suo ex assistito.
D'altro canto, non si capisce perchè Leoluca Orlando avrebbe dovuto essere incompatibile con la presidenza dalla Viglanza RAI. L'unica colpa dell'ex sindaco di Palermo è quella di stare prepotentemente sulle palle al premier Silvio Berlusconi, che, tra l'altro, sulla vicenda del blitz-Villari, si dice completamente all'oscuro di tutto. La vigliaccheria fatta persona.
Leoluca Orlando è una delle poche persone che nella sua vita ha combattuto veramente la mafia sul territorio dove la mafia imperava negli anni ottanta. E' stato fatto oggetto di minacce più meno velate di morte da parte di Cosa Nostra. Ai tempi del maxiprocesso era considerato da Riina uno dei massimi avversari da eliminare assolutamente, insieme a Falcone e Borsellino. Orlando ha dunque l'unica colpa di rappresentare la lotta per la legalità in tutte le sue forme più estreme.
Ma si sa, al nostro premier, questa gente che prende la legge un po' troppo sul serio, non è mai andata a genio.
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