Berlusconi: "Sta per uscire uno scandalo che forse sarà il più grande della storia della Repubblica".
Rutelli: "Si tratta di una vicenda di enorme rilievo per le istituzioni democratiche. Un vero e proprio pedinamento elettronico sistematico".
Alfano: "Si tratta di una delicatissima vicenda che investe anche la sicurezza nazionale".
Gasparri: "Il signor Gioacchino Genchi invece di dare consigli alle persone perbene si rechi volontariamente in Procura, o meglio ancora in un carcere a sua scelta perche' cio' che lui e i suoi mandanti hanno fatto e' di una gravita' inaudita. La sua condotta sara' certamente al centro di approfondimenti che, non solo in Parlamento, si dovranno fare su questa pagina di vergogna per la Repubblica italiana. Noi non parliamo a sproposito. Vorremmo sapere lui per conto di chi, quando, come e dove ha agito violando ogni norma vigente. Lui non sta dalla parte dello Stato. Noi siamo lo Stato, lui agisce per l'anti-Stato. Il caso del cosiddetto archivio Genchi e' una vergogna di dimensioni devastanti. Per certi casi ci vorrebbe la corte marziale. Sta emergendo uno dei piu' gravi e sconcertanti scandali della storia repubblicana che rischia di sommergere di vergogna interi settori dello Stato".
Il tribunale del Riesame di Roma ha appena depositato le motivazioni con cui ha annullato il decreto di sequestro del materiale informatico presente nelle abitazioni e negli uffici di Gioacchino Genchi disposto dal pm l'11 marzo 2009. Tutte le imputazioni di reato contestategli sono cadute. Tutte. Sgretolate sotto il peso della loro inconsistenza.
Gioacchino Genchi era stato inserito nel registro degli indagati per vari presunti reati: accesso abusivo a sistemi informatici e violazione della privacy per quanto riguarda le indagini da lui effettuate nell'ambito del sequestro della piccola Denise Pipitone a Mazzara del Vallo, e abuso d'ufficio, acquisizione illecita di utenze telefoniche in uso a parlamentari e servizi segreti per quanto riguarda l'inchiesta Why not, portata avanti, a quel tempo, dal pm Luigi De Magistris.
Per quanto riguarda i primi due capi di imputazione, l'accusa era di aver avuto accesso all'Anagrafe Tributaria di Mazzara del Vallo "acquisendo, elaborando e trattando dati ben oltre i termini e le finalità per i quali aveva conseguito l'abilitazione". Era insomma accusato di aver spiato persone che con le indagini non c'entravano niente. Come se Genchi, mentre indagava sulla sparizione di una bambina, si fosse divertito, già che c'era, a buttare l'occhio su tabulati telefonici di persone del tutto estranee alla vicenda. Già così, capite che l'accusa è di quelle ridicole e infatti il Tribunale non ravvisa nessun tipo di reato: "il Tribunale perviene alla conclusione della insussistenza, allo stato, del "fumus" incolpativo come prospettato dall'accusa".
Ma queste sono quisquilie. L'accusa di violazione della privacy era tanto campata per aria quanto di minima importanza. Il pm l'ha sbattuta lì tanto per fare un po' di fumo, per alzare un po' di polvere, in mancanza d'altro. Veniamo al succo della questione: le gravi incolpazioni che hanno fatto tremare i pilastri dello stato e hanno fatto gridare le istituzioni tutte al pericolo democratico.
La prima accusa è quella di aver violato l'articolo 4 e di aver "nell'ambito di un medesimo disegno criminoso, acquisito, elaborato e trattato illecitamente i tabulati telefonici relativi ad utenze in uso a numerosi parlamentari intenzionalmente arrecando agli stessi un danno ingiusto". Genchi è dunque rappresentato dal pm come un vero e proprio criminale che passava il suo tempo a pedinare telematicamente deputati e senatori.
L'articolo 4 è quello che prevede la necessità di richiedere da parte di un giudice l'autorizzazione alla Camera prima di mettere in atto perquisizioni, ispezioni, intercettazioni in qualsiasi forma nei confronti di un membro del Parlamento. Quindi, anche ove si fosse riscontrato che Genchi, su ordine di De Magistris, avesse avuto accesso a tabulati telefonici in uso a parlamentari, la responsabilità penale sarebbe stata da attribuire a De Magistris e non certo a Genchi, che per legge non può rifiutarsi di operare secondo le direttive del giudice per conto del quale sta svolgendo le proprie funzioni di consulente.
