giovedì 16 ottobre 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 26)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 26
L'inquinamento delle prove (1)

Un'accusa specifica mossa dal PM nel corso delle udienze riguarda la condotta dell'imputato Marcello Dell'Utri, il quale si sarebbe reso protagonista di un'attività volta all'inquinamento delle prove a suo carico. Il periodo a cui si fa riferimento è il 1998, ovvero l'anno successivo all'inizio del dibattimento. Innanzitutto, a Dell'Utri viene contestato il fatto di essersi incontrato con alcuni soggetti come Giorgio Bressani, Yvette Grut e Giovanni Cangemi, collegati, per ragioni lavorative e societarie, a Filippo Alberto Rapisarda, "il pittoresco finanziere siciliano" presso cui aveva lavorato alla fine degli anni '70 lo stesso Dell'Utri.

"L’assunto accusatorio è quello che l’imputato avrebbe ripreso i suoi contatti con detti soggetti, tra il 1997 ed il 1998 e nonostante i rapporti si fossero interrotti molti anni prima, al solo fine di indurli, attraverso promesse di denaro, di immobili e di altri vantaggi economici, a rendere false dichiarazioni al dibattimento, favorevoli alla sua posizione processuale, in relazione ed a confutazione di argomenti emergenti dall’esame del Rapisarda".

Riguardo a questa prima accusa, il Tribunale riterrà di non rilevare "una particolare valenza dimostrativa ai danni dell'imputato". Se da una parte risultano provati i rapporti extra processuali tra Dell'Utri e gli altri tre, dall'altra non è stato possibile recuperare prove sufficienti del fatto che tali rapporti fossero stati strumentalizzati allo scopo di inquinare le prove.

Ben differente, a livello di materiale probatorio, è la seconda accusa mossa a Dell'Utri riguardante i suoi contati con Cosimo Cirfeta e Giuseppe Chiofalo.

Dalle indagini svolte risulta che "la mattina del 31 dicembre 1998, Marcello Dell’Utri, a bordo di una autovettura guidata dall’autista Gianfranco Piccolo, lasciava Milano per raggiungere la zona di Rimini dove era atteso da Giuseppe Chiofalo, detto Pino, collaboratore di giustizia messinese detenuto a Paliano, al quale era stato concesso un permesso di alcuni giorni per trascorrere a casa le festività di fine d’anno. Nel portabagagli del veicolo l’autista aveva riposto due sacchetti, contenenti giocattoli ed indumenti per bambini ed una cesta piena di frutta esotica, il tutto acquistato, quella stessa mattina, dalla signora Miranda Ratti, moglie di Marcello Dell’Utri".

Ma perchè Marcello Dell'Utri, alla vigilia di capodanno, decide di compiere un viaggio di quattro-cinque ore per raggiungere l'abitazione di un noto mafioso, esponente di spicco della Sacra Corona Unita, già condannato all'ergastolo per gravi fatti di sangue commessi nel messinese?

Per capirlo bisogna fare un passo indietro, fino all'entrata in scena di Cosimo Cirfeta, collaboratore di giustizia atipico, molto irrequieto, in pessimi rapporti con gli altri pentiti detenuti, con gravi problemi famigliari e sentimentali. Il 24 agosto 1997, con una lettera post-datata, Cirfeta comunicava ai sostituti procuratori in servizio presso la DDA di Lecce, Cataldo Motta e Giuseppe Capoccia, di aver appreso da tale Giuseppe Guglielmini che costui si era messo d'accordo con altri due pentiti per lanciare false accuse nei confronti di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Il 26 settembre scriveva al sostituto procuratore Michele Emiliano presso la DDA di Bari un'altra missiva in cui si ribadivano le accuse a Guglielmini e si chiedeva un colloquio con il magistrato, visto che la precedente richiesta era caduta nel vuoto. Il 10 ottobre scriveva ad entrambe le DDA di Lecce e Bari denunciando la scomparsa di due block notes in cui avrebbe annotato appunti relativi ad un processo in cui avrebbe dovuto deporre a favore di Berlusconi e Dell'Utri.

Non contento, lo stesso giorno, indirizzava alla Procura Nazionale Antimafia, alle DDA di Bari e di Roma, al colonnello Alberto Cannone e al maggiore Criscuolo una lunga missiva. Eccola.

