lunedì 22 settembre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 13)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 13
Il segugio delle antenne

Il 23 aprile 1981 il boss assoluto di Cosa Nostra Stefano Bontate rimane vittima della guerra di mafia scatenata dai corleonesi, capeggiati da Totò Riina. Poco tempo dopo anche Mimmo Teresi, potentissimo imprenditore da sempre legato a Bontate, trova la morte per mano della “lupara bianca”. Sia Bontate che Teresi facevano capo alla stessa famiglia mafiosa di Santa Maria del Gesù. Riina innesca così nei primi anni ottanta un turbinio impressionante di morti ammazzati. Il motivo è chiaro: ottenere la supremazia dei corleonesi sulle altre famiglie mafiose. La violenza e la crudeltà di tali delitti colgono impreparate tutte le famiglie mafiosi rivali. Nel 1983, al termine della guerra di mafia, Riina diviene il nuovo boss della mafia siciliana imponendo uno scarto radicale rispetto al passato. La sua è una gestione violenta e dittatoriale, basata sul terrore e i colpi di lupara.

Come cambiano dunque i rapporti tra Dell'Utri, Berlusconi, la Fininvest e i capi di Cosa Nostra? Abbiamo già avuto modo di vedere come tutta una serie di finanziamenti costanti si fosse intrattenuta da ambo le parti (da Fininvest a Cosa Nostra e viceversa con Dell'Utri come mediatore) durante il periodo di egemonia di Bontate. Che ne è di questi affari comuni? Continuano anche ora che a capo della cupola mafiosa si è insediata l'ala più sanguinaria della storia?

Per capirlo è necessario approfondire il tentativo di radicamento da parte della Fininvest in Sicilia. La strategia di Silvio Berlusconi è quella di acquistare emittenti televisive private siciliane per poi arrivare a una diffusione generale dei canali dell'azienda milanese su tutto il territorio nazionale. Il pentito Di Carlo racconta come negli anni tra il '77 e il '78 il solito Tanino Cinà, per conto di Dell'Utri, aveva chiesto aiuto a Cosa Nostra per l'installazione delle antenne televisive sul territorio siciliano, in particolare sul monte Pellegrino. Bontate e Teresi se ne occuperanno direttamente trattando con Saro Riccobono e Ciccio Madonia, capi della famiglia mafiosa di San Lorenzo, che aveva la giurisdizione su quel lembo di terra.

In effetti risulta provato che proprio in quegli anni (1979/80) la Fininvest, tramite una società satellite (Rete Sicilia s.r.l.), acquisisce l'emittente locale TVR Sicilia, che diventerà l'avamposto isolano di TeleMilano, la futura Canale 5. Il titolare di TVR Sicilia era un certo Antonio Inzaranto, imprenditore edile di Termini Imerese, in stretti rapporti con Tommaso Buscetta. Sentito come teste in sede dibattimentale, Inzaranto renderà dichiarazioni confuse, lacunose, molto reticenti e in parte contraddittorie. Il PM più volte perderà la calma: l'intento da parte del teste di difendere la propria posizione risulterà in alcuni casi tragicomico, come quando ad una stessa domanda risponderà convintissimo prima no e poi sì nell'arco di un paio di minuti. Dalla deposizione resa non si riesce bene a capire quale sia il motivo di tanto evidente imbarazzo: probabilmente sta cercando semplicemente di difendere qualcosa o qualcuno oltre a se stesso.

Dei fatti però emergono chiari. Il 21 dicembre 1979 risulta dagli atti che viene formalmente costituita Rete Sicilia s.r.l. Il 13 novembre dell'anno successivo Rete Sicilia subentra a TVR. L'operazione si aggira attorno ai 200 milioni di lire. Inzaranto però non lascia completamente. Chiede di avere l'1% dei proventi. La cosa buffa è che il gruppo Fininvest non solo accetta, ma lo lascia a capo di Rete Sicilia come direttore per altri nove anni, fino al 1988.

Come si è sviluppata in realtà questa operazione? Non è chiaro. A quanto pare Inzaranto già in precedenza aveva rapporti con Canale 5, da cui si faceva pervenire le videocassette dei film da mandare in onda. Non si capisce chi abbia fatto la prima mossa. Molto probabilmente la verità sta nel mezzo. Inzaranto si trovava in gravi difficoltà economiche e cercava un acquirente. Il gruppo Fininvest voleva espandersi sul territorio nazionale. Le due parti già avevano contatti e il matrimonio è stato cosa automatica. Ma forse c'è dell'altro.

Chi ha gestito l'acquisto? Due personaggi molto legati a Berlusconi, ovviamente: Luigi Lacchini e Adriano Galliani. Sì, proprio lui, l'attuale vicepresidente del Milan. Il giorno dopo aver saputo che la società siciliana era in vendita, Galliani e Lacchini si presentano in coppia a Palermo negli studi di Inzarato. Fanno un'offerta di 200 milioni. Inzarato non fa una piega. Dice sì al volo e si intasca i soldi. Tutti e tre si autonominano consiglieri di amministrazione di Rete Sicila s.r.l. Tutto avviene nell'arco di una giornata.

Pare improbabile, quasi comico, pensare, come afferma Inzarato, che lui non fosse assolutamente a conoscenza che dietro l'operazione ci fosse il gruppo di Silvio Berlusconi. Il PM ironizza sulla faccenda: “Ho capito, cioè li ha visti e immediatamente ha deciso che erano delle persone affidabili e che voleva concludere il contratto il giorno stesso”. Inzarato risponde convinto: “Sì!”.

Inzarato conferma anche che, nel momento di fondazione di TVR, la prima emittente locale, aveva dovuto installare dei ripetitori proprio sul monte Pellegrino, tra l'altro territorio abusivo. A questo punto è immediato collegare i fatti e pensare che, in realtà, già allora, dietro all'installazione di quelle antenne ci fosse quella famosa richiesta a Cosa Nostra, ricordata da Di Carlo e sollecitata da Antonino Cinà per conto di Dell'Utri e Berlusconi. Il PM tenta di approfondire infatti la questione, ma Inzarato nega qualunque contatto con i capi mafiosi. Dice di non aver mai ricevuto richieste di pizzo. Sfiora il ridicolo quando dichiara di non essere nemmeno a conoscenza di un'organizzazione mafiosa di nome Cosa Nostra. O, al massimo di averne sentito parlare solo alla radio. Reticenze che lasciano intendere molto di più di una confessione.

Inzarato dunque rimane nella società come Presidente. In realtà è semplicemente un prestanome. Non controlla assolutamente nulla. Firma le carte che Galliani gli sottopone senza nemmeno sapere di cosa si tratti. E per il resto? Niente. Lo dichiara lui stesso: “Non facevo niente”. Andava negli studi la mattina, guardava gli impiegati lavorare e tornava a casa la sera. Prendeva un bello stipendio (18 milioni l'anno più dividendi) e tanto gli bastava.

Di una cosa però si occupava: acquisto di terreni. Terreni su cui edificare le famose antenne, ovviamente. Evidentemente, nello scovare luoghi adatti all'installazione di ripetirori, specie se luoghi abusivi e in mano a Cosa Nostra, doveva essere un segugio di razza.

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