Tutti i fatti e le testimonianze riportati di seguito sono tratti dalla sentenza di primo grado dell'11 dicembre del 2004 da parte della II sezione penale del Tribunale di Palermo, che ha condannato l'imputato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione.
CAPITOLO 28
L'inquinamento delle prove (3)
Nel corso dell’indagine dibattimentale sono stati sentiti, in ordine cronologico, Angelo Izzo, Giuseppe Pagano, Rade Cukic, i fratelli Sparta Leonardi (Francesco e Cosimo) e Antonio Cariolo.
Il primo, Angelo Izzo, chiede di essere ascoltato il 10 dicembre 1999 e conferma il fatto che il collaborante Di Carlo, durante il suo periodo di detenzione, "era sottoposto a misure eccezionali di sicurezza con un agente praticamente fisso che lo seguiva continuamente". Quindi non avrebbe in alcun modo potuto organizzare un complotto ai danni di Dell'Utri e Berlusconi e, tanto meno, avrebbe potuto eventualmente parlarne ad un personaggio come Cirfeta, ritenuto dalla stesse guardie carcerarie "un tipo pericoloso". Izzo lo sa bene, perchè è uno dei pochi detenuti ad essere entrato in rapporto con Di Carlo: "Ero uno dei pochissimi che poteva entrare nella sua cella, mangiavo con lui...lui quasi non salutava nessuno". Di Carlo, poi, a detta di Izzo, "era riservatissimo" e non avrebbe sicuramente mai parlato a nessuno di questioni giudiziarie. Sul personaggio di Cirfeta, Izzo conferma la versione degli altri collaboratori. "Aveva una serie di atteggiamenti di bassa lega...era tossicodipendente...girava a piedi nudi...mischiava vino e pastiglie...era una persona poco affidabile".
Un anno dopo un altro teste, Giuseppe Pagano, fa pervenire alla D.D.A. di Napoli una missiva, in cui chiede di poter essere ascoltato. Il 18 settembre del 2000 rilascia le proprie dichiarazioni. Le rivelazioni sono bollenti. "Chiamammo il Cirfeta nella stanza, gli offrimmo un caffè e Angelo Izzo gli fece capire, insomma gli disse, io c’ero pure io, che non era una cosa fatta bene e ad un certo punto il Cirfeta disse: - Sì lo so, ho sbagliato - andò un attimino in incandescenza e recriminava il fatto che gli avevano promesso che espatriava, che gli dovevano dare dei soldi". Dunque, sembra che Cirfeta, messo alle strette dagli stessi Izzo e Pagano, confessi il proprio errore, dovuto ad una promessa di futuri favori.
Il 24 settembre del 2001 viene ascoltato il terzo teste, Antonio Cariolo, il quale aggiunge una tessera al mosaico: Giuseppe Chiofalo. "Chiofalo successivamente esprimeva il suo pensiero, praticamente il pensiero era che avremmo avuto dei vantaggi a dichiarare questa situazione che avveniva all’interno delle sezioni dei collaboratori di giustizia quindi sarebbe stato utile per quanto concerne i collaboratori che avrebbero smentito le affermazioni di altri collaboratori, sarebbe stato utile per quanto concerne la remissione in libertà e anche per averne dei vantaggi economici". Quindi non solo Cirfeta, ma anche Chiofalo risulta autore di indebite pressioni sui vari collaboratori di giustizia rinchiusi a Rebibbia: "Questo mi fu proposto da parte sia del Cirfeta che del Chiofalo, come mi fu proposto a me anche ad altri collaboratori. Dicevano che avremmo avuto dei vantaggi per quanto riguarda i benefici penitenziari e quindi saremmo stati posti in libertà e anche per quanto riguarda in termini economici, quindi questo era quello che almeno propagavano".