"Eccellentissimi signori appena hanno saputo in questo carcere che io avrei deposto in favore dell’onorevole Berlusconi e del dr. Dell'Utri (non so poi come sia potuto accadere visto che io quelle dichiarazioni le ho rilasciate ad un maresciallo del carcere il sig. Mursilli, dato che ne avevo chiesto una copia che mi ha consegnato personalmente. La copia della lettera me l’ha consegnata di persona a Piazza d’Armi, dopo, o meglio il giorno dopo faccio colloquio, termino il colloquio e tornando alla sezione il M.llo Vincenzo Verani mi dice che devo essere isolato, però senza che mi venga contestato nulla.
Tramite radio carcere sono riuscito a sapere che avevo fatto. Ma la maggior parte delle persone della sezione dove io ero avevano fatto una lettera sottoscrivendola. Perché io mi taglio sul serio che ho tentato tre volte di uccidermi tagliandomi le vene.
Bene appena finito il colloquio con la mia famiglia, sono stato portato in isolamento senza che nessuno abbia (come prescrive l’ordinamento penitenziario) detto o dato una spiegazione, visto che per portarmi alla Seconda dove io avevo chiesto di andare con tutte le firme dei detenuti che occupavano quella sezione comunque mi si è andato così tutto il giorno i due marescialli che dovevano decidere non c’erano o se c’erano avevano da fare che poi mi avrebbero chiamato, premetto prima che io andavo al colloquio dal Maresciallo Mursilli davanti al maresciallo Lolli mi ha detto (quando torno (parola incomprensibile) dice che non vai a II° sezione io ero contento ma ignaro del fatto che poi mi sono trovato isolato da due giorni, io ho dei dubbi che questo comportamento siano dovuti alle dichiarazioni che io ho lasciato in sede da un maresciallo che mi prende a verbale (Mursilli) e l’altro Comandante Capo me ne consegna una copia come già detto. Comunque io non ho commesso nulla ma so che mi trovo con oggi da tre giorni in cella di isolamento, senza che nessuno sappia darmi una spiegazione e mentre prima ogni qual volta chiedevo di conferire con il maresciallo mi sentivano ora con banali scuse dette dei volti ... (parola
incomprensibile n.d.r.) lì siamo, o te lo chiamiamo fra un po' quindi visto che io non ho commesso nessuna infrazione denuncio per abuso di potere il maresciallo Lolli Fausto e Mursilli. Informo che sono stato anche minacciato di non dire niente più su quello che so in merito al patto scellerato di certi tipi di collaboratori (quindi la mia vita è in pericolo) che si sono messi d’accordo per accusare l’on. Silvio Berlusconi e il dr. Marcello Dell'Utri. Ora io isolato non riesco a starci, soprattutto quando non ho fatto niente, è un abuso vero e proprio, sono tre giorni che sono isolato senza che nessuno mi abbia potuto contestare infrazione alcuna, perché non ne ho fatta. Ora chiedo un vostro intervento io ho già tentato di togliermi la vita, ad un braccio 10 punti, all’altro 11 quindi fiducioso in un vostro interessamento porgo cordiali e distinti ossequi.
In Fede
Cosimo Cirfeta
Lì, 11/10/97
N.B.: Tutto ciò che da questo momento sono le 23.00 del 10/10/97 non è dovuto alla mia volontà devo pur difendermi e salvare la vita. Ora mi riservo di raccontare altro, ma di farlo nella sede opportuna.
Cosimo CIRFETA"

Il 19 maggio 1998 Cirfeta ottiene di parlare al telefono con il dott. Michele Emiliano. Ribadisce le accuse a Guglielmini, Onorato e Di Carlo, che l'avrebbero indotto a muovere false accuse nei confronti di Berlusconi e Dell'Utri, ma anche di D'Alema e del Capitano dei Carabinieri Giuseppe De Donno. Afferma di essere stato pesantemente minacciato da tre uomini con il passamontagna che gli avrebbe puntato in bocca una pistola per convincerlo a non parlare.

Peccato che il tribunale sia certo del fatto che "le dichiarazioni del Cirfeta siano clamorosamente smentite dalla cronologia dei fatti realmente accaduti e dalle acquisizioni testimoniali e documentali e, pertanto, siano da ritenersi sicuramente false e calunniose".

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