martedì 22 luglio 2008

Marcello, Silvio e la mafia (parte 5)

Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.

CAPITOLO 5
A suon di bombe

Nel dicembre '74 dunque, Vittorio Mangano, dopo il fallito sequestro del principe D'Angerio, si allontana spontaneamente da Villa San Martino. A questo punto Berlusconi, rimasto privo della copertura di Cosa Nostra, rappresentata dalla presenza di Mangano ad Arcore, torna ad essere un obiettivo attaccabile e ricattabile. Non passano infatti molti mesi che, il 26 maggio del 1975, una bomba fa saltare in aria parte della villa in via Rovani. Come Villa San Martino, anche questa era in fase di ristrutturazione, ma la bomba non ebbe pietà e sfondò i muri perimetrali provocando pure il crollo del pianerottolo del primo piano.

La devastazione viene denunciata alla questura da un certo Walter Donati, socio della Società Generale Attrezzature e intestatario della ditta di ristrutturazione. Successivamente si accerterà che la villa era di proprietà di Berlusconi, il quale però, nonostante il chiaro messaggio estorsivo, si era guardato bene dallo sporgere denuncia. Lì per lì i responsabili dell'attentato non vengono rintracciati, ma una telefonata intercettata circa 11 anni dopo tra Berlusconi e Dell'Utri chiarisce l'accaduto: a mettere la bomba è stato Mangano.

Il 28 novembre del 1986, infatti, la stessa villa di via Rovani è soggetta ad un nuovo attentato dinamitardo. Questa volta però non si registrano gravi danni: solo una bomba rudimentale che ha scalfito la cancellata. Ne parlano al telefono Berlusconi (B) e Dell'Utri (D), più divertiti che spaventati, in una chiacchierata dal sapore altamente comico divenuta ormai famosa.

B: Allora, è Vittorio Mangano...
D: Che succede?
B: Ha messo la bomba!
D: Non mi dire! E come si sa?
B: Da una serie di deduzioni. Per il rispetto che si deve all'intelligenza.
D: Perchè? E' fuori?
B: Sì. E' fuori.
D: Ah! Non lo sapevo neanche!
B: E questa cosa qui...fatta con un chilo di polvere nera...fatta con molto rispetto, quasi con affetto.
D: Ah!
B: Un altro manderebbe una lettera...lui ha messo la bomba!
D: Ma perchè? Non si spiega proprio!
B: Sì, poi la bomba fatta proprio rudimentale...
D: Proprio per dire: faccio un botto!
B: Sì! Ma poi con molto rispetto. Mi ha incrinato soltanto la parte inferiore della cancellata. Un danno da 200 mila lire. Una cosa rispettosa e affettuosa.
D: Pazzesco!
B: E' la stessa via Rovani come allora...e lui fuori di prigione.
D: Questo qui è un chiaro segnale estorsivo!
B: Classico avvertimento di qualche cosa...
D: Sì, sì! Ripensi a undici anni fa...
B: Uh, uh! Sì, sì, sì!

Poi Berlusconi passa la cornetta a Fedele Confalonieri (C) che è lì con lui.

C: Questo Mangano non è un uomo di fantasia!
D: Esatto! Si ripete...
C: Ha cominciato dieci anni fa a fare così e adesso ne ha 46...
D: E poi anche un attentato timido in effetti. Solo per dire: sono qui.
C: Come la lettera con la croce nera. Come l'altra volta, ricordi?

E' chiaro dunque che i tre interlocutori hanno bene presente che Mangano fosse stato il responsabile del primo attentato alla villa, corredato pure di una lettera intimidatoria con una croce nera e una probabile minaccia al figlio di Berlusconi. Nonostante la loro piena consapevolezza, nessuno di loro aveva offerto un'utile indicazione agli investigatori sulla ricerca del responsabile, ma anzi avevano deciso di tacere il tutto. Abbastanza patetico il tentativo di Fedele Confalonieri di negare di fronte al PM la propria conoscenza del primo devastante attentato: "Perchè? C'era stata un'altra bomba?"

