Vi racconto due barzellette.
La prima.
Avete presente Romeo? Non il gatto del Colosseo. E nemmeno il corteggiatore di Giulietta. Alfredo. Alfredo Romeo. E' un avvocato e imprenditore campano, vicepresidente dell'Assoimmobiliare. Attraverso il suo Gruppo Romeo è affidatario del Patrimonio Immobiliare del Comune di Napoli, della gestione degli immobili del Comune di Roma, ma anche di altre città come Milano e Venezia, nonché del Vaticano. Insomma è più o meno il proprietario degli immobili di mezza Italia.
Attualmente si trova in custodia cautelare nell'ambito di un'inchiesta della procura di Napoli che ha scoperto l'esistenza di una gara d'appalto, approvata e mai bandita, in relazione alla manutenzione delle strade del comune di Napoli. E' imputato per associazione a delinquere, corruzione e turbativa d'asta. La cosa gustosa è che questo tizio, che praticamente gestisce strade, case, immobili, intere città, è una vecchia conoscenza dei giudici: durante lo scandalo di Tangentopoli nel '93 fu condannato a 4 anni di reclusione. La pena fu poi dimezzata e cadde in prescrizione. Quattro anni, comunque, è curriculum di tutto rispetto: il suo successo come imprenditore è tutto meritato.
Bene. La barzelletta non è finita. Non è ancora iniziata, a dir la verità. Questo Romeo, in realtà, risulta essere un po' la controfigura di Saladino in Calabria: quell'imprenditore faccendiere che non si fa problemi a trattare con tutte le forze politiche da destra a sinistra pur di ottenere e offrire favori, in cambio di laute ricompense in denaro si intende. Un corruttore trasversale, si potrebbe definire. E così, quando i magistrati che indagavano sulla vicenda hanno cominciato a mettere sotto intercettazione i suoi telefoni cellulari, hanno scoperto che da quei telefoni e a quei telefoni arrivavano frequenti chiamate da importanti esponenti della politica italiana: su tutti spiccano Rutelli e Lusetti del PD e Bocchino del PDL. Una par condicio perfettamente rispettata.
Scrivono i magistrati: "Alfredo Romeo è al vertice di un sodalizio criminale capace di penetrare in modo trasversale tra le forze politiche con l'obiettivo di ottenere il più ampio reticolo di collusioni per poter piegare l'interesse pubblico a quello delle sue imprese: il profitto in luogo del bene di tutti. In questo modo è riuscito ad aggiudicarsi affari non soltanto in Campania, ma anche in Puglia, a Roma e in altre zone d'Italia".
E ancora: "La capacità di penetrazione di Romeo negli ambienti politici, nonostante i suoi gravi trascorsi giudiziari che non gli hanno impedito di aggiudicarsi lavori presso istituzioni apicali della Repubblica senza che, evidentemente, i più si rendessero conto dell'opacità del personaggio, non può essere limitata alla città di Napoli ed alla Regione Campania, ma si estende in altre parti del territorio nazionale: in particolare nella città di Roma, ove è stato aggiudicatario di appalti di valore assai elevato sotto il profilo economico, luogo in cui intrattiene rapporti con politici di livello nazionale, in particolare del Partito democratico".
Rutelli sembra quello più ammanicato. Romeo risulta essere addirittura una sorta di finanziatore privato del PD anche grazie ai suoi interessi nel quotidiano del PD Europa. Ma non solo. Questo Romeo è riuscito a penetrare perfino all'interno della magistratura, delle forze dell'ordine, avrebbe avuto rapporti poco chiari con un colonnello della guardia di finanza, Vincenzo Mazzucco, e con un componente del Consiglio di Stato, Paolo Troiano. Una sorta di ragnatela corruttiva che permeava tutte le istituzioni su su fino ai ranghi più alti del ministero (Rutelli all'epoca dei fatti era ministro).
Cicchitto (PDL) non è certo da meno. Con Romeo condivide praticamente affari su affari. Dice lo stesso Bocchino: "Romeo è intervenuto, credo, in numerose attività editoriali. Io mi sono sempre occupato di editoria. Lui è stato socio de L'Indipendente. Creammo una cordata che sostanzialmente rilevò un piccolo giornale esistente. Lui ha avuto una piccolissima partecipazione nel Roma che gli fu chiesta direttamente dal fondatore del giornale, Tatarella, nel 1996-1997. Nel Roma sono socie la moglie di Romeo e mia moglie. Romeo avrà lo 0,3, 0,4, 0,7 % Mia moglie ha il 30% circa". Una cosa tutta in famiglia, insomma.
