mercoledì 8 ottobre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 21)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 21
Il partito della mafia

Alle elezioni politiche del 1987 Totò Riina decide che Cosa Nostra sosterrà per la prima volta il Partito Socialista Italiano (PSI), allora guidato dal leader storico Bettino Craxi. E' una svolta storica: la mafia, infatti, aveva sempre utilizzato la Democrazia Cristiana (DC) come proprio cavallo di battaglia per inserirsi all'interno degli ingranaggi della politica. E' un chiaro ed evidente segnale. Riina vuole a tutti i costi fare il colpo grosso ed agganciare Craxi, uno degli esponenti più potenti e carismatici del panorama politico italiano. Per questo ha tanto a cuore il rapporto esclusivo, instaurato a suon di bombe, con Berlusconi, noto amico del leader socialista.

D'altra parte non esiste prova del fatto che il piano di Riina abbia avuto successo, che il famoso "aggancio" sia effettivamente avvenuto. E soprattutto non c'è prova del fatto che Berlusconi abbia collaborato ad un tale avvicinamento politico tra Cosa Nostra e il PSI. Certo è che Berlusconi era visto, in questo senso, come un canale privilegiato da sfruttare in qualunque modo. Ma probabilmente non sufficiente.

Il Consiglio osserva: "L’assenza di prova in ordine alla realizzazione di trattative, accordi, favori politici fatti, o semplicemente richiesti, da Cosa Nostra a Berlusconi, per il tramite di Dell’Utri, permane, ad avviso del Tribunale, fino al 1993, epoca in cui l’imprenditore milanese aveva deciso di lanciarsi in prima persona in politica, portando con sé, quale primo paladino di tale importante scelta, l’imputato Marcello Dell’Utri, un uomo che da circa venti anni aveva ripetutamente intessuto, con piena consapevolezza, rapporti di vario genere con soggetti mafiosi o paramafiosi".

La scelta di votare socialista, per altro non da tutti i mafiosi condivisa, si rivela però sbagliata. Riina non è soddisfatto e nelle elezioni successive, fino al 1992, non rinnoverà il proprio voto al PSI. In particolare, il ministro della Giustizia di allora, il braccio destro di Craxi, Claudio Martelli, aveva in un certo senso "tradito" le aspettative di Cosa Nostra portando a Roma proprio quel Giovanni Falcone che aveva assestato alla mafia un colpo mortale con le dozzine di condanne inflitte in via definitiva il 30 gennaio 1992 al termine del maxiprocesso. Fallita dunque la trattativa con lo Stato, Riina vira verso la stagione delle stragi, inaugurata con l'eccidio di Capaci in cui persero la vita proprio il giudice Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta. E' una prova fin troppo evidente che qualcosa, nella trattativa mafia-stato, era andato storto.

L'anno dopo, in piena bufera Tangentopoli che spazza via tutti i vecchi partiti, Cosa Nostra inizia a maturare l'idea di costituire una nuova forza politica autonoma, tutta siciliana e tutta mafiosa. A far luce su quei momenti ci sono le dichiarazioni di Tullio Cannella, arrestato il 5 luglio 1995, che aveva coperto la latitanza del boss Leoluca Bagarella, cognato di Salvatore Riina. In particolare dalla metà di giugno del 1993 fino ai primi di settembre, l'aveva ospitato nel villaggio Euromare, un residence balneare che lui stesso aveva costruito nei pressi di Buonfornello, in provincia di Palermo.

In quell'occasione, Bagarella, conoscendo l'esperienza politica acquisita da Cannella negli anni, inizia a prospettargli l'idea di costituire un partito che "esalti i valori della sicilianità". Detto fatto. Nell'ottobre successivo viene costituita Sicilia Libera, il partito ideato ad uso e consumo della mafia. Se ne sarebbe dovuto occupare lo stesso Cannella. Finanziamento iniziale stanziato dal boss: 10 milioni di lire. Ovviamente una cifra irrisoria per un progetto indipendentista tanto ambizioso. Cannella dopo poco tempo non sa più come portare avanti il discorso: è disperato e a corto di soldi. Ma Bagarella lo tranquillizza. Cosa Nostra ha cambiato idea.

"Ci stiamo orientando verso un’altra direzione che è più concreta, che è di più facile realizzazione, mentre un progetto indipendentista passa per anni ed anni di lavoro, noi abbiamo degli agganci".

A che agganci fa riferimento Bagarella? Cannella lo rivela senza mezzi termini: "Si stavano appoggiando, lo dico con onestà, con Forza Italia, quindi loro avevano dei vari candidati, amici di alcuni esponenti di Cosa Nostra e ciascun candidato con questi loro referenti aveva realizzato una sorta di patto elettorale, una sorta di impegno e quindi votavano per questi, tant’è vero che anche Calvaruso mi disse: ma sai, Giovanni Brusca mi porta in questi posti, riunioni, escono tutto il giorno volantini a tappeto di Forza Italia".

Siamo attorno al gennaio 1994, un mese e mezzo prima delle elezioni. Cannella viene lasciato a se stesso con il suo partito Sicilia Libera. Senza l'appoggio di Cosa Nostra, sa che tutto il progetto è destinato a naufragare. Ma Cannella ha già speso la sua parola con molte persone e non può mollare sul più bello. Tenta dunque di capire se ci sia la possibilità di inserire alcuni dei suoi uomini nelle liste di Forza Italia, il partito appoggiato dalla mafia. Bagarella lo rassicura: "Bagarella mi disse che avrebbe parlato con una persona che sarebbe stato in grado di ordinare, allora si sapeva, noi sapevamo che l’onorevole Gianfranco Miccichè si occupava della formazione delle liste di Forza Italia qui in Sicilia. Allora disse: io ho la persona che è in grado di dire a questo Miccichè quello che deve fare. Io me ne andai, aspettai qualche giorno, non ricordo se venne Calvaruso o Nino Mangano a dirmi che di lì a breve mi dovevo ritenere rintracciabile in ufficio perché era questione di un giorno, massimo 48 ore che avrebbero portato da farmi incontrare un certo Vittorio Mangano". In realtà l'incontro con Vittorio Mangano non avverrà mai: Cannella dovrà togliersi dalla testa di riuscire ad inserire i suoi uomini nelle liste di Forza Italia.

Un altro collaborante, Antonio Calvaruso, spiega come mai salti fuori a questo punto, di nuovo, la figura di Mangano: "Bagarella diceva che il Vittorio Mangano serviva. Serviva sia territorialmente, sia politicamente. In effetti parlò pure con il Cannella Tullio e di fargli dare l’appoggio da Vittorio Mangano, perché sembra, Vittorio Mangano è una persona, a quanto pare, infarinata nella politica essendo stato stalliere di Berlusconi. Il Bagarella diceva che era la persona che poteva aiutare al partito diciamo di Sicilia Libera e, quindi, Cannella Tullio".

In effetti, Vittorio Mangano, dopo essere uscito dal carcere, era tornato a pieno regime a lavorare per Cosa Nostra. Intrattiene contati stretti sia con Bagarella che con Giovanni Brusca. Dopo l'arresto di Cancemi, suo caro amico, Mangano sale di grado e diventa referente per la zona di Palermo-Centro. Bagarella però non si fida di lui. Già una volta l'ha graziato risparmiandogli la vita. Ora lo tiene in pugno perchè "serve", non solo "territorialmente", ma anche "politicamente". Soprattutto adesso che il progetto Sicilia Libera è un lontano ricordo.

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