Premesso questo, il Tribunale afferma che, dalle analisi effettuate sui documenti, emerge che " il consulente tecnico Genchi Gioacchino, esercitando le proprie specifiche competenze tecniche, aveva adempiuto le sue funzioni di ausiliario del pubblico ministero dottor De Magistris, prestando la sua opera legalmente dovuta". Tradotto: ha operato nella piena legalità e, come suo dovere, su ordine del pm a cui prestava la propria consulenza.
A questo punto, leggendo il decreto del tribunale del Riesame, si apprendono notizie molto interessanti. Tutte le utenze telefoniche su cui Genchi ha indagato previa autorizzazione di De Magistris e che poi si sono rivelate essere in uso a Parlamentari, in realtà erano utilizzate da soggetti estranei al Parlamento che, utilizzando lo scudo di un cellulare per definizione non intercettabile, portavano avanti affari poco chiari.
Il vero scandalo dunque non è che Genchi abbia indagato su tabulati telefonici in uso a parlamentari (non poteva infatti sapere che lo fossero), ma che dei parlamentari prestassero i propri telefoni ai loro scagnozzi perchè potessero utilizzarli indisturbati senza il pericolo di essere intercettati. Capite ora il perchè Genchi sia tanto pericoloso. Era arrivato, suo malgrado, senza saperlo, a toccare i fili del potere. Aveva messo il naso in questioni che dovevano assolutamente rimanere nascoste, occultate sotto il "segreto di stato".
Chi sono questi parlamentari che prestavano con troppa facilità i propri cellulari? Innanzitutto c'è il senatore Beppe Pisanu, il cui cellulare 335-353656 era in realtà intestato a una certa Stefania Ilari, un'avvocatessa di Roma, entrata nel mirino di Genchi e De Magistris sempre nell'ambito dell'inchiesta Why not.
Genchi si imbatte anche in un altro numero di telefono (335-1282774), intestato al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, verso cui Antonio Saladino nel giugno 2006 operava una telefonata e da cui nel settembre 2006 riceveva due messaggi sms. E' chiaro che Genchi allora non poteva immaginare che quel numero fosse in realtà in uso ad un parlamentare. Quel parlamentare era in realtà il ministro della Giustizia Clemente Mastella.
E ancora, il 20 aprile 2007 Genchi chiede a De Magistris l'autorizzazione ad indagare su cinque di numeri telefono tutti intestati e in uso ad Agazio Loiero, presidente della regione Calabria. Chiedeva inoltre di poter effettuare accertamenti sul numero 335-5361848 intestato a un certo Gianni Mazzoran di Monastier di Treviso. Genchi non avrebbe mai immaginato che tale utenza fosse riconducibile in realtà all'onorevole Domenico Minniti, detto Marco, l'allora Vice Ministro dell'Interno.
D'altra parte risulta evidente dai documenti depositati dalla difesa che l'operato di Genchi è stato sempre cristallino e votato alla trasparenza e alla legalità. Quando, per esempio, si è imbattuto in una serie di numeri di telefono che comparivano nell'agenda telefonica di Saladino sotto il nome "Romano Prodi cell", Genchi giustamente si è fermato e non ha proceduto, in vista di una eventuale richiesta di autorizzazione preventiva alla Camera dei Deputati.
Le attività di acquisizione, di elaborazione e di trattamento dei dati storicizzati nei tabulati attestanti il traffico telefonico compiute dal consulente tecnico dottor Genchi non possono definirsi illecite. Egli non violò le guarentige a tutela dei parlamentari interessati dalle acquisizioni dei tabulati di traffico telefonico. Non sussiste profilo di illiceità nella condotta acquisitiva del dottor Genchi".
Per quanto riguarda l'accusa di aver violato il segreto di stato acquisendo illegalmente tabulati di cellulari in uso ai servizi segreti, il Tribunale è molto sbrigativo data l'inconsistenza e la genericità dell'accusa del pm, che, tra parentesi, ci fa una figura barbina. Il tribunale afferma sostanzialmente che non esiste alcuna norma per cui il personale dei servizi segreti debba essere al di sopra della legge e, siccome Genchi ha operato sempre nella legalità e rispettando le direttive del pm De Magistris, non c'è nulla che gli si possa imputare. Tanto meno si capisce come avrebbe potuto Genchi mettere in pericolo la sicurezza dello stato. Anche per quanto riguarda l'abuso d'ufficio, il Tribunale taglia corto e afferma che le contestazioni non sono corrispondenti all'ipotesi di reato.