Ora che questo losco figuro è stato smascherato (per la seconda volta), la politica, invece che prenderne le distanze, si stringe attorno ai poveri ingenuotti caduti nella rete di Romeo. E' tutto un elogiare l'assoluta integrità morale di Rutelli. In primis il nostro Walter Veltroni, che ha espresso "solidarietà e vicinanza" per il compagno di partito proprio in questo momento delicato in cui Rutelli, presidente del Copasir, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza, deve decidere cosa fare del famoso "archivio-Genchi", quella sorta di calderone in cui sarebbero contenuti centinaia di migliaia di dati illegalmente acquisiti dal superconsulente Gioacchino Genchi su ordine di De Magistris. Rutelli infatti si appresta in queste ore ad ascoltare ciò che hanno da dire sia Genchi che De Magistris sulla spinosa vicenda.
Ed è a questo punto che viene il bello. Sapete chi c'è adesso a Napoli al Tribunale del Riesame? Colui che ha firmato l'atto d'accusa che ha impedito a Romeo di tornare in libertà e che ha svelato tutti i suoi rapporti compromettenti con Rutelli? Tenetevi pronti a ridere: Luigi De Magistris. Che è stato trasferito proprio a Napoli per evitare che facesse troppi danni a Catanzaro. La cosa mi fa morire dal ridere. Più i politici tentano di toglierselo di mezzo, più ci cascano addosso a peso morto.
De Magistris a Napoli, in realtà, è solo giudice estensore del tribunale del Riesame e quindi si limita a riportare per iscritto una decisione presa da un altro organo giudicante. Ma tanto è bastato per far sì che tutti i politici, sia quelli chiamati in causa dall'ordinananza che non, ricominciassero a picchiare duro sul povero De Magistris, che ormai deve avere le spalle larghe per riuscire ancora a svolgere con lucidità il suo lavoro, esposto com'è ad una perenne gogna mediatica.
Abbiamo dunque la situazione paradossale di un magistrato, De Magistris, che si trova a firmare un'ordinanza gravissima ai danni di uno degli imprenditori più importanti d'Italia, che tira in ballo pesantemente il presidente del Copasir Rutelli, proprio qualche ora prima che lo stesso Rutelli chiami a rapporto lo stesso De Magistris per la vicenda Genchi. Un intreccio goldoniano che sarebbe comico se non fosse tragico.
La sinistra, capitanata da Veltroni, è sicura a priori della completa estraneità di Rutelli da tutta la vicenda e non vuole sentire ragioni: "Quella di De Magistris è una vera e propria provocazione". Il vicepresidente dei senatori del PD Luigi Zanda afferma che quello di De Magistris è certamente "un linguaggio allusivo e indeterminato, capace di gettare fango ma non in grado di dimostrare assolutamente nulla. Accade troppo spesso di leggere sui giornali estratti di atti giudiziari scritti e diffusi con la stessa disinvoltura con cui si costruiscono i gossip. Questo stile fa male ai cittadini e ancor più male alla giustizia che, oltre a perseguire i colpevoli, dovrebbe sempre preoccuparsi di proteggere le persone per bene". Persino Fassino è resuscitato da un secolare letargo per giudicare le parole di De Magistris come "una forzatura, perché dalle indagini non è emerso nulla nel rapporto tra Romeo e Rutelli".
Ma non solo la sinistra si sente in dovere di gettare un bel po' di fango su un magistrato che fa il suo dovere. Anche i componenti del PDL del Copasir, il vicepresidente Giuseppe Esposito e i componenti Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello, non hanno dubbi sulla condotta cristallina di Rutelli e denunciano "quello che ha tutte le sembianze di un tentativo di intimidazione" ed esprimono al presidente Rutelli tutta la loro "solidarietà personale e istituzionale". Quando si dice la casta.
Questa era la prima barzelletta.
La seconda. Molto più breve.
Come tutti sanno, il senatore Nicola Di Girolamo, eletto all'estero nelle file del PDL, è un abusivo. Riceve un lauto stipendio da senatore senza averne il diritto. Ha falsificato un certificato di cittadinanza per far risultare di vivere in Belgio, cosa non vera. Il gip del Tribunale di Roma aveva chiesto per Di Girolamo gli arresti domiciliari per "aver attentato ai diritti politici dei cittadini, falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla sua identità, concorso in abuso di ufficio, falsità in atti destinati alle operazioni elettorali, false dichiarazioni sulle sue generalità". A settembre il Senato però, compatto, con l'esclusione dell'IDV, non concede l'autorizzazione a procedere. Di Girolamo è salvo, non si fa nemmeno un giorno di carcere e per di più continua a sedere come niente fosse tra i banchi del Senato.