Non solo. Antonio Cariolo ha riferito di aver appreso dallo stesso Chiofalo di un misterioso incontro in occasione delle festività natalizie del 1998 tra lo stesso Chiofalo (in permesso) e un influente personaggio politico, che "doveva praticamente diramare un po' tutta la situazione, nel senso che doveva sistemare anche la situazione di Cirfeta all’interno". Di chi si tratta? Ovviamente, di Marcello Dell'Utri.
Il 21 maggio 2001 vengono ascoltati anche i fratelli Sparta, citati da Cariolo come alcuni dei pentiti che erano stati avvicinati dal duo Cirfeta-Chiofalo per convincerli a testimoniare il falso. Carmelo Sparta dichiara di aver ricevuto pressioni da Cirfeta: avrebbe dovuto affermare che c'era un complotto tra i vari pentiti per accusare il dott. Marcello Dell'Utri. "Il 3 ottobre è successo che è venuto in cella e dice: - Lo dovete fare per forza, ormai non potete più tirarvi indietro - allora l'abbiamo scritto fuori dalla cella e siamo andati giù dall'Ispettore a dire quello che stava succedendo. Lo hanno isolato perchè tante altre persone non ne potevano più perchè Cirfeta è un tipo violento".
Nel frattempo Cirfeta era passato anche alle minacce: "Diceva che ci ammazzava i figli a colpi di mitra, ci ammazzava le nostre donne, intervengono i miei amici importanti, onorevoli e Senatori". Pochi giorni dopo, interviene pure Chiofalo: "Chiofalo mi ha detto che bisognava fare questa cosa perchè ce ne veniva assistenza legale e un interessamento di amici suoi per una scarcerazione prossima e un piccolo aiuto economico per iniziare un'attività". Ma fare cosa? "Screditare più pentiti possibili della Procura di Palermo così si indebolisce un po' la Procura e poi intervengono i miei amici e ci tolgono 'sto strapotere che ha la Procura di Palermo".
Il piano sembra dunque assumere dimensioni più ampie. Non solo destituire di credibilità alcuni pentiti, ma indebolire addirittura un'intera procura che, a detta di Cirfeta, avrebbe troppo potere. Un discorso sottile e articolato, che va al di là della semplice logica di una falsa testimonianza resa in cambio di favori. Non certo un ragionamento che ti aspetteresti da un tossicomane sporco e trasandato, curato a vista all'interno del carcere. Chi ha infarcito la testa di Cirfeta con queste idee? Chi lo controlla?
Il fratello di Carmelo, Francesco Sparta, nel corso della stessa udienza spiega: "Cirfeta era quello più azzardoso, più attaccante, il Chiofalo era più sottile. Ci fecero questa proposta di accusare Di Carlo, Onorato e Franceschini. E in cambio si parlava di parecchi soldi, mezzo miliardo, 300 milioni".
Il 9 ottobre del 2000 è la volta del teste Rade Cukic, che, nel carcere di Palliano, ha avuto modo di incontrare più o meno tutti i protagonisti di questa vicenda. Dichiara che Chiofalo e Cirfeta avevano "creato una certa confusione, problemi dentro il carcere tra di noi detenuti...si erano messi d'accordo per un processo...si tratta dell'onorevole Dell'Utri o qualche altro personaggio importante". Cukic dice di essere stato presente nel momento dell'accordo: "Francesco Sparta doveva accusare due collaboratori, Onorato e un altro, non mi ricordo il nome in questo momento perché erano, erano insieme al carcere, carcere di Rebibbia". Dalle parole di Cukic si apprende inoltre che Chiofalo aveva pure architettato un piano per far pervenire ai fratelli Sparta un telegramma in cui comparisse anche la firma dello stesso Cukic.
Osserva il tribunale: " Chiofalo non ha agito da solo per obbedire ad un sublime afflato e ad un irresistibile e cogente bisogno di giustizia che lo spingevano a denunciare l’infame complotto ordito ai danni dell’onorevole Marcello Dell’Utri da fedifraghi collaboratori di giustizia ma bensì per realizzare, insieme all’ineffabile Cosimo Cirfeta, un ben preordinato disegno, quello di delegittimare i collaboratori dai quali l’imputato era stato pesantemente accusato, il cui ispiratore non poteva non essere che lo stesso Marcello Dell’Utri".