Berlusconi, subito dopo la bomba del '75, inizia a temere sul serio per la propria famiglia e decide di rifugiarsi all'estero per alcuni mesi. Prima in Svizzera, vicino a Ginevra, per un paio di settimane e poi nel sud della Spagna, a Marbella, per qualche mese. Al suo ritorno si premunirà di un adeguato sistema di difesa privata che andrà aumentando di anno in anno. Il Tribunale sottolinea come ciò sia la dimostrazione inequivocabile che, prima dell'allontanamento di Mangano da Arcore, Berlusconi si sentisse sufficientemente sicuro e ritenesse che la propria famiglia fosse adeguatamente protetta dalla sola presenza dello stesso Mangano all'interno della villa.

Incurante della gravità delle proprie affermazioni, è proprio Dell'Utri a confermare la circostanza: "Dopo Mangano, Berlusconi si attrezzò con un corpo di guardia considerevole, che è sempre aumentato, sino a diventare un esercito".

E' curioso notare come, anche dopo l'allontanamento di Vittorio Mangano da Milano, nonostante la caratura criminale del soggetto fosse divenuta evidente e fosse assolutamente chiara a Dell'Utri, quest'ultimo non interromperà i propri rapporti con Mangano. Anzi, come ricorda lo"storico" pentito Antonino Calderone, Dell'Utri non cessò le sue frequentazioni mafiose e continuò ad incontrare personaggi del calibro dei fratelli Grado nel famoso ristorante nel centro di Milano "Le colline pistoiesi", gestito da un certo Gori, fratello di un calciatore della Juventus. Dell'Utri confermerà la circostanza ma preciserà che il suo continuare a frequentare Mangano derivava solamente da un senso di timore nei suoi confronti.

"Proprio perchè mi ero reso conto della personalità del Mangano, avevo un certo timore nei suoi confronti e quando lo incontravo, non lo respingevo, ma accettavo la sua compagnia".

Dichiarazioni al limite del ridicolo se si pensa che Dell'Utri affermerà di non essere stato nemmeno messo al corrente di chi fossero gli altri personaggi seduti allo stesso tavolo.

"E' chiaro che io ho pranzato con Mangano e queste altre persone, che egli come al solito mi avrà presentato come amici, senza però farmene i nomi. Infatti non conosco il Calderone i fratelli Grado".

Risulta comunque poco probabile che Dell'Utri e Berlusconi avessero realizzato la pericolosità del personaggio solo in seguito al mancato sequestro del principe D'Angerio. Mangano infatti aveva intrattenuto rapporti con esponenti di Cosa Nostra ben prima del '74. Il 16 agosto '72 era stato fermato per esempio in compagnia di Gioachino Mafara, il 23 agosto con Antonino La Rosa e Antonino Vernengo. Il 15 febbraio dello stesso anno era stato addirittura arrestato per il reato di tentata estorsione. Il 27 dicembre, tre settimane dopo il tentato sequestro del principe, Mangano viene arrestato di nuovo per il reato di truffa (10 mesi e 15 giorni). Il 1 dicembre del '75 viene ancora una volta tratto in arresto dalla Squadra Mobile di Palermo per detenzione e porto di coltello. La sua residenza risulta essere ancora in Arcore, via Villa San Martino 42. Raggiunto da una serie di provvedimenti giudiziari, nel maggio del 1980 veniva arrestato proprio ad Arcore, nell'ambito dell'indagine sui traffici di eroina e morfina base, che porterà al processo Spatola, il primo grande processo ai danni della criminalità organizzata istruito da Giovanni Falcone.

Mangano, in quegli anni, nell'ambito del traffico di droga, costituiva un insostituibile tramite di collegamento tra Palermo e Milano. Nell'ultima intervista rilasciata da Paolo Borsellino a due giornalisti francesi, Mangano verrà definito "una delle teste di ponte di Cosa Nostra a Milano". Tre giorni dopo salterà in aria Falcone. Meno di un mese dopo toccherà anche a lui.

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