La Giunta delle Elezioni e delle Immunità, però, in base alle prove portate dal gip, stabilisce che Di Girolamo è abusivo e deve quindi decadere dalle proprie funzioni. Bene. Due giorni fa il Senato si riunisce per decidere la sorte di Di Girolamo. Maurizio Gasparri salta su e chiede che si sospenda il dibattito sull'annullamento dell'elezione del senatore abusivo. Il motivo? Secondo Gasparri, la decisione "necessita di un ulteriore approfondimento". Cosa ci sia da approfondire non si capisce, visto che la Giunta ha già espresso chiaro il suo verdetto. La proposta di Gasparri viene messa ai voti e bocciata.
Cosa si sono inventati allora per salvare Di Girolamo? E' sceso in campo il "senatore di riserva", Sergio De Gregorio, che ha proposto, come ordine del giorno, di rinviare gli atti alla Giunta affinchè si sospenda l'attività di verifica in attesa che termini il procedimento penale. La proposta è passata. Di Girolamo potrà impunemente continuare a rubare lo stipendio in attesa che il processo arrivi a termine, il che, considerando la lentezza dei procedimenti penali, si perderà nella notte dei tempi. Tutto ciò, nonostante sia stato dimostrato che Di Gerolamo ha falsificato dei documenti ed è dunque stato eletto illegalmente. Tutto ciò, nonostante la presa di posizione chiara della Giunta che ha detto che Di Girolamo deve decadere dalle proprie funzioni.
Fa ridere no?
La prima.
Avete presente Romeo? Non il gatto del Colosseo. E nemmeno il corteggiatore di Giulietta. Alfredo. Alfredo Romeo. E' un avvocato e imprenditore campano, vicepresidente dell'Assoimmobiliare. Attraverso il suo Gruppo Romeo è affidatario del Patrimonio Immobiliare del Comune di Napoli, della gestione degli immobili del Comune di Roma, ma anche di altre città come Milano e Venezia, nonché del Vaticano. Insomma è più o meno il proprietario degli immobili di mezza Italia.
Attualmente si trova in custodia cautelare nell'ambito di un'inchiesta della procura di Napoli che ha scoperto l'esistenza di una gara d'appalto, approvata e mai bandita, in relazione alla manutenzione delle strade del comune di Napoli. E' imputato per associazione a delinquere, corruzione e turbativa d'asta. La cosa gustosa è che questo tizio, che praticamente gestisce strade, case, immobili, intere città, è una vecchia conoscenza dei giudici: durante lo scandalo di Tangentopoli nel '93 fu condannato a 4 anni di reclusione. La pena fu poi dimezzata e cadde in prescrizione. Quattro anni, comunque, è curriculum di tutto rispetto: il suo successo come imprenditore è tutto meritato.
Bene. La barzelletta non è finita. Non è ancora iniziata, a dir la verità. Questo Romeo, in realtà, risulta essere un po' la controfigura di Saladino in Calabria: quell'imprenditore faccendiere che non si fa problemi a trattare con tutte le forze politiche da destra a sinistra pur di ottenere e offrire favori, in cambio di laute ricompense in denaro si intende. Un corruttore trasversale, si potrebbe definire. E così, quando i magistrati che indagavano sulla vicenda hanno cominciato a mettere sotto intercettazione i suoi telefoni cellulari, hanno scoperto che da quei telefoni e a quei telefoni arrivavano frequenti chiamate da importanti esponenti della politica italiana: su tutti spiccano Rutelli e Lusetti del PD e Bocchino del PDL. Una par condicio perfettamente rispettata.
Scrivono i magistrati: "Alfredo Romeo è al vertice di un sodalizio criminale capace di penetrare in modo trasversale tra le forze politiche con l'obiettivo di ottenere il più ampio reticolo di collusioni per poter piegare l'interesse pubblico a quello delle sue imprese: il profitto in luogo del bene di tutti. In questo modo è riuscito ad aggiudicarsi affari non soltanto in Campania, ma anche in Puglia, a Roma e in altre zone d'Italia".