Il primo, Angelo Izzo, chiede di essere ascoltato il 10 dicembre 1999 e conferma il fatto che il collaborante Di Carlo, durante il suo periodo di detenzione, "era sottoposto a misure eccezionali di sicurezza con un agente praticamente fisso che lo seguiva continuamente". Quindi non avrebbe in alcun modo potuto organizzare un complotto ai danni di Dell'Utri e Berlusconi e, tanto meno, avrebbe potuto eventualmente parlarne ad un personaggio come Cirfeta, ritenuto dalla stesse guardie carcerarie "un tipo pericoloso". Izzo lo sa bene, perchè è uno dei pochi detenuti ad essere entrato in rapporto con Di Carlo: "Ero uno dei pochissimi che poteva entrare nella sua cella, mangiavo con lui...lui quasi non salutava nessuno". Di Carlo, poi, a detta di Izzo, "era riservatissimo" e non avrebbe sicuramente mai parlato a nessuno di questioni giudiziarie. Sul personaggio di Cirfeta, Izzo conferma la versione degli altri collaboratori. "Aveva una serie di atteggiamenti di bassa lega...era tossicodipendente...girava a piedi nudi...mischiava vino e pastiglie...era una persona poco affidabile".
Un anno dopo un altro teste, Giuseppe Pagano, fa pervenire alla D.D.A. di Napoli una missiva, in cui chiede di poter essere ascoltato. Il 18 settembre del 2000 rilascia le proprie dichiarazioni. Le rivelazioni sono bollenti. "Chiamammo il Cirfeta nella stanza, gli offrimmo un caffè e Angelo Izzo gli fece capire, insomma gli disse, io c’ero pure io, che non era una cosa fatta bene e ad un certo punto il Cirfeta disse: - Sì lo so, ho sbagliato - andò un attimino in incandescenza e recriminava il fatto che gli avevano promesso che espatriava, che gli dovevano dare dei soldi". Dunque, sembra che Cirfeta, messo alle strette dagli stessi Izzo e Pagano, confessi il proprio errore, dovuto ad una promessa di futuri favori.
Il 24 settembre del 2001 viene ascoltato il terzo teste, Antonio Cariolo, il quale aggiunge una tessera al mosaico: Giuseppe Chiofalo. "Chiofalo successivamente esprimeva il suo pensiero, praticamente il pensiero era che avremmo avuto dei vantaggi a dichiarare questa situazione che avveniva all’interno delle sezioni dei collaboratori di giustizia quindi sarebbe stato utile per quanto concerne i collaboratori che avrebbero smentito le affermazioni di altri collaboratori, sarebbe stato utile per quanto concerne la remissione in libertà e anche per averne dei vantaggi economici". Quindi non solo Cirfeta, ma anche Chiofalo risulta autore di indebite pressioni sui vari collaboratori di giustizia rinchiusi a Rebibbia: "Questo mi fu proposto da parte sia del Cirfeta che del Chiofalo, come mi fu proposto a me anche ad altri collaboratori. Dicevano che avremmo avuto dei vantaggi per quanto riguarda i benefici penitenziari e quindi saremmo stati posti in libertà e anche per quanto riguarda in termini economici, quindi questo era quello che almeno propagavano".
Non solo. Antonio Cariolo ha riferito di aver appreso dallo stesso Chiofalo di un misterioso incontro in occasione delle festività natalizie del 1998 tra lo stesso Chiofalo (in permesso) e un influente personaggio politico, che "doveva praticamente diramare un po' tutta la situazione, nel senso che doveva sistemare anche la situazione di Cirfeta all’interno". Di chi si tratta? Ovviamente, di Marcello Dell'Utri.