Bene. La più grande mistificazione della storia d'Italia, come l'ha definita Genchi, è stata smascherata.
Attendo ora i titoloni in prima pagina e le scuse dei tg nazionali.
Ma forse non ci saranno. Non è il momento per certe cose. C'è da celebrare la leggendaria vittoria di Ferdi al Grande Fratello.
Rutelli: "Si tratta di una vicenda di enorme rilievo per le istituzioni democratiche. Un vero e proprio pedinamento elettronico sistematico".
Alfano: "Si tratta di una delicatissima vicenda che investe anche la sicurezza nazionale".
Gasparri: "Il signor Gioacchino Genchi invece di dare consigli alle persone perbene si rechi volontariamente in Procura, o meglio ancora in un carcere a sua scelta perche' cio' che lui e i suoi mandanti hanno fatto e' di una gravita' inaudita. La sua condotta sara' certamente al centro di approfondimenti che, non solo in Parlamento, si dovranno fare su questa pagina di vergogna per la Repubblica italiana. Noi non parliamo a sproposito. Vorremmo sapere lui per conto di chi, quando, come e dove ha agito violando ogni norma vigente. Lui non sta dalla parte dello Stato. Noi siamo lo Stato, lui agisce per l'anti-Stato. Il caso del cosiddetto archivio Genchi e' una vergogna di dimensioni devastanti. Per certi casi ci vorrebbe la corte marziale. Sta emergendo uno dei piu' gravi e sconcertanti scandali della storia repubblicana che rischia di sommergere di vergogna interi settori dello Stato".
Il tribunale del Riesame di Roma ha appena depositato le motivazioni con cui ha annullato il decreto di sequestro del materiale informatico presente nelle abitazioni e negli uffici di Gioacchino Genchi disposto dal pm l'11 marzo 2009. Tutte le imputazioni di reato contestategli sono cadute. Tutte. Sgretolate sotto il peso della loro inconsistenza.
Gioacchino Genchi era stato inserito nel registro degli indagati per vari presunti reati: accesso abusivo a sistemi informatici e violazione della privacy per quanto riguarda le indagini da lui effettuate nell'ambito del sequestro della piccola Denise Pipitone a Mazzara del Vallo, e abuso d'ufficio, acquisizione illecita di utenze telefoniche in uso a parlamentari e servizi segreti per quanto riguarda l'inchiesta Why not, portata avanti, a quel tempo, dal pm Luigi De Magistris.
Per quanto riguarda i primi due capi di imputazione, l'accusa era di aver avuto accesso all'Anagrafe Tributaria di Mazzara del Vallo "acquisendo, elaborando e trattando dati ben oltre i termini e le finalità per i quali aveva conseguito l'abilitazione". Era insomma accusato di aver spiato persone che con le indagini non c'entravano niente. Come se Genchi, mentre indagava sulla sparizione di una bambina, si fosse divertito, già che c'era, a buttare l'occhio su tabulati telefonici di persone del tutto estranee alla vicenda. Già così, capite che l'accusa è di quelle ridicole e infatti il Tribunale non ravvisa nessun tipo di reato: "il Tribunale perviene alla conclusione della insussistenza, allo stato, del "fumus" incolpativo come prospettato dall'accusa".
Ma queste sono quisquilie. L'accusa di violazione della privacy era tanto campata per aria quanto di minima importanza. Il pm l'ha sbattuta lì tanto per fare un po' di fumo, per alzare un po' di polvere, in mancanza d'altro. Veniamo al succo della questione: le gravi incolpazioni che hanno fatto tremare i pilastri dello stato e hanno fatto gridare le istituzioni tutte al pericolo democratico.
La prima accusa è quella di aver violato l'articolo 4 e di aver "nell'ambito di un medesimo disegno criminoso, acquisito, elaborato e trattato illecitamente i tabulati telefonici relativi ad utenze in uso a numerosi parlamentari intenzionalmente arrecando agli stessi un danno ingiusto". Genchi è dunque rappresentato dal pm come un vero e proprio criminale che passava il suo tempo a pedinare telematicamente deputati e senatori.
L'articolo 4 è quello che prevede la necessità di richiedere da parte di un giudice l'autorizzazione alla Camera prima di mettere in atto perquisizioni, ispezioni, intercettazioni in qualsiasi forma nei confronti di un membro del Parlamento. Quindi, anche ove si fosse riscontrato che Genchi, su ordine di De Magistris, avesse avuto accesso a tabulati telefonici in uso a parlamentari, la responsabilità penale sarebbe stata da attribuire a De Magistris e non certo a Genchi, che per legge non può rifiutarsi di operare secondo le direttive del giudice per conto del quale sta svolgendo le proprie funzioni di consulente.