E ancora: "La capacità di penetrazione di Romeo negli ambienti politici, nonostante i suoi gravi trascorsi giudiziari che non gli hanno impedito di aggiudicarsi lavori presso istituzioni apicali della Repubblica senza che, evidentemente, i più si rendessero conto dell'opacità del personaggio, non può essere limitata alla città di Napoli ed alla Regione Campania, ma si estende in altre parti del territorio nazionale: in particolare nella città di Roma, ove è stato aggiudicatario di appalti di valore assai elevato sotto il profilo economico, luogo in cui intrattiene rapporti con politici di livello nazionale, in particolare del Partito democratico".
Rutelli sembra quello più ammanicato. Romeo risulta essere addirittura una sorta di finanziatore privato del PD anche grazie ai suoi interessi nel quotidiano del PD Europa. Ma non solo. Questo Romeo è riuscito a penetrare perfino all'interno della magistratura, delle forze dell'ordine, avrebbe avuto rapporti poco chiari con un colonnello della guardia di finanza, Vincenzo Mazzucco, e con un componente del Consiglio di Stato, Paolo Troiano. Una sorta di ragnatela corruttiva che permeava tutte le istituzioni su su fino ai ranghi più alti del ministero (Rutelli all'epoca dei fatti era ministro).
Cicchitto (PDL) non è certo da meno. Con Romeo condivide praticamente affari su affari. Dice lo stesso Bocchino: "Romeo è intervenuto, credo, in numerose attività editoriali. Io mi sono sempre occupato di editoria. Lui è stato socio de L'Indipendente. Creammo una cordata che sostanzialmente rilevò un piccolo giornale esistente. Lui ha avuto una piccolissima partecipazione nel Roma che gli fu chiesta direttamente dal fondatore del giornale, Tatarella, nel 1996-1997. Nel Roma sono socie la moglie di Romeo e mia moglie. Romeo avrà lo 0,3, 0,4, 0,7 % Mia moglie ha il 30% circa". Una cosa tutta in famiglia, insomma.
Ora che questo losco figuro è stato smascherato (per la seconda volta), la politica, invece che prenderne le distanze, si stringe attorno ai poveri ingenuotti caduti nella rete di Romeo. E' tutto un elogiare l'assoluta integrità morale di Rutelli. In primis il nostro Walter Veltroni, che ha espresso "solidarietà e vicinanza" per il compagno di partito proprio in questo momento delicato in cui Rutelli, presidente del Copasir, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza, deve decidere cosa fare del famoso "archivio-Genchi", quella sorta di calderone in cui sarebbero contenuti centinaia di migliaia di dati illegalmente acquisiti dal superconsulente Gioacchino Genchi su ordine di De Magistris. Rutelli infatti si appresta in queste ore ad ascoltare ciò che hanno da dire sia Genchi che De Magistris sulla spinosa vicenda.
Ed è a questo punto che viene il bello. Sapete chi c'è adesso a Napoli al Tribunale del Riesame? Colui che ha firmato l'atto d'accusa che ha impedito a Romeo di tornare in libertà e che ha svelato tutti i suoi rapporti compromettenti con Rutelli? Tenetevi pronti a ridere: Luigi De Magistris. Che è stato trasferito proprio a Napoli per evitare che facesse troppi danni a Catanzaro. La cosa mi fa morire dal ridere. Più i politici tentano di toglierselo di mezzo, più ci cascano addosso a peso morto.
De Magistris a Napoli, in realtà, è solo giudice estensore del tribunale del Riesame e quindi si limita a riportare per iscritto una decisione presa da un altro organo giudicante. Ma tanto è bastato per far sì che tutti i politici, sia quelli chiamati in causa dall'ordinananza che non, ricominciassero a picchiare duro sul povero De Magistris, che ormai deve avere le spalle larghe per riuscire ancora a svolgere con lucidità il suo lavoro, esposto com'è ad una perenne gogna mediatica.
Abbiamo dunque la situazione paradossale di un magistrato, De Magistris, che si trova a firmare un'ordinanza gravissima ai danni di uno degli imprenditori più importanti d'Italia, che tira in ballo pesantemente il presidente del Copasir Rutelli, proprio qualche ora prima che lo stesso Rutelli chiami a rapporto lo stesso De Magistris per la vicenda Genchi. Un intreccio goldoniano che sarebbe comico se non fosse tragico.