Il 21 maggio 2001 vengono ascoltati anche i fratelli Sparta, citati da Cariolo come alcuni dei pentiti che erano stati avvicinati dal duo Cirfeta-Chiofalo per convincerli a testimoniare il falso. Carmelo Sparta dichiara di aver ricevuto pressioni da Cirfeta: avrebbe dovuto affermare che c'era un complotto tra i vari pentiti per accusare il dott. Marcello Dell'Utri. "Il 3 ottobre è successo che è venuto in cella e dice: - Lo dovete fare per forza, ormai non potete più tirarvi indietro - allora l'abbiamo scritto fuori dalla cella e siamo andati giù dall'Ispettore a dire quello che stava succedendo. Lo hanno isolato perchè tante altre persone non ne potevano più perchè Cirfeta è un tipo violento".
Nel frattempo Cirfeta era passato anche alle minacce: "Diceva che ci ammazzava i figli a colpi di mitra, ci ammazzava le nostre donne, intervengono i miei amici importanti, onorevoli e Senatori". Pochi giorni dopo, interviene pure Chiofalo: "Chiofalo mi ha detto che bisognava fare questa cosa perchè ce ne veniva assistenza legale e un interessamento di amici suoi per una scarcerazione prossima e un piccolo aiuto economico per iniziare un'attività". Ma fare cosa? "Screditare più pentiti possibili della Procura di Palermo così si indebolisce un po' la Procura e poi intervengono i miei amici e ci tolgono 'sto strapotere che ha la Procura di Palermo".
Il piano sembra dunque assumere dimensioni più ampie. Non solo destituire di credibilità alcuni pentiti, ma indebolire addirittura un'intera procura che, a detta di Cirfeta, avrebbe troppo potere. Un discorso sottile e articolato, che va al di là della semplice logica di una falsa testimonianza resa in cambio di favori. Non certo un ragionamento che ti aspetteresti da un tossicomane sporco e trasandato, curato a vista all'interno del carcere. Chi ha infarcito la testa di Cirfeta con queste idee? Chi lo controlla?
Il fratello di Carmelo, Francesco Sparta, nel corso della stessa udienza spiega: "Cirfeta era quello più azzardoso, più attaccante, il Chiofalo era più sottile. Ci fecero questa proposta di accusare Di Carlo, Onorato e Franceschini. E in cambio si parlava di parecchi soldi, mezzo miliardo, 300 milioni".
Il 9 ottobre del 2000 è la volta del teste Rade Cukic, che, nel carcere di Palliano, ha avuto modo di incontrare più o meno tutti i protagonisti di questa vicenda. Dichiara che Chiofalo e Cirfeta avevano "creato una certa confusione, problemi dentro il carcere tra di noi detenuti...si erano messi d'accordo per un processo...si tratta dell'onorevole Dell'Utri o qualche altro personaggio importante". Cukic dice di essere stato presente nel momento dell'accordo: "Francesco Sparta doveva accusare due collaboratori, Onorato e un altro, non mi ricordo il nome in questo momento perché erano, erano insieme al carcere, carcere di Rebibbia". Dalle parole di Cukic si apprende inoltre che Chiofalo aveva pure architettato un piano per far pervenire ai fratelli Sparta un telegramma in cui comparisse anche la firma dello stesso Cukic.
Osserva il tribunale: " Chiofalo non ha agito da solo per obbedire ad un sublime afflato e ad un irresistibile e cogente bisogno di giustizia che lo spingevano a denunciare l’infame complotto ordito ai danni dell’onorevole Marcello Dell’Utri da fedifraghi collaboratori di giustizia ma bensì per realizzare, insieme all’ineffabile Cosimo Cirfeta, un ben preordinato disegno, quello di delegittimare i collaboratori dai quali l’imputato era stato pesantemente accusato, il cui ispiratore non poteva non essere che lo stesso Marcello Dell’Utri".
1 commento:
povera italia..........
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