Premesso questo, il Tribunale afferma che, dalle analisi effettuate sui documenti, emerge che "
A questo punto, leggendo il decreto del tribunale del Riesame, si apprendono notizie molto interessanti. Tutte le utenze telefoniche su cui Genchi ha indagato previa autorizzazione di De Magistris e che poi si sono rivelate essere in uso a Parlamentari, in realtà erano utilizzate da soggetti estranei al Parlamento che, utilizzando lo scudo di un cellulare per definizione non intercettabile, portavano avanti affari poco chiari.
Il vero scandalo dunque non è che Genchi abbia indagato su tabulati telefonici in uso a parlamentari (non poteva infatti sapere che lo fossero), ma che dei parlamentari prestassero i propri telefoni ai loro scagnozzi perchè potessero utilizzarli indisturbati senza il pericolo di essere intercettati. Capite ora il perchè Genchi sia tanto pericoloso. Era arrivato, suo malgrado, senza saperlo, a toccare i fili del potere. Aveva messo il naso in questioni che dovevano assolutamente rimanere nascoste, occultate sotto il "segreto di stato".
Chi sono questi parlamentari che prestavano con troppa facilità i propri cellulari? Innanzitutto c'è il senatore Beppe Pisanu, il cui cellulare 335-353656 era in realtà intestato a una certa Stefania Ilari, un'avvocatessa di Roma, entrata nel mirino di Genchi e De Magistris sempre nell'ambito dell'inchiesta Why not.
Genchi si imbatte anche in un altro numero di telefono (335-1282774), intestato al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, verso cui Antonio Saladino nel giugno 2006 operava una telefonata e da cui nel settembre 2006 riceveva due messaggi sms. E' chiaro che Genchi allora non poteva immaginare che quel numero fosse in realtà in uso ad un parlamentare. Quel parlamentare era in realtà il ministro della Giustizia Clemente Mastella.
E ancora, il 20 aprile 2007 Genchi chiede a De Magistris l'autorizzazione ad indagare su cinque di numeri telefono tutti intestati e in uso ad Agazio Loiero, presidente della regione Calabria. Chiedeva inoltre di poter effettuare accertamenti sul numero 335-5361848 intestato a un certo Gianni Mazzoran di Monastier di Treviso. Genchi non avrebbe mai immaginato che tale utenza fosse riconducibile in realtà all'onorevole Domenico Minniti, detto Marco, l'allora Vice Ministro dell'Interno.
D'altra parte risulta evidente dai documenti depositati dalla difesa che l'operato di Genchi è stato sempre cristallino e votato alla trasparenza e alla legalità. Quando, per esempio, si è imbattuto in una serie di numeri di telefono che comparivano nell'agenda telefonica di Saladino sotto il nome "Romano Prodi cell", Genchi giustamente si è fermato e non ha proceduto, in vista di una eventuale richiesta di autorizzazione preventiva alla Camera dei Deputati.
Le conclusioni del Tribunale sono precise e incontrovertibili: "
Per quanto riguarda l'accusa di aver violato il segreto di stato acquisendo illegalmente tabulati di cellulari in uso ai servizi segreti, il Tribunale è molto sbrigativo data l'inconsistenza e la genericità dell'accusa del pm, che, tra parentesi, ci fa una figura barbina. Il tribunale afferma sostanzialmente che non esiste alcuna norma per cui il personale dei servizi segreti debba essere al di sopra della legge e, siccome Genchi ha operato sempre nella legalità e rispettando le direttive del pm De Magistris, non c'è nulla che gli si possa imputare. Tanto meno si capisce come avrebbe potuto Genchi mettere in pericolo la sicurezza dello stato. Anche per quanto riguarda l'abuso d'ufficio, il Tribunale taglia corto e afferma che le contestazioni non sono corrispondenti all'ipotesi di reato.
Bene. La più grande mistificazione della storia d'Italia, come l'ha definita Genchi, è stata smascherata.
Attendo ora i titoloni in prima pagina e le scuse dei tg nazionali.
Ma forse non ci saranno. Non è il momento per certe cose. C'è da celebrare la leggendaria vittoria di Ferdi al Grande Fratello.
1 commento:
Genchi è stato trattatto come un miserabile.
Ma i veri miserabili sono coloro che lo hanno deriso e infangato senza nemmeno conoscere la sua storia.
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