La sinistra, capitanata da Veltroni, è sicura a priori della completa estraneità di Rutelli da tutta la vicenda e non vuole sentire ragioni: "Quella di De Magistris è una vera e propria provocazione". Il vicepresidente dei senatori del PD Luigi Zanda afferma che quello di De Magistris è certamente "un linguaggio allusivo e indeterminato, capace di gettare fango ma non in grado di dimostrare assolutamente nulla. Accade troppo spesso di leggere sui giornali estratti di atti giudiziari scritti e diffusi con la stessa disinvoltura con cui si costruiscono i gossip. Questo stile fa male ai cittadini e ancor più male alla giustizia che, oltre a perseguire i colpevoli, dovrebbe sempre preoccuparsi di proteggere le persone per bene". Persino Fassino è resuscitato da un secolare letargo per giudicare le parole di De Magistris come "una forzatura, perché dalle indagini non è emerso nulla nel rapporto tra Romeo e Rutelli".
Ma non solo la sinistra si sente in dovere di gettare un bel po' di fango su un magistrato che fa il suo dovere. Anche i componenti del PDL del Copasir, il vicepresidente Giuseppe Esposito e i componenti Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello, non hanno dubbi sulla condotta cristallina di Rutelli e denunciano "quello che ha tutte le sembianze di un tentativo di intimidazione" ed esprimono al presidente Rutelli tutta la loro "solidarietà personale e istituzionale". Quando si dice la casta.
Questa era la prima barzelletta.
La seconda. Molto più breve.
Come tutti sanno, il senatore Nicola Di Girolamo, eletto all'estero nelle file del PDL, è un abusivo. Riceve un lauto stipendio da senatore senza averne il diritto. Ha falsificato un certificato di cittadinanza per far risultare di vivere in Belgio, cosa non vera. Il gip del Tribunale di Roma aveva chiesto per Di Girolamo gli arresti domiciliari per "aver attentato ai diritti politici dei cittadini, falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla sua identità, concorso in abuso di ufficio, falsità in atti destinati alle operazioni elettorali, false dichiarazioni sulle sue generalità". A settembre il Senato però, compatto, con l'esclusione dell'IDV, non concede l'autorizzazione a procedere. Di Girolamo è salvo, non si fa nemmeno un giorno di carcere e per di più continua a sedere come niente fosse tra i banchi del Senato.
La Giunta delle Elezioni e delle Immunità, però, in base alle prove portate dal gip, stabilisce che Di Girolamo è abusivo e deve quindi decadere dalle proprie funzioni. Bene. Due giorni fa il Senato si riunisce per decidere la sorte di Di Girolamo. Maurizio Gasparri salta su e chiede che si sospenda il dibattito sull'annullamento dell'elezione del senatore abusivo. Il motivo? Secondo Gasparri, la decisione "necessita di un ulteriore approfondimento". Cosa ci sia da approfondire non si capisce, visto che la Giunta ha già espresso chiaro il suo verdetto. La proposta di Gasparri viene messa ai voti e bocciata.
Cosa si sono inventati allora per salvare Di Girolamo? E' sceso in campo il "senatore di riserva", Sergio De Gregorio, che ha proposto, come ordine del giorno, di rinviare gli atti alla Giunta affinchè si sospenda l'attività di verifica in attesa che termini il procedimento penale. La proposta è passata. Di Girolamo potrà impunemente continuare a rubare lo stipendio in attesa che il processo arrivi a termine, il che, considerando la lentezza dei procedimenti penali, si perderà nella notte dei tempi. Tutto ciò, nonostante sia stato dimostrato che Di Gerolamo ha falsificato dei documenti ed è dunque stato eletto illegalmente. Tutto ciò, nonostante la presa di posizione chiara della Giunta che ha detto che Di Girolamo deve decadere dalle proprie funzioni.
Fa ridere no?
3 commenti:
Manca un dettaglio: il senatore di riserva doveva depositare 20 firme sotto la sua proposta prima della chiusura della discussione, avvenuta alle 13,15. Secondo chi era in tribuna, la proposta era distribuita alle 12,50 con sole 18 firme valide e 3 dubbie (stampatelli senza autografo a fianco), ma quando, a discussione chiusa, il senatore Belisario l'ha fatto notare, il Presidente del Senato - tutelato dal lodo Alfano - ha fatto rifirmare le tre firme e per soprammercato ne ha fatta aggiungere altre tre "per sicurezza". La magica soglia dei venti è stata così superata, il Presidente ha sornionamente canzonato chi gli chiedeva un riscontro della regolarità delle firme e l'ordine del giorno di Gregorio è stato posto ai voti ed approvato. Ma il tutto molto dopo le 13, 15, quando il testo doveva essere immodificabile...
Io ammetto di non essere bravo a raccontare barzellette (vedi blog) ma anche tu, non fai mica ridere eh? ;)
oggi, dopo aver spauto della morte di giuseppe gatì, non ho voglia di ridere.
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